LA “MUSICA” ALLA RADIO: SCELTA O IMPOSIZIONE?

LA MUSICA ALLA RADIO: SCELTA O IMPOSIZIONE?

C’è stato un tempo in cui scegliere la musica era possibile.

Un tempo in cui le emittenti radiofoniche trasmettevano i talenti, gli artisti, quelli veri che con semplicità raggiungevano gli ascoltatori.

Le canzoni piacevano oppure no, gli artisti avevano il giusto successo oppure sparivano dalle scene.

Tutto questo oggi non ha più senso.

Ognuno di noi ha programmato nello stereo in auto, nel pc in ufficio, nel Hi-Fi Dolby Surround a casa almeno 6 o 7 stazioni radio appartenenti a network radiofonici a diffusione nazionale più che conosciuti: Radio 105, Radio Capital, Radio 24, Radio Deejay, R 101, Radio Dimensione Suono, RTL 102,5, Radio 24 e, per i più “Rock”, la mitica Virgin!

Sono innumerevoli e popolari pure i network più locali che hanno una programmazione di base legata al territorio e dove a volte la professionalità degli speakers è più legata all’idioma che alla cultura musicale.

Partendo da un’ipotesi (assunto per chi scrive; n.d.a.) che la cultura musicale oggi in Italia sia frutto di un assillante procedimento di desensibilizzazione da parte dei Media, la Televisione in primis (vedasi anche: http://betapress.it/index.php/2016/09/09/x-factor-x-rock/) e la Radio poi, ho deciso di esaminare qualche giorno fa i palinsesti di alcune emittenti nazionali.

Quale migliore occasione dell’autostrada nel tragitto Ancona-Milano?

Ho sintonizzato i 16 canali dello stereo ed ho cominciato la mia analisi. Pubblicità a parte, che ho notato essere praticamente concomitante a tutte le stazioni, ho contato circa una sessantina di canzoni in onda nell’arco di poco più di tre ore, di queste una decina erano presenti a ripetizione in ogni singola emittente.

Ad un orecchio poco “allenato” queste dinamiche possono sfuggire ma con un pizzico di pazienza ed attenzione ci si rende conto dell’imposizione cui siamo indotti.

Non voglio assolutamente inoltrarmi in discussioni sterili circa le “opere” di artisti nostrani “pluri-decorati”: Rockers, Poppers e Sweeters. Ho colto fin troppo bene negli anni il sistema imbarazzante che gira attorno agli “attempati talenti” che con i passaggi radio e le fastidiose interviste promuovono il lavoro del momento, credo inoltre sia chiaramente visibile a tutti la condizione di mesmerizzazione in cui versano e con cui vengono tenuti costantemente in vita dalle rispettive Label .(Il mesmerismo  è una terapia, non riconosciuta ufficialmente, per malattie o disfunzioni, basata sulle teorie di Franz Anton Mesmer, medico tedesco del Settecento, che prevedeva di curare i pazienti con elettro-calamite. NDR).

Voglio invece puntare il dito sulle solite canzonette all’ultima moda udite durante il mio viaggio: canzonette legate a personaggi che di talentuoso hanno ben poco e soprattutto il dito (medio; n.d.a.) lo voglio puntare verso i contorti e distorti meccanismi discografici e radiofonici.

Siamo in un regime totalitario dove il singolo ascolto è finalizzato esclusivamente ad una mera questione economica, prerogativa di chi produce e commercializza musica, senza nessuna regola e senza proposizione alcuna.

Profetica la frase nel pezzo del 1992 “Atti Osceni” dei Timoria (una delle mie band preferite; n.d.a.) in cui Francesco Renga confessava: “…spacci musica e lo fai pure bene (…)”.

Vorrei rivolgere anche al lettore incuriosito alcune domande che mi sono posto: “…perché si sentono in radio sempre le stesse cose? Perché i nomi del mondo della musica e dello spettacolo sono quasi sempre gli stessi? Perché ci sono artisti che hanno tanta visibilità pur non meritandosela? Perché artisti che offrono proposte di effettiva qualità hanno difficoltà a trovare spazio?

La risposta è arrivata da un caro amico discografico: “Music Control”! Music Control è il mezzo di rilevazione dei passaggi radiofonici (l’esatto meccanismo è alquanto complesso per cui non mi dilungherò nella spiegazione tecnica) il cui scopo è quello di conoscere l’effettiva airplay di un brano sul territorio nazionale.

Da qui nasce la classifica dei brani più ascoltati, della permanenza di un artista nella hit etc. Stesso discorso vale per la promozione: la presenza di un artista in Music control garantisce la diffusione totale di un prodotto nella radiofonia nazionale e condiziona notevolmente gli altri media, soprattutto giornali che scrivono dei soliti noti ed emittenti televisive che invitano sempre gli stessi artisti.

Music Control è lo strumento attraverso cui le Majors riescono ad influenzare i Network Radiofonici e viceversa.

I Direttori Artistici delle radio, unici veri signori e padroni del palinsesto, oggi sono in grado di “barattare” con le case discografiche loro “brani da far passare” a vantaggio di “investimenti sulle proprie frequenze”.

Si entra così in una spirale pericolosa che sintetizzo: scarsa qualità musicale proposta – competizione tra artisti più e meno brillanti inesistente o finta (il programma “Amici” della De Filippi ne è un esempio) – omologazione globale – GAME OVER!

E la ricetta? Difficile combattere contro questi meccanismi ben oliati! Troppi interessi, troppi legami indissolubili, troppa falsità, non c’è una ricetta!

Ma possiamo e dobbiamo iniziare ad educarci (innanzitutto noi!) e ad educare soprattutto le giovani generazioni, dobbiamo favorire la crescita di sensibilità verso la Musica con la “M” maiuscola!

Dobbiamo favorire l’ascolto di programmi in emittenti con amplia cultura musicale e possibilmente fuori dagli sporchi giochi del business dei Network, dobbiamo tornare ai Concerti ed ai Festival dove artisti propongono la loro musica, dobbiamo favorire pure i social e la rete: quest’ultima entrata prepotentemente nella filiera della discografia.

Dobbiamo in sintesi conoscere e far conoscere la vera arte!

Quella che non muore mai quella che non è mai morta.

Ah, a proposito di arte, notiamo: se per caso qualcuno di voi NON conosce “Another Brick In The Wall”… scagli la prima pietra!
PERTH

radio-1

libera la radio che c'è in te
libera la radio che c’è in te




Cercasi Buona Scuola: chi l’ha vista chiami subito in redazione.

La Buona Scuola, di renziana impostazione, è miseramente fallita solo dopo pochi mesi dalla sua gestazione.

Il caos di questi giorni nelle chiamate dirette e nelle graduatorie post concorsi indica, con forza, come sia importante conoscere ciò che si tocca.

Il che non scusa il fatto che la scuola italiana sia una nave che naviga a vista da molto tempo, con reiterati errori e covo di incompetenze sopratutto dal lato ministeriale, e probabilmente dalla riforma del 1962 non è più stata in grado di adattarsi alla nuova corrente educativa che lei stessa si era data.

L’errore di base che grava sulla scuola italiana è la mancanza di un modello organizzativo legato a processi e funzioni ben definiti; basta vedere il caos scaturito con il concorsone che muoverà ricorsi per i prossimi decenni e causerà instabilità nei percorsi professionali di molti docenti, ma sopratutto che ha dimostrato di non saper valutare nessuno.

La legge 107 ha raffazzonato una serie di idee (a volte anche valide) buttandole in un calderone che non ha dato indicazioni precise e funzionali, ma come al solito ha lasciato spazi interpretativi assurdi.

Sono stati assunti migliaia di docenti spesso non preparati a fare i docenti, in barba a quei professori che invece hanno consolidate professionalità, è stato fatto un concorsone che non ha saputo valutare correttamente nessuno, il bonus docenti non ha centrato l’obiettivo di creare un modello di valutazione dei docenti, i dirigenti scolastici non hanno avuto nessuna possibilità di scegliere in quanto già tutti i posti sono stati gestiti dagli usr su incarico del miur che hanno posizionato le figure che voleva il miur, non certo quelle che servivano alle scuole, l’alternanza scuola lavoro ha fatto una grave commistione tra didattica e professione senza una vera guida, tutte cose che hanno generato caos.

Il ridicolo: viene fatto un concorso senza i posti da assegnare, la partenza dell’anno scolastico ha generato più insicurezze nei docenti di quanto nessuna riforma abbia mai fatto negli ultimi quarant’anni, ogni usr manda alle scuole comunicazioni differenti…

Non è questione di difendere i docenti che se sono bravi si difendono benissimo con il loro lavoro, è questione di dignità, dignità della persona, dignità della professione, non solo dei docenti ma anche del personale di segreteria che si è trovato catapultato in un caos di incombenze amministrative nuove, mal spiegate e sopratutto non chiare.

Insomma la buona scuola è riuscita a mettere nel caos tutti, lo stesso sottosegretario Faraone ha ammesso, a denti stretti, che qualche “piccolo” inconveniente c’era, PICCOLO, ahahah, eufemismo politico.

Inutile in queste poche righe riassumere i tanti fatti clamorosi di incapacità dimostrata dalla buona scuola, ed in particolare di come anche l’organico dell’autonomia si sia dimostrato solo utile a posizionare i tanti assunti “inutilmente” nella scuola.

In ogni caso la Ministra si dice soddisfatta “nella consapevolezza di una macchina complessa”.

Ma chi deve essere soddisfatto, la ministra o gli operatori della scuola che devono poter lavorare con la massima tranquillità?

Ma gli esponenti dei lavoratori della scuola affermano: “Mobilità nazionale, concorso disarticolato dalle reali necessità in termini di cattedre, dirigenti scolastici imbarazzati nella mansione di selezionatore del personale… la Buona Scuola mostra tutta la sua fragilità all’inizio dell’anno scolastico...” così interviene Nicola Iannalfo, esponente di spicco del Comitato Docenti Precari ” L’idea centrale di raccordare la scuola al sistema lavorativo sta generando vulnus organizzativi per quanto attiene l’alternanza scuola-lavoro. I nodi da sciogliere sono molti e c’è da scommettere che le prossime settimane offriranno motivo di scontro tra le parti sociali e il ministero. Il Ministro annuncia un nuovo ciclo TFA… non sarebbe opportuno sistemare il pregresso piuttosto che congestionare ulteriormente le graduatorie di istituto? Lo scopriremo solo vivendo…”

In ogni caso siamo contenti che la ministra sia contenta…

 

 

i casi strani della legge 107

i casi strani segue

i tappi del miur




X FACTOR o X ROCK?

X FACTOR o X ROCK?
Ho avuto modo di assistere (in prima fila) al Concerto degli Afterhours, il 06 agosto scorso, durante la data trevigiana del tour “Folfiri o Folfox”, dall omonimo album (undicesimo della band capitanata da Manuel Agnelli).

Sono passati più di vent’anni dall’ultimo concerto che vidi degli Afterhours, per lo più per impegni e sfortunate coincidenze. L’album in promozione era “Germi” ed io, allora giovane universitario amante del Hard Rock degli States, avevo trovato in questa band “indie” milanese una valida alternativa “nostrana” agli idoli d’oltreoceano.

Con i Timoria di Pedrini/Renga, i primi Litfiba di Pelù/Renzulli ed i Karma di Moretti-Juan Mordecai/Viti (quest’ultimo divenuto poi per un decennio bassista proprio degli Afterhours), ho amato (ed amo tuttora! N.d.a.) la premiata ditta “Agnelli & Co”, l’unica tra le sopracitate peraltro ad arrivare ai giorni nostri!

Ora, chi è “abbonato” alle profezie letterario-musicali di Manuel, troverà abbastanza famigliari e neanche in modo troppo velato, citazioni sulla “musica spazzatura”.

Ma allora che ci fa Manuel Agnelli sulla cattedra di X Factor?

Che ci fa il leader di una delle rock band italiane più importante degli ultimi vent’anni, capace di superare le generazioni e che ancora oggi sa conquistare i ragazzi come faceva negli Anni Novanta accanto a Fedez, Arisa e (mi sono dovuto informare su quest’ultimo) Alvaro Solar?

Pur rispettando chiunque decida di avvelenare il proprio palato musicale con i Talent, personalmente ho sempre rifiutato la visione di programmi come “Amici”, “X Factor” e pure “Italia’s Got Talent”.

Penserete che chi scrive è un nazi-rocker o un grunger nostalgico ultra quarantenne.

Nulla di tutto ciò! Mi fa male!

Puro e lancinante dolore fisico!

Innanzitutto per le giovani “scimmiette” che si esibiscono credendo al successo.

E poi perché ritengo un peccato mortale rendere pubblico attraverso il piccolo schermo l’immorale scempio della regina delle arti.

Di musica il mitico Red Ronnie se ne intende un bel po’, in una sua intervista per Fanpage pochi mesi or sono esplicitava con parole molto forti e chiare la sua avversione nei confronti del meccanismo dei talent show musicali: <<… il Talent finisce per soffocare la musica e spinge i veri talenti a cambiare mestiere, è solo un business televisivo, le cui prime vittime sono i partecipanti, ragazzi sfruttati e sacrificati sull’altare per 60-70mila copie vendute, e poi “fuori dai coglioni”, che finiscono a firmare autografi nei centri commerciali>>.

Giudici popolari ricchissimi che diventano ancora più popolari e sempre più ricchi! Icone (?) del POP, del R’n’B, del RAP che sfruttano il mezzo principe di comunicazione di massa ed i suoi occulti meccanismi di costruzione di audience per accrescere la propria notorietà.

Altro che amore alla musica ed aiuto ai giovani talenti!

Se Agnelli facesse l’Agnelli degli Afterhours sarebbe puro spettacolo! Voglio fidarmi!

Voglio dar credito alle confessioni rilasciate al magazine Rolling Stone: <<… gli altri tre firmano autografi e stringono le mani e io non so che cazzo fare, nessuno mi caga di quel pubblico lì>>.

Avendo ancora una vecchia “tubo catodico” con decoder esterno mi incollerò al vetro sintonizzando il telecomando su X Factor!

E’ una sfida per me e anche per Manuel!

Riuscirà il nostro eroe ad aiutare i VERI talenti a non essere bruciati dallo show-business?

A mostrare una strada diversa?

A pieni polmoni rimarrò in attesa di una boccata d’aria nuova… e allora che talent show sia!
PERTH

 

x factor o x rock
x factor o x rock




Rampelli vs Cineca – scontro di civiltà?

L’incredibile vicenda della rimozione del Direttore Generale dei sistemi informativi del MIUR, Marco Filisetti, viene ben stigmatizzata dall’interrogazione parlamentare di Fabio Rampelli:

“… la direzione generale per i sistemi informativi del Ministero dell’istruzione, dell’università e della ricerca dovrebbe, a breve, rinnovare il bando per le attività di informatica, per un valore presunto di circa trecento milioni di euro in quattro anni; tra l’altro, il capo della direzione generale dei sistemi informativi del Ministero è stato recentemente trasferito all’ufficio scolastico regionale della regione Marche, con due anni di anticipo rispetto alla scadenza del mandato; alla luce di quanto esposto, il Consorzio Cineca non sembra costituire un soggetto affidabile per la gestione dei servizi informatici e tantomeno per la realizzazione di concorsi…”

Ucci Ucci sento odor di magagnucce…

Perfettamente noto a tutti gli Italiani che al solito si spostano le persone per mettere al loro posto i vari raccomandati, sicuramente più affidabili e “leali” verso il potere, ma quale sia il motivo  vero dell’allontanamento del Direttore Generale Marco Filisetti, ben due anni prima della scadenza del suo mandato e contro la sua volontà, dalla direzione generale dei sistemi informativi del ministero dell’istruzione università e ricerca, non è per nulla chiaro, anzi viene fatto proprio quando lo stesso Filisetti si stava muovendo sia per il nuovo bando per l’appalto dei sistemi informativi sia per i controlli sulle strutture che avrebbero gestito il concorso dei docenti (cineca n.d.r.), ma anche quando Filisetti iniziava a svolgere verifiche riguardo alla “gestione” dell’organico potenziato e di quello dell’autonomia (anche queste attività spesso gestite da cineca).

Sembra opportuno notare che lo stesso Filisetti aveva la responsabilità dell’unità di Audit dei fondi europei che, nel lontano 2011, venne smantellata perchè aveva segnalato qualche “piccola” magagna nella gestione dei fondi stessi. (vedi nostro articolo PON fondi europei)

Perché Filisetti venga poi spostato non è dato da sapere, ne vi sono risposte all’interrogazione parlamentare fatta da Rampelli.

Da notare alcune strane concomitanze ovvero che il ministero dell’istruzione università e ricerca ha posto in essere una serie di gestioni tecniche per la realizzazione delle attività legate ai concorsi tramite il consorzio Cineca, che lo stesso Cineca dispone di personale che lavora per il MIUR senza alcuna definizione di progetto né di contratto, che si avvicina il momento del rinnovo del bando per le attività di informatica del MIUR (valore presunto circa 300 milioni di euro in 4 anni), che non vi sono contratti che definiscano gli impegni di Cineca per le attività realizzate ma solo posizioni di fatto, che vi sono perplessità anche nella stessa corte dei conti che nel suo rapporto Deliberazione 6 ottobre 2015, n. 7/2015/G pone alcune questioni riguardo la gestione di cineca.

 

Insomma Filisetti scomodo al potere forse anche perché come al solito aveva iniziato a guardare dentro all’organico dell’autonomia ed a come viene assegnato.

Ma perché il Cineca è così intoccabile?

ci restano altre domande senza risposta:

Quale è la pianificazione della spesa informatica da parte del miur e le motivazioni che richiedano l’attivazione di ulteriori coperture?

Quale sia lo stato delle società in house che ricevono fondi europei senza bando ed in particolare le relazioni dei revisori dei conti che garantiscono il corretto utilizzo degli stessi, le motivazioni per cui gli stessi non vengono sottoposti a controllo?

Che fine hanno fatto le denunce dell’autorità di Audit del 2011? sepolte?

 

filisetti marco fabio-rampelli cineca

 

 

 

 

 

 

chi tocca cineca muore

 

 

 

 

 

 

Sorgente: 4/12265 : CAMERA – ITER ATTO




Uno sguardo oltre il buio.

“Uno sguardo oltre il buio” è la sintesi di un disco che ci ha colpito: Southland.

Chi come noi conosce da tempo le preferenze musicali di Walter Gatti – giornalista, critico musicale di lunga esperienza, chitarrista – per il suo album di esordio si sarebbe aspettato un bel concentrato di rock sudista, ben sapendo quanto il nostro ami bazzicare questi luoghi musicali ma anche geografici e quanto sia devoto di Lynyrd Skynyrd, fratelli Allman, Marshall Tucker & Co. Scoprendo in anteprima il titolo dell’album Southland, ne abbiamo ricavato un ulteriore, infallibile presagio.

Aggiungiamo pure che trattandosi del primo cd “waltergattiano”, ci sembrava molto difficile che l’autore sarebbe riuscito a sfuggire all’ansia da prestazione virtuosistica, annoverando peraltro tra i sideman (se avete il coraggio di chiamarli così!) musicisti del calibro di Greg Martin, Greg Koch, e addirittura Chris Hicks (The Marshall Tucker Band, Outlaws, Hicks Band & Friends…).

Le nostre convinzioni sono andate in frantumi al primo ascolto.

Niente schitarrate in parallelo, zero assoli travolgenti, date per disperse le citazioni sudiste.

In compenso atmosfere dylaniane, e non solo in All Along The Watchtower, sonorità in libera uscita con sconfinamenti country e brani in italiano.

Otto tracce su dieci con parole e testi dell’autore.

E il Sud allora?

Il Sud c’è, fidatevi. Ma non con i suoi stilemi. Ce n’è un bel po’ di profondo Sud nel “mood” che attraversa le magnifiche canzoni di questo album. Brani che ti si stampano nella mente senza lasciarti “tranquillo”. Melodie che unite ai testi ti scavano dentro ed un dispendio di signori musicisti che oltre ai citati americani aggiungono italianità ad un disco che potrebbe nascere e vivere in Georgia, in Tennessee, in Kentucky. Gazich, Priviero, Costola, Gaffurini, Pavesi, sono nomi che hanno scritto meravigliose pagine della storia musicale in Italia.

Southland è un disco all’insegna dello “slow hand”, della misura, quasi che una volta tanto i silenzi valessero come le note.

E così Gatti ci regala un’epica Your Time, il gospel blueseggiante dell’ingegnosa Lifelong Blues, tanto tanto feeling con Take Me As I Am, brano che faticherete a scrollarvi di dosso, accenti country in Groomy Witness, ma anche l’intenso intimismo nella final track Dove sei.

Un cd all’insegna dello storytelling e delle amicizie che si intuisce dai corposi credits. Ultimo appunto per la voce tagliente, nasale, imperfetta, vissuta di Walter. Che funziona! Come tutto l’album. Walter Gatti, il giornalista e critico, come musicista ha fatto centro al primo colpo “…uno sguardo oltre il buio”!
https://www.facebook.com/southland.vg/

southland walter gatti

 

 

 

 

 
PERTH




IL DIGITALE potrà contribuire ad una Italia migliore

Carissimi lettori,

benvenuti  a questo primo numero  della rubrica dig@ITALIA, l’Italia Digitale,  che affronterà in ottica giuridica, dottrinale e tecnica il mondo complesso della digitalizzazione e degli obiettivi che con essa si intendono raggiungere.

Questa rubrica si pone anche un obiettivo interattivo col lettore affrontando anche argomenti suggeriti da Voi che arriveranno alla nostra redazione.

Il mondo sta cambiando con una velocità “digitale” tutti ostentiamo scenari diversi, si affacciano nuove professionalità e alcune delle quali potranno essere l’arma vincente per affrontare le complessità che si insinuano nel mondo digitale.

Perché nasce questa rubrica.

Perché la digitalizzazione del documento e tutti i processi connessi richiedono conoscenza e professionalità e un confronto costante col mercato e le istituzioni.

Spero, anche col Vostro aiuto, di poter contribuire ad una maggiore conoscenza di questo nuovo mondo e ottenere la convinzione che il digitale non è un mostro da combattere ma una ottima opportunità per migliorare la comunicazione tra Pubblica amministrazione e cittadini, tra fornitori di servizi e utenti, tra una Europa sempre più unita.

Dialogare in questo ampio raggio presuppone anche una conoscenza dei rischi relativi alla protezione dei nostri dati personali  e quelli che costituiscono “il bene aziendale”.

Un messaggio forte in tal senso  arriva anche dall’Unione europea ,grazie alla riforma della protezione dei dati, nel quale viene sancito il diritto fondamentale circa la protezione dei dati. Intanto gli accadimenti recenti sulla violazione dei dati ha diffuso qualche sconcerto ed ha aumentato la sensibilità circa la questione della sicurezza e privacy anche per il fatto che la dematerializzazione dei dati e la conseguente digitalizzazione si sta sempre più diffondendo.

La diffusione dei servizi in outsourcing obbliga le imprese ad alzare il livello di sicurezza per garantire ai propri utenti una risposta adeguata ai loro timori e nell’immediato futuro la sicurezza delle informazioni creerà competizione tra le aziende e la sicurezza delle informazioni sarà sempre di più un argomento che farà la differenza nell’ambito del business.

La normativa  in materia di sicurezza e privacy dei dati oggi è sempre più uno strumento prezioso per consentirci di muoverci nell’era digitale.

La richiesta di servizi digitali in outsourcing obbligano le aziende a rendere sempre più accessibile alle applicazioni interne ai clienti o utilizzatori esterni su soluzioni web.

E’ sempre più in crescita la digitalizzazione  delle informazioni ed a esternalizzare servizi che esulano dal core business aziendale, con la conseguente scelta da parte delle aziende che erogano servizi di investire in sicurezza e mentre da una parte assistiamo ad un incremento di Data Center dedicati dall’altro si tende a prediligere sistemi con tecnologia modulare e virtuale.

Internet  ormai costituisce uno strumento friendly  a livello mondiale che consente  l’accesso a tutti ed è per questo motivo che la trasmissione dei dati è rischiosa soprattutto quando sono particolarmente sensibili.

Nonostante le misure di sicurezza siano elevate, sussiste  sempre la possibilità che i dati vadano persi o vengano intercettati, manipolati da persone non autorizzate o addirittura da delinquenti che si appropriano della nostra identità o delle informazioni di natura personale.

Le problematiche da affrontare sono tante e questo sarà l’obiettivo dei prossimi articoli.

 

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Nostalgia di “Grunge”

Che fine ha fatto Seattle, Patria del Grunge? Una domanda che in molti si stanno ponendo, per lo più quarantenni che hanno vissuto quegli anni ’90 ma anche i figli di quella generazione, la mia generazione. Quello “strano” stile musicale divenuto vero e proprio movimento di massa, riuscendo a coinvolgere intere folle giovanili. Un fenomeno dilagato in Europa prendendo piede anche da noi e riuscendo ad influenzare il panorama rock e a dominare pure il mondo della moda e quello dell’arte. Non a caso la rivista Vogue dedicava la copertina alla nuova moda che avanzava da Seattle, moda giunta fino ai giorni nostri. Osannato anche dal cinema, che con il film “Singles” mostrava attraverso la splendida interpretazione di Matt Dillon tutto il sottobosco culturale da cui traeva origini questo fenomeno, il Grunge ha avuto tra i suoi capostipiti i giovani musicisti di Seattle, Andrei Wood e i suoi Malfunkshun in primis. Pearl Jam, Mother Love Bone, Soundgarden, Alice in Chains, Skin Yard, Coffin Break, Mudhoney sono solo alcune delle bands nate nei garages della cittadina della West Coast ma quando si parla di Grunge a tutti viene in mente il “teen spirit” per eccellenza: Kurt Cobain dei Nirvana. Canzoni come “Smells Like Teen Spirit” sono suonate ancora oggi dalle radio, dalle Tribute Band e pure dalle discoteche condite in salse “techno-mix”. Suicidatosi nella sua villa di Seattle a soli 27 anni (oggi ne avrebbe 49; n.d.a.), Kurt ha interpretato coerentemente fino all’ultimo l’inquietudine e la rabbia gridate in ogni suo pezzo. Le sue ultime righe: “Meglio andarsene con una vampata, che morire giorno dopo giorno (…)” Come i “Mods”, il “Punk” ed altri fenomeni giovanili del passato il Grunge è rimasto oggi nel cuore di pochi irriducibili. D’altronde la nostra è un’epoca dove tutto viene bruciato in pochi attimi e il tempo non risparmia certo gli Stones di Jagger o i Pink Floyd di Gilmour. Anche quelle chitarre incazzate farcite di camicioni felpati, scarpe slacciate e jeans rigorosamente corti, elementi necessari della divisa ordinaria di ogni “grunger” che si rispetti, sono durati poco più di un lustro. Oggi è tutto diverso, oggi si conusmano canzonette propinate dal piccolo schermo in quantità industriali. Oggi i “talent” stanno uccidendo la musica. Oggi il Grunge sarebbe deriso… troppa rabbia da gridare! Chris Cornell, amico di Kurt e leader dei Soundgarden in una storica intervista a Rockstar alla domanda che fine avesse fatto il Grunge, afferma: “…cambiando è già ora di cambiare!”, zittendo così tutti quelli che per capire ciò che accade loro attorno cercano di catalogare ogni cosa, per poterla conoscere o, meglio ancora, usare. Ma per fortuna il Grunge non è stato una bella definizione da vocabolario e come la fine dei Jam di Paul Weller ha portato necessariamente la fine dei Mods, la morte di Kurt ha definitivamente chiuso il capitolo Grunge… thanks teen spirit!

 

Nostalgia di Grunge




Terrorismo quale ideologia del diverso: siamo tutti terroristi

Il terrorismo è un vocabolo abbastanza recente, diciamo che risale a non più di duecento anni or sono, e possiamo identificare la prima organizzazione terrorista della storia con i rivoluzionari francesi del 1790.

Nella Francia della rivoluzione il governo si chiamò proprio Governo del Terrore ed i suoi membri Terroristi.

Solo nel 1937, dalla Società delle Nazioni, arrivò una prima definizione strutturata del fenomeno: “fatti criminali diretti contro lo Stato in cui lo scopo è di provocare terrore nella popolazione o in gruppi di persone.

In realtà fenomeni isolati li possiamo ricondurre anche alla Roma antica (l’assassinio di Cesare) o al periodo rinascimentale, ma al più rappresentavano casi isolati o di piccoli gruppi che avevamo come obiettivo non tanto quello di creare terrore nel popolo, ma piuttosto di sovvertire chi deteneva il potere.

Lo scopo del terrorista è quindi quello di creare terrore nel popolo per sovvertirne le abitudini, per far cadere i normali percorsi ideologici del presente vivere sociale e per sostituirli con iperboliche ed estreme visioni dell’io sociale in un’ottica o di fanatismo religioso o di integralismo politico (a volte entrambi).

Ciò che veramente dovrebbe colpirci oggi è la base su cui solitamente si basa il terrorismo, ovvero un popolo scontento, che spesso copre e sostiene i terroristi stessi.

Avvenne in egual misura durante gli anni di piombo italiani, che terminarono solo quando i terroristi persero l’appoggio delle classi operaie.

Nel mondo moderno le organizzazioni terroristiche sono fortemente radicate e paradossalmente stabili, Sendero Luminoso ad esempio nasce nel 1968, hanno una loro locazione geografica ed un loro logo, conti correnti e finanziatori.

Tutte combattono per cambiare qualcosa, per il popolo, per la fede, tutte hanno dalla loro parte Dio o il Partito, tutte hanno un leader che parla tramite i social media e spesso tutte si trovano in zone geografiche ove il concetto di popolo ancora si identifica con il concetto di tribù, di clan, di famiglia.

Alla base della forza che muove queste organizzazioni c’è una componente che per noi è ormai sbiadita, l’appartenenza.

Nell’appartenenza l’io si ritrova, si sistema, si tranquillizza, si droga di sicurezza: in fondo un parametro religioso di uguaglianza che Marx chiamava oppio dei popoli.

Nella forte appartenenza avviene l’esplosione dell’odio verso il diverso, perchè il diverso può portare dubbi e perplessità, può turbare la tranquillità assoluta dell’uguaglianza.

I diversi nella storia sono stati molti: i Barbari, gli Infedeli, i Mussulmani, I comunisti, i Fascisti, i Gay, gli Italiani, gli stranieri, i Terroni, i Polentoni, gli Extracomunitari, gli Immigrati.

Oggi i veri diversi siamo noi, noi verso noi stessi, siamo il noismo della nostra società.

Abbiamo trasformato i valori di una società in conquiste, in benessere, abbiamo trasformato gli obiettivi di un popolo in un supermercato, in un grande centro sociale che ci da enorme sicurezza perchè in esso troviamo tutto, ci camminiamo la domenica, vediamo tante cose e poi usciamo senza aver comprato nulla…

Questo è il nostro moderno io, un vuoto in scatola.

Siamo certi di avere valori perchè li vediamo nelle confezioni che troviamo sugli scaffali dei media, tra i programmi televisivi, nelle affermazioni estemporanee di vari guru della comunicazione che dicono quello che non pensano, e che, spesso, non pensano ma dicono solo.

I nostri valori oggi viaggiano su fiumi di parole, non su sentieri di sassi, e proprio per questo ci vuole pochissimo perchè affondino nel più assoluto qualunquismo.

Oggi la nostra società ha esternalizzato i suoi valori perchè se guardiamo dentro di noi facciamo fatica a metterci in gioco.

Il terrorismo si combatte con le certezze, con la convinzione che nessuno può essere così diverso da noi da renderci diversi, il terrorismo si combatte con l’orgoglio di poter dimostrare che i nostri valori di civiltà sono dentro di noi, e non fuori dentro delle scatole su scaffali alieni.

Il terrorismo si combatte con l’accoglienza, non quella assoluta e quasi colpevole in cui si accetta tutto e tutti, ma con l’accoglienza consapevole di chi agisce per l’altro e non per tacitare facili ostentazioni, anche politiche, di umanità.

Il terrorismo si combatte con la consapevolezza di non essere terroristi, e purtroppo oggi noi, con le nostre paure, siamo tutti terroristi.

il mondo del terrore

il mondo del terrore

 

 

 

non permettere al terrore di passare

non permettere al terrore di passare

tutti siamo soli senza la pace
tutti siamo soli senza la pace




Hillary o Trump, ma anche no…

Scatta ormai il confronto serrato fra i due candidati alla casa bianca, Hillary o Trump.

Mai come in questo caso l’America ha presentato due personaggi diametralmente differenti, caricaturalmente opposti, emotivamente divisi, intellettualmente aggressivi.

Lo scontro che si sta profilando, e che parzialmente è già in corso, avviene principalmente in via mediatica: contano le immagini, il linguaggio, la provocazione.

Insomma un Nixon JFK di seconda maniera, dove l’immagine portò ad un forte ribaltamento delle preferenze dell’opinione pubblica americana.

Di certo però oggi non troviamo nei due candidati la profondità dei discorsi di JFK della Nuova Frontiera, peraltro profondamente ispirati al nostro Gaetano Salvemini, e nemmeno al “piano segreto”  di Nixon, oggi ci troviamo davanti ad un’abile regressione infantile del linguaggio di Trump che raggiunge chiunque ed una compassata Hillary che cerca l’appoggio degli intellettuali.

« Noi non possiamo essere imparziali. Possiamo essere soltanto intellettualmente onesti: cioè renderci conto delle nostre passioni, tenerci in guardia contro di esse e mettere in guardia i nostri lettori contro i pericoli della nostra parzialità. L’imparzialità è un sogno, la probità è un dovere. »
(Gaetano Salvemini, Prefazione a Mussolini diplomatico, Éditions Contemporaines, Paris 1932)

Il dato inquietante è che, nonostante il perbenismo americano, quasi il 50% si sia ormai apertamente schierato con Trump, e l’intervento di Clint Eastwood ben lunga la dice sulla ormai esausta ed esaurita pazienza degli americani.

Nel segreto della cabina elettorale gli americani seguiranno la pancia o la testa?

L’America deve decidere tra due passati, quello remoto e quello participio, avendo scelto due candidati che rappresentano due restaurazioni differenti, questa più che mai diventa l’elezione tra la scelta di pancia, Trump, e la scelta di testa, Hillary, tra colui che dice quello che tutti pensano e colei che dice quello che tutti dicono.

Davanti a due candidati che forse sono entrambi non adatti per il futuro che si prospetta al mondo ed al ruolo dell’America, chi sceglierà l’Americano medio?

 

un uomo che cerca di ripristinare un'america che non c'è più

 

una donna in cerca della casa bianca




Facebook: l’avatar dell’impossibile

Facebook, o Facebook, vate dell’identità digitale, fammi diventare un mito…

Oggi basta poco per sentirsi realizzati, una manciata di mi piace sui nostri post e subito diventiamo, o così crediamo noi, miti del web.

Grazie social perchè posso essere chiunque oggi, basta scriverlo.

Non vi è mai capitato di ritrovare sui social network qualche vostro amico di trent’anni fa che vi stava particolarmente sulle glorie, leggere la sua pagina personale e pensare “mah, non è così fesso come mi ricordavo”? Ebbene i veri fessi siete voi, o siamo noi, perchè quello che leggete molto probabilmente non è vero, anzi è completamente falso.

Ma voi avete davvero messo sul vostro profilo social quello che siete e che fate, le foto che postate sono quelle uscite bene o uscite male?

io non ho ancora trovato nessuno che ha scritto sul suo profilo “occhio che sono un bastardaccio incredibile”, oppure “guardate che se posso vi frego subito”, oggi sui social ci sono solo santi, eroi, poeti,romanzieri, fotografi, attori e modelle, latin lover, cuccatori e cuccatrici, e chi più ne ha più ne metta.

Inoltre sei figo se hai tremila amici, sei pirla se nessuno ti mette i mi piace, sei tosto se fai tanti post, sei sfigato se non hai foto caricate, ma davvero? e se invece poi passi la tua vita chiuso in casa a guardare facebook?

Tutta la felicità è se posti un tuo pensiero e ti mettono mi piace, quanti mi piace ci vogliono per essere veramente felici, almeno 200?

Una volta si diceva “che persona che era, al suo funerale c’era pieno di gente“, oggi cosa succede, conteremo i mi piace alla notizia della morte? ma non è che sono tutti contenti che sei morto? oppure dovremmo trasmettere in streaming il funerale e vedere quanto partecipano on line? e se non c’è la connessione? allora sì che si dirà “non c’era nemmeno un cane” perchè, almeno per ora, i cani non usano internet…

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