Il MIUR (oggi MI) sceglie i docenti ma non sappiamo come

Nell’articolo Siamo In Europa ma il MIUR non è d’accordo abbiamo trattato un tema tanto paradossale quanto delicato: nonostante la legge europea e le sentenze del TAR, il Ministero dell’Istruzione Italiano spesso (non sempre abbiamo scoperto), non riconosce i titoli abilitanti conseguiti in altri paesi europei.

Il Ministero dell’Istruzione Italiano non vuole riconoscere a più di 4.000 laureati italiani abilitati in Romania il loro titolo all’insegnamento.

Però non è un veto che pone proprio a tutti… e questo ci ha incuriositi.

Così abbiamo chiesto all’avvocato Maurizio Danza del foro di Roma di spiegarci cosa ha trovato tra i decreti emessi dal MIUR.

Lo studio Danza ha tra i suoi assisititi un folto gruppo di laureati a cui non viene riconosciuta l’abilitazione conseguita in Romania.

Avv.Maurizio Danza
Avv.Maurizio Danza

Avvocato Danza, ci conferma che il criterio di sbarramento applicato dal MIUR nei confronti di chi ha conseguito l’abilitazione all’insegnamento in paesi europei diversi dall’Italia, non è uguale proprio per tutti?

Lo devo confermare.

Nel corso del nostro lavoro, abbiamo studiato alcuni giudizi innanzi al TAR Lazio e al Consiglio di Stato da cui emergerebbe la anomala vicenda  da voi definita nel vostro articolo “ una nota stonata”.

In poche parole abbiamo riscontrato la esistenza di taluni decreti di riconoscimento emessi del MIUR a favore di alcuni laureati italiani abilitati in Romania, attualmente negati a tutti gli altri, tra cui i ricorrenti rappresentati dal legale.

 

Quindi il criterio non è uguale per tutti?

Da una parte ci sono migliaia di abilitati in Romania che si vedono rifiutato il riconoscimento dell’abilitazione e dell’altra ci sono altri abilitati che invece sono stati riconosciuti e non hanno avuto alcun problema?

Esatto.

Per la precisione abbiamo da una parte migliaia di abilitati che subiscono una ingiustizia e dall’altra un piccolo gruppo che sembra superiore ai criteri comuni.

Può spiegarcelo meglio?

Sono stati emanati dei decreti di riconoscimento a favore di alcuni abilitati in Romania, nella stessa identica situazione dei nostri ricorrenti.

Anzi, pensi che i tre abilitati in Romania, cui si riferiscono gli unici decreti di riconoscimento prodotti nei giudizi dinanzi alla magistratura , mai revocati dal MIUR , sono stati ammessi alle procedure concorsuali riservate e risultano inseriti utilmente nel sistema di reclutamento della pubblica istruzione , con grave disparità di trattamento a danno di migliaia di abilitati italiani.

Ma come è possibile?

Ai fatti, in cosa consiste la grave disparità di trattamento a danno dei ricorrenti dal medesimo patrocinato?

Mi permetta di fare una precisazione: a differenza dei tre abilitati cui si riferiscono i decreti, i miei ricorrenti così come migliaia assistiti da altri studi legali, si sono visti costretti ad intraprendere ben due giudizi, avendo dovuto adire prima il TAR Lazio che si era espresso negativamente, e successivamente il Consiglio di Stato che ha accolto i ricorsi riconoscendo la validità delle abilitazioni all’insegnamento in Romania.

 

Ma non sono sufficienti le pronunce positive del Consiglio di Stato ai fini dei decreti di riconoscimento del MIUR?


Dovrebbe ma non è così.

Il MIUR, nonostante la condanna, non ha eseguito spontaneamente le sentenze dei Giudici,  costringendo i ricorrenti all’ ulteriore giudizio di ottemperanza che si terrà a maggio e che è finalizzato alla condanna del MIUR ad emanare, anche attraverso un Commissario ad acta,  i decreti di riconoscimento all’ esercizio della professione docente a pieno titolo anche in Italia.

Aggiungo inoltre,  che risulta da altri atti che il MIUR,  stia condizionando – improvvisamente- la emanazione del decreto di riconoscimento, disponendo nei confronti dei beneficiari delle sentenze ( a differenza dei tre abilitati destinatari del favor) “misure compensative” previste dalla direttiva dell’Unione Europea n°36 del 2005, di durata anche fino a due anni: tutto ciò  eludendo palesemente le sentenze del TAR e del Consiglio di Stato e senza  tener conto illegittimamente  dei titoli professionali  e della specifica esperienza di insegnamento maturata dai ricorrenti abilitati in Romania, come previsto giurisprudenza della Corte di Giustizia Europea.

La situazione è quasi surreale.

Ci sono soluzioni diverse da quelle giudiziarie a favore degli abilitati in Romania?

Ci sono soluzioni per ogni cosa, ma deve esserci la volontà di cercarle.

Per quanto mi riguarda dichiaro la mia disponibilità a partecipare ad un ulteriore tavolo tecnico con il MIUR -come già fatto nel marzo del 2019 con la Responsabile della Direzione dell’Ufficio VII e l’Avvocatura dello Stato-, finalizzato ad una soluzione della annosa questione a favore degli abilitati in Romania, che in mancanza dei decreti di riconoscimento, corrono il rischio di ulteriori conseguenze dannose.

Infine, tale riconoscimento costituisce strumento indispensabile per garantire sia il diritto all’esercizio della professione docente in Italia tutelato dalla Direttiva Europea sia il diritto al lavoro dei ricorrenti, allo stato  fortemente compromesso da comportamenti amministrativi palesemente illegittimi.

Grazie avvocato, ci auguriamo che si trovi una pacificazione di questa anomalia.

Faremo tutto il possibile.

 

E anche noi speriamo che l’avvocato Danza e tutti gli altri studi che si stano occupando di questo tema possano in fretta far tornare il MIUR a più miti consigli.

Ricordiamo che il nuovo anno scolastico e vicino e dopo questi anni terribili per la scuola italiana abbiamo bisogno di docenti formati a abilitati per recuperare il gap formativo.

Come sappiamo, il Ministro dell’Istruzione Patrizio Bianchi sta facendo molta pressione affinché la scuola possa ripartire con un corpo docente adeguato e abilitato, sarebbe molto pericoloso per le prossime generazioni non soddisfare questa attesa.




L’ANNO (scolastico) CHE VERRÀ

 

Era il 5 marzo 2020 e le scuole chiudevano per l’emergenza da coronavirus. D’allora abbiamo dovuto ripensare la nostra quotidianità.

Abbiamo dovuto rivedere consuetudini che, nell’arco di pochi giorni, sono venute a mancare, ma anche esperienze portanti della nostra esistenza.

Intorno alla scuola molto si è discusso, molto si è riflettuto; mentre si continua ad adoperarsi per riorganizzarla e cercare di farla vivere, comunque.

Abbiamo anche sperato che il dramma vissuto potesse servire almeno ad aggiustare alcune problematicità che, da anni, non sono ben chiare. Invece stiamo lavorando già per il nuovo anno scolastico, ma la nebbia è ancora molto fitta.

Che sarà per l’anno (scolastico) che verrà?

A distanza di un anno, non si può più parlare di emergenza, ma di pandemia “strutturale” ed è necessario trovare rimedi strutturali per risolvere problemi da anni nel dimenticatoio.

I problemi erano e sono: elevato numero di studenti per classe e aule troppo piccole.

Abbassare il numero degli studenti per classe presuppone aumenti di organico del personale ed inoltre occorre dimensionare in maniera ottimale le aule attraverso urgenti investimenti in edilizia scolastica.

Per garantire la scuola in presenza e in sicurezza, oltre al completamento del piano vaccinale, è necessario “lavorare” sulle due variabili ricordate.

Il Covid-19 è un virus respiratorio che si diffonde principalmente attraverso le goccioline del respiro delle persone infette (droplets) quando starnutiscono o tossiscono o si soffiano il naso, e attraverso anche l’atto del parlare.

Quando si parla migliaia di goccioline possono rimanere sospese nell’aria tra gli 8 e i 14 minuti.

Questi stessi droplet, per la forza di gravità, cadono e possono atterrare sulle più varie superfici su cui hanno tempi di sopravvivenza variabili.

Le particelle virali possono resistere fino a mezz’ora su carta da stampa, fino a 24 ore su legno e tessuto, fino a due giorni su banconote e vetro; fino a 4 giorni su acciaio inox, plastica e superfici interne delle mascherine e fino a una settimana sulla superficie esterna delle mascherine.

Quindi è necessario che le aule didattiche siano giornalmente sanificate e soprattutto siano dotate di apparecchi per il ricambio d’aria.

E allora? Quest’anno scolastico iniziato “in presenza” si approssima a chiudersi “a distanza” e l’anno che verrà?

Intanto le scuole hanno fatto le proposte di organico docenti e alunni/classi senza che fosse pubblicato il decreto interministeriale sugli organici per l’a.s. 2021/22,
quindi ancora non si sa se ci saranno classi di 30 alunni che presuppongono per il D. I. 18/12/1975 classi di 60 metri quadrati.

Ad avercele! Ma con 30 alunni in classe sottodimensionate il distanziamento con i banchi monoposto servirebbe a ben poco.

Occorre più personale per sanificare ogni giorno tutti gli ambienti e servono dispositivi per favorire un rapido e completo ricambio d’aria. Forse c’è ancora tempo per pensarci e intervenire, altrimenti anche l’anno (scolastico) che verrà si svolgerà a ritmo psichedelico “apri” e “chiudi”.

Aerazione e sanificazione sono argomenti presenti nel dibattito scientifico ed accademico ormai da tempo e se davvero si vogliono le scuole aperte ed in sicurezza, non si perda tempo.

 

Pio Mirra

DIRIGENTE SCOLASTICO




Vaccino SI, Vaccino NO, Vaccino BOOM!

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Giovedì scorso, il 18 marzo, il Presidente del Consiglio Mario Draghi, ha affermato: “Il Governo italiano accoglie con soddisfazione il pronunciamento dell’Ema sul vaccino di Astrazeneca.

La somministrazione del vaccino riprenderà già da domani.

La priorità del Governo rimane quella di realizzare il maggior numero di vaccinazioni nel più breve tempo possibile”.

E sottolineiamo che, il via libera in Italia alla ripresa delle vaccinazioni con il siero anglo-svedese, dopo la sospensione precauzionale di 4 giorni, è arrivato a poco più di un’ora di distanza da quello dell’Ema, l’agenzia europea per il farmaco.

Neanche a farlo apposta, venerdì 19, sera, l’ASL Novara mi manda un sms: sono convocata per la somministrazione del vaccino anti-covid per l’indomani.

Preciso che sono un’insegnante di 55 anni che, su base volontaria, ha aderito alla campagna vaccinazione covid della regione Piemonte, con preadesione del 21 febbraio.

Bene, come indicato nel link il piemontetivaccina.it, mi presento in anticipo all’ appuntamento con

  • tessera sanitaria,
  • documentazione attestante l’effettiva appartenenza alla categoria (personale scolastico/personale volontario della protezione civile),
  • modulo di consenso precompilato (14 pagine)

Prima anomalia, l’unico modulo di consenso disponibile sul sito della regione è per il Pfizer, lo compilo comunque, perché queste sono le indicazioni ricevute al triage.

Seconda anomalia, nessun operatore sanitario, né medico, né infermiere che incontro, porta una targhetta che lo identifichi, viceversa tutti i volontari della Protezione Civile portano un tesserino di riconoscimento.

Terza anomalia, il primo camice bianco che incontro, controlla i miei dati e su mia segnalazione constata che il modulo di consenso è per il Pfizer.

“Non c’è problema” dice, straccia l’ultimo foglio, quello con la mia firma, e mi invita a porre la mia firma sotto il nome vaccino ASTRAZENECA.

Del resto, che problema c’è, se prima mi avevano promesso un vaccino e adesso me ne fanno un altro?!?

Segnalo che sono allergica alla penicillina, “lo dica al medico”, mi risponde.

“Avanti il prossimo” si apre la porta ed è il mio turno.

Entro nell’ambulatorio, sono un po’ in apprensione, in questi ultimi giorni si è letto e scritto tutto ed il contrario di tutto sui vaccini.

Però, mi fido e, in fondo, mi sento fortunata a potermi vaccinare.

E poi le parole di Draghi con il responso dell’Ema mi risuonano in testa.

Il medico che mi riceve esamina il mio modulo e si informa su che tipo di reazioni allergiche ho avuto all’antibiotico in questione.

Spiego che una volta mi è venuta l’orticaria, ma nessun choc anafilattico.

Mi chiede “Sta bene?” Sì.

“Ha fatto il covid?” No.

“Ha fatto un tampone?” No.

“Mai nessuno?” No.

“E ALLORA? CHI GLIELO FA FARE DI FARE IL VACCINO? HA IDEA DEI RISCHI CHE CORRE?”

Rispondo “Sono un ‘insegnante, a scuola ci hanno invitato a vaccinarci…”

“NON CREDO CHE IL SUO PRESIDE L’ABBIA OBBLIGATA; NON VORRA’ FARMI CREDERE CHE RISCHIA IL POSTO DI LAVORO?!?”

Inizia a crescermi l’ansia, gli dico, “Ma lei chi è?” Risposta “Uno psichiatra”.

Incalza” CI PENSI BENE, IO GLIEL’HO DETTO”

Allora, gli segnalo che i miei genitori hanno avuto entrambi un infarto, che dei miei 4 nonni, tre sono morti per problemi cardiovascolari…

Lui continua a ripetere: “APPUNTO, ADESSO LEI STA BENE; CHI GLIELO FA FARE DI CORRERE DEI RISCHI?!?”

Sono agitata e confusa, penso quasi ad uno scherzo, guardo l’infermiera sperando che mi rassicuri.

Niente.

Vorrei scappare, ma mi sento inchiodata alla sedia.

“Braccio destro” mi dice e l’ago entra nel mio braccio.

Raccolgo le mie cose ed esco, in mano due moduli, precisamente:

  • un foglio/questionario per i pazienti da inviare all’email a.car@asl.novara.it per la segnalazione di reazioni avverse (dove hanno indicato ASTRAZENECA; FEMMINA; 1° DOSE ORA E DATA di somministrazione; SPALLA DESTRA) con graffettato un foglio/scheda di raccordo anamstetico senza nessun dato anagrafico e niente firma.
  • un foglio con il giorno e l’ora per la somministrazione della 2°dose con il mio nome ed indirizzo, ma ancora niente firma.

Ripeto.

Su entrambi i moduli non c’è nessuna firma, né qualifica.

Primo modulo SEDUTA VACCINALE del…NON COMPILATO.

MEDICO VACCINATORE, NIENTE FIRMA.

INFERMIERE VACCINATORE, NIENTE FIRMA.

Secondo modulo, IL MEDICO RESPONSABILE, NIENTE FIRMA.

Perché? Cosa sta succedendo?

Mi informo, anche gli altri, come me, non hanno neppure uno straccio di scarabocchio di firma.

Che strano…

Allora, non appena torno a casa, faccio un’indagine tra gli altri colleghi, già vaccinati da tempo, anche loro, o non hanno in mano nessun modulo o non hanno firme leggibili o qualifiche a cui appellarsi.

Bene, no anzi male.

Se il medico ha fatto di tutto per dissuadermi (mi rammarico non averlo registrato, lo so è la mia parola contro la sua) e se in generale è una prassi, verificabile dai documenti, quella di non firmare, come faccio io libero cittadino a sentirmi sicura?!?

O forse quel medico negazionista ha agito bene, in scienza e coscienza per mettermi in guardia, spiegandomi in “lingua comprensibile”, come recita il modulo che ho firmato, quali sono i rischi?

Cosa significa in questo momento essere medico?

Ed essere insegnante?

Che cosa possiamo fare per non trasgredire la legge, tutelando al contempo la nostra e l’altrui salute?

Ok, possiamo rifiutarci di vaccinarci, ma se davvero il personale medico e quello scolastico rifiutasse in blocco la somministrazione del vaccino, cosa succederebbe?

Se uno si è deliberatamente rifiutato di vaccinarsi e poi si ammala di covid, l’Inps risponde?

Ed infine, se uno è un medico no vax, fa bene o fa male ad allertare il paziente?

Come concilia il suo obbligo legale di somministrazione del vaccino con il suo scetticismo medico?

Che cosa sanno in più i medici che noi non sappiamo?

Se, per legge, un medico deve procedere alla somministrazione del vaccino, è deontologicamente corretto, da parte sua, insistere ad allertare il paziente a priori, senza che questi gli abbia chiesto un parere?

Ha esercitato una forma gratuita di terrorismo psicologico o ha coraggiosamente e lecitamente espresso il suo dissenso?

Qualcuno mi ha detto di denunciarlo.

Perché?!? Dico io.

In fondo lui ha fatto il suo dovere, il vaccino me l’ha fatto.

Avrebbe fatto bene a tacere, a tenersi per lui le sue perplessità?

Per me no.

Primo, perché siamo ancora, fino a prova contraria, in un paese libero e democratico, dove vige il diritto di parola.

Secondo, perché sia lui, medico, che io, paziente, siamo gli ultimi anelli di una catena, un sistema statale, che comunque non sta funzionando.

Lui nella sanità, io nella scuola.

Sfido chiunque a dimostrarmi il contrario.

Le scuole sono chiuse e la Dad non funziona.

Le terapie intensive sono ancora al collasso ed il personale medico sanitario ha pagato a caro prezzo il suo ruolo, sia sul piano personale che legale.

Niente e nessuno ci sta garantendo che il vaccino ci metta al riparo dal rischio di ammalarci e ci dia  un’immunità permanente.

Prima sotto il governo Conte e poi adesso nel governo Draghi, i politici si rimangiano la parola, dicono una cosa e poi ne fanno un’altra.

Alzi la mano chi si sente protetto dalla politica e rassicurato dalla stampa.

Siamo onesti, ogni giorno, chiunque di noi, semplice cittadino, da un anno a questa parte, è in balia di un ennesimo bollettino medico, di un altro d.c.p.m, di una nuova zona rossa…

Uno dice, “mi informo”.

Ma dove sono i dati scientifici, se, ogni giorno gli esperti che vanno in televisione, giocano a confondere la gente, cambiando l’informazione scientifica in disinformazione mediatica ed in strumentalizzazione politica?!?

Ringrazio quel medico che mi ha obbligato a riflettere che siamo anelli di un sistema che non tiene.

E come io, docente, so che non c’è né Azzolina, né Bianchi che tenga, la scuola si sta trascinando verso la fine del secondo anno scolastico a rotoli, così, quel medico, sa che è ora di finirla di raccontare palle sulla sicurezza dei vaccini.

Stiamo andando incontro a mani nude alla pandemia, e chi vivrà, vedrà.

 

 

 

 

 

 

 

 

 

 

 

 

 

I Vaccini Panacea di tutti i mali… ma ricordiamoci che da poveri ci si ammala di più…

LE MELODIE DEI CANTORI DEL VIRUS

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Medici: dove sono?

Bestiario del Coronavirus

 




CORRI CHE TI PASSA…

 

Il fenomeno sociale.

Ansia, depressione, aumento di peso, disagio psicologico, uso ed abuso di alcolici e di psicofarmaci.

Purtroppo la pandemia sta presentando il suo conto.

Non se ne può più e da domani, molte regioni ritornano in zona rossa.

Ancora una volta agli arresti domiciliari, senza saper cosa ne sarà di noi.

La risposta degli esperti.

Una risposta però, qualcuno ce la dà.

“Il 21% dei casi gravi di ansia o depressione si sarebbero potuti evitare se, nel corso del lockdown del 2020, le persone avessero potuto mantenere i consueti livelli di attività motoria”.

Se nel corso del lockdown dello scorso anno, scelto dalle autorità competenti per arginare la diffusione dei contagi da coronavirus, le persone avessero potuto mantenere i consueti livelli di attività motoria, “si sarebbero potuti evitare fino al 21% dei casi gravi di ansia o depressione”.

L’indagine universitaria.

È questo, in sostanza, il risultato più rilevante dell’indagine:

Io Conto 2020, condotta fra studenti e dipendenti delle università di Pisa, Firenze, Torino, Genova e Messina e i cui risultati sono stati pubblicati sulla rivista scientifica Plos One”.

Lo studio, coordinato in particolare dai ricercatori dell’Università di Pisa, ha permesso di raccogliere informazioni relative allo stile di vita della popolazione universitaria durante il lockdown, in un periodo intercorso tra aprile e maggio 2020, tramite un sondaggio online a cui hanno aderito 18.120 tra studenti, docenti e personale tecnico-amministrativo delle università partecipanti.

Il comunicato stampa.

Come si legge all’interno di un comunicato apparso sul portale dello stesso ateneo toscano, il risultato dell’indagine si è concentrato sull’analisi dei dati relativi “al disagio psicologico dei partecipanti, da cui è risultato che elevati livelli di ansia o depressione erano presenti con maggiore frequenza fra gli studenti, fra i partecipanti con un basso reddito e fra coloro che, durante il lockdown, hanno interrotto la pratica dell’attività fisica”.

Un dato emerso è stato anche che, rispetto a coloro che sono sempre stati inattivi, chi è riuscito a praticare con continuità attività fisica anche durante il lockdown, ha manifestato un rischio ridotto del 20% di soffrire di ansia e depressione.

Invece, chi ha interrotto la pratica dell’esercizio fisico ha avuto un rischio maggiore del 50%.

Dunque,

“Il risultato suggerisce che durante la pandemia la promozione della pratica dell’attività fisica in condizioni di sicurezza dovrebbe essere una priorità di salute pubblica per il contenimento dell’inevitabile aumento del disagio psicologico associato all’insicurezza socio-economica della popolazione”

La risposta del governo.

Ma il governo cosa fa?

Nonostante tutte le misure, a norma di legge anti contagio, applicate dai responsabili, proprietari e gestori di palestre, piscine, club sportivi ed impianti sciistici, permane nella posizione di forzata chiusura di tutto.

Ed allora, almeno noi, gente comune, diamo retta agli esperti e cerchiamo di cogliere ogni occasione per fare un po’ di movimento.

Ormai, l’abbiamo capito, dobbiamo proteggere la nostra salute e tutelare il nostro benessere psico-fisico, facendo tutto da soli, imparando dall’esperienza e dal buon senso, alla faccia di tutti “i geni “della politica e del comitato tecnico scientifico.

 

 

 

 

 

 

 

 

 

 

Depressione e Covid19: l’opinione.

Covid19 = aumento della depressione




Incidenti in volo, dimezzarli è possibile!

L’AeroClub d’Italia è pronto al decollo

50% in meno di incidenti in due anni, ecco il piano di sicurezza volo del nuovo AECI

La prima intervista alla stampa da parte del generale Gianpaolo Miniscalco nuovo Direttore Generale dell’AeroClub d’Italia.

A novembre del 2020, dopo 3 anni di commissariamento, l’AeroClub d’Italia (AECI) accoglie il nuovo Direttore Generale.

Si tratta di Gianpaolo Miniscalco, generale dell’aeronautica in pensione.

Il curriculum del generale Miniscalco è fiorentissimo: tra i ruoli e gli incarichi di spicco segnaliamo l’esperienza nella pattuglia delle Frecce Tricolori, sia da Leader, sia da Comandante, la Rappresentanza Italiana NATO a New York, la Classic Jet Association, il Comando del IX Stormo “Francesco Baracca” dell’Aeronautica Militare.

Generale, con che stato d’animo ha accolto la proposta di questo nuovo incarico e con che animo lo affronta?

In un certo senso con sorpresa: come potrei dire di ogni cosa della mia vita, questo incarico è arrivato per caso e inaspettatamente.

Sono membro dell’AECI da tanti anni, ho iniziato come socio quando stavo alle Frecce ma non avrei mai pensato che un giorno mi sarebbe stato chiesto di dirigerlo.

Per quanto invece riguarda lo spirito con cui lo affronto,  mi sento chiamato a far rispettare lo Statuto dell’AECI.

Sento che è mio dovere dare nuova vita all’AeroClub d’Italia  grazie soprattutto al contributo di tutti i soci e di tutti i colleghi che quotidianamente mi scrivono e mi danno suggerimenti.

Questo è il mio compito istituzionale nei confronti dell’Aeroclub.

Gianpaolo Miniscalco
Gianpaolo Miniscalco – DG AECI

Lei è un pilota dell’Aeronautica, qual è la tipologia di persone che frequentano un aeroclub? Ci sono solo professionisti o anche “civili”?

La passione per il volo è una specie di malattia.

Una malattia traversale che attraversa ogni settore sociale e professionale.

Tra i nostri soci l’unica continuità riscontrabile non sta né nella professione, né nell’estrazione.

L’unica continuità sta nella passione per il volo.

Il settore del volo è un mondo ricchissimo di attori e personaggi che declinano la passione per il volo in molteplici sfumature.

Spesso, quando si parla di volo, le prime categorie a cui si pensa sono le ali fisse e le pale rotanti ma esistono anche alti mezzi.

Altre strade che assecondano le persone nella passione del volo e che nel mio mandato intendo valorizzare e ricondurre all’interno delle pertinenze di AECI.

Sto parlando, per esempio, del paracadutismo che diversi anni fa è diventato una responsabilità dell’Ente Nazionale per l’Aviazione Civile (ENAC) ma che oggi AECI è pronto a riprendersi.

Un altro settore che mi sta molto a cuore è quello del volo libero (il parapendio), un modo sportivo ed economico per vivere il volo.

Per anni il volo libero è stato un settore di serie B, noi vogliamo invece promuoverlo.

Ci sono infine gli aeromodelli per i quali l’AECI sta portando avanti un dialogo costruttivo con ENAC che nel nuovo regolamento UAS equipara gli aeromodelli con i droni cosa che non è esatta.

Infatti, mentre il drone può godere della doppia natura, professionale o da banco, l’aeromodello richiede una attività scientifico amatoriale complessa che richiede un attestato paragonabile a quello di un pilota.

Quali sono le caratteristiche che si sviluppano imparando a volare che poi possono essere utili nella vita a terra?

Il pilota è una persona in grado di fare dieci cose contemporaneamente e, soprattutto, sa dare le priorità governando i tempi.

Lei è alla direzione dell’AECI da pochi mesi, quali sono state le sue prime azioni?

Di fronte a un Ente (l’AECI) bloccato dal commissariamento, il primo passo necessario è stato risvegliare gli organi sociali come segnale simbolico della ripartenza.

È stata fatta la riunione con il Consiglio Federale e l’Assemblea annuale dei soci per definire tutte le attività amministrative coinvolgendo tutti gli aventi diritto in un evento in streaming molto partecipato.

Insomma, messa a galleggiare la nave abbiamo fatto in modo che questa avesse una rotta.

Ha detto che ci sono già tavoli di lavoro e dialogo attivati, quali sono i suoi progetti per il rilancio dell’AECI?

Direi che l’Aeroclub ha 3 grande priorità per la sua ripartenza:

  • Una nuova legge per il Volo da Diporto Sportivo (VDS)
  • Il rilancio dell’attività statutaria
  • La sicurezza del volo

Ce ne può parlare?

Molto volentieri.

1. Nuova legge per il Volo da Diporto Sportivo (VDS)

In Italia, la legge che regola il Volo da Diporto Sportivo risale al 25 marzo del 1985.
Ad oggi, in Italia, contiamo 6.000 attestati di VDS rilasciati e più di 13.000 mezzi tra elicotteri, aeroplani, vele da parapendio, volo libero e paramotore.

Questo vuol dire che l’industria aeronautica italiana si trova davanti a un mercato vigoroso e adesso più che mai è chiamata ad aprirsi al mondo se non vuole arrivare troppo tardi.

In un panorama all’interno del quale le norme si sono velocemente evolute, l’Italia, nata come eccellenza, deve assolutamente portarsi al passo per non restare inesorabilmente indietro.

È per questo che uno dei punti cardine del piano di rinascita dell’AeroClub d’Italia è l’impegno congiunto di tutti i tavoli di lavoro per la modifica della legge che regola il VDS.

In questo momento stiamo portando avanti una iniziativa parlamentare e una ministeriale.

Attori

Gli attori di questo enorme progetto sono AECI, ENAC, ENAV, Ministero dei Trasporti, Costruttori e agenzie nazionali di sicurezza volo.

Cosa si vuole ottenere?

a. Aumento del peso del veivolo ultraleggero da 450kg a 600 kg

Oggi è considerato un mezzo da diporto sportivo un veivolo di peso non superiore ai 450 kg.

La normativa europea, invece, riconosce come mezzo da diporto sportivo i veicoli che arrivano a 600 kg.

Un incremento di peso di questo tipo porterebbe con sé vantaggi diretti e indiretti.

Vantaggi diretti, ovvero direttamente legati al mezzo

  • Incremento delle prestazioni: sarà possibile affrontare tratte più lunghe con maggiore autonomia

Vantaggi indiretti, ovvero legati all’industria aeronautica italiana

  • incremento del mercato dei veivoli e del target di riferimento.

b. Mantenimento della semplicità di legge

La legge attuale si basa sul principio dell’autodichiarazione attraverso la quale l’utente è tenuto ad auto-certificare la propria conformità alla normativa.

Di contro, l’AECI si accollerà la responsabilità dei controlli verificando il peso legale degli aeroplani e di tutta l’attività del Documento Programmatico sulla Sicurezza (DPS) (che oggi è a carico del Ministero dei trasporti) avvalendosi anche della potestà sanzionatoria.

Una azione di questo tipo porterebbe uno snellimento estremo dei controlli e delle procedure alleggerendo il Ministero dei Trasporti da una incombenza delegabile.

2. Rilancio dell’attività statutaria

L’articolo 3 dello Statuto dell’AECI recita

“L’Aero Club d’Italia svolge ogni attività ritenuta necessaria ai fini dello sviluppo culturale, economico, didattico, sportivo, civile, sociale e democratico nel settore dell’aviazione civile non commerciale”.

L’AECI è chiamata a favorire l’attività di volo e per fare questo stiamo lavorando ad alcune azioni specifiche:

Crediti formativi per i corsi dell’AECI

L’AECI sta lavorando a un protocollo di intesa con MIUR affinché questo riconosca agli studenti di scuola primaria e secondaria che frequentino delle attività stabilite organizzate dall’Aeroclub, dei crediti formativi utili per la maturità.

Questi corsi imprimeranno negli studenti delle skills trasversali fondamentali per affrontare il mondo del lavoro quali, per esempio, la valutazione del rischio e la capacità di effettuare la scelta più semplice e meno rischiosa.

Accesso all’esperienza di volo

Il piano di apertura e condivisione dell’esperienza aeronautica prevede l’offerta non a fini di lucro di esperienze di volo per chiunque volesse farlo.

Rilancio delle scuole di volo

La scuola di volo italiana vanta una storia brillantissima.

All’Aeroclub toccava storicamente preparare una parte dei piloti che avrebbero fatto parte dell’allora Regia Aeronautica.

Oggi  la necessità è quella di preparare i piloti delle compagnie aeree e bisogna farlo in fretta perché per preparare un pilota sono necessari tra i tre e i quattro anni: bisogna preparasi oggi per domani.

Lo spirito che guiderà la scuola di volo sarà

Maggiore sicurezza costruita con il rispetto procedurale nell’utilizzo del buon senso e decidendo rapidamente.

3.Sicurezza del volo

Purtroppo, quasi ogni settimana si sente parlare di incidenti aerei.
Sebbene il rapporto tra veicoli in volo e incidenti sia basso, non possiamo permetterci neppure il minimo rischio soprattutto quando è evitabile.

Basti pensare che la quasi totalità degli incidenti è dovuto a un errore umano sul quale si può e si deve intervenire.

Per questo sto creando un gruppo composto da piloti esperti che porterà avanti un progetto di formazione che ha l’ambizioso obiettivo di ridurre del 50% il numero degli incidenti da qui ai prossimi due anni.

 

Ringraziamo il Generale Gianpaolo Miniscalco per la generosa intervista che ha voluto concederci e per l’onore che ci ha fatto nell’averci scelto per rilasciare la prima intervista del suo mandato. 

Sarà per noi un piacere continuare a seguire i progressi e le storie dell’AECI

Crediti

Chi è Gianpaolo Miniscalco

Statuto dell’AECI
DPCM 27 febbraio 2019 

Disegno di Legge VDS 17 dicembre 2020

Proposta di legge 16 novembre 2020

Legge vigente per il VDP 25 marzo 1985
Regolamento ENAC del 1 Gennaio 2021 

Lo Sport libero libera lo Sport

 




METTI UNA CENA AI TEMPI DELLA PANDEMIA.

 

Metti una cena ai tempi della pandemia; metti quattro amici che non sono soliti parlare solo di scarpe à-la-page o dell’ultima ricetta vista in TV; metti anche un paio di bottiglie di Vouvray di troppo ed ecco che i componenti della miscela – o del cocktail, se vogliamo – sono serviti a tavola.

Ma la miscela potrebbe rimanere lì, stabile, inerte, inattiva, come il marmo prima d’essere modellato dallo scultore: un’opera d’arte in nuce, e per il momento un semplice pezzo di granito.

In quella cena i fattori innescanti e gli additivi incendiari, la miscela, sono stati la musica e la domanda disarmante e provocatoria di uno dei quattro amici: “qual è la canzone che ora, in questo momento, vi sta più a cuore? Perché non le ascoltiamo assieme e poi ci diciamo il motivo della scelta?”.

Bene, si parte!

E che partenza… Chicca cita “La donna cannone” di De Gregori; in effetti è un vero boom, una delle più belle canzoni italiane di sempre, ma questo forse è secondario; il pezzo le ricorda la nonna.

Anna fa raccontare da Fiorella Mannoia come la vita vada vissuta sempre, coraggiosamente, con “Che sia benedetta” (a chi ha perso tutto e riparte da zero / perché niente finisce quando vivi davvero).

Sappiamo quanto la Musica possa pizzicare alcune corde dell’anima, come sappia farle vibrare, soprattutto se sono corde autobiografiche.

Fede fa ascoltare Francesco Renga con “Tracce di te”, brano in gara a Sanremo 2002 per esprimere la sua delusione rispetto ad un talento cristallino, sbocciato ai tempi dei mitici Timoria e ora appiattito nel nome del business delle case discografiche.

Tocca a me. In effetti ci sono parecchi artisti che nell’ultimo periodo mi hanno accompagnato, ma chi e cosa posso fare girare nel piatto? – ah no, scusate, questo lo si faceva negli anni ‘80 e ‘90, quando la tua esistenza, il tuo essere al mondo dipendeva solo dalle note che il vinile gracchiava sul giradischi; ora bisogna dire che lo ricerchi in Spotify o Apple Music.

Non ho dubbi: il Niccolò Fabi di “Un mano sugli occhi”.

Dopo l’ascolto mi viene chiesto perché ho scelto questa canzone.

Alcuni lunghi istanti di riflessione che sembrerebbero preludio ad un discorso ispiratissimo, ad una dissertazione sulla filologia insita nei testi della canzone italiana contemporanea e le uniche parole che escono sono: “Perché in soli tre accordi ha saputo descrivere l’Amore nella sua semplicità”.

Semplice. Troppo semplice come spiegazione? Provate ad ascoltarla, magari a luci spente o ad occhi socchiusi, magari con un vostro caro accanto e forse ognuno darà una sua interpretazione, magari legata al preciso istante in cui la state ascoltando.

Per me il testo descrive l’Amore come “compenetrazione” di due pianeti diversi (tu insegni il silenzio / in tutte le lingue del mondo / io scrivo d’amore / ma mi nascondo) e come legame di profonda condivisione (sarà più facile in due rimanere svegli), fatto di cadute (hai fatto finta di non vedere / quando tradivo, giocavo, imbrogliavo) e di aiuto reciproco nel risollevarsi (ma ancora adesso stringiamo i pugni / e non ce ne andiamo da qui).

Nella parte finale è un crescendo musicale e i versi finali descrivono l’Amore come “una somma di piccole cose” (tu non parli mai / ma ciò che vuoi / è solo un giorno normale) e del suo naturale evolversi da innamoramento a qualcosa di diverso e più maturo (non è più baci sotto il portone / non è più l’estasi del primo giorno / è una mano sugli occhi prima del sonno / è questo che sei per me). L’uomo è per sua natura teso verso qualcosa di più grande, verso la ricerca di felicità che a me piace chiamare “risposta alle proprie domande”.

Alla domanda su cosa sia l’Amore tanti musicisti, poeti ed artisti hanno provato e proveranno a dare una personale risposta.

Niccolò Fabi è grandissimo interprete di questa ricerca e la sua musica mi è di conforto in questo momento così pesante e strano.

 

RIGE




Alimentazione: fiocco Lilla per aiutare.

Verso il 15 marzo 2021, GIORNATA NAZIONALE DEL FIOCCHETTO LILLA.

Anche quest’anno #coloriamocidililla TUTTI INSIEME!

In data 19 giugno 2018, la Giornata del Fiocchetto Lilla è stata finalmente sancita dalla Presidenza del Consiglio e, a partire da allora, il 15 marzo è riconosciuto istituzionalmente come giornata nazionale contro i Disturbi dell’Alimentazione.

(Gazzetta Ufficiale della Repubblica Italiana, n. 140 del 19.06.2018: http://www.gazzettaufficiale.it/eli/id/2018/06/19/18A04218/sg)

La storia.

La Giornata Nazionale del Fiocchetto Lilla è stata promossa per la prima volta nel 2012 dall’Associazione Mi Nutro di Vita (Pieve Ligure – GE).

L’iniziativa parte da un padre, Stefano Tavilla, che ha perso la figlia Giulia a soli 17 anni per bulimia (in lista d’attesa per ricovero in una struttura dedicata) e ricorre il 15 marzo, proprio nel giorno della sua scomparsa.

Lo scopo.

Questa Giornata offre speranza a coloro che stanno ancora lottando e mira a sensibilizzare l’opinione pubblica sul tema dei Disturbi del Comportamento Alimentare (D.C.A.): Anoressia, Bulimia, Binge Eating (abbuffata compusiva senza pratiche compensatorie) Obesità, EDNOS (perdita di controllo alimentare), e tante e nuove forme ancora… 

In tutta Italia, in occasione di questa Giornata, vengono organizzati eventi di vario genere: convegni, presentazioni di libri, banchetti informativi, colorazioni lilla di fontane/monumenti, etc.

Gli obiettivi della giornata:

  • difendere i diritti fondamentali di chi è colpito da un DCA, combattendo informazioni distorte e/o pregiudizi;
  • sensibilizzare l’opinione pubblica, facendo conoscere la frequenza, le caratteristiche e le gravi conseguenze che questi disturbi possono avere per la salute fisica e psicologica di chi ne soffre;
  • scoraggiare il distacco ed il disinteresse da parte di chi non è direttamente coinvolto dalla malattia;
  • accrescere la consapevolezza a livello individuale, collettivo ed istituzionale del carattere di epidemia sociale che i DCA stanno assumendo a livello nazionale e mondiale;
  • creare una rete di solidarietà verso chi è colpito da DCA, personalmente o in famiglia, per combatterne il disagio relazionale e il senso di abbandono e sconfiggere l’omertà che accompagna questi disturbi.

La definizione medica di DCA

 

“I disturbi della nutrizione e dell’alimentazione sono caratterizzati da un persistente disturbo dell’alimentazione o di comportamenti collegati con l’alimentazione che determinano un alterato consumo o assorbimento di cibo e che danneggiano significativamente la salute fisica o il funzionamento psicosociale”. (DSM-5)

L’entità del fenomeno.

In Italia sono 3 milioni i giovani che soffrono di DCA, un fenomeno spesso sottovalutato sia da chi ne soffre che dai famigliari, e che costituisce una vera e propria epidemia sociale: il 95,9% sono donne, il 4,1% uomini.

Soffrire di un DCA, oltre alle conseguenze negative sul piano organico, comporta effetti importanti sul funzionamento sociale della persona, con gravi penalizzazioni della qualità di vita; ne limita le capacità relazionali, lavorative e sociali.

Spesso, inoltre, il disturbo alimentare è associato ad altre patologie psichiatriche: oltre, quindi, a provocare un’intensa sofferenza psichica, coinvolge anche il corpo, con serie complicanze fisiche. Tuttavia, solo una piccola percentuale di persone che soffrono chiede aiuto.

La corretta informazione.

Dedicare una giornata-evento ai Disturbi del Comportamento Alimentare significa aumentare l’attenzione della popolazione italiana attorno a queste patologie che utilizzano il corpo come mezzo per comunicare un disagio ben più profondo. 

E’ quindi fondamentale implementare la corretta informazione intorno ai DCA, per facilitare la comprensione dei meccanismi psico-biologici che favoriscono la malattia e diffondere la consapevolezza che questi disturbi possono essere curati attraverso una rete assistenziale orientata all’individuazione precoce del disturbo, tramite l’attivazione di percorsi riabilitativi multidisciplinari specializzati. 

Fondamentali per il successo del trattamento sono, infatti, la diagnosi precoce della malattia ed un intervento tempestivo affidato ad un’équipe di medici specialisti.

 

La testimonianza.

 

“Sono Stefano Tavilla, papà di Giulia, diciassettenne genovese morta il 15 Marzo 2011 per le conseguenze di un disturbo del comportamento alimentare di cui soffriva da tempo, la bulimia, che l’aveva portata nell’ultimo periodo della malattia a richiedere il ricovero in una struttura specializzata al di fuori della Liguria, la sua regione di nascita.

Venne messa in lista d’attesa e in tale stato se ne andò.

Da quel giorno, con tutte le mie forze e con l’aiuto dell’associazione da me fondata, “Mi Nutro di Vita“, desiderai che venisse creata una giornata di sensibilizzazione e aggregazione contro i DCA, partendo con un evento unico a Genova il 15 Marzo 2012. 

Con il passare degli anni, a questa iniziativa si sono unite realtà associative di tutta Italia, per fare cultura sui DCA e lottare tutti insieme, uniti per quello che è divenuto il simbolo di questa Giornata, il Fiocchetto Lilla.

Per la VI edizione della Giornata, in tutta Italia il 15 marzo si sono svolte iniziative ed incontri che coinvolgono associazioni, istituzioni e scuole, per un totale di più di 120 eventi in tutto il territorio nazionale, al fine di sensibilizzare sulla tematica dei DCA.

Proprio in quella giornata sono stati anche distribuiti fiocchetti lilla in Parlamento, per la presentazione

della proposta di legge “D’Ottavio-Pastorino”, con la quale si chiede che il 15 marzo diventi una data nazionale per non dimenticare e che il Ministero della Salute diventi l’organo competente per il coordinamento della Giornata, in collaborazione con le regioni e gli enti locali”.

Il messaggio

Come ha detto Massimo Recalcati ,

”I disturbi del comportamento alimentare non sono disturbi dell’appetito, ma della relazione.

All’esordio di ogni anoressia o bulimia troviamo una ferita.

E questa ferita riguarda soprattutto le relazioni primarie: è una ferita d’amore. È in questo senso che anoressia e bulimia sono malattie dell’amore”.

Dunque, in primis, mai come in questo periodo, alimentiamo la nostra fame di amore, coltiviamo il nostro desiderio atavico di attenzione e di cura verso noi stessi e verso gli altri, cerchiamo in ogni modo di mantenere le nostre relazioni, nutrendo l’anima per saziare il corpo.

 

 

 

 

 

 

 

 

 

 

 

 

 




“La Vita è una Scultura” con Sergio Grasso.

Aperitivo in trattoria …

Sono passati trentatré anni dalla sera in cui, in quella trattoria nel trevigiano, aspettando che si liberasse un tavolo, Sergio propose di farci un “cicchetto” al bancone.

Non dimenticherò mai il suo sguardo, quando mi azzardai a chiedere una cola: a distanza di più di tre decenni, al solo ricordarglielo, sgrana gli occhi come alla vista di uno spettro. Divertito però.

Ma torniamo indietro di trentatré e una manciata d’anni.

 

… nella ridente Marca Trevigiana.

Correva l’anno 1976. Le prime Radio private spuntavano qui e lì, come funghi dopo una bella piovuta.

Un giorno mamma portò a casa una bianca Brionvega.

Non mi ci volle molto a scoprire il paradiso, selezionando la modalità “fm”.

Fu subito amore: abbandonai la Barbie e Ken per Radio Marca, un crogiuòlo di talenti vocali tra i quali spiccava, per spessore e autorevolezza, lo speaker Sergio Grasso, allora poco più che ventenne.

Ci sono cose che la ragione non può spiegare. L’istinto invece sì: è “lui” a dirti che qualcuno è lì soltanto di passaggio, che il suo Destino è altrove, e la sua voce sarà udita (quasi) ovunque.

Così è stato.

Trentatré e una manciata d’anni dopo …

… mentre il resto d’Italia è davanti alla tv per godersi la finale del Festival di San Remo, incontro il mitico “Sergione” per una chiacchierata.

Nato a Venezia l’undici dell’undici del cinquantacinque alle ventidue e ventidue – quale esperto numerologo non vorrebbe tracciare il suo profilo? – la vita di Sergio si snoda in cicli della durata di undici anni: giusto il tempo di farsi venire nuove Idee, intraprendere nuove avventure, portare a compimento nuove imprese.

La prima di una serie di tappe che lo avrebbero portato, negli anni successivi, a esplorare il variegato mondo dei media come “voce” e non solo, fu la Radio.

Interviene e puntualizza: “Si dice ‘mèdia’, non ‘mìdia’, visto che deriva dal latino”.

In vena di confidenze, Sergio ammette di aver sempre odiato la sua voce fin da quando, appena undicenne, prendeva lezioni di canto lirico da Mario Del Monaco. Come baritono.

Prosegue raccontando che, quando gli capitava di chiamare l’amichetta per chiederle di uscire … se rispondeva lei, tutto bene. Se invece rispondeva il suo papà, Sergio si spacciava per suo padre e a quel punto, cominciava la commedia degli equivoci.

Alla fine, malgrado i paradossi, ad averla vinta è l’Esistenza: ovunque Sergio ha messo piede – alla radio, in studio di registrazione, in sala di doppiaggio, alla tv e in teatro – rimane l’eco del suo “vocione”, le emozioni che ha trasmesso, il piacevole ricordo di chi lo ha apprezzato come Speaker, Doppiatore, Autore, Attore, Regista Teatrale …

 

Una Voce, una Penna e un’ardente Passione per la Cultura del Cibo.

Ecco i tre ingredienti della magica Ricetta di una Vita che è sempre un work-in-progress! O, per dirla all’italiana, un “lavori in corso”!

Di Sergio ho sempre ammirato il coraggio di superare i limiti imposti da ogni “ruolo”, da lui già incarnato con successo.

Di persone eccellenti in ciò che fanno ne incontriamo, nella vita. E non importa se, nel tempo, si appassioneranno ad altro: la tentazione, per l’attore, è continuare a crogiolarsi sugli allori del passato. Lo spettatore invece si addormenta, certo che il proprio beniamino sia “quel che ha già  fatto” e più nient’altro.

Ma torniamo a Sergio.

Nei primi Anni Novanta, la sua vena artistica incontra e si fonde con quella di Alchimista dell’Arte Culinaria, Filosofo del Gusto e della sua Storia, Antropologo alimentare, Amante dei prodotti tipici e della Cultura che li ha generati – Storia, Geografia, Usi e Costumi, Tradizioni, Arte, addirittura Archeologia – cogliendone i significati rituali e sociali.

Ed ecco entrare in gioco l’esperienza, fino a quel momento maturata in teatro: il carisma dell’attore, la colta creatività dell’autore e la leadership del regista, fanno di lui l’ospite televisivo perfetto, il giudice imparziale disposto a giocarsi l’approvazione dell’audience, pur di non scendere a compromessi con i “Cuochi d’Artificio” (i personaggi costruiti a tavolino dal “sistema”: più divi e “influencer”, che veri cuochi).

Nel frattempo, la sua fama di esperto di storia sociale del cibo e dei costumi alimentari, varca i confini d’Italia e si spande per il mondo, come profumo di pane appena sfornato.

Per lui, infatti, gli alimenti sono più che “nutrienti”: sono “marcatori culturali”!

In altre parole: il cibo di un Popolo ne rappresenta l’Identità, la Cultura, la Civiltà. Non rimane che metterci a tavola e assaggiarlo, per conoscere davvero la Nazione che ci ospita!

 

Un Curriculum lungo una vita.

Come è facilmente intuibile, le sue aree di interesse più importanti sono: Cibo, Cultura, Civiltà antiche e moderne, Arte, Storia, Geografia, Viaggi, Archeologia, Antropologia alimentare …

Dal suo profilo – aggiornato con cura dall’Ufficio Stampa – estraggo i ruoli da lui rivestiti nei momenti più salienti della sua carriera, ancora in pieno svolgimento.

Il mio elenco, sommario e incompleto, rende l’idea di chi sia il professionista “Sergio Grasso”: speaker radiofonico e pubblicitario; doppiatore cine televisivo; autore e conduttore televisivo; autore e interprete di monologhi legati all’arte, alla storia e all’alimentazione; regista e attore teatrale; documentarista; food-writer; docente universitario; ricercatore e membro di commissioni scientifiche e tecniche; antropologo e consulente alimentare; esperto di gastronomia e merceologia; giudice tecnico e “mentore” del programma “La Prova del Cuoco”; autore e coordinatore dei contenuti antropologici e agronomici del reality “La Fattoria 1870”; animatore di manifestazioni enogastronomiche; curatore della progettazione e realizzazione di eventi gastronomici legati alle rappresentazioni del cibo nell’arte; scrittore, editore, pubblicista …

L’elenco potrebbe continuare, ma mi fermo qui.

Come una lista della spesa non può esprimere un pranzo preparato con amore, da gustare con gli affetti a noi più cari … un curriculum da solo non basta a raccontare la bellezza e il valore di un Essere Umano.

È stata una piacevole chiacchierata, quella di venerdì 5 marzo con Sergio Grasso, perché si è parlato un po’ di tutto.

Ne è uscito il ritratto di un Uomo coerente con se stesso e con i propri Valori; un uomo che, piuttosto che tradire ciò in cui crede, ringrazia con garbo, saluta e se ne va per la sua strada.

Il suo Viaggio dell’Eroe è tuttora in corso.

Verso la fine del nostro incontro, Sergio accenna a interessanti novità delle quali, “per scaramanzia”, preferisce non parlare.

Prima di accomiatarci, mi mostra con fierezza i “santini digitali”: le foto di Shanti, la sua adorata nipotina.

Di lui, questa bellissima bambina ricorderà che “… se l’ha avuto, un nonno, è già una fortuna; che il nonno scherza, ride e la fa ridere, le morde il sederino …”

La sua eredità per lei, la frase-mantra è: “Aspettati poco dagli altri: quel che ti serve nella vita, è già dentro di te”.  

E ancora: “La vita è una scultura, non una pittura: la pittura si fa aggiungendo delle cose su una tela bianca; la scultura, invece, si fa togliendo della materia per tirar fuori quel che c’è ‘dentro'”. La nostra vera Essenza!

Questa intervista è un’altra gemma preziosa incastonata nel Progetto di valore sociale “Ondina Wavelet World”, il Progetto multimediale che ha per Scopo la creazione di una Cultura basata sulla consapevolezza del Potere creativo delle nostre Parole.

E quando le Parole che pensiamo, diciamo e agiamo in coerenza, coincidono con i veri Valori dell’Uomo, possiamo dar vita, tutti insieme, a un mondo bellissimo.

Per partecipare iscriviti al Canale YouTube “Jasmine Laurenti” e, se i contenuti risuonano con te, fai del Progetto il “tuo” Progetto, abbonandoti al Canale stesso.

Ecco il video e il podcast della stupenda chiacchierata con “Sergione”.

Alla prossima!

Con Amore,

la vostra Eroina acquatica Ondina Wavelet (Jasmine Laurenti).

 

 

 

 

 

 

 

 

 

 

 

 

 

 

 

 

 

 

 

 

 

 

 

 

 

 

 

 

 

 

 

 

 

 

 

 

 

 

 

 

 

 

 




L’isolamento al tempo del Covid: il congelamento della volontà di cambiamento

La natura dell’uomo, quando sussiste un buon equilibrio psichico, è sempre proiettata verso la socializzazione.

Con l’avvento della pandemia assistiamo invece ad un cambiamento radicale che prevede l’imporsi di un orientamento per la sopravvivenza rivolto all’isolamento.

Assistiamo dunque a quella che potremmo definire una “costrizione della vita collettiva”.

La vita collettiva porta in sé la possibilità di condividere esperienze fondamentali che rafforzano i processi di adattamento e di sicurezza essenziali per l’essere umano. In questo momento della nostra esistenza sono venuti meno questi capisaldi insostituibili per il benessere psico-fisico della persona.

La volontà, che ha sempre supportato l’uomo nell’accompagnarlo attraverso il passaggio da uno stato di malessere ad uno di benessere, è venuta meno e il nostro vissuto di inferiorità sembra essersi rafforzato.

Come afferma lo psicologo e medico Alfred Adler, il cui pensiero sembra di grande attualità ai tempi del Covid, nel suo testo “La conoscenza dell’uomo”: “La volontà indica la disponibilità al passaggio da uno stato di insufficienza ad uno di sufficienza.

La possiamo immaginare come una linea che ci poniamo davanti a noi e che ci proponiamo di seguire.

Ogni manifestazione di volontà subisce l’influenza del sentimento d’inferiorità e d’insicurezza e assieme stimola il perseguimento di uno stato di liberazione, di soddisfazione”.

Da più di un anno viviamo questo sentimento di malsicurezza in cui la volontà di un cambiamento individuale e a cascata collettivo sono congelati e hanno lasciato spazio all’isolamento che può portare con sé anche uno stato d’angoscia.

Tutte le fasce d’età, dai più giovani agli anziani, hanno forzatamente dovuto omologare il loro modo di vivere, rispettando delle regole uguali per tutti e necessarie per vivere.

Se prima del Covid ognuno aveva i suoi luoghi di appartenenza per la condivisione della socializzazione, oggi tutto ciò è venuto meno lasciando spazio solo ad un surrogato di vita sociale che avviene attraverso collegamenti virtuali.

Chi poi non ha imparato a beneficiare dell’opportunità fornita dai mezzi informatici sarà sottoposto ad un processo di isolamento forzato ancor più grave.

Possiamo supporre che chi per caratteristiche di personalità manifesta tratti del carattere orientati all’isolamento, e pensiamo alle persone per natura introverse, poco loquaci e distanti, in questo caso la vita sarà meno problematica rispetto a chi per tratti di personalità si presenta invece aperto, cordiale ed estroverso.

Il forzato isolamento ha innescato dinamiche spesso difficili da gestire e la paura per il virus ha sviluppato timore sia per il mondo esterno sia per quello interno al proprio sistema famigliare.

Stati d’angoscia e conflitti si stanno osservando nei sistemi famigliari e paradossalmente l’isolamento sociale da Covid ha portato ad un obbligo forzato di condivisione sociale di spazi fisici che influenzano poi la relazione armonica in ambito famigliare.

Si è spezzato con il Covid il legame tra singolo e collettività, lasciando spazio ad un’angoscia che potrà essere superata solo con il re instaurarsi di un legame fisico ed emotivo possibile solo in presenza e non in remoto.

In ognuno di noi è presente la “volontà di cambiare” ma dobbiamo attenderne lo “scongelamento” in quanto il virus è molto potente e ci sta impedendo le progettualità legate al sociale.

 




Sanremo oggi più che mai rock…

Ci siamo lasciati alle spalle pure la 71ª edizione del Festival della canzone italiana e credo che nessuno sia troppo triste neanche quest’anno.

Per la critica, per i media, per gli sponsor e pure per il pubblico (solo da casa, vista l’assenza di spettatori nella platea dell’Ariston), è stato un vero successo.

Lo era prima di iniziare, come ogni anno, e lo è stato anche ora che è finito.

Ma andiamo con ordine.

Fino allo scorso anno la musica trap ed il suo dio, quell’idiozia colossale ed antiartistica chiamata Auto-Tune, hanno permesso l’ingresso nella finzione discografica a veri e propri cani ululanti, incapaci di una dizione media ed incapaci pure di infilare in una singola frase un soggetto, un predicato verbale ed un oggetto.

Presenza scenica, costumi, provocazioni al limite della decenza e la parità di genere ridotta a commedia kafkiana; questo è stato il Festival dello scorso anno!

L’edizione 2021 invece ha esteso lo spettro musicale a più generi, pur mantenendo un filo con alcuni “interpreti” di un modello culturale prettamente estetico e provocatorio, legato al movimento trap.

Imitare precursori “glam” del calibro di DAFT PUNK, SLIPKNOT, KISS, il grande DAVID BOWIE e, dalle nostre parti anche i TRE ALLEGRI RAGAZZI MORTI, non renderà artista chi non lo è… pagliaccio invece si!

Così Fabrizio Rioda dei RITMO TRIBALE sulle apparizioni del Festival 2021 di Achille Lauro: “Non voglio togliere nulla ai vestiti di scena (così si chiamano) e alla performance (così si chiama) del buon Achille. (…) Buona finale sul divano, ragazzi. Che atroce pagliacciata!”

Mi domandavo e ci domandavamo lo scorso anno quanto ci avrebbe messo a scomparire la Musica in Italia; ma quest’anno è stato diverso, quest’anno, le Majors, prese dal timore del calo delle vendite e dell’interesse, soprattutto dei consumatori più giovani, hanno optato per scelte più Rock ed anche più neo melodiche, puntando sui non-più-tanto-giovani e sui non-più-tanto-big. E’ stato bello per me vedere i MANESKIN sul gradino più alto del podio sanremese con la loro “Sono fuori di testa”.

Una band che suona per davvero, sbaglia pure gli assoli, ma che porta in palco la propria musica  e lo fa con passione e dedizione… altro che Auto-Tune!!!

Parlando di Rock e di Sanremo, non tutti sanno che legata alla città che ospita la più famosa manifestazione canora italiana c’è un’altra manifestazione musicale…

sanremorock uemmepi

Sanremo Rock! Ho avuto la fortuna di partecipare alla finale con la mia band, gli UEMMEPI, tre anni or sono.

Per giungere in finale il percorso è stato lungo,  fatto di concerti e di giurie provinciali, regionali e nazionali.

Più di tremila artisti e band Rock, R’n’B, Soul, Jazz, Jive e Rockabilly provenienti da tutt’Italia e tutti con la propria musica e qualche sogno.

E’ stata un’esperienza unica tanto che, se il pubblico a casa avesse potuto vedere (e ascoltare!), avrebbe compreso di più il movimento musicale “underground” che esiste in Italia e forse avrebbe smesso di bere la spazzatura sdolcinata e smancerosa che il potere mediatico ci propina da molti anni! Tornando al Festival 2021, si deve riconoscere comunque al “grande esperto”, “profondo conoscitore di musica” nonché “Direttore Artistico” della Suprema Manifestazione Canora (ovvia l’ironia… Amadeus è un presentatore, non un critico musicale, ricordiamocelo! N.d.a.) il merito di aver dato retta alle Discografiche.

Ha puntato infatti su due cavalli di razza: la “Oriettona” Berti (in gara) e Ornella Vanoni che, a 86 anni suonati, potrebbe insegnare a cantare a quasi tutti gli artisti presenti all’edizione 2021 (escludo dalla lista Arisa e Francesco Renga!) ed alcuni ospiti di eccezione: Fogli, Tozzi, Zarrillo.

L’edizione 2021 è stata molto seguita e forse c’è da riflettere su come poter proporre il prossimo Festival della Canzone Italiana, perché siamo ancora lontani da una proposta culturale vera.

Per risollevare la Musica (con la “M” maiuscola) dall’immensa mole di immondizia in cui la discografia moderna ha contribuito a sprofondarla, ci vuole ben altro che un riff iniziale impeccabile della canzone vincitrice a Sanremo, oppure il testo coraggioso e pressoché perfetto di WILLIE PEYOTE: “Le major ti fanno un contratto se azzecchi il balletto e fai boom su Tik-tok” [questa la bellissima frase del brano in gara: “Mai dire mai (La Locura)”; n.d.a.].

Ci vuole cultura! Ci vuole un’educazione musicale, soprattutto dei giovani. Ci vogliono i veri maestri al servizio dell’Arte.

Non mi soffermo a parlare di altri artisti in gara, perché sono state a mio avviso delle mediocri comparse.

Una delusione c’è, per me che sono cresciuto con le sue canzoni ed i suoi vocalizzi: Francesco Renga.

Ma forse sono lontani i tempi dei TIMORIA.

 

 

PERTH

 

 

 

 

 

 

Festival di San Remo, ultima fortezza del monopolio della Musica!

OSCAR: “PERSA UNA GRANDE OPPORTUNITA’ AL FESTIVAL DI SANREMO”