Mors tua, vita mea.

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Mors tua, vita mea.

Dall’America all’Europa all’Italia sembra uscire allo scoperto, fomentato da politici irresponsabili e, amplificato dai pareri espressi sui social media, un clima aperto di razzismo e xenofobia.

Sembra quasi che l’espressione di odio razziale nei confronti dei migranti o delle minoranze, anche con linguaggi e gesti violenti, non sia più un tabù, ma una legittima opinione.

Quante volte, discutendo, abbiamo detto: “Premesso che non sono razzista…”. Cosa ci sta succedendo? Cosa sta succedendo alle nostre società occidentali?

Sono stati consumati, se non distrutti, alcuni principi, che erano alla base della nostra civiltà, che nasce in Grecia, a cui si aggiunge il cristianesimo.

Non c’è più rispetto per l’altro, la morte è diventata banale, tanto che uccidere è una modalità per risolvere un problema.

Non c’è più il senso del mistero e del limite dell’uomo.

Non esiste più l’applicazione dei principi morali della società e c’è un affastellarsi di leggi, come se le leggi possano sostituire i principi. Oggi domina la cultura del nemico: la superficialità porta l’identità a fondarsi sul nemico.

Se uno non ha un nemico, non riesce a caratterizzare sé stesso.

Secondo il noto psichiatra Vittorio Andreoli, stiamo vivendo un periodo di regressione antropologica, un’epoca in cui si agisce in base alle pulsioni. Tutto questo è favorito da partiti che sostengono l’odio, lo stesso agire sociale è fatto di nemici.

Perfino nelle istituzioni religiose qualche volta si affaccia il nemico. In questo quadro tornano le questioni razziali.

E’ considerare l’altro inferiore, perché ha quelle caratteristiche, per cui bisogna combatterlo.

Se uno è diverso da te, è un nemico, e va combattuto. Si torna a fare la guerra, perché il diverso è un nemico. Il nemico che porta via soldi, posti di lavoro, eccetera.

E, così come c’è una gerarchia dei potenti, così c’è anche una gerarchia delle razze.

Perché sono presi di mira solo alcuni. Anche se, paradossalmente, il razzismo unisce.

Il razzismo non esclude nessuno. Il razzismo e i pregiudizi sono universalmente presenti nel cuore dell’uomo, a prescindere dalle nazioni.

E’ sicuramente un istinto presente nella nostra biologia, nella nostra natura, ossia la lotta per la sopravvivenza di cui parlava Darwin, la lotta per la difesa del territorio.

Ma tipico dell’uomo non è solo la biologia, ma la cultura. E la cultura dovrebbe essere quella condizione in cui rispettiamo gli altri e riusciamo a frenare un istinto.

Il problema è: come mai la cultura che caratterizza l’uomo e consiste nel controllo delle pulsioni non c’è più?

Tutta una cultura che si era costruita fino a epigoni che erano quelli dell’amore, della fratellanza, è completamente recitata, ma non vissuta. L’Italia è un Paese che, come tutto l’Occidente, sta regredendo alla irrazionalità, all’uomo pulsionale.

” Ciò che mi spaventa e mi addolora è che per raggiungere una cultura ci vuole tanto tempo e la si può perdere in una generazione.”, così si esprime Vittorio Andreoli. “Gli episodi che osserviamo sono silenziosamente sostenuti da tante persone. Non dicono niente ma li approvano. Bisogna impedire che ci sia chi soffia sul fuoco. Nessuno parla del valore della conoscenza utile nell’avvicinare altre storie, altre culture. Tutto viene mostrato come negativo: gli immigrati fanno perdere posti di lavoro, c’è violenza e criminalità. Il problema è che, all’origine, c’è sempre una esclusione. E’terribile, stiamo diventando un popolo incivile”, così continua il noto psichiatra.

Secondo lui, nei dibattiti pubblici, soprattutto sui social, c’è sempre un “noi” contro “loro”: i migranti, più deboli, diventano il capro espiatorio di tutti i mali. “Certo, questo è il principio darwiniano. L’evoluzione si lega alla lotta per l’esistenza: “mors tua, vita mea”.

Bisogna eliminare il nemico, deve vincere la mia tribù che deve prendere il tuo territorio. E’ una regressione spaventosa. Poi c’è la crisi che ha sottolineato la paura, le incertezze. E la paura genera sempre violenza”.

Di fronte a questa disamina, tanto negativa quanto realista, della nostra società, un unico consiglio, da parte di Vittorio Andreoli.

“Bisogna prendere una posizione molto decisa: non è più possibile fare finta. Questa è una società falsa, che recita. Andiamo incontro a situazioni che saranno di nuovo drammatiche. Bisogna cominciare a dire che questa nazione deve cercare di far emergere uomini e donne saggi, intelligenti. Stiamo scegliendo i peggiori. C’è una ignoranza spaventosa.  Bisogna poter parlare, spiegare, capirsi. Occorrono persone credibili per parlare ai giovani, ma la via è sempre quella della cultura. Fare promozione, educazione, dimostrare quanta positività c’è in chi viene odiato, per stimolare al rispetto nei loro confronti”.

Infine, riguardo al formarsi del pregiudizio nella mente delle persone, lo psichiatra ci avverte: “L’espressione esplicita dei pregiudizi nasce dal sentirsi sostenuti”. Secondo lui,” quando gli individui nascondono ancora il loro pensiero sono recuperabili. Il problema emerge quando ci si sente in tanti a pensarlo”.

Purtroppo, oggi, sui social, non si nasconde più il proprio pensiero. lo schermo del computer protegge dal confronto diretto, le affermazioni diventano sempre più violente e l’espressione dei pregiudizi, magari formulati anche in modo razionale, serve solo a rafforzare l’ego di chi parla.

Tristemente vero.

Ed ancora più grave. Perché, un tempo, se un individuo pieno di false credenze e di pregiudizi razziali stava zitto in pubblico, e si esprimeva solo a casa, agiva male in famiglia, o con un gruppo ristretto di interlocutori.

Adesso, diventa un’azione diffusa, per gli individui al tempo dei social, parlare a vanvera. Anche da casa, incollati allo schermo e alla tastiera di un computer. E’ normale, tribalmente normale, sfogare le proprie pulsioni, trasformarle in vera e propria propaganda politica, e concorrere al degrado sociale. Per tornare tutti insieme, appassionatamente, al “mors tua, vita mea”…

 

Antonella Ferrari

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