Ormai è finita, di Giacomo Mammucari

Nessuno l’avrebbe mai detto, mai pensato o immaginato.
Non l’ho guardato.
Non ho guardato quel banco, il mio compagno.
Il banco era mio compagno intendo.
Lasciamo stare quella ragazza dai capelli camaleontici che mi era sempre vicino.
Che in realtà era vicino anche al mio compagno, il banco.
Era testardo e duro di comprendonio, ma si lasciava far tutto: scrivevo sopra il suo volto, delle volte veri e propri disegni, altre volte tatuaggi di pennarelli indelebili.
E quando lo prendevo a pugni non si arrabbiava, mi faceva da spalla per un pisolino leggero, interrotto dalle urla stridenti degli altri compagni, i banchi.
Il mio compagno, il banco, non era solo: c’era lei, signora e regina, che schiena a schiena, era serena.
La mia compagna, la sedia, era sempre quella e sempre con me la portavo: altro che amore che porti nel cuore!
La compagna, la sedia, lei era il mio vero amore!
Era spesso contesa per le sue gambe fine e i suoi pantaloni blu, perché ti rilassava ed era comoda, o poco più.
Il mio compagno il banco era spesso geloso, ma quando io andavo via sapevo con certezza che avrebbero stretto amicizia.
Per lo meno lo speravo, o mi sarei sentito in colpa per averli lasciati soli. E ora soli parlano di me e dei nostri momenti vissuti anch’essi soli.
E poi c’erano loro, che sapevano tutto, che apprendevano come spugne, i miei compagni i muri.
Loro si che parlavano con saggezza, bastava avvicinarsi ad essi che la versione di latino veniva perfetta.
Altre volte insultavano pesantemente, forse stanchi di tutta quella gente ma erano sempre protettivi quei miei cari amici.
Ai muri la lavagna, diciamo anche lei mia compagna, non andava molto a genio.
Appesa ferendoli con chiodi, la lavagna, diciamo mia compagna, amava di più i professori e forse chi la rendeva splendente, i collaboratori.
E io tutto questo non l’ho guardato.
Non ne ho sentito le voci, non l’ho toccato, non gli ho parlato o salutato.
No, sono andato via ridendo e scherzando, ma chi mai avrebbe detto sarebbe stato l’ultimo dell’ anno. Ma che dico: l’ultimo di una vita intera.
Ma il banco, la lavagna, la sedia e i muri, i miei compagni, mi hanno fatto apprezzare anche ciò che li riempiva e li rendeva grandi.
Con loro il vuoto non c’era, diciamo, con quelle poche persone che eravamo!
E con loro, i professori, genitori un po’ troppo pretenziosi.
I miei amici fidati, quelli che non ho mai sopportato, sono rimasti lì, per sempre, nei segni e nei ricordi indelebili dei miei compagni.
Che fai adesso, piangi?

Giacomo Mammucari
5^ G
Liceo Falconi di Velletri




La scuola siamo noi di Angela Ferraro

La scuola siamo noi

 

Una volta tanto mi fa piacere impiegare una frase o delle parole che seppure molto usate, non perdono significato nel loro riutilizzo, ma diventano più forti, al contrario di quanto accade a termini stra-abusati, ed oggi se ne fa abuso a iosa, che si sviliscono e perdono la loro funzione significativa.

E quindi, “La scuola siamo noi”, persone che la vivono quotidianamente, per cui tutto ciò che è burocrazia liturgica e struttura, ne rappresenta solo il contorno e mai la sostanza. Questo momento di “sospensione” in cui non si sospende tuttavia la relazione umana ed educativa con gli allievi, ce lo evidenzia nel modo più forte.

E’ vero, manca l’incontro fisico, il contatto, la struttura contenitore con le sue liturgie: dalla campanella, all’appello, alla chiacchera con il compagno di banco, pur tuttavia da questo campo di mancanze, spunta prepotente il germoglio della ricerca del contatto, del rinsaldamento della relazione con i docenti, quelli che ti cercano, che sono disponibili ben oltre il solito orario, a supportarti e offrirti un punto di arrivo di un filo di comunicazione che è più saldo di prima.

La motivazione che guida questi docenti non è il mero adempimento lavorativo o l’adesione ad una indicazione ministeriale, bensì è volontà di essere con gli studenti, di immaginare e collocare la scuola in uno spazio altro, non fisico ma relazionale, che non solo continua ad esistere ma diventa paradossalmente più vivo.

Tutti rimarcano che in questo momento la scuola si scopre classista, nel divario socio-economico derivante dalla disponibilità o meno dei device per realizzare la cosiddetta “didattica a distanza”. Eppure basta un cellulare (ovviamente mi riferisco alla scuola secondaria di secondo grado) per parlarsi, contattarsi, vedere video, scrivere elaborati, fare videochiamate e via discorrendo.

Allora ciò che fa la differenza, ancora una volta, è la parte umana, la voglia di “restare” con i propri alunni, di star loro vicino, di continuare a seguirli in quel processo che è si didattico ma soprattutto formativo ed umano. Noi docenti siamo per loro modelli e punti di riferimento umani e culturali, questa “sospensione” ci offre l’opportunità per rinsaldare legami, per coltivare confronti, idee e relazioni in un momento di angoscia e paure collettive.

E di angosce ora i ragazzi ne hanno molte, perché non tutti i giovani sono quelli degli aperitivi, delle manie di onnipotenza o del menefreghismo nei confronti dei più anziani o dei più deboli, molti dei nostri ragazzi partecipano più di prima a tutto ciò che la didattica a distanza consente, nelle varie situazioni specifiche, si mostrano empatici, maturi, dotati di sensibilità sociale e umana, in grado di rispondere alle sollecitazioni dei docenti che li contattano, in modo ben superiore alle aspettative.

Dunque la scuola non si è affatto né fermata, né chiusa, né si può identificare col freddo e impersonale assegnare compiti da svolgere, quella non è scuola, ma pseudo-adempimento burocratico.

La scuola è l’insieme di quei docenti che si adoperano, per fortuna molti, e tutti gli studenti che partecipano. La scuola sono le relazioni che nessun decreto né emergenza può fermare, perché fioriscono e crescono anche sui terreni più difficili ed impervi.

 

Angela Ferraro

Docente di liceo

 




LA MUSICA DA “GUARDARE”

In questi mesi siamo protagonisti, nostro malgrado, di un’emergenza sanitaria globale che rivoluzionerà il futuro del mondo per come l’abbiamo conosciuto finora.

Anche la musica subirà un profondo e, mi auguro radicale, cambiamento. A mio modesto parere, già oggi si stanno delineando due grandi areali: il primo in cui la persona è al centro ed il secondo in cui è sacrificabile.

Non essendo né un economista né un esperto di geopolitica evito di addentrarmi troppo in questo delicatissimo argomento, c’è un fattore però, legato ai nuovi contesti, che è sotto gli occhi di tutti e che, volenti o nolenti riguarda tutti.

L’imperialistico Regno Unito inneggia al darwinismo sociale mentre la Repubblica Popolare Cinese, lontana dalla democrazia e dai diritti umani, invia aiuti sanitari (negati in principio dagli “amici” dell’Europa; n.d.a.), denaro e personale medico e paramedico all’Italia, uno dei paesi maggiormente colpiti dall’epidemia.

Una tragedia globale come quella di oggi porterà a riflessioni profonde riguardanti l’intera umanità e questo è positivo, l’uomo dovrà tornare al centro e la musica avrà, a mio avviso, un ruolo fondamentale per la riscoperta dei veri valori.

I falsi profeti delle nuove correnti musicali (sostenuti dai talk show e dai talent), i profeti del cinismo, del becero ed irritante edonismo mediatico, del disprezzo delle regole sociali, lasceranno il posto a chi intonerà inni alla vita e alla morte e racconterà dell’uomo, della sua esistenza, della sua anima, del suo cuore, domande queste che portano ad un’unica vera riflessione: per cosa veramente vale la pena vivere? Tutto ciò, in modo straordinario è stato testimoniato in questi ultimi giorni: il “coinvolgimento digitale” di centinaia di artisti e musicisti noti (e sconosciuti) al grande pubblico che, rigorosamente dalle loro abitazioni, hanno lanciato un grido di solidarietà per vincere la guerra che ognuno di noi è chiamato a combattere.

Sangiorgi (Negramaro), Jovanotti, Bocelli, il Blasco Nazionale, Ligabue, Ferro, Sarcina (Vibrazioni), Agnelli (Afterhours), Britti, Pinguini Tattici Nucleari (intervistati da noi di Betapress a maggio 2019; n.d.a.) e moltissimi altri (che vi invito a vedere martedì 31 marzo alle 20.30 su RAI 1 ed in streaming; n.d.a.) hanno lanciato una campagna di raccolta fondi per il Sistema Sanitario Nazionale e per la Protezione Civile.

Il mondo dell’arte e della musica oggi ci stanno consegnando un messaggio forte di solidarietà: la persona al centro! Ridisegnare la mappa dell’intrattenimento musicale e della discografia sarà una sfida che ci auguriamo possa iniziare al più presto perchè il dramma che ci sta affliggendo non sia capitato invano.

Ma allora cosa serve veramente in questi giorni di isolamento? Qual’è il ruolo della musica in questo triste momento?

Quanto importante sarà la musica e l’arte in un futuro, speriamo prossimo, di ripresa? Chi guardare (ed ascoltare) allora? Dobbiamo guardare ed ascoltare artisti che ci tocchino il cuore, dobbiamo guardare a chi parla di me, di te, di quel che sono io, di quel che sei tu.

Una cara amica anni fa mi chiese di accompagnarla all’Alcatraz di Milano ad uno dei primi concerti da solista di Robert Plant (storico frontman dei Led Zeppelin; n.d.a.) e la cosa che mi colpì, oltre al sound devastante e l’incredibile presenza scenica, fu guardare ed ascoltare la straripante bellezza e la profondità dei pezzi proposti e cantati con una voce struggente. Alla fine lo incontrammo nel backstage per un breve dialogo e Plant ci accolse cordialmente rispondendo a tutte le nostre domande… un grande!

Il mio augurio è che in questo momento di autoisolamento domiciliare si possano riscoprire gli Artisti veri, quelli con la “A” maiuscola: Artisti, Cantanti, Musicisti… da guardare!

Vi lascio con un brano scritto pochi giorni fa “per me e per te”, per il dramma di tutto il popolo italiano, dal leader degli U2, Bono Vox: “Let Your Love Be Know”.

 

https://www.youtube.com/watch?time_continue=20&v=m8esAuYRyYI&feature=emb_logo

 

Perth

PERTH




Andrà tutto bene … parte terza

Il protrarsi dell’emergenza sanitaria sta generando un blocco dell’economia che porterà ad un forte ridimensionamento delle attività produttive in tutti i settori. Stiamo assistendo al calo delle vendite, all’annullamento di contratti commerciali e incarichi professionali, alla cancellazione diffusa di eventi, manifestazioni, ordini e prenotazioni sia in ambito turistico che business nonché alla mancata o ritardata consegna di merce al cliente.

È evidente che uno dei settori su cui l’epidemia sta impattando maggiormente è il settore turismo.

In Italia, il segmento del turismo vale in totale 146 miliardi di euro: una cifra pari a circa il 13% del Pil, generata da una filiera di 216 mila esercizi ricettivi e 12mila agenzie di viaggio. 

 

La proliferazione del Coronavirus ha spinto diversi governi a considerare l’Italia tra i Paesi da sconsigliare, se non vietare, per i viaggi e le trasferte di lavoro. 

L’impatto si fa sentire pesantemente sul turismo italiano, con la proiezione di un tracollo senza precedenti nella stagione pasquale, il comparto ha subito cancellazioni pari a circa l’80% per le città e fino al 95% in montagna. Questo fenomeno non riguarda solo le zone colpite direttamente, ma tutto il Paese.

Gli operatori del settore sono molto preoccupati rispetto al calo delle prenotazioni per le settimane bianche e per la Pasqua e si teme anche per la stagione estiva che risulta già essere compromessa.

Solo il settore delle gite scolastiche – che sono state vietate – muove un business da 316 milioni di euro, ormai perso, anche alla luce del provvedimento di chiusura di tutte le scuole di ordine e grado almeno fino al 3 aprile p.v. A questo si aggiunge la cancellazione di eventi e manifestazioni pubbliche importanti come il Carnevale di Venezia, solo per citare la prima più eclatante, o il Salone del Mobile e altri importanti eventi fieristici intorno ai quali gravitano ingenti interessi economici.

Durante i mesi di febbraio e marzo, gli esercizi ricettivi italiani generalmente ospitano 14,5 milioni di turisti italiani e stranieri, per quasi 40 milioni di pernottamenti, questo è un periodo di intensa attività per alcune aree del Paese.

Bene, alla luce dei fatti, si è rallentato prima e si è fermato tutto adesso.

Napoli ha perso 15mila visitatori e si prevede una perdita del 30% per Pasqua; 

Venezia perde il 40%

Riviera Romagnola disdette di massa (teme ricadute anche per l’estate)

Lazio crollo delle prenotazioni del 60-70% relative anche ai mesi dopo la Pasqua. 

Milano debooking all’ 80%

Ritornando ai dati inerenti l’incoming, secondo uno studio condotto dell’Istituto Demoskopika, che ha tracciato una mappa dei possibili effetti sul turismo italiano a seguito dell’allerta coronavirus, nel 2020, l’emergenza coronavirus potrebbe generare un segno negativo per l’incoming turistico italiano, con una contrazione della spesa turistica di ben 4,5 miliardi di euro, pari a circa il 5% del P.I.L. di cui il 70% in Veneto, Toscana, Lazio e Lombardia. 

Inoltre, l’ipotesi di base è che i viaggiatori che risiedono in paesi dove ci sono stati casi di coronavirus, spinti da sentimenti di paura e timore, continueranno a cancellare prenotazioni e limitare gli spostamenti anche dopo l’emergenza.

La sindrome da contagio, alimentata anche da scarsa e inadeguata informazione, rischia di produrre ricadute devastanti su gran parte dei sistemi turistici regionali.

Le pandemie nell’era dei social hanno pesanti effetti mediatici sull’immagine e la attrattività di un Paese.

Basta poco e crolla la domanda.

Territorialmente, subiranno le principali ricadute le destinazioni turistiche strutturalmente più apprezzate dai turisti internazionali, primi fra tutti cinesi, americani, tedeschi e inglesi.

L’impatto di questo scenario economico sul Made in Italy potrebbe essere difficilmente superabile dalle imprese italiane, soprattutto le più piccole, che costituiscono oltre il 95% del nostro tessuto produttivo, con ricadute pesanti non solo sui fatturati, ma sulla stessa occupazione in termini strutturali.

Siamo in una situazione emergenziale e servono, per questo, misure emergenziali.

Prima di addentrarci nella formulazione di proposte, bisogna sottolineare che, per reperire i fondi necessari a coprirne i costi, si dovrebbe utilizzare canali di finanziamento alternativi a quelli solitamente sfruttati, per esempio, risorse europee, relative alla programmazione 2014-2020, che ad oggi non risultano ancora spese, in tal senso urge un monitoraggio immediato.

Inoltre, sempre nell’ottica di un migliore utilizzo di risorse già esistenti, bisogna che il Governo riveda la nuova Programmazione 2021-2027, pianificando, almeno per il biennio 2021-2023, interventi specifici destinati a sostenere il sistema produttivo italiano, con un particolare focus sui settori Turismo e Cultura, con una rinnovata attenzione alle piccole e medie imprese che da sempre hanno difficoltà ad accedere a questa tipologia di risorse e che, invece, rischiano di pagare il prezzo più alto della crisi economica.

Infine, il covid 19 è l’occasione per modificare Accordi di partenariato e regolamenti comunitari, che ingessano la spesa dei Fondi UE assegnati ad ogni singolo Paese.

Non si tratta di poter fare più deficit, che comunque genera debito per le generazioni future, ma avere l’adeguata flessibilità di risorse già programmate in contesti ordinari. 

Federterziario e Federterziario Turismo, propongono pertanto le seguenti misure:

  • la sospensione i pagamenti di tasse, contributi, Iva e tutte le cartelle esattoriali almeno per i prossimi 3 mesi con recupero a partire dal 1° gennaio 2021;
  • il temporaneo azzeramento delle sanzioni per i ritardati pagamenti di cartelle erariali;
  • sospensione dell’utilizzo degli indici sintetici di affidabilità fiscale (ISA) per il 2020, in considerazione dell’impatto negativo dell’emergenza sui bilanci d’impresa;
  • l’estensione della Cassa Integrazione in deroga a tutte le aziende, anche quelle con un solo dipendente;
  • il rinvio dell’entrata in vigore del Codice della crisi d’impresa;
  • lo slittamento dei pagamenti di mutui e finanziamenti, con contestuale attivazione di un dialogo con il sistema bancario che porti all’adozione di misure in grado di concedere liquidità e prospettive alle imprese del settore turismo;
  • sospensione segnalazione automatica nella banca dati Crif;
  • la riduzione delle tasse di ancoraggio nei porti; 
  • azioni di promozione e rilancio del Made in Italy e dell’offerta turistica e culturale, anche attraverso iniziative di sostegno della domanda interna, quali il riconoscimento di detrazioni fiscali per le spese sostenute per viaggi e soggiorni presso strutture ricettive italiane.

Con la proposta della Commissione europea di sospendere di fatto l’applicazione del patto di stabilità con gli impegni di consolidamento di bilancio relativi per fronteggiare la crisi del coronavirus e la recessione ormai in arrivo, viene fatto un passo del tutto inedito: finora era stata usata solo la flessibilità sugli obiettivi di bilancio caso per caso.

Ora tocca ai ministri finanziari dare il via libera.

E, soprattutto agire di conseguenza, e qui inizieranno un mare di problemi…

 




I Conte non tornano… sapevamo già tutto dal 2006.

Facile criticare, in questo momento è fin troppo facile muovere critiche al governo ed a chi lo presiede, sono d’accordo, ma sarebbe anche un momento pericolosamente antidemocratico non farlo.

Facile adesso fare dietrologia, ma è difficile dimenticare la grave sottovalutazione fatta dal governo del fenomeno covid19, e la spavalderia con cui si sono dichiarate eccellenze sanitarie e preparazioni intoccabili giusto solo a fine gennaio 2020.

Difficile dimenticare come questo governo nei sui vertici bollava come semplice malattia, meno pericolosa dell’influenza, questa ormai pandemia mondiale, difficile in ogni caso non valutare come tutti i governi abbiano distrutto la sanità negli ultimi anni, sull’altare del pareggio di bilancio europeo.

Giusto? sbagliato? ad oggi sembrerebbe sbagliato!

Certo chi immaginava una pandemia mondiale?

Ebbene meraviglia delle meraviglie, Noi!

Proprio così, Noi avevamo, abbiamo, un piano nazionale di preparazione e risposta ad una pandemia influenzale, già dal lontano 2006.

Infatti nel 2006 a pagina 6 si diceva:

L’obbiettivo del piano e rafforzare la preparazione alla pandemia a livello nazionale e locale, in modo da:
1. identificare, confermare e descrivere rapidamente casi di influenza causati da nuovi sottotipi virali, in modo da riconoscere tempestivamente l’inizio della pandemia.
2. Minimizzare il rischio di trasmissione e limitare la morbosità e la mortalità dovute alla pandemia.
3. Ridurre l’impatto della pandemia sui servizi sanitari e sociali e assicurare il mantenimento dei servizi essenziali.
4. Assicurare una adeguata formazione del personale coinvolto nella risposta alla pandemia.
5. Garantire informazioni aggiornate e tempestive per i decisori, gli operatori sanitari, i media e il pubblico.
6. Monitorare l’efficienza degli interventi intrapresi.
Le azioni chiave per raggiungere gli obiettivi del Piano sono:
1. migliorare la sorveglianza epidemiologica e virologica.
2. Attuare misure di prevenzione e controllo dell’infezione (misure di sanità pubblica, profilassi con antivirali, vaccinazione).
3. Garantire il trattamento e l’assistenza dei casi.
4. Mettere a punto piani di emergenza per mantenere la funzionalità dei servizi sanitari e altri servizi essenziali.
5. Mettere a punto un piano di formazione.
6. Mettere a punto adeguate strategie di comunicazione.
7. Monitorare l’attuazione delle azioni pianificate per fase di rischio, le capacità/risorse esistenti per la risposta, le risorse aggiuntive necessarie, l’efficacia degli interventi intrapresi; il  monitoraggio deve avvenire in maniera continuativa e trasversale, integrando e analizzando i dati provenienti dai diversi sistemi informativi.
L’operatività del Piano sarà valutata con esercitazioni nazionali e regionali, cui parteciperanno tutte le istituzioni coinvolte in caso di pandemia.
Il presente Piano è suscettibile di periodiche revisioni, al cambiamento della situazione epidemiologica.

Quindi lo sapevamo benissimo che poteva succedere!!!

ed addirittura dicevamo:

1] Attuare misure di prevenzione e controllo dell’infezione

Per contenere gli iniziali focolai nazionali attribuibili a virus pandemico e ridurre il rischio di trasmissione vanno adottate:
– misure di sanità pubblica quali la limitazione degli spostamenti, l’isolamento e la quarantena dei casi e dei contatti
– strategie di utilizzo di farmaci antivirali sia come profilassi che come terapia
– strategie di vaccinazione.

 

2] Misure di sanità pubblica

Gli interventi di sanità pubblica che possono risultare efficaci per limitare e/o ritardare la diffusione dell’infezione sono basati sulla riduzione dei contatti tra persone infette e persone non infette, e/o sulla minimizzazione della probabilità di trasmissione dell’infezione in caso di contatto attraverso comuni norme igieniche e misure di barriera (per esempio dispositivi di protezione individuale, DPI).

Fasi interpandemiche (fasi 1-2) ovvero non appena si viene a conoscenza dell’individuazione di casi infetti:
1) informazione sanitaria della popolazione per promuovere l’adozione delle comuni norme igieniche, che includono:
lavarsi spesso le mani
pulire le superfici domestiche con
normali prodotti detergenti
coprirsi la bocca e il naso quando si
tossisce o starnutisce
2) adozione di misure per limitare la trasmissione delle infezioni in comunità (scuole, case di riposo, luoghi di ritrovo), quali evitare l’eccessivo affollamento e dotare gli ambienti di adeguati sistemi di ventilazione
3) preparazione di appropriate misure di controllo della trasmissione dell’influenza pandemica in ambito ospedaliero:

a) approvvigionamento dei DPI per il personale sanitario

b) controllo del funzionamento dei sistemi di sanificazione e disinfezione
c) individuazione di appropriati percorsi per i malati o sospetti tali

d)censimento delle disponibilità di posti letto in isolamento e di stanze in pressione negativa (terapia intensiva, camere ad ossigeno etc.)
e) censimento delle disponibilità di dispositivi meccanici per l’assistenza ai pazienti (respiratori).

Quindi, pur sapendo già cosa e come sarebbe successo, non abbiamo limitato subito gli spostamenti, non abbiamo innalzato i controlli alle frontiere, non abbiamo dotato le strutture di dispositivi di protezione individuali (mascherine, guanti, camici) non abbiamo ampliato le terapie intensive, non abbiamo predisposto opportuni piani per l’acquisizione di strumenti per l’assistenza ai pazienti, ma in compenso dal 2006 ad oggi abbiamo tolto più di 40.000 tra medici ed infermieri e fatto tagli per oltre trenta miliardi alla sanità pubblica.

Certo tutto questo non è colpa dell’attuale governo ma di tutte le forze politiche che si sono succedute in quel posto, e di cui oggi Conte eredita tutte le colpe.

Certo tutto questo è frutto dell’ottuso modo di essere in Europa che abbiamo tenuto negli anni.

Per cui sicuramente non per dolo ma per ruolo il nostro premier deve essere criticato.

Una critica che ci deve far riflettere su tutti gli errori del passato che oggi sono palesi, e non dobbiamo cantar vittoria perchè sono stati tolti i limiti del patto di stabilità, perchè questo ci permetterà solo di far sprofondare il paese in un rosso finanziario ancora più profondo, inoltre il tutto avrà un qualche valore solo se la BCE interverrà acquistando titoli di stato.

Si salverà forse qualche impresa, ma non certo l’Italia.

Oggi più che mai i Conte europei non tornano, ma davvero pensiamo che la Germania non ha i suoi piccoli falsi in bilancio che le cambiano i ratios? Ma tutti i finanziamenti alle imprese tedesche non “dichiarati” in bilancio all’europa?

E di fronte ad una Pandemia mondiale perchè l’Europa ha così paura ad esporsi? forse che salteranno fuori altarini che hanno coperto altri piani? forse che l’Italia si è svegliata dal quel sogno da principessa e si accorge pian pianino che in realtà era la cenerentola senza principe azzurro, o comunque il principe azzuro promesso in realtà era il cacciatore che doveva ucciderla strappandole il cuore?

Non è che tutto questo rincorrere un pareggio di bilancio con inflazione sotto il 2% altro non era che il modo di gestire masse di capitali a favore dei soliti ignoti?

Stiamo esagerando, pensando male? forse si ma a pensar male si pecca, ma la si azzecca.

 

 

 

 

 

 

Alleghiamo per una vostra lettura il piano pandemico, ad oggi molto attuale.

[pdf-embedder url=”https://betapress.it/wp-content/uploads/2020/03/pianopandemico.pdf”]

 

Covid19, un nuovo futuro.

Piano Marshall oggi più che mai!!

Pandemia Finanziaria, cui prodest?

Coronavirus: andrà tutto bene?

 




Il primo bene di un popolo è la sua dignità

“Per manipolare efficacemente il popolo, è necessario convincere tutti che nessuno li sta manipolando.” J.K. Galbraith

 

Come milioni di italiani, inchiodati davanti alla tele, ho appena ascoltato le ultime, ennesime, restrizioni alla nostra libertà, in nome del rispetto e della tutela del bene più prezioso, la vita, la vita di ognuno di noi.

Sempre più avanza la morsa del controllo e della punizione.

Tutto giusto, quasi lecito sul piano etico e legale sul piano giuridico, anche considerando che chi fa le leggi oggi sono loro.

Io, però, non ci credo più che andrà tutto bene.

E men che meno, da domani, canterò l’inno d’Italia.

Perché non solo sta andando sempre più tutto peggio, ma perché insieme ai morti, stiamo portando via la verità.

Le file di camion militari piene di salme dei miei concittadini bergamaschi, ci sfilano davanti agli occhi e gridano, nel silenzio attonito di una città in ginocchio, gridano vendetta.

Ma urlano anche, dentro ognuno di noi, se ancora abbiamo una coscienza personale e collettiva.

Ogni nuovo morto ci obbliga a prendere atto che stiamo morendo tutti, indistintamente, diventando, sempre più, un popolo bue.

Non posso sopportare che quegli uomini e donne che hanno fatto da cavia in questa emergenza, finiscano in un pugno di cenere.

Quel pugno di cenere, che giorno dopo giorno, ci viene lanciato negli occhi, attraverso i media per avanzare a tentoni.

E per scatenarci, l’uno contro l’altro, nella caccia alle streghe o nella guerra agli untori.

La strategia applicata è quella di colpevolizzarci per dominarci.

Anche adesso, ci dicono “il problema lo stai provocando tu, sempre di più, ogni volta che non rispetti le regole”.

É una strategia che sta funzionando anche in questo periodo, nella fase più critica dell’epidemia prodotta dal coronavirus.

L’epidemia ha un’unica verità: questi morti sono sì deceduti per covid 19, ma la loro vera condanna a morte risale a tutti gli inganni della dottrina liberista.

Un esempio per tutti? Il nostro sistema sanitario.

Un sistema sanitario come quello italiano, fino a un decennio fa, era tra i migliori al mondo.

Poi è stato fatto precipitare sull’altare del patto di stabilità: tagli da 37 miliardi complessivi e una drastica riduzione del personale (-46.500 fra medici e infermieri), con il brillante risultato di aver perso più di 70.000 posti letto.

Solo per quanto riguarda la terapia intensiva, così drammaticamente attuale, siamo passati dai 922 posti letto, ogni 100mila abitanti nel 1980, ai 275 nel 2015.

Tutto questo dentro un sistema sanitario progressivamente privatizzato e, quando anche pubblico, sottoposto ad una torsione aziendalista con l’ossessione del pareggio di bilancio.

La prova inconfutabile è data dalla Lombardia, considerata l’eccellenza sanitaria italiana e ora crocifissa da un’epidemia che, nella drammaticità di queste settimane, ha dimostrato l’intrinseca fragilità di un modello economico-sociale interamente fondato sulla priorità dei profitti d’impresa e sulla preminenza dell’iniziativa privata.

Può un popolo mettere in discussione questo modello, con il rischio che, con effetto domino, l’intero sistema della dottrina liberista crolli?

Dal punto di vista dei poteri forti, è inaccettabile.

Meglio che il popolo resti bue e vada nella direzione voluta dal potere e dai media.

Ed ecco scattare la fase della colpevolizzazione dei cittadini.

Sono i cittadini che sbagliano, che non rispettano le regole, che propagano il contagio.

Forza, facciamo scendere in campo l’esercito, puniamo con pene esemplari.

A nessuno viene il dubbio che le pene esemplari dovrebbero essere inflisse a chi ci ha portato a questo sfacelo?!?

Perché, di sicuro, i primi untori, sono stati coloro che hanno voluto questo nostro sistema sanitario italiano.

Questa nostra sanità, de-finanziata e privatizzata, che non può funzionare senza risorse umane e mezzi tecnici adeguati.

E cosa dire di quei folli decreti che, fino a stasera hanno tenute aperte le fabbriche (e addirittura hanno incentivato la produzione con un bonus per la presenza sul lavoro), ma, al contempo, hanno ridotto i trasporti congestionando di più le presenze fisiche sugli stessi?!?

Così, per settimane, le aziende ed i trasporti hanno continuato a fare propagare il virus.

Ma evidentemente, la colpa è del cittadino irresponsabile che si comporta male, uscendo a passeggiare o a fare una corsa al parco.

Ogni giorno il messaggio che passa è LA COLPA E’ TUA .

Sei tu, cittadino vergognoso che continui a boicottare un sistema di per sé efficiente.

Questo attuale, ma antichissimo, meccanismo di colpevolizzazione è molto potente.

Paradossalmente, c’è da sperare che funzioni, almeno quello!

E dovrebbe funzionare perché si intreccia con il bisogno di ognuno di noi di dare un volto ad un nemico invisibile.

Ecco perché indicare un colpevole, L’IRRESPONSABILE, costruendogli intorno una campagna mediatica che non risponde ad alcuna realtà evidente, almeno nei numeri.

Anche se c’è stata la fuga dalla Lombardia, ma chi è stato il folle che ha diffuso la bozza del decreto, come è possibile che una superficialità del genere in un momento del genere sia avvenuta?????

Non era ovvio che dopo un bombardamento mediatico così aggressivo e terrorizzante potesse succedere una fuga dall’epidemia???

Scarichiamo proprio tutte le responsabilità sul popolo, perché così, il popolo bue non si ribella, o per lo meno, scarica sull’untore la rabbia crescente per il prolungamento delle misure di restrizione.

Un popolo libero, intelligente e consapevole potrebbe davvero rivoltarsi sul piano politico.

Potrebbe davvero scatenarsi con una rabbia furiosa contro quel modello che ci ha costretto a competere fino allo sfinimento senza garantire protezione ad alcuno di noi.

Ed allora io resto a casa.

E mi comporto bene.

Ma se lo faccio è solo per onorare la morte di chi ha dato la vita, e per rispettare chi è in prima linea.

Andrà tutto bene non esiste, continuerà comunque ad andare tutto peggio.

A meno che, non guardiamo in faccia la realtà.

E pur continuando a seppellire i morti, prendiamo coscienza di quello che sta succedendo, di quello che ci hanno fatto e che ci stanno ancora facendo.

E quando avremo toccato il fondo, teniamocelo ben stampato in fronte e marchiato nel cuore.

MAI PIU’ POPOLO BUE, e nemmeno complice…

“I popoli non dovrebbero avere paura dei propri governi, ma sono i governi che devono aver paura dei propri popoli.” T. Jefferson

 




Lista dei contagiati per proteggere il paese

Lista dei contagiati: la richiesta al capo del governo di due avvocati siciliani.

“oggetto: riflessioni tecniche sulla necessità di una banca dati COVID-19, di ampio accesso”
così si intitola una lettera inviata da due avvocati Siciliani al Presidente del Consiglio Giuseppe Conte.

 

Loro sono Andrea Caristi e Francesco Savasta e da avvocati dei cittadini cercano un dialogo con l’avvocato degli italiani.

La richiesta ha a che fare con la creazione di una banca dati che riporti l’elenco aggiornato dei positivi al virus.

“una banca dati COVID-19, nella quale possa essere accessibile, con le dovute cautele, l’elenco dei soggetti contagiati o potenzialmente contagiati, articolato secondo le ASL di competenza, su tutto il territorio nazionale”.

Le cause

I due avvocati si fanno portavoce di una esigenza popolare: la percezione dal pericolo indotto da positivi sprovveduti che infrangono i dettami ministeriali rischiando così di espandere il contagio con la complicità involontaria di chi, inconsapevolmente, interagisce con essi.

Il periodo del contagio è una emergenza reale e dare a tutti la possibilità di essere coscienti del contesto in cui ci si muove, è un gesto civile volto al benessere comune.

Si legge infatti nella lettera

“Immaginiamo che un soggetto possa avere avuto contatti con una persona affetta dal COVID-19, che ella si sia ammalata, ma abbia omesso di informare (anche per mera dimenticanza) tutti coloro che abbiano avuto con lui contatti diretti, e nessuno del personale medico o paramedico lo abbia fatto, nell’ambito delle indagini susseguenti. Tutte le relazioni interumane, come noto, sono fonte di potenziale contagio. Essere ignari rende la cosa di una certa gravità”.

Essere ignari rende la cosa di una certa gravità.

Ovviamente molte persone riconosciute positive, spinte da giusta civiltà, si sono preoccupate di informare i conoscenti in modo da spingerli naturalmente verso maggiore attenzione.

Antefatto.

Alcune di esse, però, per dimenticanza o malafede non lo hanno fatto.

A questo proposito viene preso ad esempio il noto caso avvenuto presso il comune di  Santa Marinella (ROMA) ove un soggetto positivo e in quarantena ha informato del contagio dopo più di 10 giorni un amico che aveva incontrato e sicuramente contagiato,.

“Il soggetto positivo e in quarantena ha diffuso per caso l’informazione all’altro (di essere positivo al coronavirus) soltanto nella tarda serata dell’8 marzo u.s., durante una telefonata di cortesia, fatta per altri motivi. Alla domanda: da quanto lo sapevi? Egli ha risposto: dal 26 febbraio u.s., appena 4 giorni dopo l’incontro, ma 16 dal dies a quo”.

Ciò vuol dire che l’amico avrà sua volta rischiato di contagiare decine di persone incontrate durante quel periodo.

Se l’amico avesse potuto avere accesso a una lista dei contagiati, avrebbe potuto verificare tempestivamente a sua volta il proprio stato di salute.

Estremi giuridici

La decisione è molto delicata e richiede una riflessione attenta.

Si potrebbe dire, leggendo la lettera, che la creazione di una lista pubblica di contagiati non potrebbe essere accettabile per via della legge sulla privacy.

L’avvocato Caristi, esperto dell’argomento, assieme al collega Savasta sottolineano come L’art. 9, lettera I), del Regolamento UE 679/16 consenta che i dati personali dei cittadini vengano trattati  e comunicati in caso di “motivi di interesse pubblico nel settore della sanità pubblica quali la protezione da gravi minacce per la salute”. 

L’intento di questa proposta, si legge nella lettera, è 

“Contribuire al contenimento del contagio, in qualunque modo o forma”.

Conclusione

La lettera di conclude con la dichiarazione di vantaggio dell’operazione

“La banca dati-COVID 19, a nostro giudizio, solleciterebbe già di per sé, comportamenti virtuosi andando nella direzione di un rafforzamento delle responsabilità personali e approdando, in definitiva, alla vie auspicate dall’O.M.S.: estensione dei monitoraggi e prevenzione generale.

In questo senso, essa potrebbe inoltre costituire un valido ausilio a livello territoriale per monitorare il mancato rispetto dei divieti imposti alle persone sospette o malate in quarantena nonché, in ultimo, per monitorare i soggetti guariti, per via del potenziale riaffacciarsi del virus (ove lo stato della tecnica non escluda con certezza la recidiva)”.

Pro e contro

Purtroppo l’istituzione di una lista di questo genere ha tanti pro quanti contro:

Se da un punto di vista giuridico non fa una piega, dal punto di vista sociologico potrebbe riservare dei problemi.

Volendo fare una prima lista di pro e contro vengono fuori le seguenti idee

pro: 

  • chi ha contrato il virus non dovrà preoccuparsi di avvisare tutte le persone con cui è entrato in contatto.
  • Con l’esistenza della lista nessuno potrà seguire comportamenti irresponsabili.
  • Sapere esattamente chi ha il virus e chi no, stronca le dicerie da pianerottolo.
  • Controllo di eventuali recidivi.
  • Ausilio nel monitoraggio dei divieti.

Contro:

  • una lista del genere potrebbe generare una sorta di odio sociale all’interno della comunità generando oltre alle consigliate e doverose cautele della quarantena una ulteriore ostilità che peggiorerebbe la vita della comunità.
  • Un ulteriore sforzo burocratico su un sistema già saturo: l’elenco dei contagiati, dovrebbe essere costantemente aggiornato inserendo i nuovi contagiati e togliendo i guariti o i deceduti
  • Il panico nella gestione di eventuali errori.
  • Rischio di una moderna caccia all’untore.
  • Precedente che distruggerebbe irrimediabilmente la già debole garanzia di privacy.

E chi legge è pro o contro e perché?

 




sdidatticamente parlando e non solo

Prendo spunto dall’articolo che abbiamo pubblicato qualche giorno fa, sdidatticamente parlando… ovviamente a distanza, della nostra cronista Antonella Ferrari professoressa in una secondaria di primo grado per fare alcune riflessioni con la calma necessaria.

La didattica digitale ha dimostrato chiaramente che non eravamo preparati, inutile alzare muri di orgoglio nazionale o locale, non lo eravamo ed ancora non lo siamo.

Il Paese non era preparato, le infrastrutture sono comunque non all’altezza, in alcuni territori non esiste fibra ottica, le connessioni non reggono, il wifi è scarso, le linee telefoniche sono inadeguate, in altre zone invece tutto bene tutto funziona.

In alcune zone esistono scuole che da anni hanno sperimentato sistemi di didattica digitale in altre è già bello se ci sono i computer o i tablet, alcune scuole hanno avuto i soldi per potersi adeguare altre no, in alcune zone i comuni e le regioni o provincie hanno fatto investimenti in altre no.

Ci sono professori che sanno di cosa parlano altri no, ci sono i maghetti superfighi e quelli che “ma manco se me pagano”, ci sono professori che sanno cos’è edmondo e professori che pensano che sia un attore argentino (che peraltro è un nome di origine anglosassone).

Non fraintendetemi, hanno ragione i professori, nessuno gli aveva detto prima che dovevano imparare perfettamente la didattica digitale  e le piattaforme collegate, nessuno ha impostato un progetto nazionale di trasformazione della didattica verso un impianto digitale.

Non mi dite che non è vero perché altrimenti non saremmo in questa situazione, al limite se c’era è clamorosamente fallito, alla prova dei fatti.

Nemmeno le scuole hanno avuto negli anni i soldi per poter avviare progetti in tal senso (alcune si ma molto poche) e non parlatemi dei PON, perché con quelli si sono utilizzati soldi per i progetti più disparati ma a pioggia e senza costrutto nazionale.

Un progetto di didattica nazionale a distanza, non la giungla che troviamo adesso, richiede alcuni elementi minimi:

la scelta di una piattaforma di riferimento (assurdamente il ministero ne ha consigliate tre o quattro)

un processo organizzativo uguale per tutti (oggi i professori sono tutti volontari)

la formazione dei docenti sulle tecnologie (mai avvenuta se non per volontà del singolo)

la riscrittura del patrimonio didattico in chiave digitale (i set informativi digitali non sono la stessa cosa di quelli utilizzati per la didattica frontale)

Nessuno di questi punti è presente oggi.

La didattica digitale non è mandare i pdf via skype o fare la lezione frontale tradizionale in video conferenza, queste sono grandi falsi ideologici, al limite strumenti dell’emergenza, ma non servono nemmeno come palliativo alla mancanza della scuola intesa come dimensione educante.

La Scuola è una dimensione insostituibile perché contiene un elemento che il virtuale non può sostituire contiene la gestione relazionale uno a molti, dimensione che non può essere demandata ad uno switch di videocamera.

Non solo, la Scuola contiene moltitudini, comportamenti, autonomie, responsabilità, immediatezza, praticità, contatto, che nessun mondo virtuale può sostituire.

Ma anche comprendendo l’emergenza, non possiamo perdere questo punto di vista, che riporta la scuola oggi al centro più che mai nella formazione delle nuove generazioni.

Nonostante tutto la didattica a distanza oggi è l’unica soluzione per cercare di mantenere legati gli alunni alla scuola.

Ma non ha funzionato benissimo, molti alunni sono persi e molti altri sono avatar del loro genitori, che sono stati buttati nel pozzo del digitale.

Quindi abbiamo scuole e didattiche a strati, chi riesce benissimo, chi riesce benino, chi non ci riesce, chi attua forme di trasferimento pdf, chi invia compiti via sms.

Questa è la tragedia vera come Stato, non stiamo dando a tutti i ragazzi le stesse opportunità.

Chi ha il professore maghetto o la scuola attrezzata usa piattaforme fantascientifiche, chi invece no deve stampare i compiti pdf che riceve, fotografarli e mandarli via telegram al docente.

Non è colpa di nessuno (magari invece sì), ma la situazione è questa.

La stessa idea del bonus docenti, che si e rivelata anch’essa fallimentare, poteva essere veicolata verso un progetto serio di didattica innovativa dando i soldi alle scuole con indicazioni chiare.

Situazione che inevitabilmente sta allontanando i genitori dalla scuola, perché cari professori, i genitori non fanno il mestiere di professori, sono a casa e devono seguire i loro ragazzi, vero, ma magari devono anche lavorare al computer, fare la cena ed il pranzo, gestire una situazione che spaventa un poco tutti.

Non pensate che il vostro mestiere sia mandare quintali di compiti o di videolezioni con l’idea che tanto sono a casa, probabilmente oggi serve più un contatto umano, qualche domanda simpatica in video, di certo non è utile esasperare i genitori, perché alla fine temo che l’esame di fine anno lo dovrete fare a loro.

Ritengo che questo momento del paese abbia alcune considerazioni fondamentali da tenere come punti fermi:

abbiamo bloccato in casa famiglie intere che prima si vedevano tre, quattro ore al giorno.

c’è una pressione psicologica dei mass media, giustificata dall’emergenza, ma che non può essere sottovalutata.

stiamo costringendo gli individui a vivere in pochi metri quadri, la frase leone in gabbia dovrebbe farci pensare.

la paura è un compagno continuo del popolo, ed un popolo che ha paura non sempre è razionale.

Tutto questo è dentro nella rabbia dei genitori che ulteriormente esplode quando non riescono a capire cosa fare per i loro figli.

Analizziamo inoltre un pochino il fine anno.

I sistemi on line che si stanno utilizzando non possono permettere una valutazione effettiva dei risultati in quanto non sono certificati, quindi quest’anno sarà impossibile valutare gli alunni sull’ultimo quadrimestre, forse è opportuno pensare di cristallizzare i risultati al primo ed avviare corsi intensivi a settembre per tutti.

Sarà obbligatorio il sei politico, perché qualsiasi bravo avvocato in questa situazione sarà in grado di far riammettere qualsiasi bocciato.

Ma soprattutto a settembre, speriamo, la scuola dovrà riaccogliere i suoi pulcini spaventati, sbandati e sicuramente un poco più ignoranti di prima e ridare la sensazione di essere parte di un paese vero, non virtuale, sicuro non infetto, dovrà garantire alle famiglie che ci sarà ancora un futuro per tutti.

La scuola avrà, come sempre, un ruolo importantissimo.

E forse finalmente avremo capito che dobbiamo cambiare come popolo, dobbiamo capire meglio chi siamo e con chi siamo, gli errori fatti nel passato, le quantità pazzesche di soldi buttati dalla finestra e riavviare progetti in linea con il futuro, che, come abbiamo visto, non è mai certo.

Quando usciremo da questa crisi non saremo più gli stessi, non avremo più lo stesso benessere, non avremo più la stessa fiducia, quasi spavalda, dei nostri mezzi, ma certamente saremo più italiani di prima, e questo è sicuramente un grande vantaggio.

 

 




Piano Marshall oggi più che mai!!

Ci vuole un Nuovo Piano Marshall a trazione europea.

Il Piano di aiuti di 12 miliardi di dollari che nel 1947 fu varato dagli Stati Uniti in soccorso dell’Europa distrutta dalla guerra molti di noi ricordano di averlo studiato come Piano Marshall (nella foto George Marshall, segretario di stato americano da cui prese il nome il piano di aiuti per l’Europa).

Marshall nel suo discorso di avvio del piano disse che: ” l’Europa avrebbe avuto bisogno, almeno per altri 3-4 anni, di ingenti aiuti da parte statunitense e che, senza di essi, la gran parte del vecchio continente avrebbe conosciuto un gravissimo deterioramento delle condizioni politiche, economiche e sociali”

In realtà, il vero nome del programma di aiuti suona oggi profetico: European Recovery Program.

Una definizione che fa rima con le tante formule che in questi giorni sentiamo snocciolare da politici ed economisti in ambito domestico ed europeo.

L’European Recovery Program erogò alla sola Italia, nei tre bienni successivi, la cifra astronomica, per i tempi, di circa un miliardo e duecento milioni di dollari di aiuti.

Ai valori di oggi ammonterebbe ad un piano di circa 10 miliardi di dollari, solo per l’Italia.

L’iniziativa non aveva finalità solidali.

Gli Usa volevano garantire la ricostruzione dell’Europa sotto la propria egida e ricostruire rapidamente un mercato di sbocco strategico per le proprie merci.

Al di là della complessa analisi e revisione storica devono interessare i tre perni dell’iniziativa: la gratuità, la tempestività e la dimensione dell’intervento varato.

Gli effetti non furono immediatamente evidenti in termini di crescita del Pil, ma l’intervento ebbe una straordinaria capacità, quella di conferire fiducia ai consumatori e di dare nuovo impulso alla propensione al consumo.

È proprio la propensione al consumo la variabile da emancipare nei momenti di recessione.

In un’economia recessiva gli aiuti rischiano di venire tesaurizzati, ovvero convertiti in riaparmi e non in spesa, da famiglie ed imprese e non immesse appunto nel circuito dei consumi e quindi del reddito.

È questo il limite della politica europea in dibattito in questi giorni.

L’iniezione di liquidità annunciato dalla Bce dovrà essere ampliato e non essere assistito da clausole contrattuali capestro.

Purtroppo, la politica del governo si sta muovendo all’interno della strategia già condivisa in sede europea e imperniata intorno alla messa in opera del Meccanismo Europeo di Stabilità (Mes, Esm in inglese).

Il MES è un’entità intergovernativa, istituita nel 2012, con lo scopo di proteggere il sistema economico e garantire un agevole accesso al credito a disposizione dei paesi dell’Unione Europa in condizioni di difficoltà finanziaria.

Il Mes, istituito come fondo, è venuto ad assumere, ben presto, la forma di organizzazione intergovernativa con la possibilità di esercitare il potere di imporre scelte di politica economica ai paesi aderenti.

Tra gli strumenti di intervento il Mes ci sono l’emissione di prestiti per assistere i paesi in difficoltà e l’acquisto di titoli sul mercato primario.

Non solo buone notizie, tuttavia.

Il Mes, infatti, impone nei confronti del paese per il quale sono stati decisi interventi di sostegno, programmi di correzione macroeconomica e sanzioni fino a sospendere i diritti di voto del paese stesso in caso di ritardi nei tempi di rimborso degli aiuti ricevuti

Un paese in difficoltà che avesse aderito alle misure previste dal Mes potrebbe vedersi imposti provvedimenti draconiani per il riequilibrio dei conti pubblici, quindi imposte patrimoniali, tagli verticali ed orizzontali alla spesa pubblica, tagli a pensioni ed a stipendi pubblici.

È evidente che la partita deve giocarsi sul rispetto della sovranità del nostro paese che è e che resta un paese solido e per questo appetibile.

L’Italia, infatti, ha un sistema privato molto forte scarsamente indebitato e molto patrimonializzato, caratteristiche alle quali Francia e Germania non possono ambire.

La votazione sul Mes era in agenda a fine Aprile, ma di colpo lo avevamo ritrovato nell’ordine del giorno della riunione di Bruxelles del 16 marzo.

Misteriosamente derubricato nelle “varie ed eventuali” nelle recenti ore ne è stata rilanciata l’importanza dal Premier Conte in un’intervista rilasciata al Financial Times.

È evidente che il Governo vuole arrivare quanto prima ad una ratifica definitiva del Mes, alla quale Germania e Francia hanno, probabilmente, subordinato il varo della liquidità immessa sul mercato.

Il mondo è entrato in una profonda recessione aggravata dallo scoppio di una crisi pandemica e sanitaria senza precedenti.

La ricetta economica deve fare leva su un nuovo Piano Marshall capace di immettere risorse aggiuntive a difesa di lavoro, salari, pensioni ed imprese.

Un programma di aiuti per l’Italia e per gli altri paesi che miri a infondere fiducia verso il futuro e voglia di consumare.

Soluzioni politicanti, volte a dare con un mano e a prendere il doppio con l’altra, non soltanto lasceranno il paese alla deriva economica e sociale, ma allontaneranno, per sempre, la Politica dal paese reale.

 

 




Sdidatticamente parlando… ovviamente a distanza.

Didattica a distanza?!? Ma, per favore, non prendiamo in giro…

Premesso che sono nella scuola da 30 anni e che sono pure bergamasca, aggravante di questi tempi, lasciatemi dire perché la didattica a distanza non funziona, e men che meno, non funzionano le prime indicazioni operative del Miur.

Sul piano normativo, i sindacati (tutti, incredibilmente concordi) chiedono l’immediato ritiro della circolare, sottolineando che in questo momento straordinario in cui il Governo ha decretato la sospensione delle attività didattiche, l’attivazione della didattica a distanza non può limitarsi a replicare contenuti e modalità tipiche di una situazione di normalità”.

Io, mi limito a dire che non è menzionato, nel contratto nazionale, il fatto che io debba firmare il registro elettronico, men che meno, se non entro, materialmente, in classe.
Non tutti i miei alunni sono provvisti di connessione valida per la didattica a distanza.
L’adesione degli alunni è volontaria, il loro patto formativo non prevede attività a distanza e valutazioni a distanza obbligatorie.

Le valutazioni fatte al di fuori dall’aula scolastica ed in orari in cui non è prevista didattica sono illegali, come lo certificano innumerevoli sentenze del TAR.

E poi, la privacy, dove la mettiamo? L’impiego di video lezioni o comunque di strumenti che facciano uso dell’immagine fisica del docente e dei suoi studenti, non rispettano la privacy.

Se gli studenti, attraverso i genitori, possono fornire delle liberatorie in merito all’uso di immagini e filmati, come fa, invece, un docente a garantire la propria privacy? Come fa un docente ad essere certo che, mentre sta svolgendo una video lezione, non venga filmato da qualcuno e che questo video non finisca pure su you tube?

E poi, lasciando fare ai sindacati la loro parte, sul piano dell’esperienza, la didattica a distanza esaspera due mali della scuola italiana: il protagonismo ed il parassitismo.

Dal momento in cui hanno sospeso le lezioni, alcuni di noi si sono fiondati in una gara di competenze tecnologiche digitali trascinando con sé gli alunni e le loro famiglie in un vortice infernale di link, password, piattaforme digitali ed allegati virtuali.

Altri, dall’oggi al domani, sono spariti, su quel treno che li ha riportati a casa, oppure si sono defilati con la scusa dei problemi di connessione, o, magari, si sono dimenticati di essere gli animatori digitali tanto invocati dalla scuola che si fingeva d’avanguardia…

Ma, c’è anche chi, come la sottoscritta, in coscienza, sa di non appartenere a nessuna delle due categorie precedenti. Non mi sento né protagonista, né parassita.

Non mi sento più niente. Questa scuola non mi appartiene.
Per me, la didattica a distanza è una fatica immane.

Io da sempre vivo (e non semplicemente faccio) una didattica in presenza, una didattica di relazione e non di prestazione.

Io non offro un prodotto, ma stimolo un processo.

Io, quando entro in classe, scendo in campo. E la lezione reale è un gioco di squadra, per tutti.

La didattica digitale non è così, è altamente esclusiva. Sia per i docenti che per i discenti.
Lo sperimento ogni giorno.

Più il tempo passa più ci stiamo perdendo, tra di noi, docenti, ma, soprattutto perdiamo i nostri studenti.

È una catastrofe.

Non parlo della mancata presa visione dei compiti da parte delle famiglie.

Non parlo delle difficoltà nell’invio degli elaborati agli insegnanti.

Ci può stare…
Parlo dell’assurda pretesa di valutare i risultati dei nostri alunni, perché, ditemi voi, che senso ha valutare dei compiti svolti a distanza, senza nessun controllo?!?

Che senso ha chiedere loro delle competenze strumentali da nativi digitali che primo non esistono, e qualora ci fossero, confermano la mancanza di giudizio critico, di capacità di riflessione, di formulazione di ipotesi?

(Manco sanno costruirti una mappa concettuale in presenza, figurati on line?!?)

Lasciamo stare poi, i programmi, o meglio la programmazione didattica, come dicono loro, quelli del Miur.

La programmazione didattica va rimodulata, ci suggeriscono…

Bene, la programmazione didattica è saltata in aria, vi dico io, come le nostre vite.

Se mai, per grazia di Dio, dovessimo ritornare a scuola, giusto in tempo per fare gli esami, non penso proprio che chiederò ai miei alunni di parlarmi di un argomento di civiltà…

Perché la scuola è altro.

È il luogo dello stare.

Dove devono stare i ragazzi per imparare.

E’ il luogo dell’emozione e della relazione.

Dove si apprende insieme, costruendo la lezione non per gli alunni, ma con gli alunni.

La scuola è cura, è luogo di accoglienza, di incontro, di costruzione del sapere.

È un luogo pubblico in più. Gratuito o quasi.

È il LUOGO per eccellenza a fronte di tanti NON LUOGHI.

E poi, come se non bastasse tutto questo, guardiamo i fatti.

Cosa sta succedendo in questi giorni di lezioni on line e di classroom?

Spariscono gli alunni.

La didattica a distanza uccide la scuola, perché incrementa il suo abbandono.

Con le lezioni virtuali perdiamo gli studenti più fragili, quelli meno motivati, spesso già trascurati in famiglia.

Da che non sono più entrata in classe, di almeno 20, anche 25 studenti, io ho perso traccia.

E non parlo solo di stranieri, anche di ragazzi seguiti dai servizi sociali, di ragazzi borderline per gli addetti ai lavori… 25 alunni persi, scomparsi.

Il 10- 15% sul totale delle mie classi.
E mi direte voi… chi se ne frega!

E no! È il mio mandato istituzionale tenerli a scuola!

Non funziona così!

Ti mando i compiti.

Magari! Non funziona.
Non si tratta di compiti, fosse solo quello il problema!

E comunque chi ho perso: fra i tanti deboli, quelli ancora più deboli, per mille motivi; famiglia assente, nessun controllo, nessun strumento digitale, niente soldi per i giga, niente supporto di educatori comunali…

DSA, BES, stranieri, tutti quelli che arrancavano ora si sono persi.

Ed io con loro.

Ed allora, alla sera, quando non dormo, penso all’immunità di gregge, quella della scuola italiana del 2020, quella che vogliono quelli del ministero, quando ci parlano di didattica a distanza.

A loro, proprio a loro, vorrei dire “non vantatevi più tanto delle vostre scuole super tecnologiche, che tanto in Italia, non esistono.

Non inventate dei sondaggi docimologici per farci credere che siamo tutti bravi.

Voi che pensate di aprire le danze e di trovare noi che balliamo a tempo…

Io non ci sto, io continuo a pensare a chi resta indietro. A chi arranca, a chi brancola nel buio”.

Forse perché, mai come in questi giorni, mi sento una di loro…