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“500 chicche di riso” di Alessandro Pagani è un libro anticonvenzionale, un non- libro, paradossalmente da non- leggere tutto d’un fiato, se non per poi rileggerlo daccapo, per gustarlo di nuovo, chicca dopo chicca, tenendo gli angoli della bocca rivolti verso l’alto, in un sorriso per un attimo eterno.

Un libro intrigante, che ti seduce con garbo, ti aggancia e ti porta con sé, oltre il reale, dentro il surreale, in un mondo parallelo, là dove il tuo pensiero non era mai stato.

Un libro avventuroso dove l’avventura galattica è salire sull’astronave linguistica del Pagani, è lasciarsi trasportare nell’universo linguistico dell’autore, per un viaggio di sola andata nei suoi giochi di parole, per decollare con lui nel cielo delle sue figure retoriche.

Un libro proibito ad ogni sceneggiatore, un non racconto, che si può leggere a ritroso, ma geniale come colui che scriveva da destra verso sinistra.

Un libro da fumetto, per iniziare al piacere i neofiti del genere, perché il linguaggio iconico potrebbe introdurre alla lettura, ma non sostituirla.

Le chicche del Pagani sono battute di spirito, ora ironiche, ora sarcastiche. Argute perle semantiche, rapide, incisive, dirette.

Poche, distillate e preziose parole. Oserei quasi dire, dei diamanti linguistici, di un tale e pregiato valore nella lingua madre che è impensabile una loro traduzione in un’altra lingua.

Leggere questo libro significa condividere un progetto comunicativo di lettura prospettica della realtà.

L’ignaro lettore viene omaggiato di un caleidoscopio semantico e linguistico attraverso cui guardare e scomporre il quotidiano.

Leggere questo libro significa assaporarlo, chicca dopo chicca, perché è un vero piacere, da gustare pian piano.

Un piacere proibito, perché, se in apparenza tutti possono ridere, in sostanza, pochi possono sorridere.

Il lettore è un privilegiato, in quanto invitato ad un banchetto esclusivo, dove ogni chicca è talmente densa che sazia in modo virtuale.

Ogni chicca va assaporata, assimilata, digerita.

Perché, solo così, pian piano, dolcemente, ma inesorabilmente, l’umorismo, l’ironia, la follia trasportano il lettore in un’esplorazione del quotidiano, in un rovesciamento prospettico dei vizi e delle virtù umane, in un ribaltamento della fatica di vivere.

Quando meno se l’aspetta, in un momento di rivelazione fulminea, il lettore condivide la sfida dell’autore.

Quella di dare un senso volutamente irrazionale alla nostra assurda vicenda umana.

Ogni chicca nasce ed apparentemente muore, per lasciare spazio alla successiva.

Un po’come succede nella vita di ognuno di noi.

Giorno dopo giorno, ci spegniamo nel sonno per svegliarci al nuovo giorno, con una consapevolezza in più.

Allo stesso modo, procedendo nella lettura, come nell’esistenza, niente più è come prima.

Ogni chicca nasce ed apparentemente muore, dicevo.

Apparentemente, perché, poi, incredibilmente, risorge.

Risorge il terzo giorno, vorrei dire…

Risorge quando ti ritorna in mente e ti prende e ti sorprende, ormai tua, per sempre. Diritti d’autore permettendo…

Antonella Ferrari

 

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