“Guilty”

 

“Nessuno è sopra la legge”, questo il commento dello staff di Biden avuta la notizia della sentenza di primo grado che ha condannato il Presidente Trump per tutti i 34 capi di imputazione sul caso della “pornostar”.

Donald Trump è rimasto impassibile alla lettura del verdetto, questo narrano i media presenti.

Un verdetto indubbiamente storico.

Le successive dichiarazioni del Presidente Trump sono chiare “noi lotteremo per il Paese, noi lotteremo per la nostra Costituzione, il vero verdetto sarà il 5 novembre”.

Altrettanto immediati i commenti in quell’Europa che vive come un incubo il ritorno dell’inquilino di Mar a Lago nella Stanza Ovale.

“Dovremo vedere l’effetto sulla campagna elettorale soprattutto nei duelli negli Stati in bilico” hanno immediatamente dichiarato.

Altrettanto solerti i sondaggi secondo cui “una fetta di elettori moderati e indipendenti non è disposta a votare un candidato condannato”.

Ritenendo questo processo un deja vu per chi ha la consuetudine a dover constatare un uso politico della giustizia ed un “fatto assolutamente casuale e non ad orologeria”, ovvia la mia italica ironia, il fatto che la pena sarà stabilita in un’udienza fissata per l’11 luglio, vigilia della convention del Partito Repubblicano statunitense che formalizzerà la nomina a candidato alle presidenziali di novembre di Trump, avendo qualche conoscenza in quel di Mar a Lago, subito dopo aver letto la notizia del verdetto sui media nostrani, ho fatto qualche telefonata dall’altra parte dell’oceano.

Indubbia la mestizia nei miei interlocutori, non per la sentenza che ha raggiunto colui che viene chiamato dai suoi sostenitori “il vero presidente” ma per aver dovuto constatare che gli Stati Uniti devono imparare a confrontarsi con una magistratura strumento di una parte politica.

Viene da chiedersi se coloro che in Stati Uniti hanno acquisito questa postura nell’uso della giustizia abbiano imparato in Italia e se coloro che aborrono questa pratica vorranno compulsare il Ministro Nordio che, sempre nella nostra amata Patria, si sta confrontando con una riforma del sistema giudiziario atta proprio a ridurre, speriamo estirpare, certe “ideologizzazioni” del corpo giudiziario a tutto favore della terzietà dello stesso.

I miei interlocutori, oggettivamente assai delusi nel dover prendere atto di come si sia modificata in peggio la loro patria in questi quattro anni, si sono sfogati al telefono con me.

Io, nell’ascoltarli, pensavo a Berlusconi ed alla sua storia, ma non solo.

Durante una di queste conversazioni una agenzia di stampa ha riportato il commento dello staff dell’attuale inquilino della Casa Bianca, quel “Nessuno è sopra la legge” già riportato in questo mio scritto.

Immediato il cambio di tono del mio interlocutore, da mesto a serio, fulminea la risposta “su questo hanno ragione, questo concetto da novembre lo applicheremo ovunque fino in fondo”.

Alla mia domanda sui “danni” per la campagna elettorale del candidato repubblicano, una risposta che fa riflettere “gli americani non sono europei, oggi abbiamo guadagnato un altro milione di voti”, chissà se avrà ragione lui o gli esperti di sondaggi?

In Stati Uniti di tutto questo sono tutti stanchi, tutti anelano delle novità, molti sono convinti che su quei “tre giorni” di ritardo nel conteggio dei voti a causa di un “malfunzionamento” del sistema informatico di calcolo debba essere fatta totale chiarezza per ristabilire la credibilità della democrazia.

Allorquando, da italiano, ho provato a far notare che “il passato è passato, certe volte conviene voltare pagina”, fiera la risposta “noi siamo americani, andiamo sempre fino in fondo, ovunque”.

Dopo le mie conversazioni notturne temo che questa sentenza newyorkese dal sapore italico esacerberà i rapporti in America e che, anche di questo, memore del fatto che è assai più facile incolpare qualcuno lontano piuttosto che qualcuno che vive vicino a te, verranno ritenuti responsabili coloro che avrebbero facilitato quei brogli elettorali del 2020 che ogni giorno più elettori statunitensi ritengono siano realmente avvenuti.

Infine un’ultima considerazione notturna dovuta alle tante dichiarazioni sull’uso delle armi occidentali all’interno dei confini della Federazione Russa, addirittura quella del sito web “Politico” che dichiara che Joe Biden abbia “segretamente” già autorizzato queste attività limitandole ad alcune aree all’Interno dei confini russi, speriamo che a nessuno dei tanti leaders europei amici del Partito Democratico in Stati Uniti ed al trio Obama – Clinton – Biden non venga in mente che con una “bella guerra in Europa” si “risolvono tanti problemi” e, soprattutto, si rimane al potere.

In fondo Zelensky insegna e con buona pace di certi titoli di media filo Biden che hanno riportato una asserita dichiarazione di Trump dei giorni scorsi che suona “da Presidente io avrei bombardato Mosca”, il periodo 2016 – 2020 è l’unico nella storia recente degli Stati Uniti che non ha visto il Presidente in carica iniziare una nuova guerra da qualche parte del mondo.

Ignoto Uno




“Periferie Elettroniche: La gestione di un centro elettronico diffuso”

 

Betapress.it: Buongiorno Prof. Faletti, è un onore averla ancora con noi. Il suo libro “Periferie Elettroniche: La gestione di un centro elettronico diffuso” sta suscitando un grande interesse. Qual è stata l’ispirazione che l’ha portata a scrivere questo libro?

Prof. Corrado Faletti: Buongiorno e grazie a voi per l’invito. L’ispirazione per questo libro è nata dalla mia esperienza pluriennale nel campo della gestione dei centri elettronici distribuiti. Ho notato che, nonostante l’importanza crescente di questi sistemi nella nostra società, mancava un testo che li trattasse in maniera esaustiva e accessibile. Volevo creare un’opera che non fosse solo un manuale tecnico, ma anche una guida pratica che potesse essere utilizzata sia da professionisti del settore che da studenti e appassionati, una specie di bigino per tutti.

 

Betapress.it: in questi ultimi mesi ben tre libri in uscita, “la teoria del Ponte Empatico”, “50 sfumature di Autismo” ed infine questo, un vero successo, come ha fatto?

Prof. Corrado Faletti: intanto ho cercato di terminare lavori che avevo iniziato negli anni precedenti. Poi ammetto che in questo periodo ho avuto qualche problema di salute che mi ha costretto ad un riposo forzato, regalandomi però del tempo per chiudere appunto questi libri iniziati anni or sono.

Betapress.it: sperando il meglio per la sua salute, questi problemi sono legati a tematiche lavorative, cosa pensa del mondo del lavoro oggi?

Prof. Corrado Faletti: si in effetti, ma ormai sono dell’idea che chi non mi ama non mi merita. Ho subito troppi soprusi sul lavoro per non rendermi conto delle problematiche che oggi, soprattutto nella pubblica amministrazione, sono presenti in maniera eccessiva. Incapacità gestionale, poteri mal gestiti, persone non competenti in molti posti direttivi, autoreferenzialità, troppe interferenze politiche, tra le tante anche queste evidenze non permettono a questo paese di decollare. E’ inutile che ci ergiamo a paese difensore dei diritti se poi siamo i primi a non rispettarli, ed ancora sul fenomeno del mobbing sul lavoro non siamo in grado di intervenire con tempi adeguati. Come ho scritto più volte nei miei lavori ormai il cittadino è escluso da un sistema che dovrebbe dargli la parola ed invece gliela toglie quotidianamente. Penso che anche le prossime elezioni politiche di giugno evidenzieranno l’assoluto distacco dei cittadini di questo paese dalle istituzioni di questo paese, spero di no ma temo sarà così. E come non dar ragione ad un popolo che per poter fare un esame clinico urgente deve aspettare anche fino ad 8 mesi. Non mi faccia parlare oltre perché ne avrei da dire.

Betapress.it: e allora le prometto che le dirà tutte. Ma tornando al libro, quali sono, secondo lei, gli aspetti di assoluta novità che il suo libro offre rispetto ad altre pubblicazioni sullo stesso tema?

Prof. Corrado Faletti: Uno degli aspetti più innovativi del mio libro è l’approccio olistico alla gestione dei centri elettronici distribuiti. Non mi sono limitato ad analizzare i singoli componenti tecnologici, ma ho cercato di mettere in evidenza come questi possano interagire in modo sinergico. Ho anche inserito numerosi casi di studio reali, che mostrano applicazioni pratiche e problematiche concrete riscontrate durante l’implementazione e la gestione di tali sistemi. Inoltre, il libro è aggiornato con le tecnologie più recenti e include una discussione approfondita su temi emergenti come l’intelligenza artificiale e l’Internet delle cose (IoT).

Betapress.it: Può descriverci la struttura del libro e come questa facilita la lettura e la comprensione degli argomenti trattati?

Prof. Corrado Faletti: Certamente. Il libro è strutturato in tre parti principali. La prima parte fornisce una panoramica introduttiva, spiegando i concetti fondamentali e le basi teoriche della gestione dei centri elettronici distribuiti. La seconda parte è più tecnica e si concentra sulle diverse tecnologie e metodologie utilizzate, accompagnata da esempi pratici e casi di studio. La terza parte, infine, esplora le applicazioni avanzate e le tendenze future del settore.

Ogni capitolo è stato progettato per essere autonomo, permettendo ai lettori di consultare singoli argomenti senza dover necessariamente seguire l’ordine del libro. Inoltre, ho incluso numerosi schemi, diagrammi e tabelle per facilitare la comprensione visiva dei concetti complessi. Ogni capitolo è struttura to per punti come un bigino al fine di agevolare la comprensione .

Betapress.it: Quanto è importante per lei che il libro sia accessibile anche a chi non ha una formazione tecnica specifica?

Prof. Corrado Faletti: È estremamente importante. Ho cercato di scrivere il libro in un linguaggio chiaro e comprensibile, evitando il più possibile il gergo tecnico. L’obiettivo era rendere accessibili questi argomenti complessi anche a chi non ha una formazione specifica, perché credo fermamente che la conoscenza debba essere condivisa e diffusa il più ampiamente possibile. I centri elettronici distribuiti sono una realtà sempre più presente nella nostra vita quotidiana, e capire come funzionano e come gestirli può essere utile a un vasto pubblico, non solo ai professionisti del settore.

Betapress.it: Quali sono le principali sfide che ha affrontato nella stesura del libro e come le ha superate?

Prof. Corrado Faletti: Una delle principali sfide è stata sicuramente quella di mantenere un equilibrio tra approfondimento tecnico e accessibilità. Volevo assicurarmi che il libro fosse utile sia ai neofiti che ai professionisti esperti. Per superare questa sfida, ho dedicato molto tempo alla revisione e alla semplificazione del testo, cercando sempre di mettere al primo posto la chiarezza espositiva. Ho anche chiesto feedback a colleghi e studenti durante la fase di scrittura, per assicurarmi che i contenuti fossero comprensibili e ben strutturati.

Betapress.it: In conclusione, cosa spera che i lettori traggano dalla lettura del suo libro?

Prof. Corrado Faletti: Spero che i lettori possano ottenere una comprensione chiara e approfondita della gestione dei centri elettronici distribuiti, apprezzando la complessità e le potenzialità di questi sistemi. Vorrei che il libro fosse una fonte di ispirazione e una guida pratica per chiunque voglia avvicinarsi a questo mondo, sia per motivi professionali che personali. E, infine, spero che contribuisca a promuovere una maggiore consapevolezza e competenza nell’uso e nella gestione delle tecnologie elettroniche avanzate.

Betapress.it: Grazie mille, Prof. Faletti, per questa intervista. Le auguriamo il massimo successo con il suo libro.

Prof. Corrado Faletti: Grazie a voi, è stato un piacere discutere del mio lavoro.

 

 

 

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LE SFIDE SOCIALI DELLA CHIESA: PAOLO BATTAGLIA LA TERRA BORGESE E NINO COSTANZO TESTIMONIAL MORALI

 

Arriva il 29 maggio alla Facoltà Teologica di Palermo la presentazione de ‟Le sfide sociali della Chiesa” per i tipi de ‟Il pozzo di Giacobbe”: una ricerca di don Giacinto per una visione altra dalla persona come essere sociale.

Lo comunicano in una nota Paolo Battaglia La Terra Borgese e Nino Costanzo, testimonial morali dell’iniziativa culturale e sociologica che investe il capoluogo siciliano quale prima tappa d’Italia.

 

Arriva il 29 maggio alla Facoltà Teologica di Palermo la presentazione de ‟Le sfide sociali della Chiesa” in Luigi Sturzo e Igino Giordani di don Giacinto Magro edito da: ‟Il pozzo di Giacobbe”. È una ricerca, che condotta da don Giacinto, offre una visione altra dalla persona come essere sociale, dice della dimensione personale, sociale dell’essere Chiesa per il mondo.

 

Magro è un sacerdote della Diocesi di Piazza Armerina. Nasce a Delia nel ’69. E durante il suo viatico matura importantissime esperienze nel sociale. È ordinato nel 2008.

 

Unisce esperienza, impegno e pensiero nella ricerca intellettuale. Studia filosofia e teologia in diverse università e oggi lavora come direttore della Pastorale Famigliare e parroco ad Aidone in Sicilia.

 

Giacinto oggi opera con vigore nella ricerca teologica, nell’insegnamento e nella formazione dei Christi fideles laici.

 

Le sue fatiche letterarie più consultate dagli studiosi comprendono La vita oltre la morte. L’umanità pensata da Dio come unità inscindibile (2013) e L’Ave Maria. Dalla preghiera orale alla preghiera esistenziale (2015).

 

Il saggio del 29 maggio, che alle ore 18:00 si presenterà al pubblico alla Facoltà Teologica di Palermo, prende le mosse dalla testimonianza intellettuale di due Autori attenti scrutatori dei segni dei tempi nell’adesione a Cristo e nell’ascolto dello Spirito, che con la loro vita e il loro pensiero sono divenuti testimonianza, notevoli pensatori che hanno contributo al recupero del significato antropologico e sociale inscritto nella relazione tra Chiesa e mondo. La Chiesa, infatti, è l’attuazione storica del ‟mistero” (in senso paolino) di Dio Trino e della sua volontà salvifica che si attua nel tempo: da questi autori – afferma don Giacinto –, la storia è letta come spazio, per l’attuazione della salvezza in Gesù Cristo, il quale realizza in sé e mediante il suo Corpo, la Chiesa, una nuova antropologia che salva l’uomo integrale nella logica comunionale e universale.

 

Il volume – assicurano Paolo Battaglia La Terra Borgese e Nino Costanzo – è affascinante, intriga, ed è originato sia dalla testimonianza intellettuale di Sturzo e Giordani che da due domande di fondo che restano sottese ma come un filo rosso attraversano tutto il saggio: Che cos’è la persona? Come incide la Chiesa nel sociale?  

 

Una nuova antropologia agapica avvolge il lettore, poggia il suo realizzarsi nel dono, nella relazione e in divine realizzazioni, salva l’uomo integrale.

 

Nella prima parte, si coglie come in Sturzo ‟tutto è grazia, senza disincarnare l’uomo anzi radicandone in Cristo la vita individuale e sociale. Nella seconda parte, trova spazio la riflessione su Giordani, il quale fonda nella patristica la proposta concreta di un uomo agapico, parte di una società nuova in relazione continua con Gesù. La terza parte, tenendo conto del contributo d’entrambi, propone il passaggio da una concezione della salvezza di tipo individuale ad una in chiave sociale-comunionale, grazie al recupero del concetto dell’essere-per-il-mondo. Così, attraverso l’antropologia del dono, il credente, e la Chiesa, si scopre lievito di una nuova socialità basata sull’amore agapico, espressione della Trinità: un amore che unisce divino e umano. Il concetto di persona, declinato nella sua accezione esistenziale e dinamica, indica l’io come soggetto, capace di autodeterminarsi nella libertà e di realizzarsi nella relazione. Come afferma il teologo Cada nella prefazione il saggio di Giacinto Magro ‟offre un nuovo contributo qualificato perché egli propone una dinamica antropologica Cristocentrica/Trinitaria nell’azione sociale e civile propiziata a partire e nella luce dell’evento di Gesù Cristo tra la missione della Chiesa e la promozione di una umanità nuova fermentata dalla logica e dall’impegno della fraternità: nella prospettiva dell’annuncio e della testimonianza dell’avvento del Regno che è sale e lievito di trasformazione della città terrena quale promessa e caparra della città celeste”.

Il rapportarsi all’altro è costitutivo del soggetto: Non è mediante il rapporto con il proprio ‟sé”, ma è mediante il rapporto con un altro ‟sé” che l’uomo potrà raggiungere la completezza. Questo altro sé può essere limitato e relativo quanto a sé stesso, ma è in questo essere-insieme-con-l’altro che si rende possibile l’esperienza dell’illimitato e dell’incondizionato. In altri termini non c’è vera antropologia né possibilità di autentica realizzazione umana, se non dove sia recuperata la pienezza del rapporto con altri, se non dove a una visione del soggetto come autosufficiente e dominante si sostituisca una visione in cui l’esteriorità si ponga come liberante e le categorie di relazionalità come essenziali per il soggetto stesso. Solo nella relazione con ciò che è esterno alla coscienza individuale e, in particolare, nella dialogicità interpersonale, la prigionia dell’io è infranta e si coglie la realtà non come dominio, ma come incontro.

La relazione interpersonale esprime la struttura originaria dell’essere uomo, la profondità ontologica per la quale l’uomo non è solitudine, ma costitutiva apertura all’Altro e ad ogni altro e viene a realizzarsi nel riconoscimento e nell’accoglienza dell’altro. Per don Sturzo la persona è impegnata nella ricerca del bene, per la realizzazione di sé: in questo senso, l’oggetto conosciuto diventa «verità amabile e desiderabile» che esercita un certo fascino nei confronti del soggetto conoscente. In altri termini, si vuole un bene in quanto esso risponde alle finalità del proprio essere e perché lo si è conosciuto come bene desiderabile. Pertanto, per Sturzo la conoscenza è principio di comunione: una «comunione sui generis fra il conoscente e l’oggetto conosciuto». Conoscere è completare sé stessi, è «attività» responsabile della persona che, solidale con la realtà con cui entra in relazione, focalizza con sempre maggiore chiarezza il suo orientamento verso il bene. Scrive Sturzo:

‟Se fossimo Dio, noi, conoscendoci e amandoci, formeremmo società con noi stessi pur restando noi stessi un solo (il mistero della Trinità). Ma noi siamo finiti; la conoscenza del nostro io appella subito un non io, un fuori di noi; l’amore verso di noi non è completo se non si espande fuori di noi, verso un necessario completamento”.

Mentre per Giordani l’uomo è il prodigio della creazione, il privilegio della redenzione, l’obiettivo della vita soprannaturale nella natura creata. Sturzo può considerarsi un personalista, anche se preferisce usare i termini ‟individuo” e ‟uomo” in luogo di ‟persona”. Giordani propone il concetto mistico della persona come ‟alter Christus”. Per Giordani l’uomo può cogliere sé stesso e vivere se partecipa dell’Essere di Dio che è Amore, amando. L’essere va ricompreso come dono/amore, accolto/ridonato. Secondo Pasquale Foresi l’oggetto stesso della filosofia è l’essere come dono, che ci fa prendere coscienza della nostra personale penuria d’essere: sono, in quanto sono donato a me da un Altro che mi provoca a restituire il nulla che per sè sono: Oggetto della filosofia è dunque l’essere che si dona e che è, al tempo stesso, da me ricevuto. E se il riceverlo mi dà, in certo modo, di percepire il mio non esistere, il ridonarlo, ridonandomi, mi consente di percepire l’esistere in pienezza. L’atto del filosofare si schiude così come un rapporto trinitario fra me e Dio, preludio della soluzione, unica anche sotto il profilo filosofico, che ci viene data dal cristianesimo nella misura in cui entriamo nel mistero della Trinità. Pertanto modificando la ben nota espressione di Cartesio, cogito ergo sum dobbiamo dire: ‟mi dono, dunque sono”. È piuttosto, come scrive con insistenza Sturzo ‟cooperatore” di Dio: «Non Dio solo con la sua grazia, non l’uomo solo con la sua volontà libera, ma l’uomo con Dio», in una «comunione intima» e in una «permanenza di Dio in noi e di noi in Dio», che rende possibile e anzi esige l’azione e la contemplazione insieme. Il rapporto con Dio diventa l’orizzonte in cui don Sturzo e Giordani rintracciano il senso del mondo e del proprio stare in esso: tutto è «finalizzato» a Dio, in quanto proveniente da Lui. L’uomo è il ministro e il servitore di questo ‟finalismo”, è colui che, chiamato a realizzarsi come figlio, in unione con Dio e in ‟rapportalitaˮ con gli altri, in altri termini vive come homo ‟agapicusˮ. Dio che è in Sé stesso relazione (Padre, Figlio, Spirito Santo) la riversa sull’uomo il quale è in relazione con sé stesso, con gli altri, col mondo, innanzi tutto col suo Creatore e Redentore. Tale «finalizzazione» rende l’uomo capace di vivere in rapporto con Dio, in una relazione d’amore che illumina e immette lo stile trinitario tra gli uomini. «La vera vita è amore», conclude Sturzo, perché «Dio stesso è amore». Sta qui la chiave di volta, l’intuizione teologica e al contempo l’esperienza radicale che permette a don Sturzo e a Giordani di ritrovare il senso del loro personale vissuto spirituale nel loro impegno apostolico d’impronta socio-politica.




Avulso

Avulso

di Cassandra è figlio erede di commedie, arti 
oracolo certamente
scomodo e disprezzato
  Nemico della gente..
Invidiato e all’indice tenuto.
Sacerdote  laico a suo modo di retorica poetica  e di ambiente.
Non voglio cerimonie
Non voglio facce lavate e lavate  di faccia
  Date retta, L’incenso risparmiate.
Tanto lo so che morto  mi volevate..
Tanto lo
so’ che appena giravo l’angolo si facevano grasse risate
E dicevano:”
Perché devi essere meglio di me?
Perché devi avere più di me?
Non ho io …e non devi avere nemmeno te!.
Ti preferivo quando eri  uno dei tanti
innocuo  tra gli inconcludenti
quando ti potevamo controllare quando non ti montavi la testa e  volevi scrivere cose amare…
Quando non scrivevi cose che suscitano interesse e ammirazione
Togliendo protagonismo a tutta la popolazione..:
“Mio figlio si è laureato con 110  e lode
Adesso è magistrato
Anch’io ho  ho preso il master e sono ricercato ..”.
“E tu che cosa hai fatto ? Che cosa hai partorito?
Hai solo pubblicato parole alla rinfusa
Inconcludente dissennato!”
  miserabili maestri  di voi stessi
Accademia  unica dell’illazione,
dell’ingiuria, del sarcasmo vigliacchetto del non sono stato io…
Del fuori luogo,
infelice infelicitante
occhiante…
Bisbiglio tagliente meditato …
Del non detto ,dell’approssimato …
Del trattenuto tra i denti…
serrati e impenitenti.
sì… come la propria esistenza
ombra maligna  decisa
di chi è solo un povero ignorante.
…ma chi ti credi di essere non sai niente…
Baci di giuda e abbracci di rito a coronamento
Sorriso di circostanza simulato miserabile e forzato ma dovuto per apparire .. congiurante
Ora sono morto
In quelle pagine c’è tutto il mio torto
Quello fatto a voi… Naturalmente…
essenza del mio creato
Ma Sento e vedo tutto
Non a caso
Vedo Chi vivo non mi  poteva vedere e morto non si pareva a saziare.
Ma a tutti dico …
Io… A differenza vostra ,
ho amato.
E mo’…. come state?!
E mo’… Che non ci son più… Che fate?!.
E quando la barba allo specchio ogni mattina vi farete
Vedrete l’immagine di un Dorian Gray a cui  appartenete
Vergognandovi un pochino
Di quel che siete …




Guerra e Pace

Vi sono cose che, forse per ignoranza, forse no, faccio molta fatica a comprendere.

L’incipit dello statuto della NATO recita “Gli Stati che aderiscono al presente Trattato riaffermano la loro fede negli scopi e nei principi dello Statuto delle Nazioni Unite e il loro desiderio di vivere in pace con tutti i popoli e con tutti i governi”.

Nazioni Unite che si dichiarano decise “a salvare le future generazioni dal flagello della guerra ed a riaffermare la fede nei diritti fondamentali dell’uomo, nella dignità e nel valore della persona umana, nella eguaglianza dei diritti degli uomini e delle donne” e, poco più avanti nel testo, continua con “a praticare la tolleranza ed a vivere in pace l’uno con l’altro in rapporti di buon vicinato, ad unire le nostre forze per mantenere la pace e la sicurezza internazionale”.

Infine, lo stesso Statuto dichiara che le Nazioni Unite hanno al centro della loro azione la volontà di “assicurare che la forza delle armi non sarà usata”.

Il Trattato della NATO, inoltre, dichiara che gli Stati membri “si dicono determinati a salvaguardare la libertà dei loro popoli, il loro comune retaggio e la loro civiltà, fondati sui principi della democrazia, sulle libertà individuali e sulla preminenza del diritto. Aspirano a promuovere il benessere e la stabilità”.

Premesso che l’Ucraina non è membro della NATO ritengo fondante di un ragionamento intellettualmente onesto ricordare che l’articolo 1 della stessa organizzazione dichiara che “le parti si impegnano a comporre con mezzi pacifici qualsiasi controversia internazionale in cui potrebbero essere coinvolte, in modo che la pace e la sicurezza internazionali e la giustizia non vengano messe in pericolo, e ad astenersi nei loro rapporti internazionali dal ricorrere alla minaccia o all’uso della forza assolutamente incompatibile con gli scopi delle Nazioni Unite”.

Comporre “con mezzi pacifici”, in queste ore lèggiamo il Segretario Generale uscente, Stoltenberg, dichiarare che l’Ucraina deve essere “libera di usare armi degli alleati per colpire in Russia” a cui è seguita una scontata reazione dell’ambasciatore russo Antonov: “Washington non vuole la pace in Europa. Annuncia armi all’Ucraina quando Mosca è disponibile a colloqui”.

Perché tutto questo? A chi serve?

Perché questi continui tentativi di causare una escalation del conflitto?

Come non notare che siamo a cinque mesi dalle elezioni presidenziali statunitensi e,salvo eventi “anomali” assai temuti dal giro di Mar a Lago, il Presidente Trump appare vincitore certo.

Come non notare che lo stesso nella sua campagna elettorale dichiara che Biden ci stia portando verso la terza guerra mondiale mentre con lui “presidente non ci sarebbero state guerre”, nessuna guerra.

È un fatto che Donald Trump sia l’unico presidente degli Stati Uniti a non avere ordinato l’inizio di nessuna nuova guerra.

Ci sarebbe da chiedersi se Biden avrebbe permesso al generale George Patton di portare i suoi carri armati fino a Mosca per “portare la democrazia” in quella Unione Sovietica governata da Stalin? Uno al cui confronto il Presidente Putin potrebbe apparire un sacerdote francescano.

Per fortuna in Stati Uniti vi era un Presidente assai più saggio, quel Roosevelt che seppe sedersi a Yalta.

Purtroppo alla Casa Bianca il mondo, oggi, non trova Roosevelt ne una figura che non crede nell’uso delle armi e negli eserciti ma nei dialoghi bilaterali come Trump.

Il mondo deve convivere con un presidente americano, Joe Biden, che spesso straparla.

In queste ore è tornato, senza freni istituzionali, a definire il presidente russo Vladimir Putin un “tiranno brutale”.

Difficile poter credere che dichiarazioni così “violente” possano facilitare una tregua in Ucraina dato che, permettetemi una ovvietà, non è Zelensky a poter decidere le sorti del popolo ucraino bensì chi siede alla Casa Bianca ed in alcune cancellerie europee.

Tutte “poltrone a rischio” nei prossimi mesi. Tutti leaders che, in fondo, con una “bella guerra” potrebbero risolvere i “loro problemi”.

In queste condizioni noi, cittadini amanti delle “parole” e non delle “armi”, non possiamo che sperare che il Presidente Putin non ceda alle provocazioni e non accetti una escalation di distruzione.

Onestamente, avendo dedicato tempo a studiare l’uomo, siamo sufficientemente convinti che questo accadrà con buona pace di chi vorrebbe ben altro.

In fondo nella cultura russa il concetto del “temporeggiare” è assai ben radicato, come non ricordare l’attesa del “generale inverno” per esempio?

A guardare questo quadro nasce, però, spontanea una domanda: sono queste Nazioni Unite e questa NATO strumenti utili a garantire una pace equa fra i popoli nel mondo?

Sembrerebbe di no.

Dopo ottanta anni, forse, è arrivato il tempo di dichiararli “superati” e di sostituirli con nuovi strumenti più efficaci, magari anche più efficienti visto i loro risultati in ordine a quanto direttamente espresso nei loro statuti.

Senza, poi, porre l’occhio sui loro rispettivi rapporti fra costi e benefici.

Ignoto Uno




Macbeth Cuore Nero – I detenuti portano in scena il male e il bene

Si è svolta oggi alle 10,30 presso la sala degli specchi del teatro Garibaldi di Santa Maria Capua Vetere (CE) la conferenza stampa dell’evento MacBeth cuore nero.

nell’ordine da sinistra a destra Gaetano Battista Chiara Sparacio Marco Puglia Mimmo Basso
nell’ordine da sinistra a destra
Gaetano Battista
Chiara Sparacio
Marco Puglia
Mimmo Basso

Il progetto teatrale è stato creato dall’associazione Polluce APS e porta in scena un gruppo di detenuti della casa di reclusione De Angelis di Arienzo (CE).

Padrone di casa è stato Marco Puglia magistrato di sorveglianza presso l’ufficio di sorveglianza di Santa Maria Capua Vetere e promotore del progetto.

Hanno relazionato Mimmo Basso, Chiara Sparacio e Gaetano Battista ed è stato proiettato un estratto del documentario Macbeth cuore nero di Paola Ortolani.

Interventi

Mimmo Basso – direttore operativo del teatro Mercadante di Napoli.

«Con convinzione ed entusiasmo il Teatro di Napoli accompagna il debutto dello spettacolo “Macbeth, un cuore nero”.

Il Teatro San Ferdinando – il Teatro di Eduardo – è il luogo ideale per dare concretezza e visibilità al lavoro prezioso che, come in questo caso, operatori teatrali sensibili ed esperti svolgono con professionalità nei luoghi di detenzione per favorire il percorso di recupero ed emancipazione.

Insieme all’attività di produzione e programmazione delle stagioni, continueremo a sostenere questi ed altri progetti teatrali che coinvolgono professionalità “speciali” per un obiettivo “speciale”, oltre che prezioso dal punto di vista sociale».

Chiara Sparacio – vice direttore di Betapress e linguista

nell’ordine da sinistra a destra Gaetano Battista Chiara Sparacio Marco Puglia Mimmo Basso
nell’ordine da sinistra a destra
Gaetano Battista
Chiara Sparacio
Marco Puglia
Mimmo Basso

«Etimologia della parola teatro intesa come luogo dello stupore in cui il divino, la natura e l’uomo si ricongiungono guardando nell’unica direzione del ricongiungimento umano col divino.

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p style=”font-weight: 400;”>Nel Macbeth viene sottolineato come tutti noi siamo quotidianamente sedotti dalla scelta sbagliata e veniamo messi in guardia da chi offre risposte senza aver ascoltato le domande.
Male e bene sono ogni giorno dentro di noi che ogni giorno combattiamo la battaglia di Macbeth.

Mettere in scena uno spettacolo con questo contenuto vuol dire far vivere ad attori e pubblico una esperienza catartica».

Gaetano Battista – regista dell’opera.

«Il progetto sta allargando gli orizzonti negli istituti penitenziari della Campania facendo in modo che gli stessi possano diventare motore rigenerativo dei territori attraverso la cultura ed il teatro, dando la possibilità ai detenuti di essere inclusi socialmente e lavorativamente attraverso i mestieri delle arti dello spettacolo».

Commovente l’estratto del cortometraggio creato da Ortolani che ha mostrato il percorso interiore di ogni partecipante al progetto sottolineando sogni, emozioni e voglia di riscatto.

Erano presenti:

Rosida Baia – vice sindaco di Santa Maria Capua Vetere con delega in materia di Politiche Sociali – Legge 328/2000 – Pari Opportunità e Azioni contro la violenza di genere – Politiche giovanili – Politiche per l’integrazione delle minoranze etniche e linguistiche- Servizi demografici e servizi al cittadino – Attività istituzionali – Sistemi informativi e di comunicazione istituzionale.

Avv. Edda De Iasio – Assessore del comune di Santa Maria Capua Vetere con delega in materia di Pubblica Istruzione, Assistenza scolastica, Rapporti con l’Università, Risorse educative, Famiglia, Politiche dell’infanzia e Diritti dei bambini, Sanità, Arredo e decoro Urbano, Verde Pubblico.

Avv. Gaetano Iannotta – Direttore dell’Ufficio di Sorveglianza di Santa Maria Capua Vetere.

Avv. Chiara Boenzi – operatore dell’ufficio di Sorveglianza di Santa Maria Capua Vetere.

Avv. Giuseppe De Lucia.

Nicoletta Sbordone Rappresentante studenti giurisprudenza Vanvitelli.

Raffaele Diana –imprenditore e sponsor dell’evento.

Era presente il cast, in ordine alfabetico:

Marvellous Atuma, Antonio Cacciapuoti, Salvatore Canzanello, Roberto Capuozzo, Alfonso Cetta, Nicola D’Angelo, Francesco Diana, Luigi Grassi, Antonio Parisi, Pasquale Ruocco, Riccardo Sergio.

Informazioni sullo spettacolo:

La prima dell’opera andrà in scena il 12 giugno al teatro San Ferdinando di Napoli.

Il progetto teatrale è stato creato dall’associazione Polluce APS che dal 2019 si occupa di ideare e realizzare progetti che, attraverso l’utilizzo della cultura e dell’arte, intendono aiutare ad indicare alle fasce deboli della nostra società, una strada di inclusione e libertà.

Lo spettacolo “Macbeth- Cuore nero” rientra nel percorso laboratoriale dedicato ai mestieri del teatro per il progetto “Officina dei Teatranti”, sostenuto da Regione Campania – Assessorato  Scuola – Politiche sociali – Politiche Giovanili – DG Politiche sociali e sociosanitarie, ideato dall’Associazione Polluce APS in collaborazione con Associazione  Più A.R.I., Associazione Perzechella e Vico Pazzariello, CIF (Centro Italiano Femminile) di Avellino e Fondazione Opus Solidarietatis Pax onlus.

Obiettivo del progetto: Alla base del progetto c’è l’idea che lo studio delle arti sceniche sia inclusivo e portatore di rigenerazione culturale e sociale non solo nello specifico di realtà problematiche come gli istituti penitenziari, ma anche nei territori circostanti ad essi.

I reclusi diventano, in tal modo, protagonisti e fruitori, grazie al supporto dei professionisti dello spettacolo, di un percorso di recupero, di condivisione sociale e di crescita personale.

Elenco Cast e maestranze: MACBETH- CUORE NERO

Adattamento, disegno luci e regia: Gaetano Battista

Assistente alla regia: Roberto Capuozzo

Scenografie: Carmine Di Giulio

Sarto: Mushi Jeannot Mulango

Costumi: Orsola Iannone, Teresa Papa

Voci registrate: Davide Sivero

Dizione e espressione: Cristiana Balletta

Musiche originali eseguite dal vivo: Aniello De Sena

Fonico: Carmine Minichiello

Traduzione: Goffredo Raponi

Produzione Esecutiva: Associazione Polluce APS, Proemotion Events&Entertainment

Sostenuto da Associazione Polluce APS, Cassa delle Ammende-Ministero della Giustizia, Assessorato Scuola – Politiche sociali – Politiche Giovanili DG Politiche Sociali e Socio Sanitarie della Regione Campania.




Televannacci

Vannacci Roberto a TeleNord, una intervista che fissa gli obiettivi e fa chiarezza?

Abbiamo esaminato tante interviste televisive sul Generale Vannacci Roberto, ma troppo spesso abbiamo notato che si è cercato di far dire ciò che i “grandi intervistatori” avrebbero voluto che lui dicesse, su questo o altro fatto, tentando di alterare così il Suo pensiero originale.

Solo una preparazione “militare” e la Sua determinata concentrazione, cui bisogna dargli atto di possedere, ha fatto si che non cadesse nella “trappola”, magari vittima di un comprensibile nervosismo.

Le domande, forse strumentali, forse ideologiche, o forse anche di propaganda contraria, che normalmente ed in tantissimi incontri sono state poste e cui spesso non si è lasciato spazio per rispondere adeguatamente, hanno generato confusioni e divisioni, più da stadio, che di effettiva chiarezza sul pensiero dell’intervistato.

Fenomeno assai diffuso ed utilizzato dagli intervistatori di “grido”, basta ascoltare le varie interviste che da anni vengono proposte ad i vari politici, noti e meno noti, dove si parla di tutto, si cercano soluzioni su tutto, magari interrompendo con pubblicità improvvise o con domande a raffica su punti diversi, ma che non fissano gli obiettivi per cui bisogna raggiungere questo o quella meta. Forse perché non vi sono obiettivi?

Infatti, quasi nessuno ha chiesto al Generale Vannacci Roberto, quale fosse il reale obiettivo che lo ha condotto, dopo attenta meditazione, a scendere in campo.

Quindi, tutti grandi navigatori che dicono di conoscere la rotta, senza tuttavia conoscere la destinazione.

Chissà, forse Vannacci Roberto è un po’ come Cristoforo Colombo, che aveva come obiettivo, a differenza di tutti gli altri, di raggiungere le Indie percorrendo una rotta sconosciuta, e finì per scoprire l’America?

Vannacci Roberto l’obiettivo lo ha chiaro, anche se pochi lo hanno a lui chiesto, forse per paura, o forse per non scoprire che è l’unico ad avere una meta da raggiungere, opposta e contraria a quella che in maniera silenziosa, qualche altro ci vorrebbe indurre a raggiungere, utilizzando distrazioni di ogni genere.

L’intervista al Generale Vannacci Roberto che vi proponiamo, tra le tante, e che abbiamo anche trascritto, ci scusiamo per le imperfezioni che potrebbero esserci, è quella effettuata da TeleNord, primo piano: “Liguria Chiama, Europa risponde”.

Un’intervista che aiuta a fare chiarezza sul reale obiettivo del Generale Vannacci Roberto.

Ettore Lembo

Per chi preferisce la trascrizione:

Trascrizione della Video Intervista al Generale Vannacci Roberto per TeleNord.

Moderatore: Benvenuti a questa edizione di primo piano: “Liguria Chiama, Europa risponde”. Proseguiamo il nostro giro dei candidati alle elezioni europee con Roberto Vannacci, 55 anni nato a La Spezia candidato indipendente nelle liste della Lega. E’ con noi il direttore Giampiero Timossi. -Direttore: Buongiorno, buongiorno generale allora. Generare perché in questo momento lei è candidato, ma continua ad essere un Generale in forza all’esercito.

Vannacci Roberto: Sì, confermo, anche se sono candidato chiaramente in una posizione che mi consente di partecipare a questa competizione politica.

Direttore: Le chiedo subito una cosa, ma chi gliel’ha fatto fare? perché ha scelto di candidarsi? perché ha scelto di entrare in politica? prima questo, poi le chiedo anche, perché ha scelto di diventare autore di almeno un best seller, e un libro che sta riscuotendo, il suo secondo libro, comunque un notevole successo. Perché Entrare in politica candidarsi all’europea?

Vannacci Roberto: La scelta di entrare a in politica, intanto è stata abbastanza travagliata, perché è stata una scelta alla quale ho voluto pensare in maniera approfondita. Non è una cosa semplice, è un nuovo ambiente e un nuovo settore. Non ho mai fatto politica in vita mia e quindi non volevo passare dall’essere il professionista di un settore al dilettante di un altro. E poi comporta anche un totale cambio di vita familiare dei propri affetti più vicini e quindi ne ho dovuto parlare. Ne ho voluto parlare anche con mia moglie e in parte anche con le mie figlie, per quanto siano ancora molto giovani. E ho scelto di scendere in campo proprio perché ho pensato alle mie figlie e vorrei dar loro un futuro migliore. Un futuro diverso da quello che si prospetta seguendo quella che è attualmente l’Europa, vorrei che l’Europa fosse diversa. Vorrei un’Europa più sicura. Un’Europa dove una donna non debba aver paura di uscire di casa ed andare in un qualsiasi posto senza dover temere di essere aggredita, molestata. Un’Europa più sovrana che difende i propri interessi nazionali e anche che dove si difendono gli interessi nazionali italiani. Un Europa più identitaria che non debba rinunciare a quelle che sono le caratteristiche specifiche peculiari che fanno di noi un popolo, il popolo italiano che ci invidia il mondo intero. Che si coagula intorno a delle specifiche caratteristiche che ci riconosce il mondo, quindi dobbiamo continuare a essere identitari avere la nostra specifica e caratteristica le nostre specifiche peculiarità, un mondo più ricco, più benestante, è che quindi debba riscrivere totalmente il Green deal Europe, che ci porteranno solo povertà senza migliorare nulla, per quanto riguarda l’ambiente ecologia. Un’Europa più meritocratica e libera dove si possono esprimere le proprie opinioni senza aver timore, e dove un giovane possa pensare di potersi realizzare al massimo delle sue possibilità contando sul proprio merito e sulle proprie capacità.

Direttore: Le chiedo ha un’idea? Ci sono molti sondaggi su quelli che potrebbero essere risultati di queste, di queste elezioni europee. Ci sono sondaggi anche sui singoli candidati. Lei potrà ritenersi soddisfatto se raggiungerà che numero di voce di quanti… quanti pensa che possono essere i voti?

Vannacci Roberto: Ma guardi il target non glielo dico, però è molto ambizioso molto bello, estremamente ambizioso.

Direttore: Ci sono sondaggi che parlano di settecentomila preferenze. Lei pensa che siano poche? O Pensa di poter arrivare il milione di preferenza?

Vannacci Roberto: Io punto più alto più alto, del Milione No, più alto più alto del primo riferimento, che è un target molto ambizioso il mio, e poi vedremo se avrò avuto ragione o no.

Direttore: Difesa, difesa Europea è uno dei tre grandi temi. Del prossimo della prossima legislatura Europea, lei lo sa prima di ogni tornata elettorale, C’è un vertice dove si definiscono anche in base, appunto, dei sondaggi, quelli che sono la priorità. Gli europei hanno detto che la difesa è uno di questi di questi temi. Difesa che, probabilmente non si intende, non si intenderà come esercito europeo che è un qualcosa di complicato, ma, questa è più materia sua, me lo sta per dire lei se è complicato, No, ma si intenderà finanziamenti per dotare l’Europa di armamenti dello stesso dello stesso livello per dotare, l’Europa di un arsenale comune. Secondo lei, come si dovrebbero? Si potrebbero finanziare questi armamenti?

Vannacci Roberto: Guardi, riguardo l’esercito europeo la difesa comune Europea, ci sono tante teorie e tante voci in giro, ed è proprio per quello che io sono sempre cauto e prudente, perché dietro questo nome, che è diventato uno slogan, si possono celare tantissime questioni. Allora l’esercito europeo inteso come la messa in comune di forza, penso che sia una cosa irrealizzabile. Anche perché una forza armata rappresenta la sovranità di uno stato e quindi non possiamo cedere ulteriormente sovranità sotto questo aspetto. Il fatto invece di creare delle sinergie, delle collaborazioni a livello industriale, ma anche a livello di determinate capacità per dare una sorta di basket comune agli eserciti europei. Può essere una strada da perseguire, ma questa strada non ci realizzerà, cioè non sarà possibile realizzare delle grandi economie. Quelli che pensano che così fa, così facendo ci costerà di meno. Ritengo che probabilmente debbano analizzare un po’ meglio questa situazione di capacità. Le capacità costano in termini di risorse, in termini disponibili, quindi bisognerà effettivamente vedere Quale sarà la strada da perseguire e soprattutto quali saranno i metodi per finanziare queste capacità e cosa ci verrà chiesto in cambio. Perché ricordo che fino ad adesso, anche nel PNNR, di cui tanto si parla, è una minima parte a fondo perduto, il resto è un prestito che dovremo restituire, quindi bisognerà vedere effettivamente che cosa sia il termine, costo efficace, e quali siano da ricercare, quali sistemi e per quali modalità? Con quali modalità si potrà realizzare questa difesa comune? Sicuramente non dovrà essere una cessione di sovranità perché se oggi questo fantomatico esercito europeo fosse stato alle dipendenze del presidente Macron, probabilmente avremo qualche soldato italiano che combatterebbe oggi stesso in Ucraina e questo mi auguro che non succeda mai.

Moderatore: Dal giorno del suo ingresso sulla scena pubblica, si è verificata una sorta di distruzione del politicamente corretto. L’ideologia dominante è arrivata dall’America. Lei nei confronti di questa contro spinta, denuncia una sorta di contro censura che riguarda la persona, le idee, e anche il suo pubblico e anche un parterre di persone con delle prove da dire nella controversia infinita anche opposta alla pallavolista Egonu. Ultimo a intervenire è stato Gramellini, che citando il suo virgolettato della “non può celare visivamente la sua origine” Gramellini scrive la vita è una questione di abitudini, un giorno Vannacci si accorgerà che il mondo al contrario è semplicemente il mondo, ed è lui che lo sta guardando al contrario. Cosa risponde a Gramellini?

Vannacci Roberto: Ma, Gramellini ha scoperto l’acqua calda, nel senso che il mondo è relativo, questo lo sappiamo tutti quanti, non vi è dubbio, però che il mondo è fatto di fenomeni più frequenti, fenomeni meno frequenti è fatto di maggioranza e di minoranze e fatto di realtà e quindi il mondo è quello che tocchiamo ogni giorno con le mani. Non è il mondo della percezione che invece ci vorrebbero far bere. Quindi Gramellini sa benissimo che qua in Italia abbiamo delle caratteristiche assolutamente indistinguibili e molto specifiche che ci fanno italiani, fra cui ci sono la nostra cultura, le nostre tradizioni, le nostre radici, e guarda caso le etnie che si distinguono anche tramite i tratti somatici. E questo non è una cosa né negativa né positiva, non è né migliore né peggiore. È sempre la diversità. La bellissima ricchezza di questo mondo che fatto di diversità.

Moderatore: Il suo ingresso sulla scena pubblica, data la sua professione che ha svolto e sta svolgendo in regime, cioè in aspettativa, ha ricordato quella vecchia battuta per cui l’avvocato Agnelli, che era stato sondato per presiedere un governo di uno dei tanti governi di unità Nazionale, Dice è meglio di no, perché se fallissi io, dopo di me potrebbe arrivare solo in generale.

Vannacci Roberto: Ma guardi Non lo so. Apprezzo la battuta dell’avvocato Agnelli non credo che si stia avendo una deriva autoritaria nella maniera assoluta. Penso invece che la professionalità che ho acquisito in 37 anni di carriera, militare di esperienza fatta in giro per il mondo, in comandi multinazionali e a contatto con quella che è una realtà internazionale, possa essere estremamente positiva e possa essere messa a frutto in un Parlamento Europeo.

Direttore: Le chiedo. Generale Vannacci, la sua idea di normalità, perché su questo si è un po’ discusso, in questo periodo. Ci siamo incontrati casualmente alla stazione Termini di Roma e anche ascoltandola, Lei risulta una persona anche moderata nelle parole, però non è questa l’impressione, non è questa l’idea che ci si fa, forse anche leggendo alcuni passi del suo, soprattutto, del suo del suo primo libro, o, non lo so, raccogliendo quelle che sono alcune delle sue dichiarazioni. Questo mi sorprende molto. Lei è un uomo che, se non sbaglio, ha due lauree in Italia, una all’estero ha la disciplina perché è un militare. Ha la disciplina nel DNA. E queste, a volte, in certe uscite, mi permetta il termine, sembrano del tutto indisciplinate. Io quindi non riesco, cerco di non avere mai né giudizi né pregiudizi, ma non riesco bene a capire come questa, questa dicotomia. Lei uomo disciplinato e colto, ma a volte … esternazioni o frasi che sembrano indisciplinate e diciamo così non particolarmente sensibili. Quello che scriveva prima il collega e amico Gramellini, e che ha riportato Stefano, in realtà è un aspetto della sua personalità. Il fatto che lei abbia delle definizioni precise per determinate categorie, perché questo? mi spieghi la sua idea.

Vannacci Roberto: Di certo io penso di rappresentare la realtà per quella che è. Una realtà non modificata dal politicamente corretto che tende addirittura a cambiare il significato alle parole, e quindi, la normalità è quella che è definita in tutti i vocabolari della lingua italiana, ma chiunque abbia studiato le basi della statistica, sa che le prime tre caratteristiche della statistica e le prime tre funzioni principali sono la media aritmetica, la mediana e la norma. La norma rappresenta il verificarsi più frequente di un certo avvenimento e quindi ha essenzialmente una funzione unicamente statistica. Quindi quando si parla di normalità si parla di consuetudine. Si parla di prassi, e tutto ciò che non rientra nella consuetudine, nella prassi, è anormale, perché non rientra in quella norma.

Quindi, nessuna significazione, positiva o negativa ne migliore né peggiore. E’ semplicemente una definizione statistica che va applicata per quella che poi, il politicamente corretto, ha dato invece una accezione diversa, che è quella che io non accetto. Così come la definizione di razzista. Oggi basta dire di una persona, è una persona nera, che si viene epitetati di razzista. Il razzismo è un’altra cosa, il razzismo è quella ideologia che sostiene che una etnia sia geneticamente superiore rispetto ad un’altra. Sono due cose totalmente.

Direttore: Lei non è assolutamente razzista?

Vannacci Roberto: Nella maniera più assoluta, ma la mia vita lo testimonia ancora prima da quello.

Direttore: La sua è quindi una battaglia contro politicamente corretto?

Vannacci Roberto: Esattamente, il politicamente corretto, non è che agisce solo sulle parole, ma agendo sulle parole agisce sulle idee. E’ il politicamente corretto che vorrebbe eliminare le differenze, perché ritiene che le differenze siano causa di discriminazione. Invece differenze e discriminazione, sono due cose totalmente differenti. Le differenze sono oggettive e sono caratteristiche diverse che noi notiamo in alcuni elementi. La discriminazione invece si basa sui diritti e sulla dignità e nel mio libro io non ho tolto diritti e dignità nessuno, ho esaltato le differenze che vanno riconosciute perché sono una ricchezza di questo mondo.

Direttore: Perché secondo lei una parte invece di quelle che sono, che lei stesso definisce le minoranze del nostro paese, hanno comunque, le sue parole come obiettivo e criticano pesantemente quello che lei ha detto?

Vannacci Roberto: Certo perché si va verso una omogeneizzazione della società, una società dove tutto viene omogeneizzato. Dove le minoranze vengono confuse con le maggioranze, dove qualsiasi differenza debba essere presa come una sorta di discriminazione e quindi debba essere negata, debba essere limata, diluita, annacquata, per creare una paccottiglia che include tutti e non rappresenta nessuno. Ecco questo è il mondo immobile del mondialismo e del globalismo che io rifuggo, che io rinnego, e che io invece spero che non si realizzi mai, a beneficio, invece, di un mondo identitario dove le differenze continuino a costituire la ricchezza di questo stupendo pianeta.

Direttore: Lei è già non ha risposto, ha preferito non rispondere, ad alcune domande sull’ inchiesta che ha coinvolto in Liguria il presidente di regione Liguria Giovanni Toti. Però lei è uomo che non si sottrae ai giudizi. Allora io cerco di riassumerle una parte dell’inchiesta, poi lei mi dirà se vuole o non vuole rispondere. C’è un servitore dello Stato, esattamente come lei è stato per anni, ed è tuttora, anche se in aspettativa un servitore dello Stato, che, secondo quanto emerge con assoluta chiarezza, dalle intercettazioni, dai riscontri bancari, ha, ne faccio un esempio, ricevuto da un imprenditore privato 42 soggiorni in un hotel di lusso, solo per citare uno degli elementi, donazioni in regalo, che sono, secondo i magistrati, una prova di corruzione e che, secondo comunque, nell’attesa di conoscere quello che sarà il risultato della magistratura, politicamente hanno già un significato. Lei si candida anche in Liguria per le prossime europee. Avrà letto sicuramente, anche se quello che è emerso nelle prime pagine dei giornali nei primi giorni di questa inchiesta e su tutti i giornali. Ora lei ha sostenuto che a volte, alcuni giornalisti o alcuni giornali possono strumentalizzare. Ma questo è una cronaca comune. Lei, credo che un giudizio su questo, quanto sta accadendo, lo abbia.

Vannacci Roberto: Guardi. Io ho un mio giudizio personale, però ripeto, le indagini servono proprio ad appurare i fatti e quindi non credo che sia l’apertura delle indagini che possa condizionare lo svolgimento di quello che è una professione, una missione che un servitore dello Stato sta facendo in quel momento. Lasciamo spazio alla magistratura. Lasciamo che queste indagini vengano maturate, vengono effettuate e poi vengono prese le decisioni. È chiaro che un’immagine se la fa ogni cittadino, però non sarebbe la prima volta che poi invece queste indagini vanno verso direzione diverse. Lasciamolo lavorare la magistratura nella quale io piena fiducia, e atteniamoci a quelle che saranno poi gli esiti di queste indagini.

Direttore: Assolutamente le indagini devono dimostrare se esistono dei comportamenti che sono dei reati penali, ma ci sono dei comportamenti che hanno in qualche modo, già possono, sui quali si può dare un giudizio di moralità o non moralità. Io credo che quel giudizio lei lo abbia.

Vannacci Roberto: Ma è un giudizio che mi tengo per me

Direttore: No.

Vannacci Roberto: Si lo tengo per me. Perché ripeto non voglio che influenzi nessuno e soprattutto che influenzi neanche me stesso.

Direttore: Però non è un vecchio, mi perdoni, non è un modo un po’ superato di fare politica, quello di no? Comunque, lei non si sottrae neanche alle critiche, neanche alle polemiche, perché si vuol filtrare…

Vannacci Roberto: Perché vorrei evitare di esprimere dei giudizi non totalmente informati. In genere non parlo di ciò che non so. Questa è una vicenda che ho seguito solo marginalmente. Ho solo una fonte di informazione, che è quella giornalistica, e quindi preferisco, magari, scavare più in profondità prima di esprimere un giudizio, che sia informato e che sia consapevole.

Direttore: C’è un’ultimissima polemica tra lei e il ministro degli Esteri italiani. Questa polemica sulla bandiera, è stata strumentalizzata anche questa? Non lo so insomma, ma io le chiedo semplicemente lei è europeista?

Vannacci Roberto: Guardi l’Europa è una realtà, io non la rinnego nella maniera più assoluta, anche sotto un aspetto storico, geografico, di tradizione. Quindi l’Europa, secondo me, deve essere cambiata, non deve essere eliminata. Deve essere cambiata. Deve essere un’Europa fatta da stati sovrani indipendenti e forti che costituiscono una comunità che esalta, in questa maniera, in maniera esponenziale, le caratteristiche di ogni stato. Sulla questione della bandiera, mi risulta che siamo l’unico paese che ha per norma l’obbligo di esporre la bandiera europea insieme a quella italiana. Come mai Dovremmo essere gli unici ad attenerci a questa disposizione?

Direttore: Perché la disturba questa cosa?

Vannacci Roberto: Non disturba nella maniera più assoluta, però vorrei dire: secondo me la norma è esporre la bandiera nazionale, poi si lascia la possibilità di esporre quella Europea.

Direttore: Un’ultima cosa, lei se non sbaglio allo scoppio all’invasione della Russia dell’Ucraina era in Russia, ed è stato dopo qualche settimana è stato espulso come persona non gradita, dopo qualche mese, come una persona non gradita. Nel partito dove lei si presenta come indipendente, nella lega, le condizioni su Putin e sulla Russia sono a volte differenti. Qual è la sua posizione?

Vannacci Roberto: La mia posizione è che si faccia una pace. Perché io ritengo che Putin per quanto una persona sicuramente criticabile non sia peggio di Stalin. Ecco rifacendoci a quello che è successo più di 50 anni fa, perché ritengo che probabilmente anche con le elezioni che ci saranno prossimamente a novembre negli Stati Uniti, sia venuto il momento di pregare per una nuova gli Yalta e quindi per avere un patto, una negoziazione che ci consenta, come lo ha fatto Yalta, i prossimi 50-60 anni di pace.

Direttore: Cosa Lei dice che l’Europa è Cristiana da Capo Nord a Malta, quindi Questo significa che lei vuole andare in Europa anche per riscrivere la costituzione dell’Europa che non prevede simboli, né ha parlato… Sì tigre, Aquila No.

Vannacci Roberto: Io ritengo che una delle caratteristiche fondamentali europee sia proprio la cristianità che esula dalla Fede religiosa, ma è una questione di cultura e quindi non possiamo rinnegare una cultura che permea questo continente negli ultimi duemila anni e secondo me è un simbolo di cristianità, così come era stato proposto nella costituzione europea nella prima stesura. Ritengo che sia sicuramente un simbolo identitario che possa contraddistinguere.

Moderatore: Grazie a voi, alle elezioni europee Vannacci Roberto, nativo di La Spezia, 55 anni. Liguria chiama, Europa risponde. E si chiude qui.




CELLINI, PAOLO BATTAGLIA LA TERRA BORGESE RACCONTA LO SCULTORE

«…durante tutta la sua vita di lavoro indefesso lo scultore, orafo e scrittore, mantenne non solo una sorella vedova con sei figli ma anche un’altra famiglia in miseria che non aveva nessuna parentela con lui e molti giovani artisti e modelli…»

 

Riuscì sempre a cavarsela – racconta Paolo Battaglia La Terra Borgese -. Era lo spadaccino più permaloso di tutta l’Italia del Cinquecento e i suoi nemici pagarono con la vita. Si prese le donne che gli piacquero.

Fu maestro d’avventure. La battaglia gli metteva allegria. Il carcere più profondo non bastava a tenerlo.

 

Ma quest’avventuriero spaccone fu soprattutto il più grande orefice del mondo. Tale era l’opinione che aveva di se stesso Benvenuto Cellini, e i collezionisti la condividono ormai da oltre 400 anni.

La storia in genere conferma le pittoresche avventure narrate nella sua Vita.

 

Benvenuto Cellini – prosegue Battaglia La Terra Borgese – nacque a Firenze nel 1500. Dal padre, fabbricante di strumenti musicali, ereditò l’abilità manuale.

Fin dall’infanzia si fermava davanti alle botteghe degli orefici, attratto dal ticchettio dei martelletti, dal soffiare dei mantici, dall’incandescenza delle braci.

S’infilava dentro per vedere lo splendore che i tagliatori di gemme traevano dalle pietre preziose ancora grezze e per osservare gli artigiani che lavoravano l’oro nella sua infinita e lucente duttilità.

 

Ben presto si fece assumere come apprendista in una delle botteghe – continua Battaglia La Terra Borgese -.

Questo scatenò un finimondo perché Cellini padre aveva deciso in cuor suo che Benvenuto dovesse diventare un musicista. È vero che quelle agili piccole dita sul flauto sapevano far sgorgare lacrime di gioia dai teneri occhi paterni.

Ma Benvenuto non era il tipo da esercitarsi con le scale tutto il giorno.

Per sfuggire alle odiate note scappava di casa e stava via parecchi mesi di seguito, guadagnandosi la vita come apprendista orefice nelle città vicine.

A 19 anni, avendo litigato più del solito col padre, s’incamminò a piedi per Roma, dove si diceva che il papa era prodigo di oro con gli artisti come le fontane della città erano prodighe d’acqua.

 

Il suo primo lavoro a Roma – riferisce Battaglia La Terra Borgese – consisté nell’adornare uno scrigno d’argento per un cardinale.

Lo fece in bassorilievo, decorandolo molto più di quanto non gli fosse stato ordinato, con fogliami intrecciati, frutta, putti e maschere grottesche. Il maestro della bottega era così fiero di questo scrigno che lo mostrò a tutta la città.

E ancor più fiero fu Benvenuto di mandare il compenso che gli spettava al padre, che continuò a mantenere generosamente finché visse. Poiché la mano di Cellini era pronta a dare come a colpire; durante tutta la sua vita di lavoro indefesso mantenne non solo una sorella vedova con sei figli ma anche un’altra famiglia in miseria che non aveva nessuna parentela con lui e molti giovani artisti e modelli.

 

A Roma guadagnò largamente e in breve ebbe una bottega sua. Da questa uscirono anelli, cammei e spille di squisita fattura, coltelli e pugnali dal manico intarsiato, cinture d’argento per le spose e una brocca d’oro per un vescovo.

Cellini fece anche fucili, per suo proprio uso, perché era schiavo della  violenta e persistente passione di andare a caccia di folaghe nelle paludi intorno alla Città Eterna.

 

Fu un colpo da maestro – precisa Paolo Battaglia La Terra Borgese – che dette inizio al susseguirsi delle eccitanti avventure di Benvenuto Cellini. Nel 1527 Roma era assediata dalle forze dell’imperatore Carlo V, al comando del connestabile di Borbone.

Cellini, che era volontario nel corpo di guardia sulle mura, scrutando attraverso la nebbia vide un gruppo di nemici che si avvicinava. Puntando l’archibugio uccise il capo del gruppo con un solo colpo.

Cellini racconta che questi, come si vide poi, era il connestabile in persona. Pura vanteria? La storia ci dice che proprio in quel giorno il connestabile fu ucciso da una sentinella sconosciuta.

 

Dopo di ciò Benvenuto Cellini ebbe il comando delle artiglierie sul mastio di Castel Sant’Angelo. Lo stesso papa Clemente VII, venne fuori a osservare la mira del Cellini che martellava le trincee del nemico.

Per un mese, con gioia a metà puerile e a metà diabolica, Benvenuto dimenticò la sua arte delicata – dichiara Battaglia La Terra Borgese –.

 

Il Critico prosegue: Finita la guerra, Cellini fu nominato maestro della Zecca Vaticana. Oltre a ciò foggiò una quantità di splendidi ornamenti per i dignitari della Chiesa. Un bottone per il piviale pontificio richiese anni di lavoro.

Grande come un piattino, raffigurava Dio Padre circondato da 15 angeli in oro sbalzato, e c’erano incastonati smeraldi, zaffiri, rubini e un magnifico brillante. Quest’oggetto fece parte del

tesoro vaticano per 250 anni, ma fu poi unito alla «indennità» pretesa da Napoleone Bonaparte nel 1797 e mani vandaliche ne estrassero i gioielli e ne fusero l’oro.

 

Non bisogna però credere che la vita di Benvenuto fosse tutta spesa a lavorare per la Chiesa – avverte Battaglia La Terra Borgese -.

Una volta gettò via il cesello per seguire un bel visetto siciliano fino a Napoli. Le modelle dell’artista Cellini, sembravano essere irresistibili per l’uomo Benvenuto.

 

Nell’odio era ardente come nell’amore. Quando il fratello fu ucciso in una rissa, Benvenuto non pensò neppure a chiamare i custodi dell’ordine: a che sarebbe servito, visto che l’uccisore era un caporale delle guardie della città?

«Presi a vagheggiare quello archivitabusiere» dice Benvenuto «come se fosse stato una mia innamorata.» Infine in un vicolo buio col pugnale si fece giustizia.

 

Alla morte del vecchio papa – racconta il critico d’arte Battaglia La Terra Borgese -, prima che fosse eletto il nuovo, a Roma non c’era altra legge fuorché l’anarchia.

Un orefice del Vaticano, suo rivale, di nome Pompeo, si mise in cerca del Cellini con dieci armati.

Benvenuto s’imbatté in questi per la strada. Nella zuffa uccise Pompeo con una pugnalata e mise in fuga i suoi scherani.

Ma la figlia di Pompeo andò sposa a un amico intimo di Pier Luigi Farnese “nipote” del nuovo papa, e per sua istigazione il Cellini veniva continuamente perseguitato.

Un assassino còrso gli tese un agguato, sicari lo seguirono a Venezia, un’altra banda lo costrinse a fuggire di notte.

Riuscì sempre a cavarsela. Ma nel 1537 fu arrestato per ordine del papa. Fu chiuso in una cella «dove fu decisa la mia morte» come egli dice.

 

Con grande astuzia – nota Paolo Battaglia La Terra Borgese – preparò la fuga. Prima rubò delle tenaglie a un operaio del carcere.

Quando i suoi apprendisti gli portarono delle lenzuola pulite, nascose quelle sudice nel materasso.

Con le tenaglie estrasse quasi tutti i chiodi dai cardini di ferro della porta lasciandone appena quanti bastavano per tenerla a posto.

Ci vollero parecchie settimane per tirarli fuori e contraffare le borchie con della cera di candele mista a ruggine onde trarre in inganno i carcerieri.

Quando tutto fu pronto s’inginocchiò e rimase a lungo in preghiera.

 

Rimanevano soltanto due ore di oscurità quando estrasse gli ultimi chiodi dai cardini e sgusciò fuori dalla cella.

Si attorcigliò sulla schiena le strisce di lenzuola annodate, usci sul bastione e di lì si calò nel cortile.

 

La notte volgeva al termine e Benvenuto – riferisce Battaglia La Terra Borgese – spiava le sentinelle aspettando il momento opportuno per superare il muro esterno.

Arrampicatosi su questo con l’aiuto di una pertica che aveva trovato per caso, assicurò le lenzuola rimaste a una pietra in cima al muro e iniziò la discesa verso la libertà.

Ma o le lenzuola o le sue mani esauste cedettero, perché Cellini cadde e si ruppe una gamba.

La legò stoicamente e si trascinò fino alla porta della città; era ancora chiusa, ma il Cellini riuscì a rimuovere una grossa pietra da sotto la porta e a infilarsi in quel buco nonostante i dolori strazianti.

Passata la porta fu assalito dai cani da difesa. Ma un servitore del cardinale Cornaro di Venezia lo riconobbe e lo portò al palazzo del suo padrone.

 

Disgrazia volle – fa notare Battaglia La Terra Borgese – che il cardinale desiderasse una sede vescovile per un suo amico e che il pontefice non gliela volesse concedere.

Così fu concluso un patto: il cardinale ottenne il vescovado e il papa riebbe il suo prigioniero.

Questa volta il Cellini fu chiuso in una segreta nei sotterranei di Castel Sant’Angelo: una fossa piena d’acqua, in cui egli giacque in delirio per parecchi giorni.

 

Ma allora, al palazzo di Fontainebleau in Francia, il re Francesco I aveva espresso il desiderio di avere come orefice di corte questo Benvenuto Cellini del quale aveva sentito fare tanti elogi. Un altro cardinale influente parlò in suo favore al papa.

Così dalla sua immonda cella il Cellini fu trasportato alla corte più brillante d’Europa – afferma Battaglia La Terra Borgese -. Qui gli furono dati splendidi appartamenti, un gruppo di aiutanti e ricevette un’ordinazione dopo l’altra per opere di grande impegno, d’oro, d’argento e di bronzo, tra cui una «saliera» d’oro – in realtà è un centro da tavola per banchetti – che è oggi il vanto di un museo di Vienna

 

Il re e la regina, il cardinale e i nobili venivano spesso a visitare la sua bottega sempre attiva.

Tutto prometteva bene.

Ma Cellini aveva fatto i conti senza la favorita del re e, sebbene fosse un esperto adulatore, aveva trascurato di richiedere l’opinione di quest’ultima. In seguito alla sottile opposizione che lei gli mosse – afferma Battaglia La Terra Borgese -, Cellini poté portare a compimento ben poco di ciò che aveva progettato per Francesco I, e nel 1545, deluso, tornò a Firenze e divenne il protetto del duca Cosimo I, ben noto patrono delle arti.

Cosimo suggerì a Benvenuto di scolpire una statua di Perseo, il leggendario eroe greco che uccise Medusa, la Gorgone anguicrinita (che ha serpenti al posto dei capelli, ndr) che impietriva chiunque la guardasse.

 

Cellini fece un modello dopo l’altro, di cera, di stucco, di marmo. Infine, dopo nove anni, riuscì a compiere una figura più grande del vero, che lo soddisfece – lo elogia così Paolo Battaglia La Terra Borgese -.

Ora si trattava di gettarla in bronzo! Questa era una delle operazioni più difficili che la scultura avesse mai tentato fino allora. Cellini doveva progettare da sé le fornaci e le forme, ed escogitare le leghe. Il duca scosse la testa e predisse un disastro.

 

Ecco come il Cellini – riporta il Critico – racconta la sua impresa, forse la più appassionante di tutta la sua vita.

 

«Alla fine gridai che fosse accesa la fornace. I tronchi di pino vi erano accatastati e la fornace lavorava tanto bene, che io fui necessitato a soccorrere ora da una parte e ora da un’altra per alimentarla.

Non resistevo più e mi saltò addosso la febbre, per la qual cosa io fui sforzato andarmi a gittare nel letto.

Quando due ore dopo tornai nella bottega trovai tutto rappreso il metallo e il tetto della bottega in fiamme.

Mandai sul tetto a riparare al fuoco e dissi a due manovali che andassino a prendere una catasta di legne di quercioli giovani, e quando queste presono fuoco, oh come quel metallo rappreso si cominciò a schiarire, e lampeggiava in quel terribile fuoco.»

 

«In un tratto è si sente un romore con un lampo di fuoco grandissimo. Mi avvidi che il coperchio della fornace si era scoppiato e il bronzo si versava fuori. Subito feci aprire le bocche della mia forma. Ma veduto che il metallo non correva con quella prestezza ch’ei soleva fare, forse per essersi consumata la lega per virtù di quel terribile fuoco, io feci pigliare tutti i mia piatti e scodelle e tondi di stagno, i quali erano in circa dugento, e a uno a uno li gittai drento. In tal modo riuscii nell’intento e ora il mio bronzo s’era benissimo fatto liquido e la forma si empiva. Quando vidi il mio lavoro compiuto m’inginocchiai, e con tutto il cuore ne ringraziai Iddio.»

 

La statua di Perseo – spiega Paolo Battaglia La Terra Borgesefu posta in una loggia in Piazza della Signoria nel cuore di Firenze. Là si erge oggi, nel bronzo immortale il vigoroso eroe che solleva la testa di Medusa.

 

Con questa sola opera Cellini prese posto tra i grandi scultori. In questo periodo fecondo fece altri lavori in bronzo e in marmo: busti, figure mitologiche e un grande crocifisso per la propria tomba (pur tuttavia aveva ucciso umani e altri animali).

 

Con l’avanzare degli anni, quest’uomo che aveva vissuto così felicemente seguendo i suoi principi, pian piano si conformò a quelli del resto dell’umanità.

A 64 anni sposò la sua domestica e cominciò ad allevare i propri figli in stato coniugale. Laddove un tempo aveva elargito le sue sostanze liberamente, ora ascoltò il parere dei savi e le investi… e così perse tutto (banchieri dell’epoca).

 

Il 13 febbraio 1571 le avventure terrene di Benvenuto Cellini ebbero termine. Eppure continuano per sempre, poiché ogni generazione le riscopre nella sua scintillante autobiografia. Per quasi due secoli il manoscritto fu perduto.

Quando venne alla luce e fu pubblicato tutta l’Europa ne rimase affascinata. Goethe, che lo tradusse in tedesco, dichiarò che costituiva un miglior quadro di quei tempi che non qualunque rigoroso testo storico.

Dumas lo divorò e poi offrì al mondo il suo allegro cavaliere D’Artagnan, il capo dei Tre Moschettieri. Da allora in poi la figura di un intrepido spadaccino, burlone, rubacuori e femminaro è balzata da cento libri ed è comparsa su mille schermi.

Il primo di tutti era stato Benvenuto Cellini – chiude così, Paolo Battaglia La Terra Borgese il suo Cellini-.




Dirigenti esterni nella PA??? Troppe differenze non solo culturali!!!

La mancanza di manager di livello nella pubblica amministrazione rispetto al settore privato è un argomento complesso che può essere analizzato sotto diversi punti di vista.

Le differenze tra i due settori in termini di gestione, incentivi, struttura organizzativa e cultura del lavoro sono significative e influenzano la qualità e la competenza della leadership.

Anche quando la PA prende dirigenti dall’esterno, non intendiamo da altre PA ma dal settore privato, cosa di cui parleremo bene più avanti, la situazione si rivela fallimentare.

Ecco alcuni dei principali fattori che contribuiscono a questa situazione:

 

Differenze nei Sistemi di Incentivi

 

 Settore Privato:

– Retribuzione: Nel settore privato, i manager ricevono compensi spesso molto alti, compresi stipendi, bonus basati sulle performance e stock options.

– Incentivi basati sulla performance: Gli incentivi finanziari sono strettamente legati ai risultati aziendali. Questo motiva i manager a migliorare costantemente le loro prestazioni e a raggiungere obiettivi specifici.

 

 Pubblica Amministrazione:

– Retribuzione fissa: I compensi sono generalmente regolati da leggi e regolamenti, con minore flessibilità per premi o bonus basati sulle performance.

– Incentivi limitati: Gli incentivi basati sulla performance sono meno comuni, riducendo la motivazione a eccellere o innovare.

 

Processi di Selezione e Reclutamento

 

 Settore Privato:

– Selezione competitiva: Le aziende private tendono a selezionare i candidati attraverso processi competitivi, cercando i migliori talenti disponibili sul mercato.

– Flessibilità nel reclutamento: Il settore privato può adattare rapidamente i propri processi di assunzione alle esigenze del mercato e delle proprie strategie aziendali.

 

 Pubblica Amministrazione:

– Burocrazia e rigidità: I processi di selezione nella pubblica amministrazione sono spesso lunghi e burocratici, con rigide procedure e requisiti formali.

– Limitazioni regolamentari: La selezione e il reclutamento sono soggetti a regolamentazioni che possono limitare la capacità di attrarre talenti altamente qualificati.

 

Struttura Organizzativa e Cultura del Lavoro

 

 Settore Privato:

– Organizzazione dinamica: Le aziende private tendono ad avere strutture organizzative più flessibili, che permettono una rapida adattabilità ai cambiamenti del mercato.

– Cultura della performance: C’è una forte enfasi sui risultati e sulla performance, che spinge i manager a innovare e migliorare costantemente.

 

 Pubblica Amministrazione:

– Struttura gerarchica: La pubblica amministrazione è spesso caratterizzata da strutture gerarchiche rigide, che possono limitare l’innovazione e la rapidità decisionale.

– Stabilità e sicurezza del lavoro: La cultura lavorativa nella pubblica amministrazione può essere più orientata alla stabilità e alla sicurezza del lavoro piuttosto che alla performance e all’innovazione.

 

Formazione e Sviluppo Professionale

 

 Settore Privato:

– Investimenti nella formazione: Le aziende private spesso investono significativamente nella formazione continua dei loro manager per sviluppare competenze specifiche e aggiornate.

– Sviluppo della carriera: Ci sono molte opportunità per la crescita professionale e la progressione di carriera, incentivando i manager a migliorarsi costantemente.

 

 Pubblica Amministrazione:

– Limitazioni di budget: Gli investimenti nella formazione e nello sviluppo professionale possono essere limitati dai vincoli di bilancio pubblico.

– Percorsi di carriera meno definiti: Le opportunità di crescita professionale possono essere meno definite e meno accessibili, influenzando negativamente la motivazione dei manager a sviluppare nuove competenze.

 

Valutazione delle Performance

 

 Settore Privato:

– Valutazione rigorosa: Le performance dei manager vengono costantemente valutate in base a criteri specifici e misurabili, con un feedback continuo che consente correzioni rapide.

– Accountability: I manager sono strettamente responsabili dei risultati delle loro unità o dipartimenti.

 

 Pubblica Amministrazione:

– Valutazione limitata: Le valutazioni delle performance possono essere meno rigorose e meno frequenti, riducendo la pressione per migliorare continuamente.

– Minore responsabilità individuale: La responsabilità può essere diffusa, rendendo più difficile attribuire successi o fallimenti a singoli manager.

 

La mancanza di manager di livello nella pubblica amministrazione rispetto al settore privato è il risultato di una combinazione di fattori che includono sistemi di incentivi, processi di selezione, struttura organizzativa, cultura del lavoro, formazione e valutazione delle performance.

Per migliorare la qualità della leadership nella pubblica amministrazione, sarebbe necessario rivedere questi aspetti, aumentando la flessibilità, gli incentivi basati sulla performance e gli investimenti nella formazione e nello sviluppo professionale dei manager.

L’assunzione di personale dirigenziale dall’esterno nella pubblica amministrazione italiana, come previsto dal comma 6 dell’articolo 19 della legge 165/2001, è un processo che, sebbene pensato per introdurre competenze e know-how del settore privato, spesso si scontra con varie problematiche che portano a fenomeni di mobbing e impediscono ai nuovi dirigenti di lavorare al meglio.

Questa situazione può essere spiegata attraverso diverse cause legate alla cultura organizzativa, alle dinamiche interne e ai conflitti d’interesse esistenti all’interno della pubblica amministrazione.

 

Resistenza al Cambiamento

 

 Cultura Organizzativa Radicata:

– Tradizionalismo: La pubblica amministrazione è spesso caratterizzata da una cultura organizzativa molto radicata e tradizionalista. L’introduzione di dirigenti esterni, che portano nuove idee e metodi di lavoro, può essere percepita come una minaccia allo status quo.

– Resistenza al cambiamento: Il personale interno può manifestare una forte resistenza al cambiamento, vedendo i dirigenti esterni come agenti di cambiamento indesiderato che alterano le pratiche consolidate e i flussi di lavoro esistenti.

 

Conflitti di Interesse e Invidia Professionale

 

 Conflitti con il Personale Interno:

– Invidia: I dirigenti interni possono nutrire sentimenti di invidia verso i nuovi dirigenti esterni, specialmente se percepiscono che questi ultimi sono stati assunti con compensi più elevati o con percorsi di carriera privilegiati.

– Competizione: L’assunzione di dirigenti esterni può creare una competizione interna, alimentando tensioni tra il personale di lungo corso e i nuovi arrivati, che vengono visti come concorrenti piuttosto che come collaboratori.

 

Dinamiche di Potere e Politiche

 

 Ostacoli Politici e Amministrativi:

– Difesa delle posizioni di potere: I dirigenti interni e altri funzionari possono vedere i nuovi arrivati come minacce alle loro posizioni di potere e influenza. Questo può portare a comportamenti di boicottaggio e ostracismo per proteggere i propri interessi.

– Supporto insufficiente: Spesso i dirigenti esterni non ricevono il supporto necessario dai loro superiori o colleghi interni, rendendo difficile l’implementazione delle loro idee e iniziative.

 

Problematiche Legate alla Formazione e all’Inserimento

 

 Mancanza di Adeguata Formazione:

– Inserimento inadeguato: Spesso, i dirigenti esterni non ricevono un’adeguata formazione o orientamento specifico per comprendere le peculiarità della pubblica amministrazione e adattarsi al nuovo contesto lavorativo.

– Isolamento professionale: I nuovi dirigenti possono essere isolati dal resto del personale, non ricevendo il supporto necessario per integrarsi efficacemente e comprendere le dinamiche interne.

 

Burocrazia e Inerzia Amministrativa

 

 Complessità Burocratica:

– Procedure rigide: La pubblica amministrazione è caratterizzata da procedure burocratiche rigide e complesse che possono limitare la capacità dei nuovi dirigenti di apportare cambiamenti significativi e miglioramenti.

– Lentezza decisionale: La lentezza nelle decisioni e nei processi amministrativi può frustrare i dirigenti esterni, abituati a un ambiente più dinamico e orientato ai risultati.

 

Fenomeni di Mobbing

 

 Mobbing Organizzativo:

– Strategie di esclusione: Il personale interno può attuare strategie di esclusione nei confronti dei nuovi dirigenti, come la mancata condivisione di informazioni, l’assegnazione di compiti di scarso valore o l’esclusione dalle decisioni importanti.

– Delegittimazione: I dirigenti esterni possono essere delegittimati attraverso critiche costanti, sabotaggio delle loro iniziative e diffusione di voci negative, con l’obiettivo di farli apparire incompetenti.

 

 

L’inserimento di dirigenti esterni nella pubblica amministrazione italiana attraverso il comma 6 dell’articolo 19 della legge 165/2001, sebbene inteso a portare nuove competenze e dinamiche innovative, si scontra spesso con una resistenza culturale, conflitti di interesse, dinamiche di potere e problematiche burocratiche.

Per migliorare questa situazione, sarebbe necessario adottare misure che favoriscano un’accoglienza più positiva e un’integrazione efficace dei nuovi dirigenti, come programmi di orientamento, politiche di supporto e promozione di una cultura organizzativa più aperta al cambiamento e alla diversità di esperienze professionali, e forse occorrerebbe cacciar via tutti gli attuali vertici, perché non sono i dirigenti il problema vero, e sostituirli con manager proveniente dal privato e dalla consulenza, così magari qualche speranza per questo paese potrebbe esserci.




Salone del Libraccio

AL SALONE DEL LIBRO DI TORINO, C’E’ CHI HA SCAMBIATO LA CULTURA PER SOPRUSO E ANARCHIA…
…PER FORZATA IMPOSIZIONE, PER UTILE PALCOSCENICO DOVE IMPORRE – NON SENZA PREVARICAZONE O VIOLENZA – TESI E GIUDIZI SCARSAMENTE GIUDIZIOSI: SERVE SBRAITARE, AGITARSI E CERCARE LO SCONTRO CON Leho appreso che FORZE DELL’ORDINE?
Stamani, quasi in diretta con la Presidente dell’Associazione ETICA, Barbara de Munari, ho appreso che il Salone del Libro “”…stava avendo dei problemi inaspettati dopo che la polizia ha respinto la manifestazione pro- Palestina. Una scrittrice ha deciso di non presentare il proprio libro, ma organizzare un’assemblea; diverse case editrici hanno coperto i loro stand; tre scrittori sono stati identificati dalla polizia.
La manifestazione pro Palestina di sabato 11 davanti a Lingotto Fiere sta avendo ripercussioni inaspettate per l’organizzazione del Salone del Libro di Torino: “… Abbiamo deciso di organizzare questa assemblea per raccontare bene i fatti – dicono dal palco gli ospiti – è in corso un genocidio che va avanti da mesi, anzi da anni”. Esplicito anche il riferimento ai fatti di sabato: “… alla repressione si risponde così, riprendendosi gli spazi, i tempi, facendo risuonare le voci di chi viene zittit?” “”.
Scrittori e scrittrici identificati dalla polizia.
Gli stand delle case editrici chiusi: Meltemi editore, Mimesis Edizioni, Eris Edizioni, Lumien Edizioni, Milieu, Edizioni Bepress e Agenzia X hanno deciso, in solidarietà con i manifestanti, d’interrompere per circa un’ora la loro attività commerciale.
La causa palestinese è salita sul palco anche dell’Arena Robinson di Repubblica: Elena Cecchettin ha indossato una maglietta con scritto “Stop al genocidio” durante il suo monologo sulla violenza.
Cronaca, senza commento: non c’è nulla da commentare – ma come è tutto pesante…
A queste parole di Barbara de Munari ho sentito l’esigenza di dare un seguito: personale sì, ma fors’anche interprete di un sentire e di uno sgomento comuni.
Situazione pesante e scabrosa, quella verificatasi al Salone del Libro di Torino – ma anche molto tesa in altre parti d’Italia -. Purtroppo, appellarsi alla intelligenza, alla tolleranza, al discernimento delle persone – come in genere si cerca di fare – è vano esercizio.
Ma se dall’alto non si risolve il punto di vista sulla situazione, avremo sempre tifoserie (anche le più serie sono tali, finché non si mette un ‘punto’ ben preciso. e definitivo: così identificando la questione con le sue caratteristiche e il suo nome).
Si tergiversa, si stenta a decidere, ci si incontra e si tentenna in continue riunioni da un capo all’altro del mondo senza parole certe e definitive, così che si è sempre nella zona grigia dell’indecisione e dell’inconcludenza.
E’ così che è stata data linfa a nuove forme di assemblearismo, dove giovani (non so quanto informati della questione…) piantano tende, vandalizzano scuole e università, dimostrano con violenza evitando ogni confronto e affidandosi alla lettura urlata e trabbiosa di proclami (forse già pronti in polverosi cassetti) ; altrettanta nuova linfa è stata data – non volendo, voglio sperare! – a posizioni di forte contrasto contro Israele, persino ricalcano beceri e violenti modelli di tipo antisemita.
Credo che sia impossibile non rilevare che ci troviamo in un vortice molto agitato (da altri) che ha prodotto effetti destabilizzanti a macchia d’olio. Effetti che anziché essere fermati, affrontati e fatti regredire, vedono una staticità assoluta e assurda (al netto del solito via vai di comis, del solito bla bla, denso di etichette. pacche sulle spalle e di strizzate d’occhi, come in un tragico gioco delle tre carte).
Dispiace immensamente che Scrittori, aziende, professionisti, case editrici, vedano compromesso in tutto o in parte il proprio lavoro: lavoro e attese che vanno da un appuntamento all’altro, di anno in anno.
Assurdo! Com’è assurda, peraltro apparentata alla destabilizzazione in corso su scala mondiale, quella che eufemisticamente viene definita ‘strategia per nuove visioni e nuovi equilibri geopolitici’. Mentre la gente si scanna, nel Mondo, con grande godimento di chi – da tutto ciò – ne ricava lucro, profitto e lauto guadagno, così arricchendosi anche grazie a una forte rendita di posizione, solo per il fatto di ‘esserci’, ‘starci’.
Proprio da parte di chi attraverso la Cultura e le Arti, lì a Torino, deve alzarsi forte un grido che non passi inosservato, sepolto da conformismi vari.
Che soubrette, ‘nanerottoli’ che mirano solo ad apparire senza ‘essere’, e finti intellettuali, tacciano: perchè dev’essere un grido cui associarci tutti, affinché non ci si ritrovi attanagliati in una nuova era di terrorismo, un’era preda dei rigurgiti di una violenza cieca e vile che ritenevamo sepolta e che nulla di buono propone per il futuro.
Un futuro il cui orizzonte è sempre più scuro.
Squarciato dai bagliori di guerre, dai lampi di scoppi, dal rosso degli incendi: il tutto segnato dall’intolleranza, dall’odio etnico, dall’insofferenza a ogni dialogo o confronto.
Un futuro affatto degno per i nostri figli, per i nostri nipoti, e per noi stessi… gli ultimi portatori sani di Tradizioni, Valori, Amore Fraterno e Universale.