98 mucche per l’arte Masai

Il Museo etnografico di Oxford intendono risarcire i Masai per l’arte presa loro 138 anni fa con 98 mucche.

98 mucche per l'arte Masai
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Il Pitt Rivers Museum di Oxford contro i pastori Masai

Il 4 luglio 2023 è stata resa ufficiale la notizia che il Pitt Rivers Museum di Oxford dovrà risarcire i Masai del Lenya per un furto coloniale di 138 fa.

La notizia ha destato scalpore per le modalità risarcitorie dei danni causati.

Il famoso museo Pitt Rivers della Università di Oxford

Il Pitt Rivers Museum è un famoso museo della università di Oxford ubicato nella località di Parks Road.

La sede attuale del famoso museo è allestita nel palazzo neogotico all’interno del quale sono esposte anche le esposizioni del Museo di scienza naturale.

Il museo ospita le collezioni archeologiche e antropologiche del tenente generale Augustus Henry Lane Fox Pitt Rivers, un ufficiale inglese dell’esercito britannico etnologo e archeologo vissuto nel 1800.

Il palazzo è stato edificato nel 1885 su progetti di Thomas Manly Deane e Benjamin Woodward.

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Neolaureati a Oxford davanti alla Radcliffe Camera

L’ufficiale inglese amante della archeologia

Il museo fu istituito nel 1884 dallo stesso Augustus Pitt Rivers, morto nel 1900.

L’ufficiale archeologo decise, infatti, di donare le proprie collezioni archeologiche e antropologiche alla Università di Oxford.

Pitt è stato notato dagli studiosi per le innovazioni nella metodologia archeologica e della esposizione museale di collezioni archeologiche ed etnologiche.

Una collezione di tutto rispetto

Inizialmente la collezione contava 22.000 oggetti.

Oggi le opere ivi custodite ammontano a 5000.000 molte delle quali donate da studenti viaggiatori e missionari.

Il nobile obiettivo perseguito da Augustus Pitt era di esporre la cospicua collezione ai fini di studio educativo e didattico al servizio della società.

Una vicenda che nasce anni fa

Ma vediamo come l’ufficiale inglese è stato coinvolto in questa anomala vicenda.

L’idea di riportare a casa il tesoro che custodisce la storia e i segreti dei Masai è di Samwel Nangiria, un attivista per i diritti degli indigeni.

 

La visita del museo

Tutto nacque cinque anni fa.

Il keniano si reca nel 2017 in visita al “Pitt Rivers Museum” di Oxford.

Durante la visita del museo, nella collezione da 500mila pezzi provenienti da tutto il mondo, nota alcuni cimeli appartenuti ai pastori della parte orientale della Great Rift Valley.

Immediatamente avvia le pratiche per richiedere all’ateneo la restituzione degli oggetti d’arte masai.

 

La Great Rift Valley culla dell’umanità

La Great Rift Valley non a caso è considerata la culla dell’umanità.

Nel 1974, in Etiopia, vi furono ritrovati i resti fossili dello scheletro dell’australopiteco più famoso del mondo, denominato “Lucy”.

Ora la nostra antenata più celebre è esposta al museo di Addis Abeba.

La richiesta della comunità Masai

La comunità indigena che vive nella Great Rift Valley, in Africa, tra il nord della Tanzania e il sud del Kenya, richiede ufficialmente al museo etnologico britannico la restituzione di 148 antichi manufatti che espone da 138 anni.

Oggetti che il Regno Unito, negli anni dello splendore imperiale, agli inizi del Novecento, avrebbe trafugato e portato Oltremanica.

PASTORI Masai
Pastori masai

I reperti archeologici e i numerosi precedenti del passato coloniale inglese

Questo dei Masai è solo uno dei tanti fronti su cui Londra è chiamata a fare i conti con il proprio passato coloniale.

La controversia assomiglia molto a quella di cui sono protagoniste Grecia e Nigeria.

Atene chiede la restituzione dei marmi del Partenone esposti al British Museum.

Abuja vuole riappropriarsi invece dei suoi famosi bronzi di Benin in mostra permanente, sempre a Oxford.

 

Il Partenone trafugato

Sono passati più di 200 anni da quando il conte di Elgin trafugò le opere senza un vero consenso del Sultano.

Solo la furia degli abitanti di Atene impedì il completo smantellamento dell’Eretteo del Partenone.

Era previsto che venisse rimontato in Inghilterra.

I bronzi del Benin

I bronzi del Benin sono un gruppo di diverse migliaia di placche e sculture in metallo che decoravano il palazzo reale del Regno del Benin, in quello che oggi è lo Stato di Edo, in Nigeria.

Correva l’anno 1897 e le ambizioni coloniali britanniche in Africa si stavano espandendo.

Il palazzo reale fu raso al suolo e le opere d’arte al suo interno furono rubate.

I famosi bronzi di Benin city si trasformarono ben presto in bottino di guerra.

 

La replica della direttrice del museo

Il direttore del museo oxfordiano, Laura van Broekhoeven, ammette che l’istituzione possiede 148 manufatti Masai di epoca coloniale.

Si tratta di spade, frecce, bracciali e cavigliere.

Sottolinea altresì che in passato quei manufatti sono stati acquisiti per mezzo di funzionari, missionari e antropologi di era coloniale.

L’acquisizione a quei tempi era legale.

 I masai contestano

Non la pensa così il governatore keniano della contea di Narok, Patrick Ntutu, convinto che i proprietari di quelli oggetti siano stati uccisi o mutilati prima che gli ornamenti gli fossero portati via.

PASTORI DEL MASAI MARA. FOTO DI VITTORIA BACCHI
Pastori del Masai Mara 

Il museo si difende: solo 5 i reperti trafugati

La direttrice allora ammette che la sottrazione illegittima ci sarebbe stata.

Ma interesserebbe solo ed esclusivamente cinque reperti, identificati come cimeli di sensibile importanza culturale.

Novantotto mucche come risarcimento, scrive la testata del Nairobi Nation

La testata di Nairobi Nation scrive i che due clan Masai di Narok, Sululu e Mpaima, hanno ricevuto dall’Università di Oxford, che gestisce l’esposizione, 49 bovini ciascuna.

La notizia riporta che, precisamente, due famiglie della tribù dei Masai del Kenya hanno ricevuto in dall’Università britannica di Oxford 98 mucche.

I bovini sono stati portati in processione da impiegati dell’Università di Oxford ai capifamiglia.

L’insolito tributo è stato considerato come risarcimento “amichevole” per una collezione di manufatti originali sottratti ai loro antenati in epoca coloniale.

 

Il Pitt Rivers Museum di Oxford contro i pastori Masai

La mossa, è stato precisato da Oxford, è puramente simbolica.

Segno di volontà alla riconciliazione.

Fa parte di un processo di dialogo tra le parti.

Si ispirerebbe ai principi della diplomazia che insegna a misurare gesti e parole al contesto sociale e culturale della controparte.

 

I bovini come moneta

La trovata con cui il museo ha pensato di fare pace con i Masai è però unica e difficilmente riproponibile.

È vero che i bovini hanno rappresentato a lungo per i Masai una sorta di moneta.

I bovini da sempre, infatti, sono venduti o barattati in cambio di beni e servizi.

Sono utilizzati persino per “pagare” ammende per comportamenti disonorevoli o criminali.

La società Masai è cambiata

Ma le cose, a Oxford lo sanno di certo, sono un po’ cambiate.

Nella società Masai ha fatto capolino il concetto di proprietà privata e titolarità della terra.

Vaste aree della savana, precedentemente gestite collettivamente, sono state suddivise e adibite a nuovi usi, tra cui il commercio.

Il dono delle 98 mucche è insufficiente. Le critiche della comunità masai

Il dono delle 98 mucche è stato apprezzato, hanno mandato a dire i pastori, «ma non è abbastanza per compensare» il furto e l’esposizione illegittima di oggetti appartenuti ai propri avi.

I rappresentanti delle famiglie del clan Loita di Narok hanno dichiarato al quotidiano Daily Nation di apprezzare il gesto, ma che non è sufficiente.

Si aspettano “un risarcimento adeguato”.

Nessuna guerra, ma solo risarcimento decoroso

La comunità non vuole fare causa ai “signori” di Oxford.

Un portavoce delle famiglie Maasai, Seka ole Sululu, ha dichiarato che è stata presa la decisione di perseguire una riconciliazione pacifica con la celebre Università inglese.

I masai non hanno intenzione di fare causa al museo.

Per tradizione preferiscono sempre la pace alla guerra.

Ma si aspettano, quantomeno, un risarcimento decoroso.

 

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