Fascismo e Antifascismo nel XXI Secolo: mogli e buoi dei tempi tuoi.

L’evocazione di termini storico-politici quali “fascismo” e “antifascismo” nel discorso contemporaneo solleva questioni di notevole rilevanza.

Sarebbe come trasportare ai tempi moderni altri dualismi storici; infatti il concetto di entità che sono logicamente collegate in un certo periodo storico ma non in altri può essere approfondito attraverso l’analisi di specifici fenomeni o ideologie che emersero e si svilupparono in risposta a circostanze storiche particolari.

Queste entità spesso perdono la loro rilevanza diretta o la loro relazione logica quando le condizioni cambiano drasticamente.

Qui di seguito, descriverò due coppie di entità storiche che illustrano questo principio.

Assolutismo monarchico e mercantilismo (XVII – XVIII secolo)

Assolutismo monarchico: Durante il XVII e XVIII secolo, molte nazioni europee erano governate secondo il principio dell’assolutismo monarchico, che sosteneva che il sovrano avesse poteri illimitati, non soggetti a leggi terrene ma solo alla volontà divina.

Questa forma di governo era particolarmente prevalente in Francia, con sovrani come Luigi XIV.

Mercantilismo: Parallelamente all’assolutismo, si sviluppò il mercantilismo, un sistema economico nazionalista che mirava a massimizzare le riserve di metalli preziosi di una nazione attraverso una bilancia commerciale positiva, spesso sostenuta da politiche protezionistiche e coloniali.

Il mercantilismo era logico in un’epoca di assolutismo perché entrambi promuovevano un forte controllo statale, sia dell’economia che della società, e il sovrano poteva dirigere l’economia in modo che servisse gli interessi dello stato.

Differenze in altri periodi: Nel contesto moderno o post-industriale, né l’assolutismo né il mercantilismo sono praticabili o desiderabili.

L’assolutismo contrasta con le moderne concezioni di diritti umani e democrazia, mentre il mercantilismo è stato soppiantato da teorie economiche che favoriscono il libero scambio e la globalizzazione.

Guerra fredda e corsa agli armamenti nucleari (circa 1947 – 1991)

Guerra fredda: Il periodo della Guerra fredda, caratterizzato dalla rivalità ideologica, politica, economica e militare tra gli Stati Uniti e l’Unione Sovietica, ha definito l’ordine mondiale per gran parte della seconda metà del XX secolo.

Questo periodo è stato segnato da un costante sospetto e da un confronto indiretto attraverso guerre per procura e influenze politiche in nazioni terze.

Corsa agli armamenti nucleari: In questo clima di tensione e competizione, entrambe le superpotenze investirono enormemente in armamenti nucleari, portando a una corsa agli armamenti senza precedenti.

La logica dietro questo massiccio accumulo di armi nucleari era la deterrenza, con l’idea che un arsenale sufficientemente potente avrebbe scoraggiato l’altro da qualsiasi attacco diretto.

Differenze in altri periodi: Dopo la fine della Guerra fredda nel 1991, con il collasso dell’Unione Sovietica, la logica della corsa agli armamenti nucleari è diventata molto meno centrata.

Anche se le questioni di non proliferazione e disarmo rimangono cruciali, l’acuta bipolarità e la corrispondente corsa agli armamenti non hanno più lo stesso significato strategico nel contesto multipolare odierno, dove le minacce sono più diffuse e meno concentrata tra due sole superpotenze.

In entrambi questi casi, le entità discusse erano strettamente interconnesse e logiche nei loro contesti storici specifici, ma perdono questa connessione logica quando trasportate in altri periodi storici, dimostrando come le circostanze storiche possano profondamente influenzare la pertinenza e la funzionalità delle pratiche politiche ed economiche.

In un’epoca caratterizzata da una complessità socio-politica crescente, l’applicazione di categorie storiche come appunto fascismo ed antifascismo a contesti nuovi può risultare problematica, oltre che stupida.

In queste brevi note, si argomenterà che il riferimento a tali termini è non solo anacronistico, ma potenzialmente nocivo, influenzando negativamente il dibattito pubblico e politico attuale.

Il fascismo, nato nel contesto post-bellico italiano del XX secolo, era caratterizzato da una forte componente nazionalistica, una politica economica corporativa, il totalitarismo e una repressione violenta dell’opposizione. L’antifascismo, d’altra parte, rappresentava un ampio spettro di movimenti e ideologie politiche che si opponevano a questi principi, spesso sostenendo valori democratici, libertari e progressisti.

Esiste a tutti gli effetti una discontinuità storica: le condizioni politiche, economiche e sociali che hanno dato origine al fascismo degli anni ’20 e ’30 non sono replicabili nella società contemporanea globalizzata e tecnologicamente avanzata.

Utilizzare il termine “fascismo” per descrivere fenomeni moderni può portare a una comprensione errata di questi ultimi, ignorando le loro specificità.

Fin troppo facile ammantarsi di mantelli antifascisti sic et simpliciter, semplificazione e riduzionismo distruggono la verità storica contemporanea.

Etichettare indiscriminatamente come “fascisti” gli avversari politici moderni può ridurre la complessità dei problemi attuali a una dicotomia obsoleta, impedendo un’analisi più matrice e differenziata delle questioni politiche.

L’antifascismo, pur nascendo come risposta necessaria e morale al fascismo, oggi rischia di trasformarsi in un etichettamento che non riflette le reali dinamiche politiche.

Il pericolo è duplice:

Da una parte un vero e proprio fenomeno di polarizzazione e alienazione, anche culturale.

L’uso del termine “antifascista” come sinonimo di virtù può creare un ambiente in cui chiunque non si allinei completamente a una certa visione politica viene marginalizzato o etichettato negativamente, alimentando divisioni e incomprensioni.

Senza dubbio dall’altra si crea una distrazione dai veri problemi: concentrarsi sul combattere un “fascismo” che non corrisponde alla realtà contemporanea, può distogliere l’attenzione da minacce più immediate e concrete alla democrazia e ai diritti umani, come il populismo autoritario, il razzismo sistematico, la disuguaglianza economica e la crisi climatica.

Il rischio di chi continua ad ostinarsi in questa dialettica inutile è che passi per incapace di affrontare seriamente altri problemi e quindi si trinceri dietro una inutile ed ormai suberata diatriba storica per non mostrare la propria inadeguatezza a combattere i temi veri del presente. 

Sostenere che parlare di fascismo e antifascismo sia deleterio non equivale a negare l’importanza storica o l’impatto di tali movimenti, né implica l’ignoranza delle loro tragiche conseguenze.

Piuttosto, si propone una riflessione critica sulla pertinenza e l’efficacia di questi termini nel contesto attuale.

Nel formulare politiche e nel dibattito pubblico, è fondamentale promuovere un linguaggio che rifletta la realtà contemporanea, evitando anacronismi che possano semplificare eccessivamente complesse realtà sociali.

Inoltre, è essenziale che il discorso politico rimanga centrato su questioni attuali, promuovendo un dialogo inclusivo e produttivo anziché divisivo.

In questo modo, la società può effettivamente affrontare e risolvere le sfide del presente con strumenti adeguati e un’analisi accurata.

Lo stesso Slavoj Žižek, anche se non nega l’esistenza di correnti neofasciste, ha criticato l’uso del fascismo come categoria onnicomprensiva che impedisce un’analisi più fine delle condizioni politiche attuali.

Žižek, in particolare, ha sottolineato come l’ossessione per il fascismo possa distogliere l’attenzione da altre forme emergenti di dominio e oppressione che non rientrano facilmente nella categoria del fascismo tradizionale.

In effetti, mentre il fascismo e l’antifascismo resteranno concetti significativi nella comprensione degli eventi storici del XX secolo, la loro applicazione indiscriminata ai fenomeni attuali può non solo distorcere la realtà, ma anche impedire un’efficace risposta alle sfide politiche del nostro tempo.

Viene spontaneo chiedersi: ma è forse proprio quello che qualcuno vuole? Trincerarsi dietro l’evocazione di un periodo ormai estinto per non fare vedere la propria pochezza politica?




la fossa comune

Le fosse comuni sedimentano l’orrore nell’immaginario globale: sono l’abuso definitivo ma difficilmente rimangono nell’immaginario collettivo.

La loro sotto-rappresentazione è una delle unità di misura delle due guerre attualmente in atto, sul fronte ucraino e sul fronte medio-orientale, ma il genere umano non è nuovo a questa pratica, da sempre.

Quando esse finiranno, si camminerà sui cadaveri.

Le fosse comuni gelano il sangue, sedimentano la morte inflitta, la sua umiliazione, l’oltraggio di un oblio senza dignità.

Ma tutto ciò non risuona nel sistema mediatico occidentale, dove la violenza semantica serve a giustificare quella concreta; con la rimozione del contesto storico, con l’intelligenza artificiale usata per anestetizzare i massacri, niente è raccontato nella sua reale misura dai media.

Una simile sotto-rappresentazione ricade su di noi ed è il prodromo di altre violenze.

Fa riflettere che lo stesso sistema mediatico stia ancora balbettando, alla ricerca di parole, di concetti, di frasi da stemperare in mille rivoli di distinguo.

Fa riflettere, perché tutto, in realtà, sarebbe molto semplice da dire, o meglio, da urlare.

 




Matteotti sapeva cose che non è riuscito a dire?

alla vigilia di un 25 aprile A.D 2024, mi accingerei, in un clima alquanto pirandelliano di finti o improbabili censure Rai, di scrittori mossi da esigenze vittimistiche di partito, a raccontare, forse, qualche altra visione possibile rispetto a tutto il “raccontato” o il “raccontabile” in decenni di servizi e cronache più o meno fantasiosi.

Evocando tutto e il contrario di tutto, dicevo, a proposito dello Scurati e della sua ricostruzione del delitto Matteotti, usato a modi clava unicamente per colpire il Governo e nello specifico il Presidente del Consiglio On. Meloni, assai mediocre e servizievole di suo, mi accorgo di quanti fatti storici non siano mai stati voluti veramente portati a conoscenza ai più, alle persone comuni non avvezze a letture di atti processuali o biografie varie.

Mi riferisco al caso o affare “Sinclair oil”, per dir sì voglia, legato a filo doppio con il barbaro assassinio dell’On. Giacomo Matteotti.

Si è scritto in lungo e in largo del delitto del povero Matteotti, ma glissando sempre sul movente e sui contorni torbidi che lo avvolgevano.

Non sarò certo io a poter e dover palesare tali avvenimenti, in quanto autorevolissimi storici e giornalisti lo hanno fatto egregiamente meglio di come potrei farlo io, ma una cosa mi sento di evidenziare:

come mai una Corporate, come la Sinclair oil, già potente nel 1924 e facente capo ad un’altra che lo era molto di più come la Standard Oil, di proprietà di John Davidson Rockefeller, tentò, di corrompere con una lauta mazzetta, si parla di almeno 5 milioni di lire, il capo del governo in persona Benito Mussolini e ciò che rappresentava o avrebbe dovuto rappresentare in termini di ideologia fascista e tutto quello che ne doveva seguire?

Cosa aveva indotto, nel caso, il Duce a declinare in quel caso gli ideali a cui si dichiarava assolutamente fedele?

Magari si era di fronte ad una scelta di campo già obbligata da schieramenti delineati in una scacchiera geopolitica, che riguarda va anche la Real casa Savoia, dove ad oriente il bolscevismo leninista e poi stalinista, lasciava poco spazio, insieme ad un impero britannico ad occidente  invasivo, con gli Stati Uniti d’America non ancora del tutto coscienti di essere super potenza; in mezzo quell’Europa ancora frastornata da una guerra devastante con una Germania esausta e affamata da eccessive sanzioni.

E perché, alla vigilia del famoso discorso che Matteotti avrebbe dovuto tenere alla camera il 30 maggio 1924 su questi temi scandalosi di tangenti, lui stesso girò giorni prima, toccando prima Bruxelles e poi quella Londra dove lo attendevano esponenti sia socialisti nostrani riparati lì per auto-esilio, che labouristi governativi, molti dei quali appartenenti alla Fabian Society ed ambienti massonici?

E poi perché incontrare in segreto la concorrenza commerciale della nazionalizzata British Petroleum?

Quella stessa Standard Oil che deteneva la Sinclair Oil del New Jersey e che aveva partecipazioni importanti, tra l’altro, nella Ig Farben, ovvero quella azienda che durante la seconda guerra mondiale produceva lo Zyclon- b, insetticida tanto caro al regime nazista e ad Hitler per eliminazione degli ebrei nelle camere a gas.

Evidentemente si era mossi non solo da risentimento ideologico e politico, ma da un piano artefatto anzitempo e strategie oscure di predazione non solo del territorio e suolo estrattivo italico, ma soprattutto riguardante quello delle colonie italiane in africa orientale e cirenaica, con contratti ridicoli e favorevolissimi sia ad una compagnia che all’altra d’oltre oceano.

Non può essere che nel suo giro Matteotti fosse venuto a conoscenza di piani anche sul governo e sulla Real casa?

E forse questi argomenti avrebbe dovuto includere nel suo discoro del 30 maggio?

Tutto questo spiegherebbe ulteriormente la figura di Matteotti ed il suo assassinio, figura che rimarrà quella di un grande uomo politico, ma sicuramente sia lui come altri in egual misura, condizionato a posizionamenti contrapposti di appartenenza che non lasciavano spazi di trattativa, e dove i morti erano a destra quanto a sinistra, assassini eseguiti da quegli anarchici altrettanto abili alle armi, vedi il delitto del giornalista fascista Nicola Bonservizi realizzato dall’anarchico Ernesto Bonomini rimasto poi quasi impunito.

In questa nuova luce, si dovrebbe indagare e riscrivere anche quella storia,

Fatta anche da un Re, Vittorio Emanuele terzo, che temeva più che il fascismo, un bolscevismo e un liberalismo già pronti alla secessione parlamentare in Aventino con la conseguente perdita di potere di Casa Savoia.

Falcone diceva segui i soldi, follow the money e scoprirai la verità!

Purtroppo non c’è riuscito, come non c’è riuscito neanche  Borsellino, lasciando la famosa agenda scomoda come le carte mai ritrovate di Matteotti o di Aldo Moro e di Enrico Mattei che furono anch’essi prosecutori.




Sinclair Oil Affaire.

L’affare Sinclair Oil si riferisce a una serie di controversie e scandali politici che emersero negli Stati Uniti nei primi anni ’20, culminati nel cosiddetto “Scandalo Teapot Dome”.

Questo scandalo fu uno dei più gravi e noti casi di corruzione all’interno del governo degli Stati Uniti fino a quel momento, coinvolgendo alti funzionari del governo e importanti compagnie petrolifere, tra cui la Sinclair Oil Corporation.

Durante gli anni ’20, il governo degli Stati Uniti possedeva riserve di petrolio che erano state designate esclusivamente per l’uso della Marina in caso di emergenza nazionale.

Queste riserve includevano il famoso campo petrolifero di Teapot Dome nel Wyoming, così come altri in California e Oklahoma.

L’amministrazione del presidente Warren G. Harding, entrata in carica nel 1921, era caratterizzata da un approccio politico favorevole agli affari e all’industria, il che portò a una serie di nomine di funzionari propensi a politiche pro-business.

Il segretario dell’Interno, Albert B. Fall, fu il protagonista dello scandalo Teapot Dome.

Fall autorizzò in segreto la locazione delle riserve petrolifere a compagnie private senza il processo di gara pubblica, che era la prassi standard.

La Sinclair Oil e la Mammoth Oil (una filiale della Standard Oil) furono le beneficiarie di queste concessioni.

In cambio delle concessioni lucrative, Fall ricevette prestiti e regali significativi da parte delle compagnie petrolifere, compresa la Sinclair Oil.

Questi prestiti erano essenzialmente tangenti, anche se Fall tentò di mascherarli come prestiti legittimi.

Lo scandalo fu scoperto e divenne pubblico dopo un’indagine iniziata da senatori preoccupati per la mancanza di trasparenza nelle transazioni.

L’indagine rivelò la corruzione di alto livello e portò a una grande indignazione pubblica.

Il caso raggiunse la Corte Suprema degli Stati Uniti nel caso “United States v. Fall”, dove Fall fu trovato colpevole di corruzione e condannato alla prigione, diventando il primo membro del Gabinetto degli Stati Uniti a essere incarcerato per reati commessi in carica.

Il presidente Harding morì nel 1923, prima che lo scandalo esplodesse completamente.

Il suo successore, Calvin Coolidge, ordinò un’indagine federale, rafforzando il suo impegno a pulire il governo.

Lo scandalo Teapot Dome fu ampiamente pubblicizzato dai giornali dell’epoca e divenne un simbolo di corruzione governativa.

Le ramificazioni dello scandalo Teapot Dome furono profonde, influenzando la percezione pubblica del Partito Repubblicano e della politica degli affari del governo.

Contribuì inoltre a catalizzare una maggiore regolamentazione delle pratiche commerciali e a rafforzare le procedure di gara pubblica per le risorse naturali gestite dal governo.

Questo scandalo illustra l’eterna tensione tra affari e politica, e le sfide che emergono quando gli interessi privati si intrecciano troppo strettamente con quelli pubblici.

Nonostante le continue esternazioni, non ci sono evidenze storiche dirette che collegano Benito Mussolini personalmente a tangenti o corruzione specificamente con la Sinclair Oil Corporation.

Tuttavia, il regime fascista di Mussolini, così come molti governi dell’epoca, era noto per una certa permeabilità agli interessi commerciali e industriali, compreso il settore energetico.

Durante il regime fascista, Mussolini mostrò un interesse marcato nel controllare e sviluppare l’industria energetica italiana, compreso il settore petrolifero, che era visto come vitale per l’autosufficienza economica e militare dell’Italia.

Mussolini perseguì politiche di nazionalizzazione di alcune risorse e promosse accordi internazionali per assicurare forniture di petrolio, ma questi sforzi erano più orientati alla strategia industriale e geopolitica che non a guadagni personali diretti tramite tangenti.

Nonostante non ci siano accuse specifiche di corruzione tra Mussolini e la Sinclair Oil, il regime fascista non era esente da pratiche di corruzione e nepotismo.

La corruzione era spesso manifesta in forme di clientelismo e nell’assegnazione di contratti governativi a compagnie amiche.

Anche se Mussolini proiettava un’immagine di efficienza e ordine, sotto la superficie il regime aveva le sue quote di affari loschi e gestione discutibile delle risorse dello stato.

In contesti diversi, come quello italiano, simili dinamiche potrebbero non essere legate a un singolo scandalo, ma piuttosto a un sistema di governance che integrava interessi industriali e politici in modi che potevano sfociare in corruzione.

In conclusione, mentre Mussolini stesso non sembra essere stato coinvolto personalmente in scandali di corruzione con la Sinclair Oil, il suo regime evidenziava una complessa interazione tra governo e interessi industriali che, in altri contesti, avrebbe potuto facilmente condurre a pratiche corrotte simili a quelle osservate nel caso del Teapot Dome.

Il caso Sinclair Oil rimane un caso di studio importante per comprendere la corruzione politica e i suoi effetti sulla fiducia pubblica e sulla governance.




Lontani da quegli anni…

Dalla Liberazione a Scurati

 

A Milano il 25 aprile 1945 il Comitato di Liberazione Nazionale Alta Italia, CLNAI, presieduto da Alfredo Pizzoni, diede inizio alla fase di governo che la portò alla costituzione della Repubblica.

 

In quel giorno, infatti, i membri del CLNAI Luigi Longo, Emilio Sereni, il futuro Presidente della Repubblica Sandro Pertini, Leo Valiani, Rodolfo Morandi, Giustino Arpesani e Achille Marrazzo emanarono i decreti che davano la prima forma di governo allo Stato italiano che si stava formando e proclamarono l’insurrezione generale in tutti i territori ancora occupati dai nazifascisti con il fine di obbligare questi alla resa incondizionata.

 

Fu Sandro Pertini a proclamare lo sciopero generale con le seguenti storiche parole “Cittadini, lavoratori! Sciopero generale contro l’occupazione tedesca, contro la guerra fascista, per la salvezza delle nostre terre, delle nostre case, delle nostre officine. Come a Genova e a Torino, ponete i tedeschi di fronte al dilemma: arrendersi o perire”.

 

In queste ore, da giorni, giorni di tensioni che evocano la guerra mondiale e che vedono una Italia piegata da una assai pesante situazione economico finanziaria, si parla pressoché a reti unificate del testo sul 25 aprile del professor Antonio Scurati a cui non è stato concesso di andare in onda sulla televisione pubblica.

 

Ebbene andiamo a vedere cosa il professore avrebbe detto per celebrare il 25 aprile.

 

L’incipit sarebbe stato “lo attesero sotto casa in cinque, tutti squadristi venuti da Milano, professionisti della violenza assoldati dai più stretti collaboratori di Benito Mussolini”

 

Il professore di letterature comparate e scritture creative all’università IULM di Milano Antonio Scurati non avrebbe aperto il suo intervento per riportare alla memoria degli italiani il giorno in cui i rappresentanti delle formazioni partigiane riunitisi nel CLNAI avevano dato l’ultima spallato al fascismo ed alla tragica occupazione nazista bensì parlando dall’onorevole Matteotti leader del Partito Socialista Unitario.

 

Certamente, come ricorda il professore nel suo intervento censurato, “ultimo che in Parlamento ancora si opponeva a viso aperto alla dittatura fascista” ma, questo il mio pensiero, di certo non unico simbolo di quei 250mila combattenti partigiani che combatterono armati contro il nazifascismo.

 

Per chiarezza è lo storico comunista della guerra partigiana Gianni Oliva a dichiarare che in tutto furono 250mila i combattenti partigiani divisi in diverse componenti, non tutte socialiste e vicine a Matteotti.

 

Citiamole tutte per onorarne i loro caduti nella guerra di liberazione partigiana.

– Brigate Garibaldi, GAP e SAP, organizzati dal Partito Comunista Italiano.

– formazioni di Giustizia e Libertà, coordinate dal Partito d’Azione.

– formazioni Giacomo Matteotti, del Partito Socialista di Unità Proletaria

– Brigate Fiamme Verdi, che nascono come formazioni autonome per iniziativa di alcuni ufficiali degli alpini, e si legano poi alla Democrazia cristiana, come le Brigate del popolo

– Brigate Osoppo, autonome e legate alla DC e al PdA

– formazioni azzurre, autonome ma politicamente monarchiche e badogliane

– piccole formazioni legate ai liberali e ai monarchici, come la Franchi di Edgardo Sogno, o quelle trotskiste, come Bandiera Rossa, e anarchiche, come le Bruzzi-Malatesta.

 

Come si può notare non tutti di sinistra e, successivamente, contrari al Patto Atlantico o filo sovietici.

 

Come, soprattutto in queste ore di guerra in terra di Ucraina, non ricordare l’avversità di Pertini all’adesione alla NATO della nostra Italia?

 

Come non chiedersi se, in era di guerra fredda e di Patto di Varsavia, quella scelta sarebbe stata corretta per la giovane democrazia italiana?

 

Socialista Matteotti, socialista Pertini.

 

Il Professor Scurati, sempre nel suo intervento in memoria della liberazione, continua con “In questa nostra falsa primavera, però, non si commemora soltanto l’omicidio politico di Matteotti; si commemorano anche le stragi nazifasciste perpetrate dalle SS tedesche, con la complicità e la collaborazione dei fascisti italiani, nel 1944”.

 

In realtà il 25 aprile commemora la democrazia italiana raggiunta con il sacrificio delle politicamente variegate brigate partigiane da un lato e dal numericamente assai più rilevante sacrificio dei militi delle truppe alleate che hanno letteralmente portato la democrazia in Italia.

 

Come non condividere, almeno io sono fra quelli che lo condividono, quanto il professore dichiara allorquando dice “il fascismo è stato lungo tutta la sua esistenza storica, non soltanto alla fine o occasionalmente, un irredimibile fenomeno di sistematica violenza politica omicida e stragista”.

 

Fino a questo punto, pur se si notano delle omissioni nei confronti dei combattenti partigiani vicino alle culture non di sinistra e nei confronti del’ imprescindibile ruolo delle truppe alleate, furono 465mila i fanti statunitensi sbarcati solo in Sicilia, quanto il professor Scurati riporta al centro della memoria è importante ed utile per dare un senso alle origini della nostra repubblica.

 

Dimenticanze, buchi di memoria, quelle del professore. Docente che ha indubbiamente dedicato quattro romanzi a Mussolini ma che, in questa occasione, avrebbe potuto e dovuto, probabilmente in questo caso non sarebbe stato censurato, parlare dei partigiani e dei loro alleati piuttosto che occupare uno spazio pubblico per strumentalizzare ai fini di mera polemica politica, un momento alto della nostra storia, patria.

 

Strumentalizzazione della televisione pubblica, infatti, la conclusione dell’intervento del professor Scurati allorquando dice: “lo riconosceranno, una buona volta, gli eredi di quella storia? Tutto, purtroppo, lascia pensare che non sarà così. Il gruppo dirigente post-fascista, vinte le elezioni nell’ottobre del 2022, aveva davanti a sé due strade: ripudiare il suo passato neo-fascista oppure cercare di riscrivere la storia. Ha indubbiamente imboccato la seconda via. Dopo aver evitato l’argomento in campagna elettorale, la Presidente del Consiglio, quando costretta ad affrontarlo dagli anniversari storici, si è pervicacemente attenuta alla linea ideologica della sua cultura neofascista di provenienza: ha preso le distanze dalle efferatezze indifendibili perpetrate dal regime (la persecuzione degli ebrei) senza mai ripudiare nel suo insieme l’esperienza fascista, ha scaricato sui soli nazisti le stragi compiute con la complicità dei fascisti repubblichini, infine ha disconosciuto il ruolo fondamentale della Resistenza nella rinascita italiana (fino al punto di non nominare mai la parola “antifascismo” in occasione del 25 aprile 2023)”.

 

Egregio professore, da nipote e figlio di combattenti antifascisti, da cristiano liberale membro di una famiglia di origini ebraiche, la prego di provare ad essere realmente democratico e di non permettersi mai più di sporcare la festa della liberazione con la sua propaganda di parte.

 

Egregio professore impari a scindere gli alti momenti della repubblica con la demagogia di una parte.

 

Egregio professore mi permetta di dirle che l’ultima parte del suo intervento, nell’alzare il dito dalla televisione pubblica contro la Premier Meloni, ha infangato, buttandola in politica di parte, la memoria di chi ha combattuto, in alcuni casi perdendo la vita, per permettere anche a Lei di essere libero avversario della Premier italiana pro tempore Giorgia Meloni.

 

Egregio Professore mi permetta, infine, di farle notare che l’Italia, oggi ancor più che a quel tempo, ha enorme necessità di pensiero alto e realmente, pragmaticamente, democratico e non di “momenti da bar” come, a mio personale e sommesso avviso, avrebbe fornito lei con un attacco alla Premier in un momento che sarebbe dovuto essere “istituzionale” e non “partitico”.

 

In memoria di chi è morto per dare a noi la libertà.

 

Uomini veri.

 

Uomini che combattevano rischiando la vita, non demagoghi.

 

Ignoto Uno




Matteotti: non sono solo antifascista, mi dipingono così!!!

La figura di Giacomo Matteotti, sebbene frequentemente associata all’opposizione al fascismo a causa del suo tragico assassinio nel 1924, presenta delle sfumature ideologiche che lo distanziano da un’etichetta rigidamente “antifascista” secondo l’accezione più comune del termine.

Matteotti, in effetti, emerge come un sostenitore fervente della democrazia parlamentare, posizionandosi criticamente sia contro il fascismo di Mussolini sia contro il comunismo.

Matteotti era membro del Partito Socialista Unitario, una scissione del Partito Socialista Italiano che si opponeva alla direzione rivoluzionaria e comunista di Amadeo Bordiga e Antonio Gramsci nel Partito Comunista d’Italia.

La sua critica al comunismo era radicata nella sua fedeltà alla democrazia parlamentare come metodo di governo e nel suo rifiuto delle tattiche rivoluzionarie e della dittatura del proletariato promosse dai comunisti.

Questa posizione si riflette chiaramente nel suo approccio alla politica, dove privilegiava la legislazione e il dibattito parlamentare come mezzi per realizzare cambiamenti sociali e politici.

In parallelo, Matteotti si opponeva vigorosamente al fascismo, ma la sua opposizione era centrata sulla difesa delle istituzioni democratiche e parlamentari piuttosto che su una contrapposizione ideologica all’intero corpus delle idee fasciste.

Matteotti vedeva il fascismo, soprattutto dopo l’ascesa al potere di Mussolini, come una minaccia diretta alla democrazia parlamentare attraverso la sua tendenza autoritaria e il suo disprezzo per il pluralismo politico.

Il suo famoso discorso del 1924, poco prima del suo rapimento e assassinio, denunciava i brogli elettorali e le violenze perpetrate dai fascisti, evidenziando la sua ferma posizione a favore di un sistema politico democratico e trasparente.

È interessante notare che sia Mussolini che Matteotti provenivano da una matrice socialista.

Mussolini, prima della sua adesione al nazionalismo e alla creazione del fascismo, era un importante esponente del Partito Socialista Italiano, dal quale fu espulso per le sue posizioni interventiste nella prima guerra mondiale.

Questo passato socialista di Mussolini era tuttavia caratterizzato da una propensione per l’azione diretta e una certa predisposizione alla violenza, aspetti che si accentuarono enormemente nel suo percorso verso il fascismo.

In conclusione, Giacomo Matteotti può essere meglio descritto non certo come un antifascista nel senso stretto e militante del termine, quanto piuttosto come un difensore della democrazia parlamentare, il cui impegno politico mirava alla preservazione delle istituzioni democratiche e al rifiuto sia del fascismo autoritario di Mussolini che del comunismo rivoluzionario.

Il suo assassinio divenne un simbolo della lotta contro la soppressione della democrazia in Italia, consolidando la sua immagine come martire della libertà e della giustizia politica.

L’interpretazione di Giacomo Matteotti come figura antifascista, predominante oggi in particolare nel discorso pubblico sia accademico che politico, riflette spesso una visione semplificata, molto limitante e simbolica che non coglie pienamente la complessità del suo pensiero politico e del suo senso di stato, facendo così un torto assoluto alla figura di Matteotti.

La rappresentazione di Matteotti come un eroe antifascista è stata, in parte, una costruzione postuma, enfatizzata in particolare dopo la Seconda Guerra Mondiale, con la rinascita democratica in Italia e la condanna universale del fascismo.

Dopo il suo assassinio nel 1924, Matteotti divenne un simbolo del sacrificio per la libertà e la democrazia.

Il suo martirio fu utilizzato sia dai partiti di sinistra che da quelli centristi per mobilitare l’opinione pubblica contro il regime fascista.

Questa trasformazione di Matteotti in un’icona antifascista può essere vista come un’opportunità per vari gruppi politici di presentarsi come eredi legittimi dei valori democratici che Matteotti difendeva.

Giacomo Matteotti possedeva un profondo senso di stato che si manifestava nel suo impegno per la democrazia parlamentare e nel suo rifiuto delle soluzioni autoritarie e totalitarie, sia di destra (fascismo) che di sinistra (comunismo).

Il suo approccio era fortemente ancorato ai principi di legalità e di rappresentanza politica, visti come pilastri indispensabili per la governance di uno stato moderno e civile.

Matteotti credeva nella necessità di un governo che agisse nell’interesse del popolo, attraverso le istituzioni democraticamente elette, e non tramite il dominio di un singolo partito o leader.

La narrazione che disegna Matteotti come puramente antifascista tende a sovrapporre la lotta contro il fascismo alla più ampia difesa delle istituzioni democratiche e del pluralismo politico.

Questa semplificazione serve a consolidare una certa narrativa storica, ma rischia di appiattire la complessità del suo pensiero e delle sue azioni.

Nonostante la sua chiara opposizione al fascismo, Matteotti era principalmente mosso da una visione positiva del governo, basata sulla legalità e sulla partecipazione democratica, piuttosto che da una contrapposizione ideologica totale verso il fascismo in sé.

Il modo in cui la classe politica ed universitaria italiana ha trattato la figura di Matteotti ha spesso riflettuto le esigenze del presente più che una fedele interpretazione storica.

L’enfasi sull’antifascismo deve essere vista come un tentativo di costruire una memoria collettiva condivisa di resistenza al totalitarismo, utile per consolidare l’identità democratica post-bellica dell’Italia, ma non certo una vera identificazione dello spirito del politico e nemmeno dei valori che lo stesso incarnava.

Tuttavia, questa enfasi oscura il suo autentico impegno per una democrazia parlamentare e la sua critica tanto al fascismo quanto al comunismo.

In realtà, mentre Matteotti viene celebrato come antifascista, è essenziale riconoscerne e comprendere il suo impegno più ampio per la democrazia e il suo senso di stato, che trascendono la semplice opposizione al fascismo, abbracciando una visione più completa e complessa del governo e della politica.

Pertanto, come sempre in questo paese, gli eroi vengono creati a secondo dell’interesse delle fazioni e mai per il vero senso della storia.




Il Tentativo di Limitare la Libertà di Stampa da Parte del Governo passa per l’intimidazione?

Nel recente clima politico italiano, la Presidente del Consiglio Giorgia Meloni ha pubblicamente dichiarato il suo impegno a garantire la libertà di stampa, un pilastro fondamentale della democrazia.

Tuttavia, queste affermazioni sembrano contraddittorie rispetto alle azioni del suo governo, in particolare in relazione al trattamento riservato a Betapress e ad altre testate giornalistiche.

La contraddizione tra le dichiarazioni di Meloni e le azioni del suo governo è palpabile.

Mentre Meloni proclama il suo sostegno alla libertà di stampa, un suo ministro, ad esempio, sembra essere coinvolto in azioni che minerebbero direttamente questo principio.

Nel caso di Betapress, ad esempio, l’ingerenza governativa ha sollevato preoccupazioni significative riguardo alla capacità dei media di operare senza interferenze.

Questo comportamento include pressioni sui giornalisti, tentativi di influenzare la pubblicazione o l’omissione di specifici articoli, e la minaccia di ritorsioni finanziarie o legali contro organi di stampa o i direttori che critichino l’operato del governo.

La coerenza tra le dichiarazioni pubbliche e le azioni politiche è essenziale per mantenere la fiducia pubblica.

In democrazia, i leader sono tenuti a rispettare non solo la lettera ma anche lo spirito delle leggi, comprese quelle che proteggono la libertà di stampa.

Quando le azioni di un governo non corrispondono alle sue dichiarazioni, ciò può minare la credibilità non solo dei singoli politici ma dell’intero sistema politico.

Il caso Betapress non è soltanto un problema interno, ma ha anche implicazioni internazionali.

La percezione della libertà di stampa in Italia influisce sulla reputazione del paese a livello internazionale, specialmente nei confronti di organizzazioni come l’Unione Europea e il Consiglio d’Europa, che hanno stabilito chiari standard di libertà di stampa per i loro membri.

A livello domestico, l’effetto moltiplicatore di una stampa libera è fondamentale per un dibattito pubblico informato e vivace, che è essenziale per il funzionamento di una democrazia sana.

Affinché le dichiarazioni di Giorgia Meloni sulla libertà di stampa siano credibili, è necessario che le azioni del suo governo riflettano questi stessi valori.

Il caso Betapress rappresenta un momento cruciale per l’Italia nel mostrare al mondo che le sue istituzioni possono difendere i diritti fondamentali anche contro le pressioni interne.

Se il governo Meloni desidera veramente salvaguardare la libertà di stampa, deve assicurare che tutti i ministri e le agenzie governative agiscano in modo trasparente, equo e libero da qualsiasi tentativo di manipolazione mediatica.

Solo allora le sue affermazioni potranno essere prese sul serio sia in patria che all’estero.

La libertà di stampa è un pilastro fondamentale delle società democratiche.

Tale diritto, garantito in molte costituzioni in tutto il mondo, rappresenta non solo la libertà di informare tramite il giornalismo, ma anche il diritto dei cittadini di essere informati.

Pertanto, quando un governo tenta di limitare questa libertà, si pone in diretto conflitto con i principi stessi di democrazia e trasparenza.

Recenti manovre governative di alcuni stati hanno visto tentativi di soffocare la critica e di controllare l’informazione mediante l’intimidazione di figure chiave nell’ambito dei media, come i direttori di giornale.

Questi attacchi possono assumere varie forme: dalla minaccia di azioni legali alla sorveglianza, dallo smantellamento della credibilità professionale all’esclusione da eventi ufficiali.

Queste tattiche non solo mettono a rischio la carriera dei giornalisti, ma instaurano un clima di paura e autocensura tra coloro che dovrebbero agire come custodi della verità.

Limitare la libertà di stampa è un atto che va ben oltre la censura di un articolo o l’intimidazione di un editore; rappresenta un attacco diretto ai diritti fondamentali dell’uomo e ai principi di trasparenza e responsabilità.

Un governo che sceglie di percorrere questa strada minaccia non solo i media ma degrada l’intero tessuto democratico della società.

Questo impedisce ai cittadini di fare scelte informate, essenziali per il funzionamento di qualsiasi democrazia sana.

Nel corso degli anni, abbiamo visto numerosi esempi di governi che hanno cercato di limitare la libertà di stampa.

Un esempio emblematico è stato quello della Turchia, dove numerosi giornalisti sono stati arrestati e media chiusi sotto l’accusa di diffusione di “propaganda terroristica”.

Anche in Ungheria, le leggi sui media sono state criticate per aver concentrato il controllo dei media nelle mani di alleati del governo, in Italia un movimento simile avviene invece per apparentamenti!

La comunità internazionale, comprese le organizzazioni come l’ONU e l’OSCE, ha spesso condannato tali azioni, sottolineando come violino gli accordi e le convenzioni internazionali sui diritti umani.

È essenziale che la comunità internazionale, le organizzazioni non governative e i governi democratici si uniscano in difesa della libertà di stampa.

Devono essere implementate sanzioni e misure punitive contro quei paesi che violano consapevolmente questo diritto fondamentale.

Inoltre, è vitale supportare i giornalisti e i media che operano in condizioni ostili, fornendo loro le risorse necessarie per mantenere la loro operatività e sicurezza.

La lotta per la libertà di stampa è una lotta continua in molte parti del mondo.

È una lotta che va oltre la salvaguardia dei diritti dei giornalisti; è una battaglia per la conservazione del nostro stesso sistema democratico.

Intimidire i direttori di giornale è un tentativo chiaro di minare questi principi, e ogni tentativo in tal senso deve essere fermamente respinto da tutte le forze che sostengono la democrazia e i diritti umani universali.

Ogni cittadino, in ogni nazione, ha il diritto di essere informato liberamente e onestamente, e questo diritto deve essere difeso con ogni mezzo necessario.

 

La libertà di stampa

Betapress sotto ATTACCO!!! Acqua in redazione.

Lupi di stato contro l’articolo 21




Salvini: ma ci sei o ci fai?

Matteo Salvini ritorna sulla sua endemica crociata dei tre mesi estivi, che inizialmente era contro gli insegnanti, che in pratica avevano TRE mesi addirittura di vacanza (che poi non è nemmeno vero), oggi, invece, ha girato il suo attacco andando anche a raccogliere un desiderata dei genitori, che d’estate non sanno dove piazzare i figli, ed ecco qua la soluzione, scuole aperte d’estate.

Addirittura sono stati trovati 400 milioni (dove erano nascosti? non è che forse erano i soldi per garantire alle segreterie la continuazione del personale ATA chiamato personale covid? e perché allora non abbiamo trovato 27 milioni per salvare il personale ATA cha abbiamo dovuto mandare a casa ma che alle scuole serviva come il pane? Beh è vero che il ministro dice di aver trovato 14 milioni per quello, 14 non 27, troppo tardi comunque, ormai le persone sono state mandate a casa quindi quelle persone ormai formate difficilmente saranno recuperabili ora), ben 400 milioni trovati, dicevamo,  erano sotto in uno scantinato?

Beh, se è così facile trovare dei milioni di euro suggerisco a tutte le famiglie che stanno morendo per arrivare a fine mese di fare una caccia al tesoro nei vari ministeri partendo da quello dell’istruzione, magari negli scantinati da qualche parte anche loro riusciranno a “trovare” qualche milionata.

Qui mi pare che si parli senza la necessaria comprensione sia della storia che della vera necessità dietro a determinate situazioni.

La decisione di concentrare le vacanze estive in un periodo di tre mesi anziché diluirle durante l’anno scolastico è il risultato di un’organizzazione ponderata e riflessiva del calendario scolastico, supportata da diverse ragioni valide. 

Per cercare di farci capire useremo punti specifici e chiari, non si sa mai:

Continuità e coerenza del calendario: Concentrare le vacanze estive in un periodo di tre mesi consente di mantenere una certa coerenza nel calendario scolastico. Questo approccio facilita la pianificazione delle attività educative e permette agli studenti, agli insegnanti e alle famiglie di organizzare le proprie attività con maggiore chiarezza.

Minimizzazione delle interruzioni: Distribuire le vacanze estive durante l’anno scolastico potrebbe comportare frequenti interruzioni nel processo di apprendimento, compromettendo la continuità e l’efficacia dell’insegnamento. Concentrare la maggioranza delle vacanze in un unico periodo permette di limitare queste interruzioni e di mantenere un flusso costante di lavoro e apprendimento.

Difficoltà nel mantenere la concentrazione: Il caldo intenso può rendere difficile per gli studenti e il personale mantenere la concentrazione e l’attenzione durante le lezioni e le attività didattiche. Questo può compromettere la qualità dell’insegnamento e dell’apprendimento, riducendo l’efficacia dell’ambiente educativo.

Efficienza nell’utilizzo delle risorse: Concentrare le vacanze estive in un periodo di tre mesi consente alle istituzioni scolastiche di ottimizzare l’utilizzo delle risorse. Durante il periodo estivo, molte scuole possono programmare lavori di manutenzione, ristrutturazione o pulizia, senza interferire con le attività didattiche.

Opportunità per attività estive specializzate: Il lungo periodo di vacanza estiva offre ai ragazzi l’opportunità di partecipare a programmi estivi specializzati, come campi sportivi, corsi di arte o di lingua, che potrebbero non essere disponibili durante l’anno scolastico. Queste esperienze arricchiscono il loro bagaglio di conoscenze e competenze in modo significativo.

Promozione del turismo e dell’economia locale: Le vacanze estive di tre mesi favoriscono il turismo e l’economia locale, consentendo alle famiglie di pianificare viaggi e vacanze più lunghe. Questo periodo prolungato di pausa estiva beneficia anche delle industrie turistiche, ricreative e commerciali, contribuendo così alla crescita economica delle comunità locali.

Tempo sufficiente per il recupero e il relax: Tre mesi di vacanze estive offrono ai ragazzi il tempo necessario per riposarsi, rigenerarsi e dedicarsi a interessi personali senza la pressione degli impegni scolastici. Questo periodo di pausa prolungato è essenziale per il benessere fisico, mentale ed emotivo degli studenti, consentendo loro di ricaricare le energie e affrontare il nuovo anno scolastico con rinnovato entusiasmo.

Ma poi, le scuole hanno l’aria condizionata???

Se le scuole non dispongono di aria condizionata e devono funzionare durante l’estate, possono incontrare diversi problemi che compromettono il benessere degli studenti, del personale e l’efficacia dell’ambiente educativo.

Sempre per punti così magari è più facile capire:

Calore e disagio fisico: Le temperature estive possono diventare estremamente elevate, soprattutto all’interno degli edifici scolastici, che possono essere progettati senza adeguata ventilazione o isolamento termico. Senza aria condizionata, gli studenti e il personale possono sperimentare disagio fisico, affaticamento e difficoltà di concentrazione, compromettendo il processo di apprendimento.

Sicurezza e salute degli studenti: Il caldo eccessivo può rappresentare un rischio per la salute degli studenti, specialmente per quelli più giovani o con condizioni mediche preesistenti. L’esposizione prolungata a temperature elevate può causare colpi di calore, disidratazione e altri problemi di salute, aumentando il rischio di incidenti o malori durante le attività scolastiche.

Anche qin questo caso subentra la difficoltà nel mantenere la concentrazione: Il caldo intenso può rendere difficile per gli studenti e il personale mantenere la concentrazione e l’attenzione durante le lezioni e le attività didattiche. Questo può compromettere la qualità dell’insegnamento e dell’apprendimento, riducendo l’efficacia dell’ambiente educativo.

Assenteismo degli studenti e del personale: Le temperature elevate possono causare assenteismo degli studenti e del personale, con conseguente interruzione delle attività scolastiche e riduzione della produttività. Gli studenti potrebbero essere meno propensi a partecipare alle lezioni o alle attività extracurriculari, mentre il personale potrebbe essere più incline a prendere giorni di malattia a causa del caldo e del disagio.

Malfunzionamenti tecnici: Il calore eccessivo può causare malfunzionamenti tecnici negli edifici scolastici, come surriscaldamento degli apparecchi elettronici, interruzioni dell’elettricità o danni alle strutture. Questi problemi possono compromettere la sicurezza e l’efficienza delle attività scolastiche, richiedendo interventi di manutenzione e riparazione che possono essere costosi e dispendiosi.

Impossibilità di svolgere attività all’aperto in spazi non qualificati: Le alte temperature possono limitare la possibilità di svolgere attività all’aperto, come ricreazione, educazione fisica o lezioni all’aria aperta. Questo può ridurre le opportunità di movimento e di socializzazione degli studenti, influenzando negativamente il loro benessere fisico, mentale ed emotivo.

La mancanza di aria condizionata può rappresentare una sfida significativa per le scuole che devono funzionare durante l’estate, compromettendo il comfort, la sicurezza e l’efficacia dell’ambiente educativo.

È importante considerare soluzioni alternative o prendere misure preventive per mitigare gli effetti del caldo e garantire un ambiente sicuro e confortevole per tutti gli attori della comunità scolastica.

In conclusione, la decisione di concentrare le vacanze estive in un periodo di tre mesi anziché diluirle durante l’anno scolastico è supportata da una serie di motivazioni valide che favoriscono l’efficienza, la coerenza e il benessere degli studenti, degli insegnanti e delle comunità locali.

Quindi viene spontaneo chiedersi, ma questa fissa dei tre mesi di vacanza d’estate è paragonabile ad una malattia psichiatrica? 

O è perché da fastidio che gli insegnanti stiano a casa tre mesi? Ma anche ammesso che sia sbagliato, e così non è, siamo convinti che la soluzione migliore sia usare le scuole per fare da  babysitteraggio ai giovani in modo tale che i genitori possono lavorare senza avere il cruccio dei figli? 

MA SIETE SERI?

Non sarebbe allora meglio potenziare i servizi alla famiglia dei vari comuni in modo tale che si possano organizzare, anche in collaborazione con il percorso educativo scolastico, attività più consone al riposo delle giovani generazioni durante la stagione estiva?

E non sarebbe forse meglio fare in modo che le famiglie possano stare insieme di più durante l’estate per consolidare i rapporti famigliari, invece che lasciare i figli sparsi per il paese? e non sarebbe forse meglio ritornare ad un concetto di nucleo famigliare importante magari agevolando le mamme/papà lavoratrici/ori in modo che nel periodo estivo abbiano più tempo per i loro cari?

Non sarebbe meglio investire i soldi dello stato in ben altro modo che buttare 400 milioni di euro per far stare i ragazzi a scuola d’estate?

Non è che questa è solo una captatio benevolenzia elettorale?

E comunque, giusto per  osservazione, quando si dice che gli altri paesi fanno in modo differente, ricordo che le posizioni geografiche degli altri paesi sono differenti dalla nostra, i servizi messi a disposizione dagli altri paesi per la famiglia sono differenti dai nostri, la scuola degli altri paesi è differente dalla nostra, e anche, a rischio di essere tacciato di razzismo, gli abitanti degli altri paesi sono differenti da noi, anche a livello di problematiche demografiche!

Quindi prima di dire che gli altri paesi fanno le cose in altro modo e quindi dovremmo farle anche noi così, vediamo però di farle tutte anche noi in altro modo, non solo quello che fa comodo alla nostra classe politica.

Demagogia invece che soluzioni, soldi buttati invece che investiti, come se fosse la prima volta che succede.

Ma la colpa è anche nostra che pur di avere il sollievo momentaneo ai nostri malesseri, non ci accorgiamo di chi lavora invece non per il nostro bene, ma solo per il suo.

Ahi serva Italia…




Fine dell’impunità

Da Venezia si eleva forte un appello ecumenico “Serve un cambio di paradigma per una società più civile che faccia dell’Uguaglianza un principio concretizzato nei fatti. “
SERVE LA FINE DELL’IMPUNITA’, che è il titolo del libro di Isabelle Rome uscito di recente in Francia!

Isabelle Rome da Parigi e Paola Bergamo da Venezia stringono una alleanza e si uniscono in battaglia per uno scatto di civiltà che riguarda di fatto diritti universali e l’intera umanità!
Guardano ciascuna al proprio paese ma con spirito di donne europee!

“Anche solo accettare commenti e comportamenti sessisti sono tutte forme di “anticamera” della violenza!”

C’è troppa violenza di genere, troppa violenza sulle donne: violenza psicologica, violenza fisica, violenza “trasparente” che poi è l’anticamera del femminicidio! Serve una rivoluzione giuridica e giudiziaria! SERVE LA FINE DELL’IMPUNITA’


 

L’11 aprile 2024, un luogo fortemente simbolico e suggestivo, l’aula di giustizia del Tribunale Penale di Venezia, dove di solito si celebrano i processi, si è trasformata per l’occasione sede di convegno.  Gremita da un folto e attento pubblico tra numerosi addetti ai lavori, avvocati penalisti e magistrati, ma anche persone accorse per un semplice interesse è stato trattato approfonditamente il tema della violenza di genere, della violenza sulle donne e del femminicidio, lanciando un importante “appello ecumenico” dalla città lagunare: “Ora basta!  Serve la fine dell’impunità!”.

Isabelle Rome, ospite d’onore, paladina questa battaglia,  è giunta a Venezia direttamente da Parigi, dopo una tappa a Novara e un’altra a Milano,  per l’evento organizzato dal Centro Studio MB2, Monte Bianco – Mario Bergamo,  per dare un tetto all’Europa sotto la Presidenza di Paola Bergamo. L’ importante magistrato di Francia, Alto Funzionario del Ministero di Giustizia di Francia, già Ministro dell’Uguaglianza di genere, della diversità e delle pari opportunità di Francia e oggi Primo Presidente di Camera della Corte d’Appello del Tribunale di Versailles ha sottolineato come solo lo strumento coercitivo possa incidere sulla società al fine di porre rimedio ad una piaga socio-culturale frutto di una visione ancora troppo maschilista della società. Ha portato l’esempio di quello che accade nell’ordinamento giuridico in Francia in tema di violenza di genere, violenza psicologica, violenza fisica fino al caso estremo del femminicidio. Ha descritto  come interviene l’ordinamento francese, che pur agendo con forza al fine della prevenzione e del contrasto del femminicidio tuttavia non ha ancora riconosciuto questa fattispecie come reato.
Riconoscere invece il femminicidio come reato , insistendo sulla drammaticità del fatto che si connota per  la soppressione di una persona perpetrata proprio per il suo sesso, cioè perché donna, sarebbe prezioso strumento per perseguire i colpevoli, per un piena  certezza della pena, per una maggiore efficacia della sanzione e chiarire una volta per tutte che non è più ammissibile l’assenza di punizione. Solo questa è la via da percorrere per porre rimedio alla tanta violenza di genere che funesta le nostre società e che  è grande  emergenza umanitaria. Accettare commenti e comportamenti sessisti sono tutte forme d’  “anticamera” della violenza. Isabelle Rome ha confermato che nella sua lunga carriera di magistrato, ha constatato che le vittime, spesso per mesi o addirittura anni, hanno subito violenza psicologica, prima di venire uccise. Questo avviene secondo uno schema, uno scenario ripetitivo: isolamento, denigrazione, molestie, gelosia eccessiva, minacce volte a esercitare un controllo, un dominio sull’altro.

Paola Bergamo, indossando metaforicamente la “toga”, ha arringato con forza, da quel banco giudiziario, dove si enuncia forte che “La legge è uguale per tutti!” con un’ analisi- processo sulla  società. Nel richiamare anche la memoria storica del PRI, ha ricordato che più di un secolo fa già suo Nonno, Mario Bergamo, ultimo Segretario del Partito Repubblicano sotto la Monarchia, nella sua poderosa bibliografia politica aveva messo tra le priorità delle questioni sociali e di giustizia sociale, proprio la questione femminile, con un libro del 1913 dal titolo “Parola alle donne”, parlando di uguaglianza, prevaricazione e necessità di emancipazione invitando le donne e gli uomini a una lotta di libertà.
Paola Bergamo ha sottolineato con forza che quella che si registra oggi non è solo una emergenza giuridica ma è una emergenza sociale: nel 2023 sono stati ben 42 i femminicidi in Italia e dall’ inizio dell’anno sono già 14 mentre nel mondo ci sono ben 144 femminicidi al giorno! Una piaga che trova le radici nella struttura stessa della società, frutto di una costruzione secolare basata sul modello del potere maschile predominante e prevaricatore su quello femminile. Nonostante i tanti passi avanti fatti, finché perdura questo modello non ci sarà mai vera uguaglianza tra uomini e donne. Non si tratta certo di innescare una lotta di genere ma è necessario porre fine al machismo. In questa battaglia i migliori alleati delle donne dovrebbero essere proprio gli uomini, il che comporta  un necessario cambio di paradigma socio-culturale e giuridico per una rivoluzione che se s’impone giuridica e giudiziaria serva a  far scattare, come spesso sottolinea la sociologia del diritto, una necessaria rivoluzione e progresso sociale . “Non otterremo mai una reale uguaglianza tra donne e uomini e non garantiremo mai alle donne la dignità che meritano finché le nostre società resteranno minate dalla violenza contro le stesse. La violenza, sia psicologica, sia fisica, sia sessuale, sia essa “trasparente”, la più insidiosa, rende necessario un incisivo controllo coercitivo”! Questo è l’appello congiunto di Isabelle Rome con Paola Bergamo.

Se oggi la Giustizia italiana interviene efficacemente avendo attivato  il “Codice Rosso”, dando quindi una priorità per la trattazione giudiziaria dei casi di stupro, violenza e femminicidio, resta il fatto che in Italia, come del resto in Francia, il femminicidio non è contemplato dal codice penale.  Il Codice Rosso, poi,  è stato attivato a costi invariati, cioè a costo zero. Ed è quindi chiaro che tutto ciò comporta un surplus di lavoro per i tribunali spesso già oberati di immenso lavoro e che, cercando di dare una risposta immediata a questi casi, produce purtroppo, gioco forza, per la scarsità di mezzi e personale,  il rallentamento di altri casi e processi da trattare. Sono quindi auspicabili più investimenti sulla Giustizia.

Lo strumento repressivo che colpisce chi devia dalle regole della società, diviene prezioso e insostituibile strumento per incidere sulla società, su un suo necessario cambiamento, in quel rapporto di reciproca influenza, come ben spiega la sociologia del diritto, in quel rapporto di reciproca influenza per cui il diritto influenza l’azione sociale e a sua volta ne viene influenzato.

Isabelle Rome a Paola Bergamo entrambe si sono dichiarate “sorelle” unite in battaglia, nel nome dell’Uguaglianza, della Dignità della persona, della Giustizia Sociale e della Libertà, guerriere certe nel nome delle loro Nazioni ma da  convinte Europeiste.

 

Da Paola Bergamo – <span class=”update-components-actor__description
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          "><span aria-hidden="true">Presidente presso Centro Studi MB2</span></span></a></span>



Valditara firma ma va contro la legge.

 

l Ministro dell’Istruzione e del Merito, Giuseppe Valditara, ha firmato il decreto che stanzia 400 milioni di euro per finanziare attività di inclusione, socialità e potenziamento delle competenze per il periodo di sospensione estiva delle lezioni. che prevedono, in particolare , attività, sportive, musicali, teatrali, ludiche e ricreative.

L’utilizzo delle risorse (400 mln ) di cui al DM Istruzione 11 aprile 2024 n. 72 Valditara  deve essere programmato con gli Enti Locali ai sensi del comma 22 dell’art.1 della Legge 107/2015  (Le Istituzioni scolastiche e gli Enti locali promuovono…anche in collaborazione con….) ed in particolare con i Comuni titolari della competenza in merito alle funzioni sociali, ricreative etc. di cui trattasi ai sensi sensi dell’art. 13 del TUEL (“Spettano al Comune tutte le funzioni amministrative che riguardano la popolazione ed il territorio comunale , precipuamente nei settori organici dei servizi alla persona ed alla comunità…”) .

La programmazione congiunta è dovuta al fine di evitare sovrapposizioni con le analoghe iniziative (Centri ricreativi estivi ….etc.) proprie dei Comuni ed esclusioni nella coperture del bisogno espresso dai Comuni quali rappresentanti del territorio, laddove l’impiego delle risorse fosse rimesso alla mera discrezionalità delle scuole. 

Resta inoltre il dubbio sulle ragioni per cui gli insegnanti – e solo gli insegnanti – che sono in servizio e retribuiti durante la sospensione delle attività didattiche come il restante personale scolastico, debbano, stando a quanto dichiarato dal Ministro, essere ulteriormente remunerati per poter svolgere le attività programmate dalla scuola nel periodo di sospensione delle attività didattiche , nell’ambito delle funzioni proprie .

Legge 107/2015 art.1 comma 22. “Nei periodi di sospensione dell’attività didattica, le istituzioni scolastiche e gli enti locali, anche in collaborazione con le famiglie interessate e con le realtà associative del territorio e del terzo settore, possono promuovere, nell’ambito delle risorse umane, finanziarie e strumentali disponibili a legislazione vigente e, comunque, senza nuovi o maggiori oneri per la finanza pubblica, attività educative, ricreative, culturali, artistiche e sportive da svolgere presso gli edifici scolastici.