Sanremo oggi più che mai rock…

Ci siamo lasciati alle spalle pure la 71ª edizione del Festival della canzone italiana e credo che nessuno sia troppo triste neanche quest’anno.

Per la critica, per i media, per gli sponsor e pure per il pubblico (solo da casa, vista l’assenza di spettatori nella platea dell’Ariston), è stato un vero successo.

Lo era prima di iniziare, come ogni anno, e lo è stato anche ora che è finito.

Ma andiamo con ordine.

Fino allo scorso anno la musica trap ed il suo dio, quell’idiozia colossale ed antiartistica chiamata Auto-Tune, hanno permesso l’ingresso nella finzione discografica a veri e propri cani ululanti, incapaci di una dizione media ed incapaci pure di infilare in una singola frase un soggetto, un predicato verbale ed un oggetto.

Presenza scenica, costumi, provocazioni al limite della decenza e la parità di genere ridotta a commedia kafkiana; questo è stato il Festival dello scorso anno!

L’edizione 2021 invece ha esteso lo spettro musicale a più generi, pur mantenendo un filo con alcuni “interpreti” di un modello culturale prettamente estetico e provocatorio, legato al movimento trap.

Imitare precursori “glam” del calibro di DAFT PUNK, SLIPKNOT, KISS, il grande DAVID BOWIE e, dalle nostre parti anche i TRE ALLEGRI RAGAZZI MORTI, non renderà artista chi non lo è… pagliaccio invece si!

Così Fabrizio Rioda dei RITMO TRIBALE sulle apparizioni del Festival 2021 di Achille Lauro: “Non voglio togliere nulla ai vestiti di scena (così si chiamano) e alla performance (così si chiama) del buon Achille. (…) Buona finale sul divano, ragazzi. Che atroce pagliacciata!”

Mi domandavo e ci domandavamo lo scorso anno quanto ci avrebbe messo a scomparire la Musica in Italia; ma quest’anno è stato diverso, quest’anno, le Majors, prese dal timore del calo delle vendite e dell’interesse, soprattutto dei consumatori più giovani, hanno optato per scelte più Rock ed anche più neo melodiche, puntando sui non-più-tanto-giovani e sui non-più-tanto-big. E’ stato bello per me vedere i MANESKIN sul gradino più alto del podio sanremese con la loro “Sono fuori di testa”.

Una band che suona per davvero, sbaglia pure gli assoli, ma che porta in palco la propria musica  e lo fa con passione e dedizione… altro che Auto-Tune!!!

Parlando di Rock e di Sanremo, non tutti sanno che legata alla città che ospita la più famosa manifestazione canora italiana c’è un’altra manifestazione musicale…

sanremorock uemmepi

Sanremo Rock! Ho avuto la fortuna di partecipare alla finale con la mia band, gli UEMMEPI, tre anni or sono.

Per giungere in finale il percorso è stato lungo,  fatto di concerti e di giurie provinciali, regionali e nazionali.

Più di tremila artisti e band Rock, R’n’B, Soul, Jazz, Jive e Rockabilly provenienti da tutt’Italia e tutti con la propria musica e qualche sogno.

E’ stata un’esperienza unica tanto che, se il pubblico a casa avesse potuto vedere (e ascoltare!), avrebbe compreso di più il movimento musicale “underground” che esiste in Italia e forse avrebbe smesso di bere la spazzatura sdolcinata e smancerosa che il potere mediatico ci propina da molti anni! Tornando al Festival 2021, si deve riconoscere comunque al “grande esperto”, “profondo conoscitore di musica” nonché “Direttore Artistico” della Suprema Manifestazione Canora (ovvia l’ironia… Amadeus è un presentatore, non un critico musicale, ricordiamocelo! N.d.a.) il merito di aver dato retta alle Discografiche.

Ha puntato infatti su due cavalli di razza: la “Oriettona” Berti (in gara) e Ornella Vanoni che, a 86 anni suonati, potrebbe insegnare a cantare a quasi tutti gli artisti presenti all’edizione 2021 (escludo dalla lista Arisa e Francesco Renga!) ed alcuni ospiti di eccezione: Fogli, Tozzi, Zarrillo.

L’edizione 2021 è stata molto seguita e forse c’è da riflettere su come poter proporre il prossimo Festival della Canzone Italiana, perché siamo ancora lontani da una proposta culturale vera.

Per risollevare la Musica (con la “M” maiuscola) dall’immensa mole di immondizia in cui la discografia moderna ha contribuito a sprofondarla, ci vuole ben altro che un riff iniziale impeccabile della canzone vincitrice a Sanremo, oppure il testo coraggioso e pressoché perfetto di WILLIE PEYOTE: “Le major ti fanno un contratto se azzecchi il balletto e fai boom su Tik-tok” [questa la bellissima frase del brano in gara: “Mai dire mai (La Locura)”; n.d.a.].

Ci vuole cultura! Ci vuole un’educazione musicale, soprattutto dei giovani. Ci vogliono i veri maestri al servizio dell’Arte.

Non mi soffermo a parlare di altri artisti in gara, perché sono state a mio avviso delle mediocri comparse.

Una delusione c’è, per me che sono cresciuto con le sue canzoni ed i suoi vocalizzi: Francesco Renga.

Ma forse sono lontani i tempi dei TIMORIA.

 

 

PERTH

 

 

 

 

 

 

Festival di San Remo, ultima fortezza del monopolio della Musica!

OSCAR: “PERSA UNA GRANDE OPPORTUNITA’ AL FESTIVAL DI SANREMO”




Il metodo Montessori che fa fuggire i bambini

Il fatto

All’Istituto Comprensivo Ceneda di Roma diretto dalla Dirigente Scolastica Sabina Maraffi, da qualche tempo le cose non vanno bene.

4 bambini hanno deciso di cambiare scuola e almeno 4 vivono una situazione di malessere.

Con questo articolo intendiamo sollevare il problema affinché possa non presentarsi mai più.

Perché crediamo nella scuola

La scuola è organizzata come una azienda.

A partire dalla riforma Bassanini del 1997 tante figure legate al mondo scolastico hanno visto una propria ricollocazione e altre hanno assistito alla propria nascita dando vita a una struttura piramidale a tutti gli effetti che ha come obiettivo il miglior funzionamento della scuola a vantaggio dello studente di oggi che sarà l’uomo o la donna di domani.

La scuola buona, efficace e meritevole è la scuola che riesce a formare individui psicologicamente ed emotivamente adulti pronti ad affrontare la propria vita traendone il meglio per sé e per la società.

Al vertice di questo incarico gravosissimo e di valenza etica enorme c’è il Dirigente Scolastico a cui compete il ruolo di far viaggiare perfettamente la “macchina scuola”.

Sarà talento e professionalità del dirigente saper guidare come per una sinfonia il personale docente, il personale amministrativo, tecnico e ausiliario (ATA), le famiglie e i discenti.

Fare il Dirigente Scolastico è oggi più che mai un incarico di estrema responsabilità e altissimo valore sociale.

Tutti noi siamo grati ai Dirigenti Scolastici, ai Direttore dei Servizi Generali Amministrativi, al personale ATA, a tutti i docenti e a tutte le professionalità che orbitano attorno al mondo della scuola.

Siamo convinti che proprio la scuola sia e debba essere l’ideale incubatrice del miglior mondo possibile.

La gerarchia a scuola

In un sistema piramidale che vede al vertice il Dirigente Scolastico e alla base come elemento fondante gli studenti e le loro famiglie, affinché tutto proceda per il meglio e il dialogo tra le parti sia costante e profittevole, vengono applicate delle regole semplicissime.

Abbiamo detto che il fine ultimo della scuola è formare gli alunni grazie alla professionalità dei docenti, assisiti e supportati dal personale ATA e coordinati dal Dirigente Scolastico.

Il processo educativo degli alunni avviene grazie al lavoro corale della scuola e della famiglia.

Accade quindi che è fondamentale che il corpo docente e le famiglie comunichino e si confrontino per il bene dello studente.

Quando la scuola funziona, il dialogo è costante, la crescita effettiva, famiglie, studenti, docenti e DS comunicano facilmente e riescono a far crescere la scuola che, ricordiamolo, è patrimonio della comunità.

Il possibile problema

Ovviamente, come in tutti i rapporti umani, può accadere che qualcosa si inceppi: che ci sia una incomprensione tra una qualche famiglia e un docente o tra un docente e altri colleghi… tutta ordinaria amministrazione.

Spetta al Dirigente Scolastico sanare i dissidi e fare in modo che tutto vada per il meglio.

Cosa bisogna fare quando i genitori non riescono a comunicare con i docenti o, peggio ancora, con il Dirigente Scolastico?

Cosa bisogna fare quando i bambini non si trovano bene nella propria classe?

A chi rivolgersi quando si ha bisogno di fare chiarezza nei comportamenti degli studenti ma non si riesce ad avere una risposta da chi ha segnalato il comportamento anomalo?

Normalmente le condotte degli studenti vengono discusse tra genitori e docenti (esistono infatti le riunioni tra docenti e genitori), laddove il caso richiedesse delle attenzioni maggiori, per esempio disagi dello studente o disallineamento nell’apprendimento, problemi di qualunque tipo tra genitori e docenti, entrano in gioco le varie gerarchie scolastiche fino al dirigente scolastico.

Questo sistema nella maggior parte dei casi riesce a fronteggiare e risolvere al meglio ogni situazione.

Ci sono delle volte, però, in cui invece qualcosa si rompe e questo processo si blocca non portando soluzioni.

Non sempre la storia ha un lieto fine

Può capitare alle volte, per inesperienza, mancanza di attitudine degli attori o attraversamento di un periodo particolarmente difficile che il flusso comunicativo venga interrotto.

Può capitare che dei genitori che hanno bisogno di parlare con un docente non ci riescano e che i genitori, esasperati, non riescano a parlare neppure col dirigente scolastico.

Può capitare così anche che alcune famiglie decidano di portar via i propri figli dalla scuola.

Ma davvero possiamo permettercelo?

Davvero possiamo portar via dei bambini da una scuola lasciandogli come insegnamento che le difficoltà sono insuperabili e l’unica strada è la fuga?

Chi scrive pensa che realtà come queste non dovrebbero mai aver luogo ma, purtroppo, l’esperienza delle segnalazioni che arrivano in redazione raccontano una brutta realtà.

Storia

Questa è la storia brutta (ma non insanabile) di un flusso di comunicazione interrotto.

È la storia di genitori che non riescono ad avere risposte e docenti che non hanno il coraggio di affrontare le proprie responsabilità.

È la storia dell’Istituto Comprensivo Ceneda di Roma e degli studenti che ha perso.

L’Istituto Ceneda di Roma

L’istituto Ceneda è un Istituto molto grande e importante per la sua posizione e offerta formativa all’interno della città di Roma.

L’Istituto è costituito da cinque plessi:

  • Secondaria di Primo Grado “Carlo Urbani”
  • Infanzia Montessori “Lorenzo Cuneo”
  • Infanzia e Primaria “Giuseppe Garibaldi”
  • Primaria “Bobbio”

La storia che raccontiamo oggi è legata alla scuola primaria, in particolare modo alla scuola che applica il metodo Montessori.

Molti genitori preferiscono il Ceneda rispetto ad altri più vicini proprio perché desiderano che i propri figli siano educati attraverso il metodo Montessori.

Ma è proprio in una classe della scuola primaria che qualcosa non va.

Abbiamo notato che nell’ultimo anno 4 bambini hanno lasciato la scuola e altrettanti vivono una condizione di malessere legato al protocollo educativo seguito.

Abbiamo provato ad andare a fondo sul motivo di questa anomalia e abbiamo scoperto che alla base di tutto c’è un problema di comunicazione tra le famiglie e la scuola.

Il problema

Stando alle informazioni raccolte, accade che in una classe della scuola primaria, contrariamente a quanto dichiarato, non venga seguito il metodo Montessori.

Pare che i bambini non utilizzino il materiale didattico specifico e che, in pieno contrasto col Metodo, si trovano a dover, per esempio, copiare parole dalla lavagna.

Pare che il materiale didattico non sia sufficiente per tutti i bambini e che una delle maestre adotti atteggiamenti e linguaggi non adatti alla formazione equilibrata dei bambini.

Su questo paragrafo, essendoci una indagine dei carabinieri in corso, non ce la sentiamo di dire se sia esattamente come raccontato o meno e, anzi, siamo pronti a scrivere un articolo di belle notizie quando tutto sarà chiarito.

La parte triste di questo racconto è che tutto poteva essere evitato.

La denuncia non è nata dall’oggi al domani ma al capolinea di una lunga serie di richieste di chiarimento.

Al capolinea di una lunga serie di email, messaggi e PEC inviate e senza risposta.

Quando i bambini hanno iniziato a non voler più andare a scuola o a mostrare segni di malessere verso lo studio, i genitori hanno chiesto un confronto con la maestra.

Quando questo è stato ripetutamente negato, si è chiesto il confronto con il dirigente scolastico che di fronte alle numerose PEC (con relativa notifica di ricezione e apertura) ha prima negato di averle mai ricevute e poi detto di averle perse.

La denuncia non è stata fatta per aggredire la scuola ma per l’esasperazione sorta dal fatto di non riuscire a risolvere in altro modo il problema.

Le famiglie, di fronte a mesi di silenzio, risposte inviate e rinnegate dal dirigente scolastico, non hanno potuto far altro che cedere.
Alcune hanno portato via i loro figli, altre continuano a vivere l’incubo del muro di gomma.

Ma questa non è una condizione accettabile.

Chi scrive pensa che una società civile non si può permettere di dare come unico scampo a un bambino che sarà l’adulto di domani, la fuga.

Chi scrive non può accettare che all’interno di una scuola un dirigente scolastico aggredisca verbalmente genitori portando via i docenti e fomentando il reciproco odio.

Chi scrive crede fortemente nella possibilità del cambiamento ove le persone siano in grado di imparare dai propri errori e ammetterli.

E così noi di Betapress con questo articolo ci auguriamo che le cose all’Istituto Ceneda di Roma cambino, che i bambini non abbiamo più paura di affrontare la loro maestra e, anzi, che questa possa diventare un punto di riferimento della loro crescita come è giusto che sia.

Le nostre pagine saranno sempre aperte per il DS Sabina Maraffi che non ha ancora risposto alla nostra email di richiesta di contatto.

E non vediamo l’ora, tra qualche mese, di raccontare la bellissima storia dell’Istituto Comprensivo Ceneda di Roma che ha superato i suoi piccoli problemi e adesso contribuisce alla crescita di adulti sani.

… Oppure continueremo a raccontare e denunciare quello che non va, senza tregua né stanchezza perché, parafrasando quello che ci ha detto una mamma

“lo stato si fonda sulla sanità, sull’istruzione e sulla giustizia, se finisce questo, finisce tutto”

 

Crediti

Metodo Montessori

 

Chi volesse segnalare una anomalia all’interno di una scuola, può scrivere a info@betapress.it

https://betapress.it/poggiali-spizzichino-e-la-confusione-degli-interessi-finali-della-dirigente-scolastica/




OSCAR: “PERSA UNA GRANDE OPPORTUNITA’ AL FESTIVAL DI SANREMO”

 

Lo scorso anno in piena prima ondata pandemica abbiamo intervistato Oscar Giammarinaro degli Statuto (BetaPress.it – EZIO BOSSO, UNO DEI MODS: Intervista a Oskar degli Statuto) che ci ha raccontato della grande amicizia con Xico, il Maestro Ezio Bosso.

Dopo la prima serata del 71° Festival della Città dei Fiori, ho commentato in un post FB quel che pensavo: Maneskin bel riff e GRANDE Willie Peyote! Tutto il resto… il solito clichè! Dispiace che il mitico Oskar degli Statuto non sia stato ammesso con un pezzo in onore del grande Xico (Ezio Bosso)!

Desidero ora condividere e pubblicare integralmente il pensiero d Oscar postato sulle sue pagine Social.

PERSA UNA GRANDE OPPORTUNITA’ AL FESTIVAL DI SANREMO

Considero totalmente riprovevole, incomprensibile, triste e avvilente che su ben cinque serate di trasmissioni del Festival della Canzone Italiana, durate almeno quattro ore ciascuna, non sia stato trovato il tempo per ricordare anche solo con una frase, un pensiero, un’immagine il Maestro Ezio Bosso, uno dei più grandi compositori contemporanei che nel 2016 aveva illuminato e impreziosito il palco del Teatro Ariston con un’esibizione rimasta unica nella storia per coinvolgimento, emozione e umanità. Ezio Bosso, con il suo sorriso, la sua sensibilità, il suo coraggio seppe dimostrare in pochi minuti che davvero “tutto è possibile”, regalando forza, speranza e amore a tante persone,specialmente a quelle in difficoltà.

Ezio Bosso, compositore strabiliante e geniale, direttore d’orchestra e anche pianista, arrivò dritto nel cuore degli Italiani con parole sublimi (grazie anche alla eccellente professionalità di carlo Conti) e un’esecuzione struggente che,oggettivamente, è rimasta una delle perle migliori di tutte le edizioni del Festival. Escludo problemi “aziendali”, in quanto la RAI ha dato a Ezio Bosso molto spazio e programmi prestigiosi in date e orari fondamentali e ricordo, commosso, la sua ultima intervista rilasciata proprio all’amico Fausto Pellegrini su Rainews 24,poco prima della sua scomparsa. Non mi permetto di esprimere valutazioni artistiche, musicali o televisive sulla qualità del 71°Festival della canzone italiana,non ne ho alcun interesse e neanche le competenze necessarie, ma esprimo sdegno per non aver sentito o visto il nome del musicista che ha portato l’eccellenza musicale italiana nel mondo proprio in quel programma in cui la musica è, comunque, la parte più importante e che Ezio Bosso aveva deciso di valorizzare, esibendosi al pianoforte.

Quello che è il programma TV più visto, ha perso una grande occasione per dar lustro a quello che, nonostante tutto, dovrebbe continuare ad essere un servizio pubblico.

 

 

 

PERTH

 

 

 

 

 

 

EZIO BOSSO, UNO DEI MODS: Intervista a Oskar degli Statuto.

Festival di San Remo, ultima fortezza del monopolio della Musica!

Il mondo della musica, e non solo, piange Ezio Bosso

 




Per quella Donna …

E’ patetico e ridicolo aspettare l’8 marzo per festeggiare la donna, per di più quest’anno.

Io voglio solo celebrare la vita di ogni donna, in quanto tale, ma soprattutto ricordare tutte quelle donne che, dall’8 marzo del 2020, ce l’hanno fatta, che sono sopravvissute a quest’ultimo anno di vita.

A queste donne dedico il mio articolo, non sono donne inventate, io le ho incontrate.

Per quella donna, psicologa in pensione, da sempre impegnata nel sociale, che ad 84 anni suonati, fa ancora volontariato, per aiutare le altre a reagire.

Per quella donna il cui marito fa una “sosta extra”, ogni sera, dopo il lavoro; lei lo sa, ma lo aspetta, comunque, cullando l’illusione che cambierà.

Per quella donna che crede nella vita e piange la perdita di una gravidanza che nessun altro conosceva.

Per quella donna che guarda sempre avanti, anche se, proprio i suoi cari, marito e figli, vorrebbero farla tornare indietro, perché temono il suo percorso di libertà.

Per quella donna licenziata, per l’ennesimo ritardo, perché sveglia da troppo tempo, con un bambino autistico che non dorme mai.  

Per quella mamma single, che già non sapeva come pagare le bollette di ogni mese, e, adesso, ha pure le spese in più, per il tablet ed i giga del figlio in dad

Per quella donna che ha due lauree ed un master, ha provato e riprovato a partecipare a diverse selezioni del personale, nei test psico attitudinali è sempre la migliore, ma in sede di colloquio perde punti, perché, si sa, nell’ organigramma aziendale, “una donna in età fertile è un problema per la società”.

Per quella donna che ancora non si è perdonata per l’aborto avvenuto 20 anni fa, perché, per tutti in paese, se l’era cercata, e lei non ce l’ha fatta.

Per quella donna anziana, davanti a me al supermercato, ha comprato ali di pollo, passata e pastina, guarda gli altri e si vergogna, mentre conta le monete.

Per quella donna che apre la porta alla notizia della morte del marito, all’estero, tre settimane prima del suo ritorno a casa.

Per quella donna che soffre di ansia, mangia fino a scoppiare, ma nessuno capisce cosa la fa stare così male.

Per quella donna che dà alla sua famiglia tutta sé stessa, ogni giorno, ed avrebbe solo bisogno di una pausa.

Per quella donna che sorride agli estranei tutto il giorno in pubblico, ma piange silenziosamente ogni notte.

Per quella donna che voleva farla finita, ma ha trovato la forza per continuare.

Per quella donna che ogni notte dorme accanto ad uno sconosciuto, solo perché è pur sempre il padre dei suoi figli.

Per quella donna la cui genetica non le permetterà mai di sembrare alle altre, a quelle delle riviste, e non capisce quanto ci sia bisogno di lei, così com’è.

Per quella donna che sopporta una relazione interrotta dopo l’altra, perché nessuno le ha insegnato cos’è l’amore.

Per quella donna che alleva una figlia senza padre e prega che la storia non si ripeta.

Per quella donna che ama con tutto il cuore il vecchio padre malato d’Alzheimer e che ha un disperato bisogno di essere riconosciuta da lui.

Ecco, per queste donne ha senso festeggiare non un giorno, ma ogni giorno.

E mi piacerebbe pensare che, a partire da quest’anno, si incominci a festeggiare non la donna o l’uomo.

Ma la persona, in quanto essere pensante, libero, capace di agire e di reagire, di lasciare il segno, con la sua unicità.

Mi piacerebbe pensare che, imparando da questi nostri ultimi giorni non si divida più il genere umano in uomini e donne, ma in persone, di spessore e di valore da una parte, ed ignavi maschi o femmine che sia, (ma pur sempre amorfi ed insulsi) dall’altra.

 




Siamo in Europa ma il MIUR non è d’accordo

Ci dicono che siamo in Europa ma non è vero

Per quanto ciascuno di noi si senta cittadino europeo per il ministero dell’Istruzione Italiano non lo è abbastanza.

In questo articolo raccontiamo un paradosso istituzionale che tiene prigionieri centinaia di italiani che non vedono riconosciuti i propri diritti nonostante il TAR riconosca la loro ragione.

Nello specifico in questo articolo si affronterà il problema attualissimo e impellente dell’abilitazione all’insegnamento.

Attuale perché la scuola italiana ha un bisogno fondamentale di insegnanti formati e adeguati al ruolo completamente nuovo che devono ricoprire.

Impellente perché il mondo della formazione è cambiato drasticamente nel giro di pochi mesi e ci troviamo davanti l’urgenza di tre generazioni che non possono pagare nella loro vita futura la perdita di anni di studio degli anni della formazione.

Bloccare gli studenti oggi vuol dire non avere scampo tra dieci anni e doverci piegare all’involuzione del progresso impossibile senza le dovute basi.

Cosa denunciamo

In questo articolo segnaliamo la condizione di circa 4.000 laureati che hanno conseguito il titolo di abilitazione all’insegnamento in un paese europeo diverso dall’Italia e che il MIUR non riconosce valida.

Chi vuole insegnare in Italia deve essere innanzitutto molto aggiornato e al passo coi tempi.

Non nel senso di superamento di un eventuale gap tecnologico generazionale ma nel senso che deve essere aggiornato su tutte le novità del ministero.

In principio l’abilitazione all’insegnamento avveniva tramite concorso e successive prove di esami.

All’inizio del 2000, con l’ingresso nella crisi lavorativa si è scoperto che quello della formazione poteva essere un mercato interessante così sono ante le varie scuole di abilitazione (SSIS e compagnia cantando) che poi sono state dismesse e sostitute con i crediti formativi addizionali (i famosi 24 cfu) che hanno costituito lo zoccolo duro del bilancio di numerosi enti di formazione.

 

Un po’ di storia

Ma vediamo cosa aveva previsto la storia, come tutto era stato progettato al meglio.

Era il 1945 e nel continente europeo un gruppo di nazioni avevano avviato una serie di trattative volte a rivoluzionare le relazioni internazionali.

Era finita la seconda guerra mondiale e si iniziava a parlare di Mercato Comune Europeo.

Vennero gli anni ’60 e il boom economico fu favorito anche dall’assenza di dazi doganali tra i paesi europei.

Negli anni ’70 la comunità di nazioni si allarga e inizia la sensibilizzazione al tema dell’ambiente.

Gli anni ’80 sono segnati dall’epocale caduta del muro di Berlino e dalla nascita del Mercato Unico.

Ma sono gli anni ’90 che ci fanno sentire tutti cittadini Europei: il trattato di Maastricht del 1993 sancisce l’uguaglianza dei cittadini Europei liberi di far circolare  beni, servizi, persone e capitali.

Da lì in poi si sono aggiunti paesi, abbiamo imparato a viaggiare in Europa senza passaporto, abbiamo unito la moneta e abbiamo affrontato il mercato di lavoro internazionale come cittadini e non come migranti.

Il paradosso

Nel periodo della propaganda europeista avevano perfino fatto una serie per bambini con Cristina D’Avena che recitava e cantava nella sigla “l’Europa siamo noi, un’unica nazione”.

Eppure pare che così non sia.

Nonostante quanto ci venga detto, c’è qualcosa all’interno dello stato italiano che non si arrende a questo tassello che ha simboleggiato una cesura epocale tra l’era delle guerre economiche e l’era dei trattati.

Nonostante oggi ogni cittadino europeo sia libero di viaggiare, fare acquisti, lavorare in Europa, pare che secondo il ministero dell’Istruzione Italiano non possa studiare.

O meglio, un cittadino europeo è libero di studiare dove vuole salvo che il MI non riconoscerà il suo titolo.

Sembra paradossale e infatti lo è.

Lo è perché il TAR riconosce come validi i titoli conseguiti all’estero ma il Ministero dell’Istruzione no.

 

L’eccezione alla regola

Solo che non è sempre così.

Guardando lo storico dei decreti emanati, non sempre il MIUR è stato contrario alle abilitazioni prese all’estero.

Dalle ricerche in corso, ci risulta che almeno 5 (ma le ricerche non sono finite) persone sono sfuggite al nazionalismo istituzionale.

Avv.Maurizio Danza
Avv.Maurizio Danza

Per capire meglio abbiamo contattato l’ufficio preposto al riconoscimento dell’abilitazione, le asce turche che, nonostante il richiamo del TAR si ostinano a mantenere la barricata.

Queste informazioni sono state prese dagli allegati che lo studio Legale Danza ha sottoposto sia al TAR sia Consiglio di Stato per segnalare questa condotta stonata.

Per completezza di informazione segnaliamo che abbiamo chiesto anche alla direzione generale per gli ordinamenti scolastici e la valutazione del sistema nazionale di istruzione una intervista per chiarire questa condizione ma fino al momento di pubblicazione di questo articolo non abbiamo ancora ricevuto risposta alla nostra richiesta di intervista ma siamo sempre aperti a un confronto e a una integrazione.

Vi terremo aggiornati sui risvolti.

 

 

Crediti

https://www.miur.gov.it/abilitazione-all-insegnamento1

Il Ministro Azzolina, verso l’infinito e oltre




Draghi e McKinsey: attenti a quei due.

Draghi chiama McKinsey per aiutarlo a scrivere il recovery plan.

Questa è la notizia, così almeno titolano gran parte dei quotidiani in questi giorni.

Ma la vera notizia non è questa, questo è il fatto, la notizia che ci colpisce e salta all’occhio, ameno al nostro è: Perché?

Senza nulla togliere al nostro Mariuccio, e senza nulla togliere al nostro McKinseino, la domanda è proprio ma perché?

possibile che in un paese con fior fiore di università, centri di ricerca, scuole di management ci volesse proprio una società di consulenza Americana?

Possibile che in un paese come questo non fosse possibile mettere assieme tre/quattro università e farle lavorare bene?

Possibile che con il MEF che abbiamo pieno di tecnici e di specialisti ci volessero gli americani?

Ma poi con tutte le società di consulenza che ci sono al mondo, perché proprio McKinsey?

e poi non esiste un codice degli appalti nella pubblica amministrazione? a si, scusate, questo è un contratto sotto soglia, AHAHAHAHAHAHAHAHAHAHAHAH, per non dire altro.

Però McKinsey è McKinsey, casualmente la stessa che Banca d’Italia, che ricordiamolo Draghi ha gestito per anni, ha da sempre “suggerito ” alle banche del nostro paese, se lo dice McKinsey … e le banche a dare fior fiore di progetti e di soldi a questa società di consulenza strapagata e francamente inutile visto come sono finite le banche italiane, il tutto per far contenta banca di Italia.

Chiamare Mck era anche un’abile scusa per i manager, così non si assumevano nessuna responsabilità, se lo dice McKinsey, era il mantra di tutti, banca d’Italia compresa.

Peccato che nel 2002 Enron colò a picco assieme ad Arthur Andersen, e chi erano i consulenti strategici???

Persino Banca delle Marche, piccola banchetta ormai fallita ed inesistente, si era affidata a McK per la sua pianificazione commerciale …

Bei Risultati.

E chi avrebbe dovuto chiamare il nostro Mariuccio Draghi se non la società che ha tanto aiutato banca d’Italia a riposizionare così bene il mondo bancario italiano?

Ma chi poteva chiamare Mariuccio Draghi calcolando che McK ha messo i suoi uomini in infinite posizioni chiave di tutti i paesi?

e già, e chi poteva chiamare …

Invito tutti, per un momento di riflessione, a rivedere lo studio “Concept 1992” di McK .

Ma secondo voi una società di consulenza privata come ridisegnerà il recovery plan, ed in favore di chi? di chi gli paga la consulenza? di chi gli assume i manager per metterli in posizione chiave (Colao insegna)? chi favorirà McK tra aziende che le passano soldi con contratti milionari e aziende che non sono clienti?

Siamo sicuri che non c’è nemmeno un poco di conflitto di interessi?

una società di consulenza che suggeriva agli stati di abolire il welfare può fare il bene dei cittadini?

Ma veniamo ora ai partiti che su questo tema stanno facendo melina.

Il PD, ma come fa il PD, ma anche gli altri, a non dire nulla???

Ma Voi cari lettori li votate ancora? li voterete?

Se mai si tornerà più a votare ovviamente, perché a me tutte queste situazioni fanno pensare che i nostri governanti ci ritengano ormai un paese di deficienti completi, tanto che non ci fanno più votare, non valutano l’eccellenza italiana quando devono fare scelte e così via.

Certo che se poi nei comitati tecnico scientifici si mettono solo gli amichetti di partito o gli inutili per poterli manovrare allora certo che la figura degli italiani non viene benino.

Però tranquilli il MEF chiarisce, solo supporto tecnico, ma ci prendete davvero per cretini????

“Gli aspetti decisionali, di valutazione e definizione dei diversi progetti di investimento e di riforma inseriti nel Recovery Plan italiano restano unicamente in mano alle pubbliche amministrazioni coinvolte e competenti per materia. L’Amministrazione si avvale di supporto esterno nei casi in cui siano necessarie competenze tecniche specialistiche, o quando il carico di lavoro è anomalo e i tempi di chiusura sono ristretti, come nel caso del Pnrr. In particolare, l’attività di supporto richiesta a McKinsey riguarda l’elaborazione di uno studio sui piani nazionali Next Generation già predisposti dagli altri paesi dell’Unione Europea e un supporto tecnico-operativo di project-management per il monitoraggio dei diversi filoni di lavoro per la finalizzazione del Piano. Il contratto con McKinsey ha un valore di 25mila euro +Iva ed è stato affidato ai sensi dell’art. 36, comma 2, del Codice degli Appalti, ovvero dei cosiddetti contratti diretti ‘sotto soglia’. Le informazioni relative al contratto saranno rese pubbliche, come avviene per tutti gli altri contratti del genere, nel rispetto della normativa sulla trasparenza”.

Cretini, ci prendono per cretini.

Ma se tu fai passare un anno senza fare una mazza di nulla è ovvio che poi i tempi li hai stretti, ma quali competenze tecniche specialistiche non ha il mef, questo mi preoccupa, non ha le competenze per fare questo lavoro???

ma chi sono??? degli ignoranti??? e cosa ci stanno a fare al MEF???

NO, la verità è un’altra, ci prendete per cretini.

Ma questo non era il governo migliore scelto da Draghi in persona, senza se e senza ma, a che serve McK?

Ma qualcuno non aveva detto che una buona squadra di governo riscrive il recovery in tre giorni?

Basta vedere sulla pandemia covid 19, un anno passato e siamo peggio di prima, DAD ritornata, blocchi totali, aziende che falliscono, aiuti zero, soldi buttati, commissari sostituiti, mascherine inutili, forse c’era altro da fare?

Cretini, ci prendono per cretini!

Ma noi non lo siamo, questo sarà opportuno che ve lo ficchiate in testa, perché l’italiano magari si fa anche prendere per cretino perché gli fa comodo, ma qui voi state facendo l’errore di fare in modo che agli italiani non stia più comodo niente.

E questo è un grave errore.

 

 

 

 

 

 

 

 

 

 

 

Corrado Faletti

 

 

 

 

 

 




Emotività disfunzionale

E’ vero, stiamo attraversando un periodo difficile.

La pandemia ci ha messo in ginocchio.

Alzi la mano chi, tra di noi, non sta sperimentando, da un anno a questa parte, un vissuto interno di sfiducia, incertezza e negatività.

Però, nel mondo degli adolescenti dei nostri giorni, c’è dell’altro, qualcosa che viene prima e va oltre il Covid.

Emerge prepotentemente la trascuratezza emotiva dei figli della nostra epoca.

Si tratta di un fenomeno molto trascurato in psicologia.

A differenza dei maltrattamenti, dell’abbandono o dell’abuso, dove i segnali sono evidenti fin da subito, la trascuratezza emotiva non dà sintomi così eclatanti, almeno non fin da subito.

Generalmente, i sintomi di un bambino emotivamente trascurato sono riconosciuti solo nell’età adulta.

I sintomi che compaiono in età adulta possono essere i più disparati.

Tra i più comuni, quelli che spesso emergono già tra gli adolescenti, troviamo:

  • Paura dell’abbandono
  • Pronunciata sensibilità al rifiuto
  • Senso di irrisolto e incompletezza
    sentirsi come se ci fosse qualcosa che manca, senza riuscire a individuare cosa.
  • Sensazione di vuoto interiore
  • Sentirsi facilmente sopraffatti o scoraggiati
  • Bassa autostima
  • Perfezionismo
  • Spiccata sensibilità al giudizio altrui
  • Poca chiarezza per quanto riguarda le proprie aspettative e le aspettative altrui

 

Ma quando si verifica la trascuratezza emotiva nell’infanzia?
Quando i genitori non soddisfano i bisogni del figlio.

Lungi da me ogni critica, chi scrive sa bene, per esperienza diretta

(come madre) ed indiretta (come insegnante),quanto sia difficile essere genitore.

L’educazione emotiva è un vero campo minato e l’errore è dietro l’angolo! 

Purtroppo, però, concretamente, giorno dopo giorno, non sempre i genitori riescono a offrire il giusto sostegno emotivo ai propri figli. Ciò accade perché, spesso, i genitori non riescono a vedere il bambino per quello che è in realtà

Il genitore svolge il suo ruolo guidato dalle emozioni e filtra ogni frase e ogni azione attraverso di esse. 

Il risultato di questo filtro, purtroppo, non è sempre ottimale per la crescita emotiva del bambino.

La trascuratezza emotiva nell’infanzia genera il terreno fertile per la bassa autostima, la vergogna, l’inadeguatezza e… sì, anche per i disturbi di personalità e stili di attaccamento disfunzionali.

Quando un bambino cresce senza le giuste attenzioni, può arrivare a sentirsi “sbagliato” o “invisibile”, perché percepisce che i suoi bisogni emotivi sono irrilevanti.

Cresce con la gravosa sensazione che i suoi bisogni emotivi sono sbagliati.

Questa convinzione si auto radica come meccanismo di difesa.

Il bambino non riesce a “elaborare” e riconoscere gli sbagli dei genitori ed allora pensa che egli stesso è sbagliato.

Solo così legittima le mancanze ricevute dai genitori senza condannarli.

Il bambino ha bisogno di tutto il sostegno emotivo dei genitori per avere consapevolezza di sé e per strutturare la sua personalità.

Il problema è che la nostra connotazione emotiva si radica in noi fin dall’infanzia. 

In questa fase la nostra autostima, così come il concetto di sé, si strutturano in base alle dimensioni relazionali.

La relazione cruciale è quella con i genitori.

In parole povere, a livello psicologico, ognuno di noi, da bambino, ha assimilato questa uguaglianza:

io sono ciò che gli altri mi restituiscono e, da adulti, ha applicato quest’assioma io valgo in base alla qualità delle cure e dell’accudimento ricevuti nell’infanzia.

Così un bambino che ha ricevuto le dovute attenzioni, crescendo svilupperà una sana autostima, al contrario, un bambino che non ha ricevuto le dovute cure emotive penserà di non meritare e avrà un concetto di sé svalutativo o svilupperà una serie di ferite interiori difficili da guarire.

 

Ed allora, per ritornare da dove siamo partiti, in questo ultimo periodo, molti nostri adolescenti danno prova di essere stati dei bambini emotivamente trascurati:
Sono figli di genitori che non sempre sono stati in grado di soddisfare i loro bisogni emotivi, ed oggi, ne stanno pagando le conseguenze.

I bambini trascurati emotivamente si porteranno dentro ferite difficili da guarire. 

Fin all’età adulta, queste persone, possono sentirsi segretamente inferiori rispetto agli altri e dover fronteggiare spesso sensazione di vergogna e inadeguatezza.

I bambini emotivamente trascurati diventano adulti restii al confronto e hanno difficoltà a perseguire obiettivi importanti.

Chi è stato trascurato emotivamente si ritroverà ad affrontare diverse battaglie interiori.

Questi bambini diventano persone molto sensibili alle critiche, con paura del rifiuto e dell’abbandono.

Con paura che gli altri possano giudicarli negativamente.

Possono attraversare periodi di ansia sociale senza alcuna apparente ragione.

E per tornare al tema della nostra rubrica di psicologia “Parliamone Insieme” Adolescenza e Sessualità, riemerge anche il tema delle conseguenze del ruolo genitoriale sulla vita sentimentale del loro figlio.

Qualche paragrafo più su ho scritto che la trascuratezza emotiva getta le basi ideali per l’inadeguatezza, la vergogna di sé, la bassa autostima, i disturbi di personalità e gli stili di attaccamento disfunzionali.

In psicologia, la trascuratezza emotiva è stata definita come una specifica configurazione, potenzialmente patogena, del campo relazionale costituito dal bambino e dalle sue figure di accudimento, caratterizzata da assenza di reciprocità emotiva, per cui i bisogni affettivi del bambino vengono assoggettati alle esigenze, ai conflitti, alle paure e alle proiezioni genitoriali.

Allora, prima di sparare a zero su questa gioventù bruciata dei nostri adolescenti datati 2020, ricordiamoci che tutte le relazioni che abbiamo oggi (di tipo amoroso, amicale, lavorativo…) sono frutto dell’amore che abbiamo appreso da bambini.

Ed allora, qualche domanda, dovremmo farcela…

Le relazioni che intrecciamo oggi, sono la testimonianza del nostro vissuto infantile, di ieri, e delle cure emotive che i nostri genitori ci hanno prestato.

Spesso sono le sovra compensazioni a spingerci tra le braccia della persona sbagliata.

Infatti tendiamo a ricercare il partner con una ferita interiore compatibile alla nostra, partner che non sono in grado di donarci amore in modo sano e così inciampiamo in storie sbagliate, una dopo l’altra.

Ma di questo parleremo alla prossima puntata…

 

 

 

 

 

 

 

 

 

 

 

 

 

 

Perché è importante utilizzare l’intelligenza emotiva?




L’influsso del Covid sulla gestione del tempo

Quando si introduce il tema del tempo non si può prescindere dal pensare a come la tecnologia abbia alterato i ritmi naturali della vita producendone di artificiosi.

Proprio in questo periodo di pandemia la dimensione di vissuto temporale dell’uomo ha subito delle modificazioni importanti.

Già da quando nasciamo, impariamo a mediare i nostri ritmi interni biologici, fisiologici e fisici con quelli esterni rappresentati dalle stagioni, dal giorno e dalla notte.

Ognuno di noi è in grado di organizzare la propria esperienza all’insegna di tre dimensioni che comprendono il passato, il presente ed il futuro e, a questo proposito, parliamo di orizzonte temporale.

Oggi siamo spinti dalla situazione di emergenza a vivere prevalentemente nel presente con un rimpianto per il passato, che sempre più apprezziamo rispetto ad un futuro caratterizzato da incertezza.

Al tempo del Covid più che dalla speranza siamo guidati da un profondo senso di paura in quanto ancora non sappiamo se riusciremo a recuperare il tempo perduto.

Riprendendo il pensiero di Gurvitch, prima della pandemia la nostra vita sociale scorreva in tempi multipli sempre divergenti e spesso contraddittori. L’autore parla infatti di tempo a lunga durata, di tempo in ritardo o in anticipo su se stesso, di tempo al rallentatore, di tempo ciclico, di tempo d’alternanza fra ritardo ed anticipo, di tempo delle comunicazioni creatrici.

Oggi questa dimensione temporale multipla è in crisi e siamo tutti proiettati su un tempo al rallentatore in quanto siamo bloccati nella possibilità di recuperare le nostre attività in quella dimensione del reale che prepotentemente è stata sostituita dalla realtà virtuale.

Oggi viviamo il tempo della connessione, un tempo che ha sottratto tempo alla dimensione temporale tradizionale.

Stiamo tutti soffrendo di questa situazione che ha coinvolto le varie fasce di età, dai più giovani ai più anziani.

La crisi del tempo riguarda sia gli aspetti qualitativi che quelli quantitativi.

Il tempo quantitativo è quello dell’orologio, il tempo qualitativo è invece quello legato ad eventi significativi per la vita dell’individuo e della collettività.

Purtroppo da più di un anno siamo limitati nelle nostre progettualità e sperimentiamo un forte senso di incompletezza che ci immerge in un tempo caratterizzato da incertezza.

Il tempo dell’incertezza è il tempo della pandemia che ha portato ad un isolamento sociale senza precedenti del nucleo famigliare.

Ma anche all’interno di quest’ultimo si sta creando l’isolamento tra i vari componenti dello stesso ed ognuno ha deciso di organizzare la quotidianità secondo i suoi ritmi.

Ci si può sentire autorizzati a star svegli di notte e a dormire di giorno in quanto viene meno la quotidianità scandita da orari precisi che determina l’impegno di ciascuna persona nella vita.

La noia può diventare una dimensione del tempo durante la pandemia e questo può indurre molte persone a sviluppare sintomi depressivi che potrebbero portare all’annullamento del tempo.

La pandemia ci ha fatto dunque rivisitare il concetto di organizzazione del tempo e, se prima tutto era scandito dall’agenda ed avevamo programmato ogni minuto della nostra giornata, oggi viviamo un tempo disorganizzato ove si possono confondere vita privata e lavorativa.

 

 

 

 

 

 

 

 




I CONTI TORNANO…

Lo scenario politico italiano si consuma ormai nei dejà vu e nelle notizie scontate.

Così, il ritorno sulla scena dell’ex premier Conte chiamato a rimettere in piedi le macerie del Movimento 5 stelle, riporta di attualità il forte attaccamento delle casta alle poltrone ed ai privilegi anche quando alle posizioni di potere vi si è arrivati dai percorsi costellati di rissosi insulti gridati brandendo la bandiera dell’antipolitica e del governo dei puri.

Un giudizio sulla scelta di Conte a pochi giorni dalla sua estromissione dalla guida del governo non sarà, tuttavia, oggetto di trattazione in questa sede anche se una sua pausa di riflessione un po’ più lunga sarebbe stata più elegante e maggiormente in linea con il profilo di garanzia che si è più volte voluto attribuire.  

Il punto che, invece, deve far riflettere riguarda i compiti a cui è stato chiamato l’avvocato del popolo.

L’idea, cioè, del Ministro di Maio, sempre più isolato, del signor Grillo e del comunicatore Casalino, di puntellare il Movimento 5 Stelle attraverso una transizione verso una forma strutturata di partito nell’alveo non già della tradizione socialista ma di quella liberale e democratica.

Un’affermazione espressa maldestramente da Di Maio che è passata quasi del tutto inosservata.

L’operazione in atto non deve spaventare per la superficialità dei suoi leader, la confusione dei suoi contenuti e il livello dei suoi obiettivi.

C’è un dramma più ingombrante.

Quello dell’inquinamento della politica italiana già alle prese con istituzioni rappresentative già provate dalle sempre maggiori iniezioni di democrazia diretta poste in essere da movimenti on line, reti social e dalle cifre della comunicazione a colpi di twitter.

L’idea della politica al servizio del bene comune suona strana e sul cammino di Draghi fanno capolino i fantasmi di una campagna elettorale di fatto già iniziata e che potrebbe essere, ancora una volta, sostenuta da programmi populisti ed orientata dal sensazionalismo degli annunci.

Sequenze che ricorderanno sempre di più la parodia dell’attore Antonio Albanese con il suo personaggio politico “Cettolaqualunque”.

Non sarà facile infatti districarsi nella scacchiera della politica dello schieramento progressista che metterebbe in campo le diverse anime del PD, Renzi ed i renziani, il nuovo partito di Conte e magari la parte espulsa dei parlamentari pentastellati anch’essi  tentati di formare un nuovo partito con o senza Di Battista.

Il limite della politica italiana in questo momento è proprio nella partitocrazia, fenomeno teorizzato nella prima repubblica ma di intatta carica espressiva anche nella fase attuale.

Il rischio è che in un mondo sempre più liquido dove i valori perdono di valenza e le ideologie di contenuti, la gestione del potere venga assunta da “partiti impresa” gestiti con mere logiche di consenso da valorizzare nel breve termine senza alcun riguardo al bene comune.

Non ci sarà da meravigliarsi se il dibattito politico riprenderà ben presto il tema della riforma elettorale per un sistema proporzionale puro che garantisca l’accesso in parlamento al più alto numero di rappresentanze territoriali per buona pace della governabilità e della semplificazione del sistema istituzionale e politico.

Il timore in conclusione è che la politica italiana potrebbe essere inadeguata ad interpretare le sfide che attendono il sistema Italia ancora in piena urgenza virale con il risultato di vedere ancora ampliato il distacco tra il paese legale e quello reale.

La domanda, in questo contesto, se il Governo Draghi riuscirà a portare avanti il piano vaccinale e le riforme non più rimandabili, resta di pungente attualità e purtroppo i dubbi prendono sempre più il posto delle certezze.

 

 

LA REDAZIONE DI BETAPRESS




Il ministero alla disabilità e i costruttori di futuro

Ministero delle disabilità sì o no?

Nei giorni scorsi, prima ancora della misurazione dell’operato, c’è stata molta polemica sul nome del ministero ritenuto da alcuni offensivo e discriminatorio come hanno riportato alcuni post sui social.

Non volendo in questa sede entrare nel merito della nomenclatura abbiamo chiesto a Vincenzo Falabella, direttore di FISH (Federazione Italiana per il Superamento dell’Handicap)  una opinione sullo stato delle cose e sulle prossime azioni di Governo.

Vincenzo Falabella direttore di FISH (Federazione Italiana per il Superamento dell'Handicap)
Vincenzo Falabella direttore di FISH (Federazione Italiana per il Superamento dell’Handicap)

Presidente, ci sono state molto polemiche relative al nome  “ministero della disabilità”, lei che ne pensa? 

Noi siamo molto rispettosi della scelte del presidente della repubblica. Se loro hanno deciso in questo modo, ne prendiamo atto e ci concentriamo sull’obiettivo di costruttori di politiche sociali così come ci sentiamo.

Al di là del nome, le nostre priorità e i nostri punti saldo sono altri: noi non negozieremo sui diritti dei cittadini con disabilità e ci impegneremo a sollecitare politiche mirate.

Quello che vogliamo sono i pari diritti e incisivo dialogo tra i dicasteri.

Il problema non è il nome, il nome va bene, la cosa importante è che non sia una realtà isolata ma si relazioni e mobiliti tutto quanto ad esso connesso.

E, se mi permette, non importa neppure l’orientamento politico del ministro le politiche perché le disabilità, così come l’impegno che servirà, sono trasversali.

 

Quali si aspetta che siano le azioni di questo ministero? Che caratteristiche si aspetta che abbia?

Ci aspettiamo che sia un dicastero forte e trasversale.

Un ministero come questo, per poter davvero fare la differenza, deve coinvolgere tutti gli altri dicasteri:famiglia, lavoro, pari opportunità, salute…

Non può essere una realtà isolata, dee incidere in maniera chiara sugli altri ministeri.

 

Alla luce delle polemiche pubblicate in questi giorni, pensa che in politica il tema della disabilità sia strumentalizzato?

La disabilità e noi disabili siamo strumentalizzati da diverso tempo e da più parti.

Noi dobbiamo concentrarci su quello che possiamo fare adesso: ora bisogna mettere da parte strumentalizzazioni e slogan e agire.

 

C’è una priorità che avete particolarmente a cuore?

Le priorità sono tante: i vaccini, per esempio; nel nostro caso è importantissimo capire quando, come e dove: molte persone non possono muoversi ed è di fondamentale importanza capire come si intenderà agire in tal senso.

Ma non è tutto perché il problema della salute non è legato solo al covid, bisogna assicurarsi che siano garantite tutte le cure.

Poi ci sono la scuola, il lavoro, la gestione dei fondi dedicati a tematiche sulla disabilità e, non per ultimo, il diritto alla parità di genere.

Come vede i temi sono tanti e tutti di estrema urgenza.

 

Il 23 febbraio 2021, il ministro Erika Stefani ha incontrato una delegazione della FISH: in questo articolo è possibile vedere il piano concordato.

Chiara Sparacio

 

 

Sensuability – la prima volta siamo tutti disabili

 

L’arte come compensazione della disabilità fisica