Il nichilismo di oggi

Da accademia, se pensiamo al nichilismo e alla sua formulazione, pensiamo a Nietzsche (a me, almeno, succede così).

Umberto Galimberti, filosofo contemporaneo, parla molto di come il nichilismo oggi faccia da sovrano e bruci le vite e le persone.

Il nichilismo è “l’ospite inquietante” come lo chiama Heidegger,

la malattia del nostro secolo,

lo spaesamento del nostro Essere che cerca i valori in assoluto e non li trova.

La convinzione che i nostri propri interessi superino e siano più importanti degli interessi della comunità.

È la solitudine connivente di un Essere omologato e vuoto.

Il nichilismo ci priva dell’umanità a scapito di un ruolo o di un mezzo.

Una solitudine camuffata da popolarità.

Mettere alla porta il nichilismo è però facile – dice sempre Heidegger – basta accorgersi di lui e guardarlo in faccia.

Io il nichilismo lo vedo

E mi sforzo di essere inadeguata, perché il nichilismo, oggi, si nutre dell’omologazione.

Omologazione emotiva,

omologazione sentimentale,

omologazione del pudore,

omologazione etica.

Dove l’Essere entra in crisi e non sa che pesci pigliare, lì trova facilmente conforto in ciò che fanno gli altri e si rasserena.

Ecco il Nichilismo.

Guai all’anima calma e calmata.

Guai anche a chi sceglie di essere ancora superiore alle storture senza parlare.

A chi si arrocca sulla propria torre lontana dalla quale si vede la miseria del nichilismo,

A chi si trova sulla torre grazie alla propria filosofia, diverso e perfettibile

mentre gli altri, fuori, non si vergognano di essere nulla mischiato con niente pronti a sfamare la luna (come direbbe Gurdjieff)

 




L’amore in biblioteca

17 anni fa, in biblioteca, mi innamorai.

È successo nell’unico modo in cui è possibile innamorarsi in una biblioteca:

lui mi porse il vocabolario di latino,

io sollevai lo sguardo,

lo guardai

e vidi che brillava.

Non saprei dire se era bello o meno ma, di certo, ai miei occhi, brillava.

Da allora, ogni giorno, in biblioteca mi sorrideva

e andò avanti così finché una notte mi svegliai e mi resi conto che il limite era giunto,

non potevo continuare a quel modo

avevo bisogno di dormire

e così mi alzai dal letto e andai alla mia scrivania

presi carta e penna e iniziai a scrivere:

“Caro D… è notte e non riesco a dormire perché mi sono innamorata di te.

Mi sono innamorata di te perché…”

E giù una lista di 10 punti

A seguire, per argomentare, continuai:

“tu mi devi amare perché…”

In 22 punti…

Davvero c’erano un sacco di motivi per amarmi…

Chiusi la lettera in una busta e andai finalmente a dormire.

Il giorno dopo consegnai la lettera.

Il giorno dopo ancora mi disse che dovevamo parlare.

Accettai di seguirlo e, per sicurezza, portai con me il pacchetto di fazzolettini di carta perché mettevo in conto che avrei potuto piangere.

Ci sedemmo su un muretto uno di fronte all’altra davanti la biblioteca e mi parlò.

Lui era ancora innamorato della ex fidanzata e non se la sentiva di accettarmi.

Tornammo in biblioteca e continuammo a studiare vicini e lui continuò a passarmi il vocabolario di latino.

Ogni giorno.

Dopo poco lui tornò con la ex fidanzata e dopo qualche anno si sposarono.

In tutto questo non usai mai quel pacchetto di fazzolettini.

Quando mi alzai da quel muretto mi sentivo bene e sollevata

e da allora la notte avevo ripreso a dormire una meraviglia.

Quel rifiuto non mi aveva ferita perché il punto non era la risposta che avrei ricevuto ma il fatto che io potessi condividere la notizia di quel sentimento che aveva a che fare con me e non con lui.

Quando maturiamo dentro di noi un sentimento o una necessità, la cosa da fare è comunicarla

e non importa se l’altra persona è pronta o meno ad accogliere la nostra richiesta, in un certo senso non è affar nostro.

Si tratta solo di noi, del nostro cammino spirituale e umano.

Elaborare emozioni e sentimenti fa parte della nostra maturazione umana e spirituale.

Quando siamo sinceri, non dobbiamo temere i rifiuti perché non hanno a che fare con noi ma con la libertà dell’altra persona che va sempre rispettata.

La nascita delle nostre emozioni parla di noi e va condivisa.

Se cambiamo idea e opinione

se siamo innamorati quando prima non lo eravamo,

se siamo pronti a fare un figlio quando prima non ci pensavamo proprio,

se siamo pronti a sposarci quando prima il terrore ci immobilizzava,

diciamolo

e non abbiamo paura della reazione perché non ci riguarda.

Lo stesso al contrario:

se non amiamo più,

se a un passo dall’altare capiamo che non siamo pronti,

se sentiamo che essere genitori non è la nostra vocazione.

Dentro di noi sta avvenendo una rivoluzione talmente grande che quello che succede fuori non conta.

Ed è questa la bellezza della vita.

A volte si pensa che trattenere le proprie emozioni e i propri sentimenti sia un segno di forza (e a volte è proprio faticoso e doloroso, quasi contro natura).

Pare sia più semplice avere un cuore arido e farsi sopraffare dalle paure, tenere dentro di sé le passioni e farsi schiacciare dalle fobie per sempre, giusto per non sembrare delle banderuole.

Ma sono illusioni.

L’uomo libero ama senza paura e il punto non sta fuori da lui.


Dedicato a chi corre la propria crescita e lascia il suo “vecchio sé” indietro.

 




La bellezza manoscritta

I manoscritti non hanno nulla a che fare con le pagine che vediamo ogni giorno e non tocchiamo.

Il manoscritto porta con sé la grafia, la carta, il tempo, la muffa, gli smangiucchiamenti del tempo e dei topi…

Il manoscritto dice molto di più delle parole incise.

Per lui parlano l’inchiostro, le miniature, le pieghe delle lettere.

Il manoscritto si legge lentamente e ogni parola è un traguardo.

Ogni parola prende senso solo se legata alla precedente e alla successiva.

I manoscritti hanno una lingua scritta e una tracciata e si leggono molto lentamente.

Ci sono manoscritti che si leggono in centinaia di anni.

Al manoscritto non si accede senza lo studio della paleografia.

E più passa il tempo più si capisce che dietro ogni parola c’è l’universo intero contemporaneamente.

Nel manoscritto ogni parola è l’aleph

Ma ci vuole tempo

Che più nessuno ha.




Il Faust dentro di noi

Il mio nome è Faust e non mi sazio.

Ho milioni di fratelli,

tutti identici a me e abitiamo i corpi mortali di uomini eterni.

La mia storia è molto semplice ma straordinaria.

Ero un uomo anche io e già allora non mi saziavo e un giorno venne da me il diavolo a chiedermi la mia anima così appetibile.

Io neppure sapevo che la mia anima fosse così preziosa e accettai quando il diavolo mi propose il suo cambio: avrei potuto avere tutto quello che volevo al mondo e nell’universo.

Il diavolo avrebbe riscattato la sua merce solo alla fine, solo in un caso: quando e semmai avessi detto “ne ho abbastanza”.

Forte della mia fame, mi convinsi di essere immortale e tale rimasi per lunghissimo tempo.

Ero un brav’uomo, colto e di scienza e avevo sentimenti nobili quando iniziai questo mio viaggio.

Amai, uccisi, mi corruppi e diventai peggiore di chiunque, pensai di essermi allontanato da me ma mai, mai mi saziai.

Quando morì fu per errore: Mefistofele pensò che fossi sazio e quando fu il mio momento di pagare il pegno, gli angeli mi salvarono; la mia anima fu salva perché, nonostante tutto quello che avevo fatto, tutti i crimini commessi e tutte le aberrazioni compiute, io avevo provato.

E oggi sono qui,

io e i miei fratelli abitiamo i corpi mortali di uomini eterni

e ci stiamo stretti

e ogni giorno ci dimeniamo e tormentiamo il nostro ospite perché vorremmo di più e lo spingiamo a non accontentarsi e a non saziarsi.

Siamo la voce che ti fa chiedere “ancora e ancora”,

che ti tiene scomodo anche quando agli occhi degli altri hai tutto,

che ti affama e ti asseta di cibo e vino che non sono a casa tua.

Siamo la bramosia furiosa che vuole farti cambiare il mondo perché questo in cui stai è troppo piccolo e non ti sazia.

Siamo la legittimazione della ricerca, la componente salvifica che ti confonderà, ti peggiorerà ma ti garantirà che la tua vita non è stata né vana né sprecata perché hai provato.

Io sono Faust, vivo dentro te e non mi sazio.

 




La noia

Benedetto sia quel sentimento che ci prende quando davvero non sappiamo cosa fare,

quel sentimento che piano piano perdiamo con l’età perché, più cresciamo, meno tempo, ci pare, ci resta per annoiarci.

Più cresciamo, più ci pare che il mondo abbia sempre qualcosa da esigere da noi, qualcosa che, se non la portiamo a termine, potrebbe mettere a repentaglio l’intera esistenza cosmica.

Benedetta sia la noia quando ci lascia distanti da tutto quello che normalmente facciamo e ci fa dire “non c’è nulla da fare”.

Accogliamo la noia e amiamola perché essa è Benedetta.

Quando la grazia della noia ci tocca, non cerchiamo alternative o distrazioni,

non cerchiamo riparo in passatempi che portano via i nostri pensieri,

non apriamo una finestra sulle vite degli altri ma, piuttosto, apriamola sulla nostra.

Benedetta sia la noia che ci presenta la nostra vita, che ci da la possibilità di restare soli con noi stessi, lì dove siamo

e di conoscerci, socializzare con noi, cosa che non facciamo spesso.

Amiamo la noia che ci lascia soli con noi stessi, lì, nel vuoto, dove il peggiore dei rischi che possiamo correre è lo stupore di incontrarci e riconoscerci.

 

 




Il valore dell’amicizia

L’amicizia è immensa ma non ha spazio.

Accoglie chiunque bussi e chiude porte con cortesia.

L’amicizia è un sentimento divino applicato a chi è anche troppo umano.

Perdona all’infinito 

ma solo chi ammette la sincerità.

L’amicizia non vuole bugie 

ma le perdona per amore della debolezza.

L’amicizia è così accessibile a chi si presenta nudo 

e inespugnabile per chi indossa veli.

Benedette quelle mattine che ci riportano agli amici.

Benedette le ore a parlare di sé perché al mondo non esiste nessun altro.

Benedetto lo spazio sacro dell’abbraccio in cui si pensa solo a chi c’è dentro.

Benedetta l’amicizia che ha spazio, tempo e affetto infinito.

Beato chi ha un amico perché il mondo sarà sempre bellissimo.




La bellezza delle cose impreviste

Della mia vita, del mio lavoro, dei miei affetti amo soprattutto le cose impreviste

 

Luigi Pirandello diceva che l’umorismo è la percezione del sentimento del contrario

e a me, il fatto che le cose vadano al contrario di quello che mi aspetto, fa ridere.

La mia vita è tenuta insieme da un curioso senso del divertimento.

Mi piace svegliarmi al mattino e pensare: “chissà cosa accadrà?”,

mi piace trovarmi di fronte a situazioni che sembrano disperate e pensare: “chissà come risolverò questa cosa questa volta?”,

mi piace la risata isterica del “non può accadere veramente”.

E poi agire.

È lì che mi sento viva.

A me, della mia vita perfettamente pianificata (sì perché alla fine io pianifico tutto), piacciono gli imprevisti e le azioni o le non azioni che ne conseguono.

Quando organizzo qualcosa mi piace avere tutto sotto controllo: pianificare tutto minuto per minuto, visualizzare, vivere tutto nei particolari mille volte nella mia mente.

Con l’esperienza ho imparato a fare un piano principale e a tenere sotto controllo una serie sempre crescente di possibili imprevisti, inclusi degli spazi vuoti di osservazione e del “lasciar accadere”

e, nonostante questo, mi stupisco ancora…

che magnificenza la vita…

Ciò che ci accade è simile a una partita a tennis:

sappiamo che ci sono buone possibilità che arriverà la palla nel nostro campo e conosciamo il gesto tecnico per respingerla ma non sappiamo come, dove, quando, con che intensità arriverà, se pioverà, se farà caldo…

si sa che si giocherà la partita e ci si prepara a tutto.

In quello che faccio, mi piace il fatto che molte cose che per altri sono ancora sconvolgenti, per me fanno già parte del piano senza essere discriminanti.

Credo si chiami studio ed esperienza.

E poi, per sopravvivere a tutto questo, ho una gran fiducia.

Ho fiducia innanzitutto in me, a volte rasento il delirio di onnipotenza (ma lo affronto con ironia),

ho fiducia nelle persone che mi stanno accanto, nei professionisti che incontro e, soprattutto, ho fiducia nelle scelte delle persone che si allontanano.

E poi sono fortunata.

Sono fortunata perché non ricordo persone sgradevoli sulla mia strada, non ricordo persone che non hanno contribuito al mio miglioramento.

Sono fortunata perché sono molto selettiva, soprattutto nella memoria.

Sono fortunata perché, in linea generale, non ho paura.


Dedicato a chi ama ridere e sa che, come diceva Italo Svevo, “per ogni veleno esistono i disveleni”

 




Le persone speciali

Le persone speciali le riconosci perché si sviluppano tutte in edizione illimitata.

Hanno illimitato amore, illimitata forza, illimitata memoria e illimitata misericordia.

Illimitata pazienza, illimitato carisma, illimitata gentilezza e illimitata fede.

Le persone speciali hanno illimitati abbracci, illimitate carezze e illimitati baci,

Illimitato tempo, illimitato spazio, illimitati cieli e illimitato ossigeno.

Illimitati hanno cibo e acqua alle loro tavole, spazio sotto gli ombrelli e letti sotto il loro tetto.

Le persone speciali sono tutte in edizione illimitata

Tutti gli altri, sono limitati.

 




Il tempo del pensiero e il tempo della lettura

Domanda per i Lettori Seriali
Gente che legge di tutto e la notte non dorme per continuare a pensare.
Domanda per capire se esiste o no la Solitudine

Chissà se capita a molti che quando leggiamo un libro non è tanto il tempo trascorso a leggere quanto quello impiegato per capirlo.

Alla lettura di una parola, di una frase, di un capitolo,
Seguono ore di riflessione su quei concetti,
su quella sfumature
su quelle passioni.

Sono verità svelate che impiegano ore per venire a galla;
sono bugie palesate che chiedono anni per essere accettate.

Quegli stimoli che ci colgono come un fulmine mentre leggiamo,
sono un mondo che si apre, una risma che squaderna.

Quella scossa di pochi decimi di secondo
si palesa in interi pomeriggi di pensieri.

Pezzi di puzzle che combaciano o si separano,
fili logici che si spezzano e si generano;
pensieri
di un istante che, per essere spiegati solo un poco, hanno bisogno di mille parole.
Quelle io mi chiedo.

Quello che mi chiedo,
tra tutti quelli che macinano pagine su pagine,
articoli su articoli e
libri su libri…

C’è qualcun altro come noi che a mezza pagina letta fa seguire sessanta minuti di riflessione?




L’umanità della lettura

Sarà che sono arrivata per ultima e pure in ritardo.

Un ritardo di quasi 10 anni rispetto ai miei fratelli.

Sarà che il grosso era già stato fatto da mia madre e da mio padre negli anni della loro infanzia e giovinezza.

Sarà pure che molto era stato aggiunto dalle esigenze scolastiche dei miei fratelli

Però, quando sono arrivata io,

la biblioteca di casa Sparacio era già ben nutrita.

A me piacevano i titoli.

Leggevo i titoli sul catalogo del club del libro che trovavo sulle riviste.

Il primo libro che ho letto era un romanzo per ragazze, era di mia madre.

Lo finivo e lo rileggevo.

A quei tempi non leggevo mai la premessa o l’introduzione ma leggevo sempre il catalogo alla fine dei libri.

Ricordo la libreria dove mia madre mi comprava i libri e già allora le mie ricerche dei libri introvabili.

Trovare notizie originali sul ciclo bretone è stata una impresa.

Amavo le storie e divoravo le bibliografie.

Continuano a leggere i cataloghi delle diverse case editrici.

Ancora titoli e titoli che creavano in me un senso di familiarità.

Associavo senza problemi i titoli agli autori.

E Leggevo.

Leggevo tutti i libri che c’erano a casa.

I criteri erano due:

– quello del titolo (se nella mia mente era già conosciuto dalle letture di qualche catalogo allora era un buon libro)

– e quello della grandezza: più di duecento pagine mi sembravano troppe.

Poi arrivò la newton e i suoi 100 pagine mille lire.

Per me è per tutti quelli con la mia inclinazione,

Fu la fine.

Venivano comprati, letti e attesi tutti.

Uno per uno,

In successione.

Come fossero numeri di fumetti.

Volumi senza nessuna cura editoriale

Solo caratteri microscopici e muri di testo.

Saggi, poesie, racconti.

Leggevo e i libri erano talmente tanti e profilati che quando trovano nei testi un riferimento a un altro libro, frugavo nelle librerie e l’avevo.

E lo leggevo.

Libri su libri,

Scaffali delle librerie piene a due e tre file.

Gli ultimi anni del liceo non ho comprato il libro di antologia italiana.

Leggevo i brani direttamente dai libri e li leggevo tutti.

Questa cosa che qualcuno doveva scegliere per me quali parti dei libri leggere, non mi piaceva proprio.

Ero io che dovevo decidere e dovevo sapere tutto.

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A proposito, per non creare dubbi:

A scuola andavo male

Mi applicavo ma non rendevo.

Praticamente un’idiota.

Brava lo sono diventata dopo,

Quando ho cominciato ad unire e mettere in relazione tutto quello che avevo letto.

Questo perché le fasi della vita culturale di una persona, sono due:

La prima di reperimento testi e informazioni.

Una accozzaglia senza senso o criterio.

La seconda di relazione: piano piano tutte le cose lette e imparate, tramano il tuo cervello e ti portano in alto oltre le apparenze superficiali e in profondità verso la ragione nucleare.

Leggere traccia la pieghe del tuo cervello liscio.

Non possiamo credere di sapere tutto solo perché abbiamo letto qualcosa.

Un insieme di titoli e autori non sono cultura.

Possiamo dire di aver capito solo quando troviamo nella nostra vita le pagine di quei libri

Anche se non ricordiamo più chi le ha scritte

Perché non è importante

L’importante è aver riconosciuto il verso.