RIGE: Magia della Musica

 

Ho iniziato ad impegnarmi con BetaPress per un motivo e per un’esigenza.  

Il motivo è semplice per amicizia, una parola molto usata che però racchiude tanti significati e valori: riporta al riconoscimento di una strada comune e al camminare fianco a fianco su questa strada.

Semplice! L’esigenza è il voler parlare di sé attraverso quello che conosco bene e che pratico fin da ragazzino, la Musica e trovo ragionevole parlare di ciò che si conosce ed essere leali con chi legge e quindi con sé stessi, leviamo quindi sicuri l’àncora, partiamo… Let there be rock!

Da dove iniziamo?

Da una considerazione: certe canzoni mi ricordano sapori, luci, profumi, suoni e colori di luoghi e di viaggi a cui hanno fatto da colonna sonora.

Alzi la mano chi non ha, almeno una volta, associato un viaggio ad una canzone.

Magia della musica!

Ho percorso abbastanza l’Italia e l’Europa per lavoro (e per piacere) e questa sensazione l’ho provata fortemente molte volte, come la prima volta che mi sono recato a Deauville per lavoro ed  il viaggio di ritorno in auto verso Parigi accompagnato da un CD (correva l’anno 2001…) ed ascoltavo la sommessa melodia di Indifference dei Pearl Jam.

Mi capita spesso ed anche Believe dei Mumford & Sons mi richiama sempre qulle atmosfere frenetiche, ultratecnologiche e moderniste della Londra del The Sharp, del Walkie-Talkie, del quartiere di Canary Wharf e del viaggio padre/figlia di qualche anno fa.

Nell’ultimo anno mi sono lasciato affascinare dai “sapori” di una canzone di Cesare Cremonini, che reputo tra i 10 più completi ed espressivi musicisti pop italiani dell’ultima generazione, sfornato da quella incredibile fucina musicale che è Bologna.

Questo brano è La Isla ed è contenuta nell’album Possibili scenari del 2017, rieditato completamente per piano e voce l’anno successivo.

La versione che preferisco è quella notturna, intimistica, quasi timida di pianoforte/voce.

L’operazione di spogliare la canzone e lasciarla nella sua struttura essenziale, nella struttura da cui solitamente parte la composizione del brano – melodia/arrangiamento primario/armonia – le dona a mio avviso una certa magia e aggiunge mistero all’ascolto, quasi a disvelare ciò che l’autore voleva dire usando quell’accordo, quella parola sussurrata e non cantata, quel colore dato a quella nota o quell’accento usato in quell’altra.

La Isla mi riporta continuamente alla memoria un viaggio di sette estati fa in Provenza, anche in questo caso un viaggio on the road in auto assieme ai figli, al fratello e alla nipote.

E’ tutta la costruzione della canzone che fa tornare a galla quei momenti; le quattro note iniziali suonate al pianoforte quasi solo con la mano destra e ribadite poi con accordi quasi accennati riescono a ripescare il ricordo del colore della luna così grande e gialla, della prima sera in cui arrivammo ad Aix-en-Provence e alla sensazione di intimità di trovarmi li, io e lei, in quel preciso momento.

I versi poi fanno il resto: “In quel locale al porto c’era Alain Delon, e tu eri magica in pista, questa follia non vedo l’ora che finisca, la Isla”.

E il crescendo della canzone mi riporta di getto ad un preciso quadro di Paul Cézanne, La montagne Sainte-Victoire, o meglio, ad uno delle 80 versioni fatta alla montagna di casa (Cézanne nacque e passò gran parte della vita a Aix-en-Provence, ai piedi proprio di questo massiccio calcareo); ricordo perfettamente l’impressione nell’accostare questa canzone alla visione della montagna e poi del quadro.

Suggestione o vera e propria immersione nel mood di quel momento?

Non lo saprei dire, ma certamente è s-concertante cosa un brano possa fare ad un orecchio – o meglio, ad un cuore – quand’anche fosse distratto e poco allenato.

 Un grande musicista qual è Nick Cave scrisse nel suo libro Strange than Kidness: “Che cos’è una canzone se non un richiamo all’Aldilà”.

Beh, non so se La Isla, Trieste o Believe mi avvicinino veramente ad una dimensione diversa da quella ordinaria, ma sicuramente mi fanno compagnia rendendo visibili, odorabili, udibili alcuni ricordi che non vorrei mai svanissero.

Magia della Musica!

 

RIGE




“VIRTUOSE E VIRTUOSI IN VIRTUALE”: BALZARETTI E IL SUO ENTUSIASMO PER IL CONSERVATORIO DI GALLARATE

 

 

Da qualche settimana il Conservatorio pareggiato “G. Puccini” di Gallarate ha visto l’arrivo di un nuovo direttore: si tratta del M° Carlo Balzaretti, musicista di lunga esperienza, il quale ha già ricoperto il medesimo ruolo presso i conservatori di Brescia e Como.

Sin da subito Balzaretti si è prefissato di dare maggiore voce e visibilità al Puccini (oltre che di portarlo finalmente alla statizzazione, probabilmente entro la fine del 2021) approcciando con una prospettiva poliedrica e di tipo imprenditoriale. L’obbiettivo è quello di renderlo polo di attrazione e di riferimento per il varesotto e circondario, ampliando l’offerta formativa – già sono state attivate tre classi AFAM in più – e instaurando scambi, collaborazioni con l’esterno. Aprire le porte dell’istituto creando connessioni ed opportunità diversificate (come, ad esempio, masterclass estive svolte in sede).

Quindi, non soltanto porre gli studenti al primo posto, con una continua e variegata possibilità performativa, ma collaborare con loro, coinvolgendoli il più possibile nel supporto gestionale, di produzione musicale, e amministrativo – collaborando attivamente con la segreteria, e assumendosi la gestione della parte social – al fine di garantir loro una formazione ad ampio spettro, adeguata ad affrontare il futuro lavorativo con preparazione.

Ed è proprio con “Virtuose e virtuosi in virtuale” che si comincia: una serie di concerti che, in questo momento di oggettive limitazioni sul fronte live, sfrutteranno intelligentemente e al massimo le nuove risorse tecnologiche e virtuali messe a disposizione dal conservatorio. E’ stata rinnovata la pagina Facebook (https://www.facebook.com/issmpuccinigallarate), e creati il profilo Instragram (https://www.instagram.com/conservatorio_puccini/) e il canale YouTube dell’istituto (https://www.youtube.com/channel/UCixVTEtGgYZuQjVfOzcxCMw/featured), attraverso i quali i concerti verranno pubblicizzati e trasmessi.

Il cartellone, ad ora, prevede 4 appuntamenti dedicati al pianoforte, distribuiti sui Lunedì del mese in corso, più uno Giovedì 24; ma l’idea è quella di proseguire per tutta la durata dell’anno accademico, coinvolgendo mano a mano tutte le classi di strumento, comprese quelle di musica da camera e di musica di insieme, compatibilmente con le limitazioni vigenti.

I concerti saranno tutti alle ore 20.30, e cominceranno il prossimo 7 Dicembre con l’esibizione della pianista Aurora Avveduto, recentemente laureata al triennio accademico con la guida del M° Giorgio Spriano. Il suo programma, intitolato “Chants d’Automne”, curioso perché tematico e di ricerca, affronta la stagione dell’autunno sotto varie luci e compositori di epoche differenti, fino ai giorni nostri, con Francesco Maria Sardelli, compositore italiano contemporaneo, e il suo brano Pioggia d’autunno.

Il 14 e il 21 Dicembre sarà il turno di tre giovanissimi pupilli del M° Irene Veneziano: Beatrice  Distefano e Viktoria Esposito (rispettivamente di 14 e 13 anni, entrambe nella sera di Lunedì 14) e Gabriele Rizzo (11 anni – concerto di Lunedì 21). I loro programmi spazieranno dal barocco di Bach e Scarlatti fino ad opere di stampo decisamente più moderno, come le Danzas Argentinas di Ginastera, passando per Mozart, Chopin e Schubert.

Il concerto di Giovedì 24 vedrà protagonista il duo a 4 mani Omonóos, composto da Silvia Gatti e Gabriele Salemi, entrambi storici allievi del M° Maria Clementi. Proporranno due opere di rilievo: la celebre Fantasia in Fa minore D.940 di Schubert e Ma Mêre l’Oye di Ravel, portando gli ascoltatori dalla densità meditativa – quasi sofferta – della prima all’atmosfera trasognata e fiabesca della seconda.

Il link per seguire i concerti è il seguente:

 

https://www.youtube.com/channel/UCixVTEtGgYZuQjVfOzcxCMw/featured

 

Andrew Gaspard




“Il Battesimo di Ondina”

Il Progetto che ispira le persone a essere felici.

Basandomi sulle ricerche condotte dal Dott. Masaru Emoto ho elaborato un Progetto che ha lo scopo di ispirare le persone a essere felici e, se già lo sono, a esserlo di più.

Come?

Ispirandosi al comportamento dell’acqua: l’unico elemento in natura a cambiare stato – solido, liquido, gassoso – pur rimanendo chimicamente fedele a se stessa, alla sua vera Essenza.

Ed ecco che, rimanendo fedeli ai nostri Valori, anche noi possiamo aprirci al cambiamento e “fluire” con la vita verso la nostra foce, ciascuno di noi la sua: lo Scopo per cui siamo nati.

I tre Presupposti.

 

  1. Tutto ciò che esiste è composto di particelle “danzanti”, che vibrano a determinate frequenze (oscillazioni al secondo).
  2. Tutto ciò che esiste è composto, per una buona percentuale, da acqua.

    Ricerche scientifiche hanno dimostrato che l’acqua ha una memoria: è un data base universale di informazioni di tutto ciò che accade.

    Il Dott. Emoto, fotografando molecole d’acqua ghiacciate, si è accorto che esse reagiscono a suoni, musica, parole, pensieri e intenzioni con cui vengono a contatto, cambiando colore e forma.

  3. Anche noi esseri umani siamo fatti per circa il 75% d’acqua.

    Se scegliamo con cura i nostri pensieri e le nostre parole, l’acqua di cui siamo fatti sarà bella, trasparente e luminosa!

    La Value Proposition del Progetto “Ondina Wavelet World” riassume in modo esemplare quanto detto fin qui.

    Dice: “O.W.W. è un Progetto di Informazione, Educazione e Intrattenimento che, servendosi del potere creativo delle parole, ispira le persone alla ricerca di uno scopo ad aprirsi al cambiamento per scoprire chi sono, i valori che le guidano, il loro messaggio al mondo.

    Così che, esprimendo al meglio la loro autenticità, possano vivere una vita nella pace, nell’amore e in piena libertà.”

 

I Cinque Canali.

Il Progetto si declina in cinque canali di comunicazione diversi e complementari, che possono raggiungere un’audience potenzialmente di tutte le età:

  • Il VLOG
  • Il LIBRO in duplice versione: per bimbi in età prescolare e per ragazzi
  • Il TALK SHOW
  • La WEB RADIO
  • Il FILM D’ANIMAZIONE

Si parte da qui.

Si parte dal Canale YouTube “Jasmine Laurenti”.

Nato come archivio in cui raccogliere spezzoni di film doppiati e spot pubblicitari ai quali ho prestato la mia voce, si trasforma in “VLOG”: un video blog, video diario in cui pubblicare, ogni giorno, le Rubriche di “TELE ONDINA”, Playlist dedicata al Progetto.

È un atto profetico, il mio: utilizzare quello che c’è come se “già fosse” ciò che diventerà: una Web TV che trasmetta solo Buone Notizie!

Sono partita con le Rubriche condotte da me: la “Buonanotte da Eroe” e il “Soul Talk” (tra poco ve ne parlo in dettaglio).

Nel tempo si è formato un Team di Esperti nei rispettivi ambiti di competenza: gli Eroi di Ondina.

Eccoli, me compresa, in ordine alfabetico.

 

I Favolosi Cinque Eroi di Ondina.

ROSITA DORIGO: l’inventrice del “Food Design”.

C’è chi racconta storie fatte di parole … E chi invece le racconta con il Cibo e il Vino.

Rosita si è inventata la professione di “Food Designer”, “Experience Creator”, “Art Catering Artist”.

Il suo Valore aggiunto nel mondo?

Progettare, organizzare e realizzare Esperienze multisensoriali che vedano come protagonisti cibi e vini scelti ad hoc per la loro provenienza, genuinità, qualità.

Non solo: Rosita si diverte a combinare tra loro fragranze e sapori, in modi che raccontino una storia, mille storie.

Il suo pallino è presentare come si conviene prelibatezze e vini “giusti” insieme, in paradisiaci connubi.

La sua Vision è creare una Cultura del Food raccontando in ogni piatto, ogni bicchiere, ogni evento pubblico o privato, una storia affascinante e sempre nuova.

 

PAOLA FERRARO: Consulente di “BenEssere OL3”.

Paola è autrice del libro “Aldilà dei Sensi”, Formatrice e Organizzatrice di eventi e di seminari di consapevolezza.

Esercita la sua attività di Consulente di “BenEssere OL3” – Benessere a 360° – utilizzando diversi strumenti quali le costellazioni quantiche sincroniche, la numerologia e l’aloe vera (pianta alchemica usata come strumento di trasformazione che va a lavorare anche nel corpo).

La sua Mission è suggerire a chi si rivolge a lei i modi via via più utili per raggiungere un Benessere a 360° che includa corpo, anima e spirito.

Paola ama prestare attenzione alla sincronicità degli eventi, alla simbologia e alle metafore con cui la vita, nel suo flusso quotidiano, ogni giorno ci parla.

 

JASMINE LAURENTI: la doppiatrice che doppia se stessa.

Per tutta la vita ho dato la mia voce a parole altrui: i miei primi dieci anni di carriera li ho trascorsi alla radio come talk show host e speaker pubblicitaria.

Poi mi sono trasferita a Milano per intraprendere l’attività di doppiatrice cine televisiva. E sono volati altri trent’anni.

Infine, mi sono resa conto di avere un mio Messaggio da dare.

Così, ho deciso di doppiare me stessa.

Oggi faccio la giornalista e collaboro, fiera del mio affascinante ruolo, con BetaPress.it.

Inoltre accompagno i Leader a essere impeccabili nel loro modo di comunicare in video, in podcast e in eventi dal vivo.

Mi dedico al Progetto “Ondina Wavelet World”, creando ogni giorno modi nuovi per dire al mondo che, per essere felici, basta decidere di esserlo: curando il proprio benessere fisico, mentale e spirituale, adottando uno stile di vita sano e, soprattutto, scegliendo con cura le parole da pensare, dire e agire.

 

ANTONIO OLIVER: lo Stilista dal Cuore d’Oro.

Artista Contemporaneo innamorato della Donna e della Bellezza, Antonio Oliver è lo Stilista delle Dive e di tutte noi che sogniamo di avere, nel nostro guardaroba, un abito da Principessa.

Nato in Brasile, nel 1992 si è trasferito a Milano dove si è diplomato alla Scuola di Moda “Burgo”.

Collabora con varie Scuole di Moda come l’Istituto Marangoni e l’Istituto Europeo di Design presso il quale è docente, con il Politecnico di Milano e ovunque sia richiesta la sua preziosa consulenza.

Uomo dallo straordinario talento creativo e dal cuore d’oro, nei primi Anni Novanta dà vita a “Progetto Moda”, allo scopo di realizzare eventi e sfilate di moda a fini benefici.

Due le sue nobili cause: i bimbi meno fortunati e la salvaguardia dell’ambiente.

Nel 2017 viene insignito di due prestigiosi premi:

– il Premio Internazionale “Il Dono dell’Umanità” conferitogli dall’Associazione “Amici del Dono dell’Umanità”;

– il titolo onorifico di “Ambasciatore per i Diritti Umani”, conferitogli dall’Associazione Per I Diritti Umani E La Tolleranza Onlus, per il suo contributo alla diffusione del messaggio sui diritti umani.

 

LUCIA RIBEIRO: la Cuoca dei Vip.

Esuberante come il samba della sua terra natia, vulcanica creatrice di succulente meraviglie, Lucia è una forza viva della natura: guardarla volteggiare tra i fornelli, fra un vassoio di pão de queijo appena sfornati (micro pagnottelle al formaggio, tipica prelibatezza brasiliana) un brigadeiro “dietetico” (dolce brasiliano al cioccolato, ricchissimo di zucchero nella sua versione classica ma riadattato per poter essere gradevole a un palato europeo) e la sua famigerata torta vegana soffice e leggera come nuvola, mette già di buon umore.

Lucia scrive libri, organizza eventi e sfilate di moda, fa da manager a sua figlia Anna (modella e indossatrice), dipinge e cucina.

Prepara per i vip e i loro ospiti, a pranzo o a cena, incredibili manicaretti.

Sempre con quella verve che fa di lei una persona luminosa e simpaticissima.

 

Il Palinsesto di Tele Ondina …

… ospitata dal Canale YouTube “Jasmine Laurenti”, mente creativa del Progetto Multimediale “Ondina Wavelet World”, prevede i seguenti appuntamenti.

LUNEDÌ

Ogni LUNEDÌ sera è dedicato alla lettura interpretata di Parole ad altissima frequenza vibrazionale: è la “Buonanotte da Eroe”, il virtuale giardino incantato dove gli Eroi dei nostri tempi si danno appuntamento per concedere alla mente una pausa rinfrescante, preparandosi a un sonno tranquillo e rigenerante.

Alle 22:00 live sul Profilo Instagram @thejasminelaurentishow e a seguire alle 22:30 sul Canale YouTube “Jasmine Laurenti”,

Qui offro la mia personale interpretazione di aforismi, poesie, racconti, capitoli estratti da libri di Autori Vari.

Denominatore comune delle Opere scelte: l’essere composte da parole brillanti, belle, buone, come puntini luminosi in Messaggi ricchi di Valori e Valore.

MARTEDÌ

Ogni MARTEDÌ, sotto forma di post sulle varie piattaforme social o di podcast, il pubblico riceve un pensiero sul quale meditare … Un Pensiero composto da parole “alte” e dal grande potere creativo, trasformativo, ispirazionale.

MERCOLEDÌ

Ogni MERCOLEDÌ alle 11:11 si apre un tempo speciale: 33 minuti dedicati al BenEssere del corpo, della mente e dello spirito.

Un BenEssere a 360° che si declina in diverse discipline e altrettanti colloqui con esperti di nutrizione, naturopatia, fitoterapia, floriterapia …

Un ritorno a Madre Natura e ai suoi verdi Rimedi dalle proprietà calmanti, depurative, disintossicanti.

Ogni mese parte un gruppo, guidato su whatsapp, per un viaggio detossinante di 9 giorni, durante il quale viene seguito il metodo “EasyDetox” messo a punto dal Dott. Patrizio H. Barbon con nutraceutici a base di aloe vera, pianta dalle molteplici proprietà alchemiche trasformative che, purificando il corpo, fa ritrovare ai “viaggiatori” energia, lucidità mentale e un’accentuata sensibilità spirituale.

GIOVEDÌ

Il GIOVEDÌ è il giorno dedicato al “Food Design”: “Le Mille E Una Storia”.

Alle 22:30 sul Canale YouTube “Jasmine Laurenti” Rosita Dorigo, l’inventrice del “Food Design”, coinvolge in affascinanti StoryTelling chi desideri affacciarsi a nuove prospettive sul Cibo e i Vini come Strumenti d’Arte in cucina, a tavola e in Eventi multisensoriali.

Il nobile Obiettivo è quello di creare una Cultura del Food & Wine, restituendo loro la dignità che meritano in una cornice degustativa multisensoriale.

VENERDÌ

Il VENERDÌ è tempo di “Soul Talk”: il late night talk show con Jasmine – alias Ondina Wavelet – e ospiti sempre diversi che abbiano una bellissima Storia da raccontare, un Messaggio di Valore da condividere, un Esempio di Vita da offrire per ispirare gli spettatori a credere in loro stessi e nei loro sogni più ambiziosi.

SABATO

A cadenza quindicinale, in giorno di SABATO, ci raggiunge lo Stilista internazionale Antonio Oliver con “Il Bon Ton Della Moda”: una chicca di eleganza, classe e raffinatezza in cui il Fashion Stylist ci regala preziosi suggerimenti per brillare in ogni occasione, sia essa ufficiale o riservata a pochi intimi, indossando, in modo impeccabile, l’abito e l’accessorio giusto.

DOMENICA

DOMENICA, sempre a cadenza quindicinale, Lucia Ribeiro, la Cuoca dei Vip, arriva a svelarci in modo semplice e divertente i segreti di una cucina internazionale dove, alla scelta di ingredienti buoni e genuini, si aggiungono il piacere della preparazione e l’amore della convivialità.

 

Un Sogno da realizzare insieme …

Come amo dire in chiusura dei miei post sui Canali Social: “Non ti sei ancora iscritto al Canale? Questo è un ottimo momento per farlo. Mi raccomando: clicca sulla campanellina per rimanere sempre aggiornato/a sui nuovi video pubblicati!”

E ora, abbonandoti al Canale, con due caffè al mese puoi accedere a fantastici, speciali video approfondimenti e contribuire alla realizzazione del Progetto multimediale “Ondina Wavelet World”, che ha per scopo ispirare le persone a essere felici, compiendo un percorso di ritorno alla Sorgente per scoprire Chi sono, il loro Perché, il loro Messaggio al mondo.

Per informazioni sul Progetto multimediale, il suo Scopo e le modalità per supportarlo, clicca qui.

Scopri i vantaggi riservati agli Amici di Ondina cliccando qui.

Grazie anche a BetaPress.it!

Quando ho proposto a Corrado Faletti – Presidente del Gruppo Editoriale CCEditore, Direttore Responsabile di BetaPress.it, Giornalista, Docente di Sociologia e Pedagogista – e a Chiara Sparacio – Vice Direttore Polo Didattico eCampus CCEditore, Capo Redattore Cronaca per BetaPress.it, Giornalista, Studiosa di Sanscrito – di realizzare un’intervista a tre per presentare ufficialmente il Progetto, ne è nato un edificante, piacevolissimo Talk Show, trasmesso in video première sul Canale YouTube venerdì 6 novembre 2020 alle ore 22:30.

A Corrado e Chiara va tutta la mia gratitudine per avermi accolta nella mia esuberante “follia” nella Redazione di BetaPress.it e per aver fatto da Padrino e Madrina all’acquatica Eroina del Progetto Ondina Wavelet.

Per assistere alla video première o guardare il video in un momento successivo, clicca qui.

Buona visione!

E sii felice! Meriti di esserlo, soprattutto in momenti sfidanti come quello che stiamo vivendo.

Ondina Wavelet – Jasmine Laurenti

 

 

 




“Siamo Strumenti di una grande Orchestra”

All’incrocio tra via della Scienza e via della Spiritualità.

La Scienza, con le sue scoperte, non fa che convalidare principi spirituali antichi come il mondo.

Ed è proprio nel magico punto di intersezione tra Scienza e Spiritualità che incontro i miei Ospiti: tutti consapevoli del loro Ruolo di instancabili Ricercatori sempre in viaggio, alla scoperta di ciò che ai più è invisibile, muto, trascurabile dettaglio.

Presi come siamo da impegni quotidiani, distrazioni online e scadenze, molti di noi non si accorgono dei Doni che la Vita, con amorevole pazienza, continua a offrirci.

Immagini sfocate sullo sfondo di pensieri ricorrenti, brusio di sottofondo al corale strillo dei mainstream media, noi non li vediamo, i Regali; non li sentiamo, non più abituati a osservare in silenzio e, grati, apprezzare ciò che ormai diamo per scontato.

A salvarci è la curiosità bambina di chi ha sempre fame si sapere e, dietro a ciò che non si riesce a capire, indaga.

 

… incontro Philip Abussi.

In occasione del settimanale Appuntamento del venerdì sera, sul Canale YouTube “Jasmine Laurenti”, incontro Philip Abussi: compositore, musicista, ricercatore e consulente musicale.

Pochi attimi bastano per riconoscere, nella sua, la Musica dell’Anima.

Una Musica che si fa storia da raccontare, in una sequenza di note scelte come preziosi ingredienti di un Profumo.

Una Musica che accarezza il cuore di chi l’ascolta e lo accende, mentre i pensieri sospendono il loro fluire e, leggeri, si allontanano in un volo senza ritorno.

Una Musica che si fa poesia, discreta sottolineatura di parole non necessariamente pronunciate, ma sottintese.

Il Talento creativo di Philip Abussi non poteva che fondersi, in perfetto connubio, con una comunicazione strategicamente vincente: quella di Anita Falcetta, sua Compagna di Viaggio e Anima Gemella.

In “Moka Music”, Philip e sua moglie Anita creano e confezionano il loro Valore aggiunto per il mondo: parole come note di un musicale StoryTelling affascinante, evocativo, emozionante.

In questa “Soul Talk”, Philip e io parliamo dell’importanza del suono e della musica nella nostra vita quotidiana, del loro intrinseco potere creativo e trasformativo, di come utilizzarli per “parlare” alla parte più profonda di noi, porgendo un Messaggio di Valore Universale.

Per guardare l’intervista, clicca qui.

Alla prossima!

Ondina Wavelet – Jasmine Laurenti

P.S. un ringraziamento speciale a Christian Gaston Illan e a Maria Giulia Linfante di Smart Villag[g]e Cloud, per averci fatti incontrare!

 

 




“Tutto è Vibrazione”

A dirlo è Fabrizio Rispoli.

Cantante, compositore, chitarrista, ricercatore spirituale di nuova generazione.

Ha impreziosito con la sua bellissima voce gli intermezzi musicali di trasmissioni televisive per la Rai di Milano presentate da Paolo Limiti, Simona Ventura e Gene Gnocchi, Fiorello e Baldini.

Sempre per la Rai ha partecipato, come vocalist, al Festival di Sanremo.

In qualità di cantante e compositore ha pubblicato con “The New Jazz Affair” 4 CD, distribuiti in tutta Europa e in Giappone.

Nel 2017 è uscito il suo primo CD con 12 canzoni inedite autoprodotte, “White and Blue”.

Un po’ di storia.

Ci siamo lasciati poco più che ragazzi in uno studio di registrazione di Conegliano Veneto in provincia di Treviso dove, appena ventenne, ho imparato l’arte dello speakeraggio pubblicitario e a cantare come corista di jingles per le radio private sparse sul territorio nazionale, quando ancora i grandi network non erano stati inventati.

Lo studio era la sala prove e di incisione di un gruppo musicale di cui Fabrizio era il frontman: il “Level Group”, formazione ormai disciolta con “Miki” (Michele) Minniti al basso, Gianni Fantuz alla batteria, “Caio Sax” (Claudio Zambenedetti) al sax, Mario Baratto alle tastiere, Fabrizio alla chitarra e voce.

Non ricordo come fossi approdata lì. Forse il gentile passaparola di qualcuno che già mi apprezzava come voce alla radio.

Quel che ricordo è che il giorno del mio primo turno al “Level Studio” avrebbe segnato l’inizio di un sodalizio artistico durato un biennio, fino al giorno in cui, sulla scrivania di Marina – l’allora fidanzata di Miki – non lessi un trafiletto pubblicitario che parlava del Centro Teatro Attivo di Milano, la scuola di teatro e di doppiaggio più nota e prestigiosa dell’epoca.

Il resto è storia: la mia storia come doppiatrice.

 

Il primo jingle non si scorda mai …

Tra uno spot pubblicitario e l’altro, un bel giorno Miki mi invitò a intonare un jingle* che Fabrizio aveva già inciso con la sua voce e splendidamente armonizzato.

Ricordo la melodia e il brand come fosse ieri: è proprio vero che, come il primo bacio, il primo jingle non si scorda mai!

Mi bastò sovrapporre la mia voce sulla linea melodica principale per convincere Miki che ero io, la corista che stavano cercando.

I nostri timbri vocali armonizzavano tra loro come i colori di un abbinamento ben riuscito. Registrammo tanti jingles, da coprire il fabbisogno delle radio private di tutta Italia.

Jingles composti da Fabrizio con amore, costituiti da più linee melodiche in accordi tutt’altro che scontati.

Non è facile armonizzare un jingle su base jazz, ma io trovavo le tracce già incise da Fabrizio. Tutto quello che dovevo fare era sovrapporre la mia voce alla sua in ognuno di quegli audaci, imprevedibili “ricami”.

 

La scintilla del genio.

Avevo vent’anni all’epoca, i ragazzi del gruppo all’incirca venticinque. Pur essendo così giovani erano appassionati di jazz, funk e fusion: musica colta per una nicchia di ascoltatori dal “palato” esigente.

Tra i loro idoli ricordo gli Yellow Jackets, gli Spyro Gyra, gli Uzeb e ancora Marcus Miller, Larry Carlton, Stanley Clarke, Jaco Pastorius, Chick Corea, e altri mostri sacri del jazz da loro venerati, seguiti e studiati.

Colti e dotatissimi, devo a loro l’aver affinato il mio orecchio musicale, abituandolo a generi musicali da intenditori.

 

Trent’anni di silenzio.

Galeotto fu il trafiletto sul Centro Teatro Attivo di Milano nella rivista sulla scrivania, e galeotta fu Marina che me lo indicò, pensando che mi sarebbe potuto interessare.

Di lì a qualche mese sarei partita per intraprendere la mia carriera di doppiatrice.

Calato il sipario sulla mia attività di speaker pubblicitaria e corista di jingles al “Level Studio” di Conegliano Veneto, ci perdemmo di vista.

Finché un giorno, aggrappata alla barra di sostegno di un tram diretto verso Corso Sempione a Milano non notai, tra i passeggeri, un ragazzo che parlava con una ragazza seduta al suo fianco. Lo notai perché aveva un’aria a me familiare. Non ebbi il coraggio di chiedergli se era “lui”. Trent’anni dopo lui stesso mi avrebbe confessato di avermi notata per l’incredibile somiglianza con la ventenne che aggiungeva la sua voce ai suoi meravigliosi, angelici cori.

Il mistero fu svelato trent’anni dopo circa: lui era davvero Fabrizio e stava raggiungendo la Rai di Milano per cantare come vocalist nelle trasmissioni condotte dagli illustri presentatori già citati.

Io, ovviamente, ero davvero “lei”. Il mondo è piccolo. Anzi. Piccolissimo.

 

Grazie, FacciaLibro!

È vero: è una tentazione continua quella home dove, tra un post e l’altro, a volte passa un’ora e neppure te ne accorgi.

Ma ha un pregio: se ti viene in mente qualcuno che hai perso di vista, ne scrivi il nome nella barra della ricerca.

Al resto, pensa l’app più popolata del pianeta. Così è stato per me e Fabry. Alla fine ci siamo ritrovati.

Rimasti in contatto su Messenger per qualche anno, fino alla diretta a sorpresa di ieri sera.

 

Quando la vita ti sorprende, sorprendila anche tu.

L’Ospite da me invitato – anch’egli musicista, compositore e consulente musicale – per parlare di come suoni, musica e parole influiscano a livello fisico, emotivo, psicologico e comportamentale sull’essere umano, ha avuto un contrattempo il giorno prima dell’appuntamento settimanale del Soul Talk sul mio Canale YouTube.

Mi è subito venuto in mente Fabrizio: erano mesi che cullavo l’idea di intervistarlo!

Gli ho lasciato un vocale su whatsapp, chiedendo scusa per il breve preavviso, vista l’emergenza. Certo, avevo in cuore di realizzare comunque una puntata con lui, ma temevo che non avrebbe preso bene l’idea di colmare un inatteso “vuoto”.

Nella sua imprevedibilità, la Vita dà grazia a chi crede che, alla fine, “tutto andrà bene”.

… E un momento lì per lì “improvvisato” si è rivelato essere perfetto: già scritto nell’Agenda di un Universo che non conosce sosta nel suo magico operare.

Il format, della durata di mezz’ora, è stato completamente stravolto.

 

Trent’anni da raccontare, tra ricordi e Frequenze Sacre.

Oggi Fabrizio è impegnato in concerti live e nell’insegnamento: è uno dei pochissimi maestri di canto, di cui puoi ascoltare la voce alla radio!

Per quanto concerne la Ricerca Spirituale è un appassionato cultore del Suono come Vibrazione: ai suoi allievi insegna come percepirlo in modo cosciente sia “interiormente”, sia nella loro realtà circostante, attraverso la Musica e la Voce ma anche attraverso la Spiritualità, ovvero la Coscienza del “Tutto che vibra”, facendo del Suono stesso il mezzo per meditare e innalzare la propria personale vibrazione.

Ed ecco il Soul Talk, trasmesso in live streaming sabato 19 settembre 2020 alle 22:30, un’ora prima del consueto orario di inizio.

Sono quasi due ore di piacevolissima conversazione, sul tema delle frequenze e dei loro benefici sul corpo e sulla psiche umana, durante una meditazione “ben fatta”.

Buon Ascolto e alla prossima!

Ondina Wavelet  (Jasmine Laurenti)

 

*il coretto pubblicitario che apre, fa da intermezzo e chiude lo spot pubblicitario. All’epoca andavano tantissimo di moda i jingles, usati anche da soli come sigle flash di trasmissioni o rubriche radiofoniche.

 

 

 

 

 

 




“Il Potere Creativo Del Logos”

Galeotto fu Socrate

Protagonista di questa Pagina di Diario è Giuseppe Bellantonio.

L’ho “incontrato” in “Socrate”, gruppo su whatsapp che riunisce persone accomunate dall’amore per la scienza, l’antroposofia, la spiritualità, la musica e la bellezza: punto di riferimento per uomini e donne che amano farsi domande e, nel rispetto delle opinioni di ciascuno, approfondire vari argomenti scambiandosi link ad articoli, video e podcast di ispirazione.

Il Passato

Esperto nell’ambito della Formazione e delle Tecniche di Gestione e di Marketing, Giuseppe matura una rilevante esperienza nell’ambito del sistema Banche e Finanza.

Già pubblicista, free-lance journalist, interviene con scritti, saggistica e interviste su numerose testate e fogli d’informazione digitale.

Ama studiare e approfondire ogni tematica riguardante i suoi vasti interessi culturali, che spaziano dalla storia alla filosofia, all’esoterismo.

 

Il Presente

È raro, oggigiorno, imbattersi in persone come Giuseppe.

Proprio com’è raro il suo modo di conversare: rispettoso delle opinioni del suo interlocutore, non si  preoccupa di far valere a tutti i costi le proprie. Le sue pause precedono frasi memorabili. Prende tempo per soppesare le parole prima di pronunciarle, nella consapevolezza che una parola di troppo, inutile o sconveniente, avrà un’eco eterna e l’Universo non sarà mai più lo stesso.

Per questo suo atteggiamento nei riguardi delle parole, Giuseppe esprime autorevolezza. Anche nei momenti di silenzio.

 

In Principio era il Verbo

L’ho intervistato sul potere creativo della prima Parola che sia mai stata pronunciata: il “Verbo”, o “Logos”.

Il Suono, Rumore, Tuono, Ruggito, “Fragore di grandi acque” come onda che, nel propagarsi, ha portato all’esistenza materia più o meno densa in molteplici forme, colori, apparenze.

Una cosa è certa: più indago in ambito scientifico, più mi innamoro della vita. Ogni giorno più grata del privilegio di testimoniare il miracolo del Tutto, di cui sono parte.

Scienza e Spiritualità vanno per mano. Si spiegano, completano e arricchiscono a vicenda.
Il resto è cultura, tradizione e rito, che vanno rispettati perché ciascuno di noi è in Viaggio al suo passo. Tanto il punto d’arrivo, qualunque nome gli diamo o comunque lo descriviamo, è lo stesso.

In questa piacevolissima chiacchierata, Giuseppe e io parliamo in modo scientifico-spirituale, oltre che della Creazione, del senso della Vita, dell’importanza dei Valori guida, di come ciascuno di noi possa dare il suo contributo a un risveglio collettivo delle coscienze, di Libertà.

Buon Ascolto!

Ondina Wavelet (JL)

 

 

 

 

 

 




“Il Violinista sul Balcone”

L’imprevedibilità della vita 

Il 24 febbraio 2020, una decina di giorni prima dell’inizio del “lockdown” in tutta Italia, al Teatro alla Scala di Milano viene scoperto un caso di coronavirus.

Aldo Sebastian Cicchini, violinista dell’Orchestra Sinfonica Nazionale della Rai di Torino, proprio in quei giorni – in via del tutto eccezionale – si trova lì.

Ironia della sorte, il suo periodo di quarantena inizia proprio a “ChinaTown”, il quartiere cinese a Milano dove abita con la moglie Ana e le loro splendide bambine, Sol e Victoria.

Ma facciamo un passo indietro …

Nato nel 1988 a Montevideo – Uruguay in una famiglia che, riconoscendo il suo precocissimo talento – a due anni  chiedeva di poter ascoltare ogni giorno “Le Quattro Stagioni” di Vivaldi – lo affida alle cure della Maestra di musica Ludmila Cavallaro, Aldo impara a suonare il violino “giocando”.

Intraprende quindi il suo percorso di Studi, contrassegnato da diplomi a pieni voti e importanti riconoscimenti, in varie parti del mondo.

La domanda più importante

La domanda più importante di tutte è racchiusa in una parola: “Perché”?

“Perché faccio quel che faccio?”

Per Aldo, più che suonare il violino, la cosa più importante è suscitare emozioni nei suoi ascoltatori e vederle riflesse sui loro volti.

Come gli mancava questo aspetto del suo lavoro, durante il lockdown! Come gli mancava il suo adorato pubblico!

“La cosa che più mi appaga non è il violino in sé – mi confida nel corso dell’intervista – ma è poter vedere gli sguardi della gente, vedere le emozioni nei loro volti mentre sentono la musica che produco o che faccio anche coi miei colleghi … Allora ho pensato: ok, la situazione è questa. Cosa posso fare per reinventarmi?”

Alla nostalgia si è presto aggiunto un senso di impotenza, stemperato subito in fiducia: “Non sono un medico e non posso salvare vite umane … Ma una cosa la posso fare: suonare il violino e, attraverso la musica, porgere un Messaggio di Incoraggiamento e di Speranza.”

Sincronicità

Venerdì 13 marzo 2020: Aldo decide di realizzare un concerto da casa alle 19:30, in diretta su Facebook e Instagram. Ha già preparato un tappeto sonoro di chitarra, che userà come sottofondo per suonare il violino.

Il giorno stesso, Aldo riceve l’invito a partecipare a un gigantesco flashmob da tenersi alle 18:00: dalle finestre e dai balconi di tutta Italia ogni musicista, alla stessa ora, suonerà per allietare i propri vicini di casa.

Aldo mette insieme le due idee: mentre partecipa al flash mob dal suo balcone, trasmette il suo concerto live sui social.    Così, può raggiungere i vicini di casa e i follower in rete, contemporaneamente.

La meraviglia dei vicini non si fa attendere: neppure sapevano che lui fosse un musicista!

In un batter d’occhio si sporgono dalle finestre e dai balconi, sorpresi da inattesa meraviglia.

Il successo strepitoso dell’evento, convince Aldo a ripetere l’esperienza. Quello che doveva essere un episodio speciale e isolato, sarà per lui il primo di ventitré concerti, uno ogni sera, fino alla fine del periodo di lockdown previsto per il tre di aprile.

La sua è un’avventura umana e mediatica che verrà ricordata a lungo. Tra notizie di cronaca non proprio felici, si narrerà la storia del violinista che, dal balcone di casa, ha consolato gli inquilini del suo condominio e quelli del palazzo dirimpetto: due stabili a forma di semicerchio, posti l’uno di fronte all’altro, a far cassa di risonanza in un teatro all’aperto.

Aldo realizza che il suo Dono, oltre a far bene agli ascoltatori, fa bene anche a lui: “Era il nostro appuntamento – ricorda – il nostro momento per dimenticare le brutte notizie, la morte … volare insieme in un mondo perfetto, senza sofferenza, senza paure … Si è formata una specie di squadra: c’erano i compleanni dei bambini e cantavamo tutti insieme “Tanti auguri”. Abbiamo cantato l’Inno insieme, abbiamo cantato “Nel blu dipinto di blu” … Tutti i vicini a squarciagola mentre io suonavo … Era bellissimo … Non potendo starci vicini, comunque ci abbracciavamo in questo modo ed era bellissimo.”

Anche la condivisione delle sue performance sui social viene presto premiata.

La vicina cinese di pianerottolo riprende un suo concerto col telefonino e gli chiede di poterlo postare su Weibo – l’equivalente di Facebook in Cina.

Il video diventa “virale” – mai metafora fu più azzeccata! – totalizzando in brevissimo tempo un incredibile numero di visualizzazioni.

Ironia della sorte: grazie ai social, le note di Aldo raggiungono gli estremi confini della terra. Specialmente la Cina, da cui tutto ha avuto inizio.

E, guarda caso, proprio da “China Town”: il quartiere cinese di Milano dove Aldo Sebastian Cicchini, violinista di fama internazionale, ha scelto di abitare con la sua bellissima famiglia.

Morale della storia

Com’è vero che il virus non conosce confini è altrettanto vero che la Musica, sorvolando le barriere del pregiudizio e delle differenze culturali, offre a ciascuno di noi il Pretesto per riconoscerci uguali, di fronte alla morte e alla Vita.

“La Musica è il Linguaggio Universale che ci unisce tutti” dice Aldo.

“Se la Musica è portatrice di un messaggio, il tuo è sicuramente un Messaggio d’Amore – aggiungo io – che tu ne sia consapevole o meno …

“Sì sì, lo sono, lo sono” … e si accende in un sorriso.

Se di questo importante periodo storico possiamo far tesoro di qualcosa, forse è proprio di questo: aldilà di fatti di cronaca e attribuzioni di responsabilità, al di sopra di opinioni, giudizi e pregiudizi, oltre la paura della morte c’è la Vita, con il suo irresistibile Richiamo a viverla per ciò che essa è, nella sua vera Essenza: Esperienza, Miracolo d’Amore, Opportunità per riscoprirci, dietro un velo di illusorie differenze, UNO.

Ondina Wavelet

Per guardare la video intervista clicca qui.

P.S.: grazie di cuore a Christian Gaston Illan e Maria Giulia Linfante, fondatori del fantastico Gruppo Smart Villag(g)e Cloud, per avermi dato la fantastica opportunità di conoscere Aldo e di apprezzare il suo bellissimo cuore.

Per conoscere questa splendida iniziativa, clicca qui.

 

 

 

 

 

 

 

 

 

 

 

 

 

 

 

 

 




“Il buio dietro il sole”: Franz Schubert

 

Stavo guardando ed ascoltando un breve video in cui Luca Ciammarughi veniva intervistato a Piano City Milano, quando mi è preso questo impulso di scrivere.

Luca ha, così, in tutta serenità e semplicità, dall’alto della sua disparata conoscenza musicale – schubertiana in particolare – espresso alcuni concetti e visioni che hanno perfettamente incontrato le stesse mie impressioni.

Impressioni e ipote­si che mi sono fatto a suo tempo, quando il mio percorso di studi musicali mi ha portato ad avvicinarmi “seriamente” alla figura di Schubert, affrontando la sua Sonata in La minore D784.

 

Non conosco molto della vita di Franz Schubert.

Senza vergogna aggiungo anche che credo di ricordare molto poco, e che quanto so è quel che si può trovare nei più comuni libri di storia della musica o affini.

Quel che ricordo sono bagliori isolati, concetti sparsi che, probabilmente, nel mio inconscio hanno un loro senso, seppur tratteggiato.

“Maestrino”, ricordo: un vezzeggiativo di cui tanti anni fa mi disse un mio maestro di pianoforte.

A quanto pare, così era spesso velatamente – ma neanche troppo – sbeffeggiato Schubert da certi suoi contemporanei: in un’epoca in cui il fantasma beethoveniano imperava ancora profondamente sul mondo musicale.

Ricordo di aver letto della “gavetta” di voce bianca di Schubert, della sua voce apprezzatissima e del suo amore per la vocalità, la quale, guarda caso, ha ispirato un numero a quattro cifre di lieder.

Ricordo che morì giovane, ahimè; ma come Mozart, lasciando a noi posteri una produzione disparata di musica di grandissima importanza.

 

Fino a una decina di anni fa del repertorio schubertiano – se si escludono le composizioni pianistiche arcinote come i due cicli di Impromptus, i Moments musicaux, la Wanderer-Phantasie, la Sonata D960 e i brani per duo a 4 mani come le Marce militari, la celebre Fantasia in Fa minore e il Divertimento all’ungherese – conoscevo più che altro la musica cameristica.

I quartetti d’archi primi su tutti, i cui i più noti Der Tod und das Madchen (La morte e la fanciulla) e Rosamunde non sono che due ovvi esempi.

Ma anche l’ultimo, pazzesco e meraviglioso, Quartetto in Sol maggiore D887 che, non mi si chieda il motivo, mi riporta spesso alle sfumature del Sestetto per archi n.2 Op.36 di Johannes Brahms (altro compositore di cui amo probabilmente più il lascito cameristico che di altro genere), specialmente nei momenti in cui il tono popolareggiante emerge più spiccatamente.

Conoscevo i due trii con pianoforte, opere monumentali dense e ricche di aspetti interessanti; l’incredibile Quintetto in Do maggiore, sempre per archi, e il ciclo liederistico Winterreise, un vero e proprio viaggio – appunto – non solo nel freddo dell’inverno, ma fuori dal tempo e dal corpo.

Ignoravo quasi tutte le sonate.

Ignoravo le sinfonie e ancor di più la musica sacra.

Ignoravo perché riconoscevo una mia personale fatica a entrare in vero contatto con l’autore, unita all’esiguità delle occasioni nelle quale poterlo ascoltare.

Come dicevo, è stato l’incontro-scontro con la Sonata in La minore D784 a dipanare alcune nebbie e avvicinarmi con un’altra disposizione d’animo alla figura poliedrica e alquanto misteriosa di Schubert.

La D784 non lo rese uno dei compositori più vicini al mio sentire, tantomeno mi fece innamorare perdutamente di tutto quel che ignoravo.

Ma, indubbiamente, creò uno spazio in più; mi diede un’ulteriore ricchezza che a sua volta mi regalò molto.

 

D’impatto potrei dire che Schubert, ben più di altri – per i quali sarebbe forse più ovvio o prevedibile dirlo – è un compositore con un non-so-ché di “inquietante”.

Anche quando ci propone una melodia dolce e pacifica, dalla fisionomia chiara, o un tema delicato e tranquillo, trasmette allo stesso tempo qualcosa di ombroso e sfuggente.

Non riferendo unicamente alla sonata della quale ho accennato, ma più in generale a tutta la sua musica.

Un po’ come Schumann, che di Chopin una volta disse “cannoni sotto i fiori”, di Schubert si potrebbe dire “il buio dietro il sole”: come un’ambigua smorfia di tensione che cerca di rannicchiarsi dietro un sorriso bonario, o una sorta di freddo alito dietro l’orecchio nel pieno di un momento di pace.

 

Mi torna alla mente una frase della cantante Björk: “la musica non è questione di stile, ma di sincerità”.

La musica schubertiana è non poco ambivalente: tanto schietta ed eloquente da un lato quanto metaforica ed “equivoca”, diciamo, dall’altro.

La rassegnazione che percepisco quando ascolto, ad esempio, l’apertura della Sonata D960 è qualcosa che non riesco ad ignorare: questo tema così morbido, semplice e pulito, mi restituisce anche un senso di accettazione “passiva”, di arresa, di abbandono a un triste destino forse già annunciato.

Schubert è capace di evocare, con lo stesso motivo, luoghi molto reali e terreni quanto piani molto più elevati e lontani.

La prima volta che ascoltai in disco la Sonata in La minore, interpretata dall’immenso Radu Lupu, rimasi sconvolto, nel primo movimento, dalla ripresa del secondo tema: quell’aura di semplicità popolare che lo rivestiva nell’esposizione si trasforma in qualcosa di ultraterreno, sognante ed elevato al suo richiamo, in La maggiore.

Questo canto rinasce estremamente timido, e dal punto più intimo dell’io; quasi di controvoglia, come se Schubert volesse tenerselo per sé ma si rendesse conto che ormai l’ha scritto e l’ha portato nel piano reale, e lo osservasse, da lontano, andare per la sua strada.

E’ quasi una preghiera, detta con unimi e semplici proprie parole, innocente come un bambino arrossato da un velo di vergogna.

 

E di nuovo nella D784 ho percepito un aspetto della musica di Schubert, aspetto che anche altri hanno sottolineato: il suo “camerismo”, se così si può dire, la vicinanza con la scrittura per quartetto d’archi o con quella dei lieder.

Spesso al limite della trascrizione.

Tale aspetto pone non di rado parecchi problemi e punti interrogativi con la tastiera, in quanto non sempre è possibile evocare pienamente certe sonorità con il pianoforte.

Diversi passi di questa sonata hanno immediatamente richiamato a me sonorità d’arco – lo stesso motivo iniziale, così essenziale e legato, enunciato con le mani all’ottava, ne è chiaro esempio – o anche di fiati e di voci.

Soltanto il finale può essere considerato un po’ più pianistico, seppure non manchino tessiture adatte a un possibile trio o a una linea di canto con accompagnamento.

 

Un’altra cosa di cui mi sono accorto, è che la musica pianistica di Schubert non cerca facili virtuosismi, non ama gli effetti strumentali fini a loro stessi, non ha del “biedermeier”.

In un contesto musicale come il primo romanticismo, dove i grandi dominatori della tastiera solcano gli orizzonti (e i palchi dei teatri, o i tappeti dei salotti più in voga), lui percorre e traccia una strada tutta sua, coraggiosamente.

Non ama le parafrasi, gli studi da concerto, le cascate di note vaporose e le scritture “di bravura”.

Trova il suo nutrimento in un terreno in cui l’eloquio narrativo è il fattore predominante.

Schubert si fa cantastorie di situazioni salottiere e di ritiri al limite dell’ascetico.

E’ qui che sento – almeno personalmente – quella sua profonda radice del canto, quella sua voce bianca.

E’ qui che mi accorgo dell’agilità melodica e della disinvoltura costruttiva e discorsiva di Schubert.

Cose che, un po’ più avanti, adotterà il già citato Brahms, il quale ripudierà i funambolismi dei lisztiani (al limite dell’addormentarsi ascoltandoli) e cercherà, nel riappropriarsi di forme più classiche e convenzionali o in un rievocato rigore contrappuntistico, i punti di forza della sua poetica musicale.

Così pare essere Schubert, che fra terra e cielo, inquietudine e riposo, rarefattezza e intensità, rinuncia a tutto ciò che sembra non essergli necessario, curandosi invece di portare avanti l’essenza, l’anima indispensabile della musica.

 

 

 

 

 

 

 

 

 

 

 

Andrea Rocchi




EZIO BOSSO, UNO DEI MODS: Intervista a Oskar degli Statuto.

[youtube https://www.youtube.com/watch?v=JteNID-yuMc?feature=oembed&w=640&h=360]

 

«Un grande musicista, il più grande compositore contemporaneo!» Così Oscar Giammarinaro (Oskar) degli Statuto ha definito l’amico Xico alias Ezio Bosso (rappresentati entrambi nella foto di testa, esclusiva per Betapress).

Ezio ha iniziato la sua carriera da musicista nella band Mod più famosa d’Italia, appunto gli Statuto, diventati celebri per il grande pubblico quando parteciparono al Festival di Sanremo nel 1992 con il pezzo Abbiamo vinto il festival di Sanremo, (Ghetto, Piera e Qui non c’è il mare sono, a mio avviso, altri capolavori di Zighidà)

https://it.wikipedia.org/wiki/Zighidà 

(terzo album della band torinese; n.d.a.).

La British Invasion degli anni sessanta aveva fatto conoscere in Italia la musica Beat e Ska ed anche la cultura Mod.

Uno dei Mods è stato un successo tutto “italiano” degli anni sessanta di Ricky Shayne, un 45 giri che ho consumato quando avevo poco più di 7 anni e che mi ha da sempre incuriosito.

Uno dei Mods è anche quel che pensa Oskar di Xico.

Ho letto molte cose su Ezio Bosso, ma non sempre mi hanno trovato d’accordo, anche perché pochi hanno compreso la grandezza umana di una persona che ha vissuto il reale in modo vero, fino alla fine!

Noi di Betapress, per comprendere chi era Ezio Bosso, abbiamo voluto chiedere un aiuto ad Oskar.

PERTH: Antonella Ferrari (Caporedattore di BetaPress) ha scritto di Ezio Bosso non appena ci è giunta la notizia della sua tragica scomparsa

Il mondo della musica, e non solo, piange Ezio Bosso

 

Nel suo pezzo Antonella ha cercato di fotografare la vita di uno dei più grandi talenti della musica italiana e non solo.

Chiedo a te, che sei uno dei suoi cari amici, com’è nata e cos’ha voluto dire per te quest’amicizia nata intorno alla Piazza (Statuto; n.d.a.)?

OSKAR: Ci siamo conosciuti nel 1985 quando ha iniziato a frequentare la scuola media annessa al Conservatorio G. Verdi di Torino, era stato inserito nella stessa classe di contrabbasso.

Lui era più giovane di me e rimase subito affascinato dal mio modo di vestire, dalla musica che ascoltavo, dalla mia Lambretta e dai miei racconti delle nostre avventure con gli altri Mods, di lì a poco iniziò a frequentare Piazza Statuto Mod con tutti noi.

Quando nel 1987 decisi che non volevo più suonare il basso, ma solo cantare negli Statuto, lui si propose immediatamente come bassista e suonò con noi per circa due anni.

Era talmente creativo, che le sue tante note erano perfino esagerate per le nostre canzoni e quando bisticciò con il nostro maestro, smise di suonare anche con noi e andò a studiare all’estero.

Siamo però rimasti sempre in contatto, quando era a Torino veniva regolarmente da noi in Piazza al sabato pomeriggio e ci siamo sempre sentiti, fino all’ultimo dei suoi giorni.

PERTH: «…era uno di noi, uno dei Mods» hai detto in più occasioni, «ha legittimato i mods», ed ancora «uno nasce Mod, lo capisce… e ci rimane per sempre» ci racconti qualche aneddoto che possa chiarire ai lettori come è nata in te ed anche in Ezio la coscienza di essere un Mod?

OSKAR: Mod non si nasce ma si scopre di esserlo.

Sia io che lui l’abbiamo scoperto appassionandoci all’abbigliamento italiano anni ’60 e all’amore per la musica afroamericana e giamaicana.

A Xico piaceva e suonava molto bene anche il jazz e il termine “Mods”, deriva proprio dal termine “Modernists” che era usato per i primi ragazzi inglesi che ascoltavano questo genere a fine anni ’50.

PERTH: In un tempo in cui la mercificazione “usa e getta” generata da “Reality” e “Talent” produce progetti musicali sterili e poco “artistici” tu esci con il tuo primo lavoro da solista, Sentimenti Travolgenti,

https://music.youtube.com/playlist?list=OLAK5uy_mio4DRIWNyYpd0WIGvBfLtYd34QsxHWcY

parlando di Eleganza.

Non trovi che la raffinatezza compositiva sia oggi fuori dal coro?

Cos’era l’Eleganza per Ezio?

OSKAR: La “raffinatezza” delle composizioni di Xico va decisamente oltre qualsiasi classificazione materiale.

Basta ascoltare le sue “12 stanze” ad esempio, per capire con quanta semplicità ed eleganza riusciva a esprimere sequenze di note leggere e avvolgenti, trasmettendo forti emozioni e vera sensazione di eleganza sonora melodico-armonica.

Più che “fuori dal coro”, lo definisco “straordinario” e “unico”, oggettivamente il più Grande compositore contemporaneo.

PERTH: Ezio ha fatto sua una frase di Antoine de Saint-Exupéry: «L’essenziale è invisibile agli occhi».

Pensi che l’esplosione di creatività e questa certezza degli ultimi anni sia conseguenza della sua malattia?

OSKAR: E’ sempre stato molto talentuoso e creativo, già nelle nostre “canzonette” trovava riff e giri di basso pazzeschi.

La malattia l’ha fatto crescere come uomo, l’ha reso infinitamente saggio, paziente e tenace.

Ha saputo tirare fuori tutta la sua eccezionale creatività grazie anche al tanto studio di composizione, direzione, pianoforte e (perché no?) anche storia, negli ultimi 20/25 anni.

Ormai era diventato un riferimento fondamentale non solo per i musicisti, ma per la cultura in generale.

PERTH: In un’intervista a Fanpage.it Ezio diceva «Dal mondo della musica classica ho subito tanti schiaffoni, ingiustizie, insulti, come quello che esistevo solo perché avevo una malattia (…)» sono rimasto impietrito quando ho letto la sua intervista.

Te ne ha mai parlato?

OSKAR: Certo e posso confermarlo.

In Italia (e solo in Italia!) tanti “professorini” provetti della musica classica sbalordivano ascoltando le sue sinfonie oppure a sentirlo suonare il pianoforte (strumento che lui ha studiato soltanto negli ultimi anni della sua carriera, quando, tra l’altro, stava già cominciando a mancargli la funzionalità delle dita) e quindi pativano e lo invidiavano a tutto tondo e vergognosamente.

Ma lui ha sempre saputo rider loro in faccia, perché il pubblico, tutto il grande pubblico d’ogni parte del mondo, lo adorava.

PERTH: «Se uno è capace di fare le domande trova le risposte… in quello che accade» una concretezza che guarda al mistero di quel che c’è dietro alle cose, l’importante è cercare la bellezza, la giustizia la verità.

Ezio era un “cercatore”?

OSKAR: Xico era contro ogni pregiudizio, anche “positivo”, come piaceva dire a lui.

Conseguentemente, non fermarsi a regole e soluzioni statiche, implica cercare e ricercare, inventare e creare.

Quando ha dovuto smettere di suonare il contrabbasso, Xico si è trasformato in pianista, diventando un concertista e tenendo recital sold-out in tutta Italia.

Lui ha sempre cercato e, soprattutto, trovato una risposta a ogni questione gli si ponesse, anche le questioni più atroci, come la sua malattia.

Era più che un “cercatore”, direi un “trovatore” (ovviamente niente a che fare con i celebri compositori francesi dell’undicesimo secolo…).

PERTH: Hai detto spesso che Ezio non si lamentava mai della sua condizione, anzi, era un amante della vita.

In una delle ultime telefonate ti ha perfino confortato in merito al periodo che stiamo tuottora vivendo di emergenza Coronavirus.

Qual era la sua forza? Come era possibile tutto ciò, tu che lo conoscevi bene?

OSKAR:  Credo che il suo amore per la Musica e per la gente gli abbia dato la forza per trasformare in forza e serenità la forte sofferenza procuratagli dalla tremenda malattia.

In tanti anni mi ha sempre parlato di futuro, di prospettive avanti nel tempo, senza contemplare mai un giorno in cui lui non ci fosse stato più.

Un’energia soprannaturale e non lo dico faziosamente.

PERTH: La sindaca di Torino ha proposto di intitolare un luogo della città alla memoria di Ezio Bosso e a mio modesto parere credo debba essere molto vicina alla Piazza Statuto.

Cosa ne pensi?

OSKAR: Abbiamo raccolto più di 16.000 firme per questa causa, anche la sua famiglia è d’accordo, speriamo di essere ascoltati.

PERTH: Sono stato affascinato da queste due frasi di Ezio:

«Perché è questo quello che fa la musica: dilata il tempo della felicità. La bellezza ci rende felici e il miracolo della musica è il miracolo della bellezza»

e ancora: «…la vera domanda non è “cos’è la musica per me?”, ma “cosa posso fare io per la musica?”».

Da un lato la “bellezza” di cui non parla più nessuno e dall’altro “mettersi al servizio” che è un tabù.

Da amico di Ezio e da artista cosa ne pensi?

OSKAR: Per lui ogni musicista è parte della Musica  e appartiene al pubblico e non viceversa.

Con la partecipazione generale di chi suona e chi ascolta, si ottiene la “bellezza” della Musica… anzi, la bellezza in assoluto.

PERTH: Un’ultima domanda Oskar, ci racconti de La musica magica?

OSKAR: Adesso è ancora presto…

PERTH: Allora ci dobbiamo rivedere assolutamente! Grazie Oskar!

Vi lascio all’ascolto di uno dei capolavori di Xico.

 

 

https://www.youtube.com/watch?v=AHe6AzhRa3o

 

 

Perth

in testa una fortografia inedita concessa da Oskar a Betapress

 

 

 

 

 

 

 

 

Intesta di articolo una fotografia inedita ed esclusiva concessa da Oskar a Betapress, degli Statuto, Ezio Bosso è il secondo da sinistra ed Oskar è il terzo da sinistra.

 

GIANKA: LA FORMA DELL’AMORE

KARMA – INTERVISTA AD ANDREA “CONTE” BACCHINI

 

UN THE CON SKARDY: la musica del cuore.

 




LETTERE DA ENDENICH

Qualche considerazione sui coniugi Schumann in seguito alla lettura di “LETTERE DA ENDENICH” (Filippo Tuena/Anna Costalonga)

di Andrea Rocchi

 

Nel Novembre 2017 mi trovavo in visita a Verona, e, alla ricerca di un oggetto ricordo, sono inciampato in Lettere da Endenich, piccolo libro edito da “Piccola biblioteca di letteratura inutile” e curato da Filippo Tuena e Anna Costalonga che descrive gli ultimi anni di vita di Robert Schumann facendo leva sulla  corrispondenza epistolare del compositore dal sanatorio di Endenich luogo nel quale egli stesso chiese di essere internato.

 

L’introduzione di Tuena – intitolata di paesi e uomini stranieri, in chiaro richiamo al titolo della prima delle celebri Kinderszenen – illustra come la figura di Robert Schumann, negli ultimi anni di vita e in particolare dal suo internamento, si possa paragonare a uno specchio andato in frantumi.

Frantumi che non possono, ahimé, essere riassemblati ottenendo un’immagine completa e unitaria; ma frammenti dai quali sta al lettore interessato dedurre, fare ipotesi più o meno plausibili e giustificate al fine di stilizzare una fisionomia più o meno veritiera del volto del compositore.

Il frammento è la lanterna dell’eremita, l’indizio che può condurre, forse, verso una visione meno evanescente e più nuda, più cruda di Schumann.

Come infatti Filippo Tuena dice, “l’uomo che si è specchiato affronta i propri fallimenti”: il nostro compositore si disincanta gradualmente, si discosta dagli entusiasmi artificiali e dalle sognanti speranze che giungono dai cari; scruta dentro se stesso, senza filtri, istigato dal graduale svelarsi di un elemento sconosciuto che induce uno senso di disturbo, di profonda e crescente inquietudine.

L’uomo-artista guarda in faccia il proprio sdoppiamento: quella zerrissenheit che, già tempo prima, aveva partorito le figure di Florestano e Eusebio, che ora sembra come rigirarglisi contro – o, meglio, addosso – sempre di più, rendendolo inerme, incapace di imporsi in qualche modo.

Fra gli elementi caratterizzanti di questa condizione di sudditanza emergono le allucinazioni auditive – cominciate da un leggero “fischio” per raggiungere suoni precisi (un la) o intere melodie, orchestre suonanti; un doppio tentativo di suicidio, mai effettivamente accertato; una forma di depressione dalle svariate manifestazioni – quasi un senso di “inutilità di sé” – forse a seguito di una qualche malattia venerea, contratta in giovinezza; o ancora l’alcolismo, che pare involontariamente amplificato dall’emergere della figura amica di Johannes Brahms. Schumann descrive quest’ultimo quale fiera e coraggiosa stella nascente del panorama musicale, colui “che doveva giungere”; si entusiasma per le sue composizioni, ne scrive ampiamente e con calore in più di una lettera.

Eppure, forse è possibile scorgere, correlatamente, un velato ma passivo, intimo senso di invidia.

Dalle lettere che costituiscono l’anima di questo libricino, quel che mi ha colpito maggiormente è l’imprevedibile apparente – probabilmente anche simulato di proposito – stato di quiete del compositore, diametralmente contrapposto all’angoscia urlante della moglie, Clara Wieck.

Il che è indubbiamente comprensibile quanto non biasimabile; ma la sensazione che se ne trae, che anche Tuena non si esime di sottolineare, è quella che rende il dolore di lei il fulcro, il reale focus della vicenda: l’attesa forzata di sei mesi dall’inizio dell’internamento dell’amato marito prima che lei possa scambiare con lui anche una sola lettera; per non parlare, poi, di due lunghi anni prima poterlo rivedere, ormai agli sgoccioli della sua esistenza, la sfiniscono.

A ciò si unisce quello stato di indeterminatezza, di “non veramente detto” che lui tiene nelle lettere (forse per evitarle maggior dolore, ma che lei percepisce bene) non la aiutano: si ha l’impressione che Schumann non faccia che chiederle piccoli o grandi favori senza considerarla più di tanto od esprimere parimenti sensazioni di mancanza, di desiderio.

Clara nella sua quotidianità non ha che Brahms e Joachim a sorreggerla, che ciclicamente si recano a Endenich a fare visita a Schumann in sue veci, tenendola informata sull’evolversi della malattia e sui comportamenti del marito; non può contare sulla voce del suo Robert, che negli ultimi quattordici mesi interrompe drasticamente la corrispondenza con lei, accrescendo enormemente la sua angoscia.

Eppure, nonostante tutto questo, Clara deve portare avanti il suo lavoro di pianista concertista – per lei non poco debilitante: soffre spesso di tendiniti – e compositrice, mantenere se stessa e le figlie, pagare la degenza di Endenich…

I frammenti messi a disposizione in Lettere da Endenich hanno al loro interno una fragorosa capacità comunicativa.

Le lettere, i loro toni, ci raccontano gli effettivi valori attribuiti da Schumann alle sue relazioni umane, i quali appaiono non di rado ridimensionati rispetto a quel che ci si potrebbe aspettare o si è solito conoscere per consuetudine storica.

Quando, poco sopra, ho accennato ad una possibile invidia del compositore nei confronti di Johannes Brahms, l’ho fatto sulla base di considerazioni tratte dando uno sguardo più acuto al linguaggio che l’uno utilizza con l’altro (diversamente che con altre persone), cosa che Tuena a sua volta sottolinea quando scrive che “le lettere svelano molto dell’uomo che le scrisse e persino dei destinatari che le ricevettero; soprattutto svelano molto dei rapporti intercorsi tra i corrispondenti in quel periodo essenzialmente velato dalla «non comunicazione»”.

Voli pindarici alquanto estesi e approfonditi sulle composizioni di Brahms – quasi “lettere dentro le lettere” – in un’epistola che non principia con alcun “caro…”, e che magari termina solo con un poco coinvolto “a presto”, danno adito all’idea di una forte emozione iniziale associata al tentativo di mantenere uno strano distacco; un senso come di “fastidio” una volta spentosi l’ardore scaturito sfogliando le Variazioni o le Ballate brahmsiane.

Pur sapendo della venerazione di Schumann per il giovane amburghese, forse non fuori luogo supporre che essa potesse rimbalzare in lui negativamente, con un vago ma invadente senso di invidia, di “gelosia” verso quel temperamento umano e musicale (ovvero non per Brahms in sé); riportando ancora, e con violenza, davanti quello specchio ormai in pezzi, e impossibile da ricomporre: quel riflesso crepato irrimediabilmente portatore di un senso di ingiustizia subita così difficile da digerire, alla cui accettazione si associa una rinuncia di obiettivi, di sogni così vitali ed essenziali e forse, paradossalmente, anche a un vero contatto con la realtà.

Gli ultimi giorni di vita del compositore emergono anch’essi in sgretoli, dalle strazianti descrizioni: ancora una volta è la moglie al centro della scena, nella disperata ricerca di un segno negli occhi del suo Robert che le suggerica di essere riconosciuta o le comunichi ancora amore, che non vanifichi le lunghe attese e gli sforzi fatti.

Clara si prostra fino alla fine, con il dubbio di non essere realmente considerata dal marito – ormai in stato irriconoscibile, ad occhi chiusi nel letto: gli arti tremanti, incapace di articolare parole comprensibili, in continua lotta con i suoi spiriti, e che dalle dita di lei a malapena beve qualche goccia di vino.

Soltanto rari barlumi danno a lui il coraggio di tentare di stringerla a sé, ma ciò si traduce solo in un braccio goffamente gettatole intorno.

Non si è presenti alla vicenda eppure sembra quasi di vederli, immancabilmente innamorati, nell’estrema sofferenza, profondamente uniti anche negli ultimi momenti prima dell’inevitabile separazione.

Alla morte di Robert Schumann corrisponde quella di una parte delle persone che lo amavano – soprattutto, appunto, di Clara – e il trascinarsi dei suoi misteri in un baratro in cui forse mai troveremo risposte alle nostre domande.

Ci possiamo però consolare, con le sue musiche: in particolare le ultime (citate anche nelle lettere), come i Gesänge der Frühe o il Concerto per violoncello e orchestra, sperando possano suggerirci, in un linguaggio altro, se non il nome del male che affliggevano Robert o dei demoni che lo assillavano, almeno qualche aspetto di quell’universo al contempo celestiale e infernale da lui tenuto in petto e dispensatoci, come fece Clara con il vino, a poche gocce, direttamente dalla sua penna.

 

 

 

 

 

 

 

 

 

 

 

 

Andrea Rocchi