Caro Ministro Valditara, tutor di orientamento ma è veramente utile???

La domanda sulla validità e l’utilità dei tutor di orientamento solleva diverse questioni complesse e può essere affrontata da diverse prospettive.

Per sviluppare un’analisi critica, considererò vari aspetti come il ruolo dei tutor di orientamento, la loro efficacia, il contesto educativo e sociale, e gli eventuali limiti e sfide che questo ruolo può comportare.

I tutor di orientamento sono spesso impiegati nelle istituzioni educative con l’obiettivo di fornire guida e supporto agli studenti nel loro percorso accademico e professionale.

La loro funzione primaria è quella di aiutare gli studenti a comprendere le loro opzioni accademiche e di carriera, fornendo informazioni, consigli, e risorse.

Una critica è che l’orientamento fornito da un tutor può essere troppo standardizzato e non adeguatamente personalizzato per le esigenze individuali degli studenti.

Questo approccio “taglia unica” può non essere efficace per tutti gli studenti, specialmente in un contesto educativo sempre più diversificato.

La qualità dell’orientamento fornito può variare significativamente a seconda della formazione e dell’esperienza del tutor.

In alcuni casi, i tutor potrebbero non essere adeguatamente formati o aggiornati sulle ultime tendenze nel mondo dell’istruzione e del lavoro.

Vi è il rischio che gli studenti diventino troppo dipendenti dai tutor per prendere decisioni importanti, invece di sviluppare la capacità di valutare autonomamente le proprie scelte e percorsi.

L’orientamento fornito potrebbe non essere sempre in linea con le reali esigenze del mercato del lavoro, portando gli studenti a perseguire percorsi di studio o carriere meno vantaggiosi.

Il vero orientatore è in realtà il docente che ben conosce, o dovrebbe, il suo giovane allievo, e pertanto per molti studenti, soprattutto in fasi critiche del loro percorso accademico, il docente può fornire supporto essenziale, aiutandoli a navigare in un sistema educativo complesso.

Gli stessi docenti possono agire come un importante collegamento tra gli studenti e le risorse disponibili, come borse di studio, tirocini, e opportunità di studio all’estero, che altrimenti potrebbero essere difficili da scoprire.

Invece di creare dipendenza, un buon docente può in realtà aiutare gli studenti a sviluppare competenze decisionali e di pianificazione autonome, fornendo strumenti e metodi per valutare in modo critico le proprie scelte.

In un contesto educativo che valorizza la diversità e l’inclusione, i docenti correttamente formati ed aggiornati possono svolgere un ruolo cruciale nel supportare studenti con background e esigenze diverse, inclusi quelli con difficoltà di apprendimento o provenienti da contesti svantaggiati.

È importante considerare, inoltre, il contesto in cui operano i tutor di orientamento.

In alcuni sistemi educativi, potrebbero essere sottoposti a pressioni per indirizzare gli studenti verso percorsi specifici che riflettono gli obiettivi istituzionali piuttosto che le esigenze individuali degli studenti.

Inoltre, il rapido cambiamento del mercato del lavoro e l’evoluzione delle carriere richiedono un aggiornamento costante delle competenze e delle conoscenze da parte dei tutor di orientamento.

In conclusione, mentre ci sono critiche valide riguardo all’efficacia e all’approccio dei tutor di orientamento, è anche chiaro che solo i docenti possono svolgere un ruolo significativo nel supportare gli studenti.

Quindi caro Ministro alla fine forse era il caso di valorizzare maggiormente il corpo docente che lei ha a disposizione senza buttare altri soldi, smettendola di umiliarlo con progetti che non valorizzano il ruolo dei docenti.

 




LA POLITICA DEL CENTRISMO IN ITALIA TRA ATTUALITA’ E PROFEZIA

“Alla società del non pensiero ancora oggi la Democrazia Cristiana propone una visione fondata sui valori umani e cristiani.”

Bisogna riportare le lancette degli orologi indietro nel tempo per cogliere l’importanza e le ragioni del sorgere del c.d. centrismo nella politica nel nostro Paese …

Il PPI nasce nel 1919 con Sturzo e poi De Gasperi che poi confluisce pure lui nel 1920 nel PPI.

A questi si unisce il futuro Presidente della Repubblica Giovanni Gronchi, allora sindacalista cattolico.

Il Partito si fondava sul popolarismo di Sturzo e la Dottrina Sociale della Chiesa. Grazie a ciò, molti cattolici tornarono in politica dopo il Non Expedit.

Il PPI raccolse anche molti Liberali cattolici antisocialisti e una grande parte della massa contadina, in quanto appunto non legato a una classe sociale borghese.

Il Manifesto di Sturzo è noto come «Appello ai liberi e forti», i cui capisaldi sono:

  • Il ruolo della Società delle Nazioni
  • La libertà religiosa
  • La famiglia
  • I sindacati cattolici

Il PPI ottenne il 20 % dei voti nel 1919 e circa 100 deputati. Altre istanze del Partito riguardavano: il decentralismo, la lotta al latifondo e il voto alle donne, temi dichiaratamente antifascisti.

Dopo la Marcia su Roma tuttavia don Sturzo aderì al nuovo governo di Mussolini con atteggiamento critico.

Nel 1924, i Popolari conobbero una sconfitta notevole, poiché diversi cattolici aderirono al Fascismo tanto che nel 1926 i Popolari si sciolsero.

In seguito, la DC raccolse diversi ex esponenti cattolici del Fascismo, tra cui Fanfani, Tambroni, Giuseppe Medici etc.

Nel 1942 De Gasperi, Gronchi, Scelba, Malvestiti, Andreotti e Moro con Fanfani e Dossetti, si radunarono presso la casa di Giorgio Falk per discutere la costituzione di un partito cattolico.

Il 1943 viene comunemente considerato come il momento di fondazione della DC con il relativo simbolo storico.

Venne inoltre elaborato qui nel luglio 1943 il c.d. Codice di Camaldoli, un documento programmatico che tratta tutti i temi della vita sociale: dalla famiglia al lavoro, dall’attività economica al rapporto cittadino-stato.

Si elencano inoltre anche i principi morali cui deve sottostare anche il mondo economico.

Nel 1944 Ivanoe Bonomi fu incaricato di costituire un nuovo governo, il terzo col suo nome, con appoggio di DC, PLI, PCI, PDL, nel quale De Gasperi rafforza la sua influenza.

Il comitato cattolico resta clandestino fino al Governo Badoglio. La DC partecipa alla Resistenza armata contro il Nazifascismo; uno dei capi di essa fu Enrico Mattei.

Nel 1945 Nacque il Governo Parri appoggiato da varie forze democratiche e in seguito il Governo De Gasperi che avrebbe dovuto organizzare le elezioni democratiche referendarie.

Era la mattina del 2 giugno 1946 quando per la prima volta in Italia anche le donne partecipavano ad una consultazione politica nazionale determinandone l’esito: votarono infatti circa 13 milioni di donne e 12 milioni di uomini. L’Italia il 2 giugno 1946 si sveglia una Repubblica.

Un esame degli avvenimenti più rilevanti da un punto di vista storico, sociale, politico, economico e antropologico ci fornisce uno spaccato per comprendere i primi passi del giovane paese repubblicano, nella prospettiva di intendere le prime significative scelte propedeutiche alla difficile ricostruzione dell’Italia post bellica proprio attraverso la politica del centrismo.

 

Il centrismo nella politica nasce con Alcide De Gasperi, figlio della cultura popolare e strumento operativo del “popolarismo sturziano”, la più alta forma di democrazia che aprì un varco in quella stagione storica così da generare una rinascita e una ricostruzione democratica dell’Italia sulle spinte riformiste.

Il centrismo rappresenta una cornice ideologica non nettamente definita, alla quale appartengono quei partiti che si collocano nel centro dello schieramento politico e che si fanno promotori di una posizione intermedia tra le posizioni estreme di destra e di sinistra in campo socio-economico.

In Italia, dal 1946 in poi, il centrismo è stato principalmente sinonimo di “cristianesimo” democratico.

La DC ha racchiuso al proprio interno variegate posizioni sia in campo economico- sociale che culturale, tutte, però, cresciute nel comune alveo della dottrina sociale della Chiesa cattolica e ha saputo coltivare una sorta di partito società, in quanto rispecchiava le diverse classi sociali caratterizzandosi per essere interclassista.

Questa scelta di politica moderata adottata dal centrismo sostanzialmente viene generata dalle condizioni storiche poste in rilievo che concentrano il loro momento topico sulle elezioni politiche del 18 aprile 1948: le prime dell’Italia Repubblicana, nelle quali la Democrazia Cristiana consegue un risultato inequivocabile, il Paese nel timore delle sinistre, coagula nel responso delle urne un consenso elettorale storico del 48,5 %: gli italiani scelgono di dare fiducia al Presidente del Consiglio Alcide De Gasperi e al suo progetto di governo centrista.

Le contrapposizioni e le conflittualità non producono frutto se non indirizzate in una dialettica di reciproco ascolto che conduce ad una riflessione.

La politica senza dialogo, confronto e proficua riflessione sui problemi continuerà progressivamente a generare uno scollamento della gente dalla politica stessa, le persone alla luce degli scenari del tutto deludenti e inefficaci che certificano il fallimento della politica insensibile alle esigenze sociali ha prodotto sentimenti diffusi di incredulità e profondo pessimismo.

Il percorso del governo De Gasperi si profilava alquanto difficile e complicato, doveva fare i conti oltre che con le contingenze della storia anche con i contrasti tra i partiti della maggioranza e all’interno della stessa DC, dove il gruppo guidato da Dossetti e Fanfani si batteva facendo leva sulla conoscenza intellettuale per cambiare la realtà del Paese anche attraverso una diversa visione dello sviluppo economico e sociale, aspetto basilare per un effettivo cambiamento della società.

Dopo il successo elettorale della Democrazia Cristiana del 19 aprile 1948, nel quale ottenne il risultato storico del 48,5% dei consensi in Italia, De Gasperi, anziché optare per un governo monocolore, diede a battesimo quella scelta politica del centrismo che, nel prendersi cura delle Istituzioni democratiche, si rilevò profetica e rispondente ai bisogni del Paese.

De Gasperi mise insieme per sostenere l’azione di governo: “Socialdemocratici”, figli della tradizione culturale del pensiero marxista; “Repubblicani”, laici ispirati dai riferimenti culturali inizialmente ancorati alle posizioni di sinistra non marxista e anticlericale del pensiero mazziniano; “Liberali”, una parte della classe dirigente che partecipava attivamente alla vita politica ponendo in grande considerazione le questioni sociali che generarono un contributo alla discussione pubblica del tempo.

In queste diversità di posizioni politiche, De Gasperi non chiese una comunione di pensiero alla coalizione, ma un sostegno all’azione di governo per contribuire, ognuno nella propria autonomia di vedute politiche, alla costruzione della democrazia rappresentativa nel Paese.

La legislatura si chiude sulla inattuata e controversa riforma elettorale che tuttavia alle elezioni politiche del 1953 conferisce nuovamente la maggioranza allo schieramento centrista che segnerà anche la fine del percorso politico di Alcide De Gasperi che da saggio uomo politico quale era, si ritira dalla politica di quegli anni e morirà prematuramente l’anno successivo nell’agosto del 1954.

Le elezioni politiche del 1958 definiscono uno scenario politico interno e internazionale cambiato rispetto agli anni precedenti che avevano favorito la genesi e caratterizzato la stabilità dei governi figli del “centrismo degasperiano” e dell’indiscussa egemonia politica della DC, appoggiata dai partiti di centro minori da cui era scaturita la definitiva emarginazione governativa del PCI e del PSI.

Durante la II Legislatura della Repubblica Italiana in carica dal 25 giugno 1953 all’11 giugno 1958 la politica di governo del centrismo sopravvisse al suo fondatore in maniera sempre più instabile e mostrando ormai segni evidenti di deterioramento che nel 1958 ebbero il loro epilogo, in quanto la formula centrista adottata per contrastare la sinistra socialcomunista e per evitare accordi con la destra monarchica e neofascista segnava ormai il suo declino.

Si alternarono governi deboli e, da un lato il progressivo distacco del PSI dal PCI con la fine dell’unità delle Sinistre, e dall’altro l’involuzione conservatrice cui andò incontro il PLI, contribuirono a mettere in crisi la formula centrista sulla quale si era costruito il solco della democrazia rappresentativa, una esigenza inarrestabile del Paese.

Alle lezioni del 1958 la prognosi del primo declino dei governi centristi fu conclamata dalla storia, la DC sotto la guida di Amintore Fanfani prima, e di Aldo Moro poi, elaborò alcune coalizioni verso la sinistra che si batteva per una più equa distribuzione del reddito cercando di intercettare in ogni modo il consenso popolare.

Dopo le elezioni politiche del 1958, furono sperimentate le prime esperienze politiche di “centro- sinistra”, rese possibili dall’appoggio esterno dei socialisti, con la nascita nel 1962 del governo tripartito guidato da Amintore Fanfani, con la partecipazione di DC, PSDI, PRI e con l’astensione benevola del PSI, fino all’ingresso organico del partito progressista nel governo nel 1963, con la nascita del primo governo Moro.

Il 1969 aprì una nuova drammatica fase: con la bomba di piazza Fontana (MI) iniziò così la strategia della tensione, che per oltre un decennio condizionerà la vita politica italiana, gli anni di piombo culminarono nelle atrocità inflitte al sistema politico dall’uccisione, da parte delle Brigate Rosse, di un uomo politico illuminato, Aldo Moro.

La virtù nella quale Aldo Moro si elevò e distinse fu la preziosità del servizio nella politica.

L’agire politico di Moro è stato non solo il frutto maturo di una genialità intellettuale e giuridica, che tutti gli riconoscono, ma anche la fioritura di un’autentica testimonianza di vita nascosta che rileva il senso profondo della sua pratica di essere servo inutile di Cristo, servizio che reclama, per Aldo Moro politico, sapiente, saggio e interprete fedele della carità, gli onori dell’Altare a sugello della sua vita santa.

Aldo Moro, Giorgio La Pira, Giuseppe Lazzati, Giuseppe Dossetti, Igino Giordani, autorevoli personaggi politici del dopoguerra, sono stati discepoli di Paolo VI, che in quegli anni formava i suoi ragazzi sui corposi testi, densi di profezia e attualità, di Jacques Maritain, San Tommaso e di quella nouvelle théologie che giungeva dalla Francia.

Questi allora giovani si sono formati sulle ferite delle atrocità della guerra e sulla profondità del pensiero illuminato dell’altissimo magistero del giovane Montini, divenendone figli spirituali e lasciando all’umanità un solco di eredità di pensieri politici che ancora oggi genera una fioritura di semina e una copiosità di messi.

Fu proprio Paolo VI ad accennare alla Santità di Aldo Moro quando, alle esequie ufficiali, nella preghiera, lo definì con quelle parole dense di profezia «uomo buono, mite, saggio, innocente e amico».

Il sistema politico centrista assesta la sua azione di governo facendo leva sulla base centrale degli assetti politici per contenere pulsioni e segnali estremi.

La politica governativa centrista, in una visione di corsi e ricorsi storici, potrebbe attrarre tutte le forze politiche moderate del Paese diventando coagulante sociale e politico delle diverse prospettive per dare realizzazione ad una politica a misura di uomo che si nutra dei valori umani e cristiani e dia valore al pensiero europeista degasperiano formidabilmente rifletto nel concetto espresso dallo statista della “Nostra Patria Europa” cercando di arrestare le spirali sovraniste di un nazionalismo anacronistico e di arginare le derive degli estremismi di destra e di sinistra con l’obiettivo di annientare definitivamente nostalgie pericolose e destabilizzanti.

Occorre una ricostruzione delle coscienze e del loro peso interiore, che passa attraverso l’educazione e la formazione che potrà poi, per intima coerenza e adeguato sviluppo creativo facendo tesoro dei propri vissuti, esprimersi con un peso culturale e finalmente sociale e successivamente politico per porre in essere una politica alta.

Per riscoprire il valore della “Politica” dobbiamo ritornare a comprendere il travaglio, il pathos, la sofferenza i drammi esistenziali e sociali del popolo, lasciato per troppo tempo fatalmente al suo destino sfrattato dalla sua stessa dimora: il Parlamento che attraverso le leggi avrebbe dovuto essere il fedele interprete delle esigenze sociali e invece è stato un luogo estraneo a chi avrebbe dovuto essere il vero sovrano e si è caratterizzato per aver dato tutela a interessi personali snaturandone la funzione e il ruolo democratico, divenuto sempre più cassa di risonanza di accordi presi fuori dal Parlamento.

Con il ritorno alla antropologia delle problematiche esistenziali e sociali riscopriremo l’immenso valore di Dio che governa la storia e che deve essere sempre al centro di ogni pensiero e azione che ha a cuore il futuro dell’uomo dobbiamo ricostruire insieme una nuova idea di futuro, se l’umanità vuole riscattarsi dalla deriva e dal caos che la pervade l’umanità deve rimettere al centro della storia Dio nella prospettiva di sentire il disagio, il bisogno altrui che determina il senso dell’umanità nella politica.

Senza la guida dall’alto attraverso l’umiltà dell’uomo e ispirato dallo Spirito non potrà non riconoscersi bisognoso di aiuto, l’esistenza si deprime e scade negli istinti e negli impulsi senza controllo che conducono allo smarrimento e alla dispersione dei valori e dei principi che dovrebbero edificare un mondo migliore dove prevalga il bene comune, la giustizia, la solidarietà e la pace.

Se in politica non cercheremo con sincero sforzo di comprendere l’altro, il prossimo che ci sta dinnanzi, sentire il suo dramma esistenziale, la sua sofferenza, il nostro agire politico non potrà rivestirsi di quella connotazione umana della Politica definita da Paolo VI come la più alta forma di carità” la politica in questa nobile accezione partecipa del divino.

Diceva La Pira dopo la mistica la politica e lo strumento che più avvicina a Dio.

Nella odierna dimensione politica porre al centro dell’agire il “servizio” rappresenta la via maestra che conduce alla ricerca del bene comune, obiettivo dimenticato da “certa politica” insensibile di questi anni. In questo cammino quasi messianico, possiamo trovare la giusta ispirazione in quella realtà evangelica da cui tutto ebbe inizio.

Allo stesso modo nella politica occorre pronunciare e testimoniare quel profetico “” di “Maria” che faccia nascere nella società una “nuova civiltà di diritti e soprattutto un “nuovo senso del dovere” per rimettere in campo la “speranza” nella giustizia per farci uniti-insieme ma diversi costruttori di pace partendo dal piccolo gesto, consapevoli che “ogni piccolo gesto è rivoluzione non violenta in sé”, se accompagnato da uno spirito solidale di tutti e di ciascuno perché “nessuno è dispensato dal partecipare alla costruzione della società che vogliamo” per renderla più libera, più giusta e solidale con i più bisognosi e deboli, al fine di raggiungere il bene comune, prima essenza della Politica che deve rivestirsi di carità.

Quel “nuovo senso del dovere” avvertito dalla sensibilità e profezia di “Aldo Moro” nel suo ultimo intervento in Parlamento, alla Camera del 28 febbraio 1978 : “Questo Paese non si salverà,

la stagione dei diritti e delle libertà si rivelerà effimera, se in Italia non nascerà un nuovo senso del dovere”.

Parlare di doveri non è mai facile e si rileva al quanto complesso e difficile perché mentre i doveri segnano dei limiti, i diritti aprono spazi. I diritti richiamano libertà e democrazia; i doveri mobilitano gerarchia e autorità.

Di qui l’interesse più per i diritti che ci stimolano che per i doveri che ci comprimono.

Tuttavia, i diritti, pur costituendo l’essenza della democrazia, non sono sufficienti, da soli, a sostenerla; possono affermarsi solo in una società che adempie ai doveri nell’equilibrio delle due funzioni di stimolo e di compressione nelle quali si rivela la bellezza del vivere in armonia con le fluttuazioni del divenire della società.

Fattori questi propedeutici per rimettere in campo la “speranza” nella prospettiva della “giustizia” per farci tutti insieme ma diversi “costruttori di pace” nel Paese e nel mondo.

Molto spesso la politica si rivela per non essere per i più affar nostro, i giovani si disinteressano, le persone se ne allontanano perché non condividono gli esempi negativi di certi “politicanti” che hanno ridotto la politica ad un mercimonio, degradata oltre il prevedibile ad una attività da evitare, rendendola estremamente impopolare.

Tale deriva di pensiero nel quale è precipitata l’interpretazione disincantata di una politica lontana dalla gente che ha dimenticato la bellezza della polis, del pensare politicamente per risolvere i problemi del popolo sovrano, relegato in soffitta e defraudato dal diritto primario di scegliere attraverso l’esercizio del voto, la rappresentanza parlamentare, la classe dirigente che emerge dalle segrete stanze delle segreterie dei partiti generando l’aberrante logica della “partitocrazia”, una delle “tre male bestie” individuate da Don Luigi Sturzo unitamente allo “statalismo” e “l’abuso del denaro pubblico”.

La politica deve riscattarsi da questa disonorevole onta, dovrebbe riuscire a trovare soluzioni, aborrire il calcolo e sperimentare ancora la passione di un tempo, quando la politica si faceva proprio per passione vivendo la cultura dell’alterità e del servizio come missione perché se non serviamo agli altri a che serve vivere.

La politica è “affar nostro” perché anche se non ci occuperemo di essa, la politica non smetterà mai di occuparsi di noi, lasciare deleghe in bianco ai politicanti di strapazzo è un grave errore che non si dovrebbe fare perché lascia in meno a degli irresponsabili il timone della storia.

Dobbiamo riscoprire con Aldo Moro oltre alla conquista dei diritti una rimodulazione di “quel nuovo senso del dovere” che suona di profezia e attualità ancora oggi per dare un’altra possibilità alla politica.

Suonano di monito e di profezia l’attualità delle parole di Papa Francesco: “Non pensiamo che la politica sia riservata solo ai governanti: tutti siamo responsabili della vita della ‘città’, del bene comune; e anche la politica è buona nella misura in cui ognuno fa la sua parte al servizio della pace”.

In questo scenario di divisioni e disfattismo organizzativo occorre rivivere il valore cristiano dell’“eccomi” divenendo questa la risposta unanime al bisogno diffuso della gente, da troppo tempo inascoltato, affinché si innalzi un inno alla concretezza del fare per una politica più alta, più umana e caritatevole incrementando la pasienza e la capacità di ascolto fondamentali per sentire i bisogni del popolo.

L’eccomi sia strumento profetico della carità, come espresso dal pensiero illuminato del Pontefice Paolo VI nella Enciclica del 26 marzo 1967 Populorum Progressio.

Tale disegno potrà realizzarsi attraverso l’unica scelta possibile quella dell’amore: fare germogliare semi di speranza nella politica che facciano fiorire una nuova civiltà di diritti e soprattutto un nuovo senso dei doveri realizzando così la profezia di Moro.

Sul punto risuonano attuali e profetiche le parole del filosofo Carl Gustav Jung: «Dove l’amore impera, non c’è desiderio di potere, e dove il potere predomina, manca l’amore. L’uno è l’ombra dell’altro».

La politica non deve accontentarsi di raggiungere nel dialogo, il minimo comune denominatore che non serve, se non a vegetare, così come ha fatto nel tempo senza più emozionare nessuno, senza generare entusiasmo, imitazione, partecipazione, relegandosi ai margini della società e determinando astensionismo, indignazione e disapprovazione.

Quando la politica non diviene strumento prolifico di servizio nel cammino verso il miglioramento delle condizioni dell’uomo, e strumento d’amore per il prossimo, rimane inefficace, si impoverisce la sua fondamentale forza naturale di essere generatrice di progresso e di sviluppo sociale, economico e culturale.

Sotto tale profilo, la politica dovrebbe vivere una nuova stagione storica che si alimenti della bellezza del “dialogo” che miri a sperimentare l’ascolto reciproco che nel confronto riesca ad elaborare una “riflessione” che cerchi di analizzare i bisogni e individuare il modo di risolvere i problemi che attanagliano la gente.

Se analizziamo la parola “dialogo” che letteralmente indica un incrocio, e ci sforziamo di ricercare un sinonimo possibile, lo possiamo trovare nella parola “incontro”, occorre mettere al centro del “dibattito politico” questa prospettiva dialettica di incrocio fatta di ascolti reciproci volti a elaborare una riflessione che coniughi le diversità contrapposte.

La parola “incontro” è formata da due elementi antitetici, la preposizione “in” che vuol dire andare verso, mettersi in ascolto, alla fine condividere; ma abbiamo anche l’avverbio “contro” che vuol dire di per sé “opposizione”, ecco perché il dialogo non deve essere omogeneizzazione del pensiero e non può e non deve accontentarsi di arrivare ad un minimo comune denominatore, deve andare oltre il dialogo.

Deve generare un confronto che per essere produttivo, fecondo deve tendere a comprendere le diversità di vedute, percependone le differenze, sentire le ragioni dell’altro e i suoi vissuti sperimentare in un cammino comune l’elaborazione di una riflessione.

Nella consapevolezza che è proprio da queste diversità, dal sentire le ragioni dell’altro, che una società cresce e progredisce in questa prospettiva di “incontro” di opinioni che generino nella riflessione la conoscenza, mutuando Wilde potremmo dire : “Le cose vere della vita non si studiano né si imparano, ma si incontrano.

Attualizzare il “pensiero della visione cristiana” nella politica e nella storia vuol dire analizzarne lo stato di salute e verificare se si sia di fronte ad una visione moribonda, anacronistica o al contrario sia ancora viva per svolgere il grande ruolo di unire piuttosto che dividere, ricucendo gli strappi e le lacerazioni attraverso una via: applicare alla politica il “codice materno” che vuol dire “prendersi cura dell’altro”, “non confondere mai le persone con il numero” essere al servizio degli altri e in particolare di chi è più debole e bisognoso.

Pensiamo quali effetti positivi potrebbe generare l’applicazione del “codice materno” alla politica, alla economia, alla imprese al vivere nelle sue diversificate forme del sociale.

La politica deve rivalutare e adottare il potere delle emozioni, deve puntare sul valore cognitivo delle emozioni che sostanzialmente precedono lo stesso valore cognitivo dell’intelletto.

Quando la politica riesce ad emozionare coinvolge le masse, genera imitazione, condivisione e partecipazione, senza emozione la politica rimane sulla soglia della conoscenza, ne conseguono disapprovazione e a tratti disprezzo, perché nessuno vi si rispecchia più; cresce progressivamente il risentimento e la sensazione ostile che nulla possa effettivamente cambiare, tutto ristagna e rimane così com’è a prescindere da chi vada a governare, tanto nell’opinione collettiva non cambierà mai nulla e il tasso dell’astensionismo, diventato ormai il partito di maggioranza assoluta ne è la più triste attestazione della sconfitta della politica.

Un pensiero se coltivato nel cuore della responsabilità, della fortezza e della libertà non muore, vive nella speranza le diverse stagioni della storia.

La politica si deve riappropriare della libertà di parlare pubblicamente il linguaggio della verità.

La verità la si incontra vivendo con l’amore dentro il senso profondo del servizio, e il vivere comprende tutto quanto ci accade, oltre a quello che facciamo accadere noi quando diventiamo strumento della nostra carità.

La politica senza carità diventa sterile conquista del potere per il potere e nessuna azione ci gioverebbe anche se conquistassimo il cento per cento dei consensi.

Questi sentimenti descritti germinano nella Democrazia Cristiana, realtà che deve riproporsi a tratti rinascere, ma per rotolare la pietra del sepolcro e risorgere deve ricordare, perdonare e innovare, nella prospettiva di quella attualizzazione profetica finora descritta applicando quel codice materno menzionato.

Da qui, riannodando i fili della memoria, diviene facile seguire il cammino verso l’incontro dell’uomo e nell’incontrare l’altro, i suoi bisogni riscoprire il senso profondo della nostra umanità e finalmente incontrare nell’altro, nel prossimo, nel bisognoso, nel povero il volto trasfigurato del Cristo la cui umanità dopo la rivelazione nella storia è in mezzo a noi.

E allora con Dossetti riapriamo una nuova stagione di riforme che pongano al centro la persona umana, la sua dignità e valore sin dal concepimento, con La Pira ridefiniamo la politica, guardiamo alla persona incontriamo la bellezza dell’altro e soprattutto del povero e bisognoso, su queste dinamiche di servizio riuscire ad incontrare il Cristo trasfigurato nei poveri e nei più bisognosi, solo in questo modo si potrà elevare la politica alla più alta forma di carità come teorizzato da Paolo

VI. In queste successioni di senso, generare una nuova stagione nella storia contemporanea nella quale la politica di centro, moderata può ancora avere un “ruolo centrale” nella politica nazionale, europea ed internazionale nel riportare in campo il “confronto” e nel “dialogo” la speranza dell’incontro dei popoli ricucendo lo strappo tra la politica e la gente.

In questa umanità nuova occorre che la DC divenga strumento indispensabile per risolvere e dissolvere ogni ingiustizia sociale che si verifica sempre come diceva Aldo Moro per una mancanza d’amore”.

Il mondo non ha bisogno di erigere muri, di chiudere i confini, di chiudere i porti. L’umanità e i popoli hanno necessità di costruire ponti, l’accoglienza è un principio fondativo, fondante e fondamentale di civiltà e di progresso a cui la politica non può rinunciare per esprimere la bellezza della umanità. Il mondo deve aprirsi alla libertà di transitare e potere decidere liberamente dove vivere nel rispetto delle culture e nel rispetto dell’altro e dello straniero in una prospettiva di reciprocità e nella equidistanza dei diritti. 

I diritti umani sono inviolabili e vanno garantiti al di là di ogni discriminazione di sesso, razza, di idee, di religione, di cultura. In questa stagione storica di buio nella politica, di disagio economico, di incertezza del futuro, sull’esempio di “Noè” dovremmo farci “piantatori di vigne” perché in questo semplice gesto Noè agisce non solo come strumento di Dio guidato dalla volontà del Signore ma anche facendo leva sulla sua umanità.

Quando “pianta la vignaNoè agisce nella sua umanità, come uomo che con il gesto simbolico di piantare la vigna restituisce l’avvenire al tempo e alla politica una nuova opportunità.

Dobbiamo sulla metafora della vigna generare un nuovo germoglio di speranza, promuovendo l’ “unione cristiana” su quel patrimonio di idee fondate sui valori umani e cristiani per ritrovarci “uniti-insieme”, ma diversi, a dare una nuova possibilità alla “Politica” che restituisca l’avvenire al tempo e riconquisti la fiducia perduta da parte del popolo così da farlo ritornare ad essere sovrano.




S.P.Q.R.

Ma chi saremmo oggi se ci fosse rimasto qualcosa degli antichi romani?

Che paese avremmo e che ruolo avremmo nel mondo?

Se fossimo riusciti a mantenere quel valore di unità che noi stessi a quel tempo avevamo creato, cosa saremmo ora?

In Italia, l’arte del ‘fare squadra’ è spesso oscurata dall’ombra del campanilismo, dove l’individualismo e le lealtà locali prevalgono sull’unità nazionale e sulla collaborazione.

Questa frase riflette la tendenza storica e culturale italiana a favorire le lealtà locali e l’individualismo rispetto a un senso di unità o collaborazione a livello nazionale.

Il termine “campanilismo” si riferisce proprio all’attaccamento agli interessi e alle tradizioni locali, a volte a scapito di un’efficace collaborazione e solidarietà su scala più ampia.

Cosa ci ha portato questo campanilismo?

Sicuramente ad un nichilismo storico.

.A noi manca il senso della Storia.

Lo abbiamo perso durante il primo novecento, e peraltro si era molto affievolito già partendo dal medioevo.

La mancanza di senso della storia, specialmente nel contesto italiano, è un argomento che merita un’analisi approfondita sotto vari aspetti: storico, culturale, educativo e sociale. 

Per quanto riguarda il contesto Storico e Culturale ci pare logico osservare che l‘Italia si è unificata relativamente tardi rispetto ad altre nazioni europee, nel 1861.

Questo ritardo ha influito sulla formazione di un’identità nazionale consolidata e, di conseguenza, su una percezione comune della storia.

Non giova nemmeno, anche se può in alcuni casi essere un valore, l’eccezionale diversità culturale e linguistica tra le regioni.

Questa varietà, pur essendo a volte una ricchezza, può anche comportare una visione frammentata della storia nazionale.

Non dimentichiamo il periodo del fascismo e la Seconda Guerra Mondiale che hanno lasciato un’eredità complessa.

La difficoltà di elaborare criticamente questo periodo ha spesso portato ad una visione distorta o semplificata del passato, soprattutto perché ci si ostina ad interpretare la storia di quel periodo solo in un senso, demonizzando qualsiasi altra visione.

La Chiesa ha svolto un ruolo centrale nella storia italiana, influenzando non solo la religione ma anche l’educazione e la cultura.

Questo può ha avuto nocivi effetti sulla percezione della storia, privilegiando alcuni aspetti a scapito di altri.

La modalità con cui la storia è insegnata nelle scuole italiane influenza il senso storico degli studenti.

Un approccio che enfatizza la memorizzazione di date e eventi, piuttosto che la comprensione critica, può limitare la percezione della storia come qualcosa di vivente e rilevante.

I mezzi di comunicazione e la letteratura popolare giocano un ruolo fondamentale nella diffusione della conoscenza storica.

La tendenza a semplificare o drammatizzare eventi per scopi narrativi può distorcere la comprensione del passato.

La storia può essere utilizzata dagli attori politici per giustificare azioni presenti o per costruire un’identità nazionale.

Questo uso strumentale può allontanare la popolazione da una comprensione obiettiva e critica della storia.

La mancanza del senso della storia in Italia, come in altre nazioni, è un fenomeno multidimensionale che riflette le sfide educative, le tensioni sociali e le complessità storiche.

Viene il sospetto, che in realtà è una certezza, che questa situazione sia stata voluta, sia per giustificare alcune parti politiche ma anche per anestetizzare il popolo italiano, rimettendo la sua capacità critica in un cassetto.

Milioni di giovani sono stati plasmati al non pensiero, soprattutto negli ultimi decenni, il che porta sicuramente ad una maggiore governabilità della massa, ma di contralto rende ebete un popolo, ne distrugge la comprensione degli eventi, blocca la capacità critica individuale rendendo ameboide il pensiero della massa.

Senatus Populusque Romanus, o prima ancora Senatus Populus Quirites Romani, è la formula con cui con un colpo solo si identificava una nazione ed i suoi appartenenti, con cui un popolo si presentava.

Poche parole che indicavano forza, orgoglio, fierezza, senso di giustizia, futuro, un futuro peraltro durato più di 1000 anni.

Cosa siamo diventati oggi, siamo tornati ad essere una frazione di un popolo, non ci sono più i Romani, ma i laziali, i lombardi, i pugliesi, i siciliani, etc. siamo divisi in regioni.

Perché siamo tornati a ragionare con le frazioni?

Perché è più facile?

Vorrei ricordare che le frazioni esistono perché rappresentano parte di un intero.

Stiamo facendo un danno alle nuove generazioni; obblighiamole a capire la storia, non tanto a saperne le date (anche se servono comunque per dare una linea temporale al senso degli eventi anche attuali).

Sembra logico quello che sto dicendo? Certo che sì, perché non lo stiamo facendo con tutte le forze? perché abbiamo venduto il nostro umanesimo alla facilità delle cose, abbiamo messo la lingua italiana in 700 emoticons, abbiamo relegato la capacità di esprimerci a semplici suoi gutturali dell’età della pietra.

Stiamo tornando ad un livello espressivo che viene relegato a poche espressioni, e come può un giovane esprimere quello che ha dentro se ha solo 700 faccine, peraltro tutte uguali, come può esprimere la sua diversità, il suo valore individuale, le sue peculiarità, se lo può fare con un linguaggio talmente limitato che l’aggressività diviene l’unico modo per sfogarsi?

Ma torniamo a fare i conti con la Storia, e pensiamo che il contesto Storico e Culturale in cui gli antichi Romani vivevano era  completamente diverso.

La loro identità era fortemente legata alla città di Roma e allo stato romano.

La loro concezione di patriottismo era legata all’espansione e alla grandezza di Roma, che vedevano come una manifestazione diretta della loro superiorità e destino.

In aggiunta i  Romani erano educati fin dalla nascita a rispettare le leggi, onorare gli dei e venerare Roma.

Questa educazione, unita a un forte indottrinamento, contribuiva a creare un senso di lealtà e dedizione allo stato.

Per giunta la militarizzazione della Società era profondamente radicata.

Il servizio militare non era solo un dovere ma anche un onore, e l’esperienza condivisa nell’esercito rafforzava il senso di appartenenza e fedeltà a Roma.

Oggi invece l‘Italia moderna si è formata solo nel 1861, e prima di ciò era divisa in numerosi stati e entità politiche con forti identità regionali.

Questa frammentazione storica ha lasciato un’eredità di forti identità locali che talvolta prevale sull’identità nazionale.

La società moderna è molto più complessa e diversificata rispetto a quella antica.

L’individualismo, i diritti umani e la democrazia hanno un peso maggiore oggi, cambiando il modo in cui le persone vedono la loro relazione con lo stato.

Nel mondo globalizzato, le persone spesso identificano con più culture e nazioni.

Questo può diluire il senso di patriottismo nazionale, diversamente dall’epoca romana dove l’identità era prevalentemente unica e centrata su Roma.

Quindi, il “patriottismo” dei Romani era un prodotto del loro tempo, cultura e sistema politico, profondamente diverso dal contesto italiano contemporaneo.

Ma la vera domanda non è legata tanto al contesto storico politico, ma a chi vogliamo essere, che tipo di popolo vogliamo rappresentare, che Italiani pensiamo sia giusto essere nel mondo.

Sono convinto che lo studio del senso della storia permetta ai giovani di rispondere a questa domanda, e noi siamo moralmente obbligati a dar loro gli strumenti per comprendere la Storia, il problema è noi li abbiamo? Noi generazione che deve trasmettere, li abbiamo? ed anche, ammesso che li abbiamo, li vogliamo mettere a disposizione di questi giovani? .

Per affrontare questa problematica, è necessario promuovere un approccio critico e inclusivo allo studio della storia, che tenga conto delle diverse voci e prospettive.

Inoltre, è essenziale incoraggiare un dialogo aperto e continuo tra il passato ed il presente, permettendo così una comprensione più profonda e matrice della storia e del suo impatto sulla società contemporanea.

 

 




Ombre di Autorità: l’Impatto del Bossing sulla Cultura e l’Integrità della Pubblica Amministrazione

Nella pubblica amministrazione sempre più si diffonde il fenomeno del “bossing”, ovvero l’abuso di potere esercitato da un superiore nei confronti di un subordinato, diventando un argomento di grande rilevanza nel contesto lavorativo, soprattutto quando coinvolge il settore pubblico e si intreccia con attività illecite di natura politica.

Questa pratica, per sua natura subdola e spesso difficilmente dimostrabile (ma a volte è talmente palese che la sua dimostrazione è nei fatti), può assumere diverse forme e funzioni, incluse quelle di mascherare o deviare l’attenzione da comportamenti illeciti all’interno della sfera politica.

Questa pratica viene spesso utilizzata per far si che il dipendente si licenzi dal posto di lavoro.

 

 Definizione e Caratteristiche del Bossing

 

Il “bossing” si distingue dal mobbing in quanto è caratterizzato da un abuso di potere verticale (dall’alto verso il basso), piuttosto che orizzontale (tra colleghi). Le azioni che rientrano in questa categoria possono includere:

 

– Pressioni indebite: Il superiore esercita pressioni ingiustificate sul dipendente, spesso con richieste irragionevoli o con termini di esecuzione impossibili; spesso vengono avviate contestazioni al dipendente, demansionamenti, limitazioni del suo contesto professionale.

– Isolamento e marginalizzazione: Il dipendente viene escluso dalle decisioni, dalle comunicazioni importanti o dalle attività di gruppo, rendendolo isolato all’interno dell’organizzazione, si arriva addirittura a chiedere a terzi di non entrare più in contatto con il dipendente oggetto del bossing.

– Denigrazione e discreditamento: Attacchi alla professionalità e alla reputazione del dipendente, con lo scopo di minarne la credibilità e l’autostima.

 

 Il Bossing nel Contesto della Pubblica Amministrazione e della Politica

 

Nel settore pubblico, il bossing può essere particolarmente insidioso. I dipendenti pubblici, spesso sottoposti a un controllo rigoroso e a una gerarchia ben definita, possono essere più vulnerabili a questo tipo di abuso. Inoltre, quando il bossing si intreccia con la politica, le sue implicazioni diventano ancora più gravi:

 

  1. Copertura di Attività Illecite: In alcuni casi, il bossing può essere usato per distrarre, intimidire o silenziare i dipendenti pubblici che potrebbero essere testimoni o avere conoscenza di attività illecite all’interno dell’amministrazione.

  

  1. Controllo e Manipolazione: I politici o i dirigenti possono usare il bossing come strumento per mantenere il controllo sull’organizzazione, garantendo che le attività illecite o i comportamenti eticamente discutibili rimangano nascosti, spesso i politici esercitano la loro influenza chiamando i superiori del dipendente per chiedere la sua rimozione.

 

  1. Creazione di un Clima di Paura: Un ambiente di lavoro in cui il bossing è diffuso può generare un clima di paura e di sottomissione, dove i dipendenti sono meno propensi a denunciare irregolarità o ad esprimere opinioni critiche.

 

 Conseguenze e Interventi

 

Le conseguenze del bossing possono essere devastanti sia per il singolo che per l’organizzazione nel suo insieme.

Per il dipendente, possono verificarsi problemi di salute mentale, stress, perdita di autostima e di fiducia nel sistema.

Per l’organizzazione, si rischia di creare un ambiente di lavoro tossico, con bassa morale, alta rotazione del personale e perdita di efficienza.

 

Per contrastare il bossing, soprattutto nel contesto pubblico, è fondamentale:

 

– Promuovere una Cultura Organizzativa Positiva: Creare un ambiente di lavoro basato sul rispetto reciproco, sulla trasparenza e sull’integrità.

– Formazione e Sensibilizzazione: Educare i dirigenti e i dipendenti sui temi del bossing e sulle sue conseguenze.

– Canali di Denuncia Protetti: Assicurare che esistano canali sicuri e confidenziali per segnalare casi di abuso di potere.

– Interventi Normativi e Legislativi: Implementare leggi e regolamenti che tutelino i lavoratori dal bossing e che promuovano la responsabilità e l’etica nel settore pubblico.

 

In conclusione, il bossing, soprattutto quando si intreccia con attività illecite in ambito politico, rappresenta una problematica complessa che richiede un approccio olistico e multidisciplinare per essere efficacemente contrastata.

La sua esistenza e persistenza in ambienti lavorativi, in particolare nel settore pubblico, è un campanello d’allarme che richiede un’attenzione e un intervento costanti da parte di enti governativi, organizzazioni sindacali, e della società civile nel suo complesso.

https://betapress.it/se-esercito-il-potere-per-il-potere/




Se esercito il potere per il potere…

Continua l’escalation del ministro dell’istruzione e del merito nel togliersi di torno tutte le persone che lo potevano aiutare perché con una grande esperienza alle spalle.

Dopo il turno di Marco Filisetti Direttore ufficio scolastico regionale delle Marche, di cui parleremo in un prossimo articolo, viene ora la volta di Stefano Versari, direttore ufficio scolastico regionale Emilia Romagna.

Qui il racconto dei fatti https://bologna.repubblica.it/cronaca/2023/12/23/news/versari_valditara_scuola_emilia-romagna-421736795/, ma quello che preoccupa è la continua serie di gaffe e di operazioni forzate, vedasi caso Amadori e Concia.

Pur di far fuori qualcuno non si bada a nulla, comunicati stampa, bossing, e quant’altro, vedi caso Versari, utilizzando qualsiasi mezzo sia utile.

Sarà il problema che tutte le persone in questione hanno più esperienza sul tema dello stesso ministro?

Abbiamo chiesto al Ministro in data 11 dicembre 2023 in momento di confronto per poter capire che idee fossero alla base del suo agire, viste le ultime azioni intercorse, ma ad oggi ancora nulla, forse il ministero del merito e quindi della sua valutazione vale solo per gli altri?

Noi restiamo umili e fiduciosi in una risposta.


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Le nomine di Valditara

Quando un ministro mente sapendo di mentire…

Politici e Bugie: responsabilità etica.




Politici e Bugie: responsabilità etica.

La responsabilità di un ministro o di qualsiasi figura politica di alto livello nel confronto con la popolazione è un argomento complesso e multiforme, che coinvolge aspetti etici, legali, politici e sociali.

Per comprendere appieno questa responsabilità, è essenziale esplorare vari contesti e prospettive.

 

Dal punto di vista etico, la veridicità e l’integrità sono considerate virtù fondamentali per chi ricopre cariche pubbliche.

Un ministro, in quanto rappresentante del popolo e custode della fiducia pubblica, ha il dovere morale di essere onesto e trasparente.

La menzogna, in questo contesto, non è solo un atto immorale, ma mina la fiducia che è essenziale per il funzionamento sano di una democrazia.

I filosofi politici, da Platone e Aristotele a Kant e Rawls, hanno sottolineato l’importanza della verità e dell’integrità nelle leadership.

 

Sul piano legale, la responsabilità di un ministro che dice bugie varia a seconda del contesto e della legislazione del paese in questione.

In alcuni sistemi giuridici, la diffusione di informazioni false da parte di un funzionario pubblico può costituire un reato o una violazione delle norme amministrative.

Ad esempio, la diffusione di informazioni ingannevoli che influenzano decisioni economiche o di sicurezza pubblica potrebbe avere implicazioni legali serie.

 

Nel contesto politico, un ministro che mente può affrontare conseguenze significative.

Queste possono includere la perdita di credibilità, la pressione pubblica per le dimissioni, o la censura da parte di altri membri del governo o dell’opposizione.

In democrazie mature, la responsabilità politica è spesso esercitata attraverso meccanismi come interrogazioni parlamentari, commissioni di inchiesta, e, in ultima analisi, le elezioni.

 

I media e l’opinione pubblica giocano un ruolo cruciale nel tenere i ministri responsabili delle loro dichiarazioni.

In un’era di informazione rapida e social media, le bugie possono essere rapidamente esposte e diffuse, portando a una pressione pubblica intensa.

Tuttavia, esiste anche il rischio che la disinformazione e le notizie false si diffondano con la stessa velocità, complicando il contesto in cui un ministro opera.

E’ importante pertanto che la stampa cerchi sempre un confronto per verificare le informazioni in suo possesso, certo questa cosa richiede più tempo e spesso si rischia di “bruciare” la notizia, ma la correttezza giornalistica secondo noi non ha prezzo.

Poi capita che il ministro non risponde, come sta succedendo proprio in questi giorni a noi di Betapress, e quindi che si fa?

Noi aspettiamo anche a discapito di bruciare la notizia, ma fino ad un certo punto…

In sintesi, la responsabilità di un ministro che racconta bugie è multidimensionale, coinvolgendo aspetti morali, legali, politici e sociali.

Ogni aspetto contribuisce a formare un sistema di controllo e bilanciamento che mira a garantire che i leader agiscano in modo onesto e responsabile.

Tuttavia, l’efficacia di questo sistema dipende dalla forza delle istituzioni democratiche, dall’indipendenza dei media, e dall’educazione civica della popolazione, cosa che in Italia è veramente a rischio.

 

Le nomine di Valditara

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Windows e Office vengono attivati utilizzando KMSPico. Facile da usare, ma Viola la politica di Microsoft. Utilizzare con cautela.




Vittorio Emanuele Orlando: un convegno ne ha ricordato le grandi capacità.

Sulla esimia figura di Vittorio Emanuele Orlando ci risponde il Prof.  Avv. Salvatore Sfrecola, Patrocinante in Cassazione, già Presidente di Sezione della Corte dei conti, Presidente dell’Associazione Italiana Giuristi di Amministrazione.

 

Venerdì 15 Dicembre, nei saloni dell’Hotel Mediterraneo, un pubblico attento e preparato ha seguito la presentazione del ‘Centro Studi storici, politici e giuridici’, che ha ricordato la figura prestigiosa dello statista Vittorio Emanuele Orlando; ha gestito la riunione il Presidente del centro studi, il Prof. Avv. Salvatore Sfrecola, Illustre Giurista e Studioso, giornalista e prolifico scrittore. 

 

 

Prof. Sfrecola come mai questo desiderio di riferirsi all’importante figura di Vittorio Emanuele Orlando?

Il grande statista Vittorio Emanuele Orlando – che ha vissuto in un arco di tempo molto importante – ha partecipato attivamente a gran parte della vita politica e sociale d’Italia.  Fu Primo Ministro dall’ottobre 1917 al giugno 1919, ed è passato alla Storia anche per aver rappresentato l’Italia – questa era tra i quattro protagonisti – alla Conferenza di Pace di Parigi del 1919, a Versailles, unitamente al suo Ministro degli Esteri Sidney Sonnino. La sua era un’attività quasi febbrile, preso com’era a fare di tutto per curare gli interessi dell’Italia e dei suoi Cittadini, tra l’altro fu anche professore di Diritto e membro di quell’Assemblea Costituente che trasformò la forma di governo italiana in Repubblica. Per molti analisti, la sua figura fu anche controversa, in particolare proprio alla Conferenza di Pace di Parigi del 1919 e per il sostegno da lui inizialmente dato a Benito Mussolini; sostegno ritirato immediatamente dopo l’omicidio di Giacomo Matteotti.             

La carriera politica di Orlando si concluse a causa dei suoi disaccordi con altri leader mondiali alla Conferenza di Pace di Versailles: una Conferenza che lasciò in molti la forte percezione di aver perso la Prima Guerra Mondiale, nonostante che l’Italia fosse stata ritenuta parte ‘vincitrice’ del sanguinoso conflitto.                    

Annotiamo che a quella particolare Conferenza presero parte David Lloyd George – Primo Ministro Britannico -, il Premier George Clemençau – in rappresentanza della Francia –, Woodrow Wilson – Presidente degli Stati Uniti –

 

Come arrivò a ricoprire l’incarico di Primo Ministro, Orlando?

Orlando – che fu un liberale convinto e coerente – diventò Primo Ministro nel 1917 in seguito all’umiliante sconfitta patita dell’esercito italiano nella battaglia di Caporetto. Guidò con successo un governo di fronte nazionale patriottico e riorganizzò l’esercito, spingendo il paese a un rinnovato impegno nella guerra. Orlando fu un forte sostenitore dell’entrata in guerra dell’Italia e fu incoraggiato dagli incentivi segreti offerti all’Italia nel Patto di Londra del 1915, che prometteva significative conquiste territoriali.

In verità, in quella Guerra l’Italia pagò un altissimo costo, e la disfatta di Caporetto impose un cambio di passo in seno al Governo.  Avvenne così la nomina di Orlando.

Il suo sforzo fu quello di portare alla Conferenza di Parigi del 1919, mentre era in atto un elevato sforzo bellico, così da avere un ‘peso’ maggiore nelle intense trattative intercorse.

 

Come mai l’Italia non raccolse le promesse fatte dalle altre Nazioni firmatarie del Trattato di Londra?

Nel corso dei colloqui di Versailles, un forte scoglio fu rappresentato dal Presidente americano Woodrow Wilson che si mise di traverso sulle richieste Italiane relative alla riconquista dei territori a Est, in particolare dell’importante città di Fiume.  Il contrasto con Wilson comportò un irrigidimento anche delle altre Nazioni partecipanti, che si unirono agli americani nel non fare alcuna concessione all’Italia, così indebolendo il profilo e la stessa forza contrattuale di Orlando che nel Giugno del 1919, con amarezza, dovette rassegnare le dimissioni dall’incarico di Primo Ministro.

Quali collegamenti quindi nel lancio di questa nuova Associazione e il retaggio di Vittorio Emanuele Orlando?

Gli organizzatori del Convegno hanno ritenuto di riferirsi a V.E. Orlando, nella consapevolezza che sarebbe stato utile collegarsi a una figura di alto profilo, tanto per trattare tematiche d’ordine generale che per meglio affrontare quelle attuali. Per noi studiosi, Vittorio Emanuele Orlando è una figura forte, in quanto fondatore della Scuola Italiana di Diritto Pubblico, con la contestuale adozione di un importante e fondamentale Archivio. A Orlando va riconosciuto il merito di essere stato un profondo studioso delle Leggi elettorali; per lui il modello ottimale era quello britannico, e si batté affinché questo fosse ripreso dall’Italia, al fine di garantire rappresentatività e concretezza nel dare forma e sostanza alla volontà dell’elettorato. Ma va ricordato che Orlando – forte della sua veste di insigne e coerente giurista con all’attivo grandi responsabilità politiche e sociali – fu anche uno tra i protagonisti degli incontri con la Santa Sede finalizzati a raggiungere un’intesa che mettesse fine ai contrasti tra Italia e Santa Sede e conclusisi nel 1929 con i famosi Patti Lateranensi.

Il Vostro obiettivo, Prof. Sfrecola?

Insieme agli altri partecipanti a questa iniziativa, contiamo di mettere a disposizione dei Cittadini, degli studiosi e degli storici, la rilevantissima, comune esperienza maturata da ciascuno nell’espletamento di funzioni e incarichi di tutto rilievo.

Ringrazio S.E. il Prof. Avv. Salvatore Sfrecola per averci concesso questa intervista, ripromettendoci di seguire gli sviluppi della nuova Associazione, nella certezza che i contenuti e le proposte saranno certamente di tutto rilievo.

 

 




Le nomine di Valditara

Il Ministro dell’istruzione e del merito nomina Anna Paola Concia responsabile del progetto “Educare alle relazioni” con un budget di 15 milioni di euro.

Insieme ad Anna Paola Concia nominate anche suor Monia Alfieri, rappresentante del Consiglio nazionale della scuola della Cei e volto noto della tv, e Paola Zerman, avvocata dello Stato, commendatore della Repubblica già candidata alle politiche nel partito di Mario Adinolfi.

Ovviamente aver messo come capoprogetto Anna Paola Concia ha scatenato giustissime polemiche anche perché le tre scelte, seppur differenti, sono espressione di estremi molto lontani tra loro, forse sarebbe stato opportuno mettere a capo del progetto una quarta figura di estrema neutralità.

Il Ministro non è nuovo a queste uscite, pochi giorni or sono è incappato nell’incidente Amadori e l’anno scorso nel gravissimo fatto del Direttore Generale dell’USR Marche Marco Ugo Filisetti, prima invitato a vari comitati e poi  “fatto fuori” con comunicato stampa ufficiale negando l’evidenza dei fatti (Betapress sta preparando un’inchiesta su quest’ultimo “errorino”).

Forse sarebbe opportuno concentrarsi meglio sulle cose che vengono fatte e su quelle da fare, o avere migliori consiglieri, e comunque i problemi sono ben altri, come adeguare in modo significativo gli stipendi del personale scuola, magari usando i fondi pnrr, professionalizzare le segreterie scolastiche immettendo personale in aumento e magari evitando di buttare dentro le segreterie qualsiasi tipo di porcheria amministrativa che le altre amministrazioni non hanno voglia di fare, non umiliare i DSGA della scuola, valorizzare il ruolo dei docenti anche verso le famiglie.

Nonostante i continui attacchi personali, Betapress non si ferma e continuerà la sua battaglia per migliorare il mondo della scuola italiana.

 

 




Graffi ansiosi

Ansia dall’ANSA.

ANSA. “””Kirby “Gli Usa e l’Europa non possono permettersi la vittoria di Vladimir Putin.

Dopo l’Ucraina potrebbe non fermarsi e minacciare i nostri alleati della Nato” “””.

Mah!

Eppure sembrerebbe il contrario!

La Russia è stata dichiarata obiettivo militare (dopo toccherà alla Cina…), Putin è un’abominevole ‘canaglia’ (sostengono i suoi nemici) e deve essere ucciso, la Russia depotenziata e spezzettata, le sue repubbliche interne devono ribellarsi, le sue risorse naturali possono e devono essere cannibalizzate (proprio perché sono ‘cattivi’…), i suoi fondi presso banche all’estero requisiti…
Ah!… Inoltre né Putin né la Russia possono lamentarsi, avendo invaso una parte di territorio per proteggere le ampie minoranze filorusse colà residenti e dove i suoi nemici dichiarati – vecchi e nuovi – si sono installati peraltro anche militarmente, violando gli impegni assunti con la stessa Russia alla caduta del Muro.

Forse si devono correggere le cartine topografiche che mostrano un robusto anello di basi USA e alleati tutt’intorno a Russia e Cina?

Sono sbagliate le cartine, e quelle basi sono russe e/o cinesi?

O sono “sbagliate” certe dichiarazioni, e certa narrazione ancora più falsa di quanto di falso si possa attribuire a russi, cinesi e ai loro alleati?

Continua a esserci bisogno di Pace.

Ma non c’è n’è volontà, a ovest e dintorni.

O “non è ancora il momento” (‼) o “Putin non deve/può vincere” (‼).

Intanto le armi sgranano il loro rosario di morte, il denaro scorre a fiumi (nelle direzioni sbagliate?), molte nazioni da prospere si stanno svenando non indirizzando a favore dei propri cittadini (affatto sotto minaccia) imponenti risorse finanziarie.

Che scoppi la Pace, alfine!

Che le armi tacciano e vengano smantellate!

Che il mondo conosca un nuovo benessere, alimentato da solidarietà, vera libertà e vera democrazia.

 




Giulia, si aggiungeranno egoismi al dramma?

Oggi, il corpo di una giovane ragazza, brutale vittima di un mix di odio e amore tossico, riceverà l’ultimo saluto terreno.

In una Chiesa Cattolica, un sacerdote celebrerà un rito funebre, una Messa, cui altro non potrà aggiungere che qualche nota strettamente personale di qualche famigliare.

La Messa non è momento pubblico, in cui potersi permettere tiritere sociali o peggio ancora pseudo arringhe politiche.

O, ancor peggio, un funerale non è momento e luogo per dare spazio a manifestazioni di rivendicazione sociale o di qualche genere.

È momento solenne in cui un’anima dovrebbe essere accompagnata nel suo Transito, nel suo passare Oltre.

Accompagnata da pensieri positivi, di amore, di rimpianto, di sollecitudine.

Mi auguro che al dramma del crudele omicidio, della fine di una giovane vita spezzata, non si aggiunga il dramma di piccoli ego che non resistano alla tentazione di approfittare di un gravissimo lutto per farne una ancor più tragica passerella, fors’anche contrassegnata da ipocrisia e scempiaggine.

In silenzio, per te, una preghiera che sgorghi dal cuore, ancora prima che dalle labbra .

Riposa in Pace, Giulia.

Una serenità alfine rischiarata dalla Luce Eterna.