GOI: elezioni senza eletti?

Gent.mi Lettori,

ho ricevuto l’incarico dal nostro Direttore di seguire la sempre più intricata matassa delle elezioni del GOI, che sembrano essere ormai romanzo d’appendice.

Nei giorni scorsi, infatti, BETAPRESS ha pubblicato interventi, di AA diversi, incentrati sulle elezioni tenutesi in Italia in seno al GOI Grande Oriente d’Italia – Palazzo Giustiniani.
Le notizie si sono accavallate con una intensità e un ritmo persino frenetici e contenuti “involontariamente” contraddittori.
Per offrire un contributo in linea con la correttezza complessiva dell’informazione, così emendando quanto fin qui pubblicato, abbiamo il piacere di porgere alla Vs. cortese attenzione l’odierno articolo apparso oggi sull’apprezzato e ben conosciuto sito “Hiram.be”.
Articolo che fa
il punto definitivo, forse?, sulla vicenda.
Buona lettura!

L’élection du nouveau GM du Grand Orient d’Italie contestée
Publié par Géplu
Dans Dans la presse

Ainsi que le relate le site Italy24.press, le Grand Orient d’Italie connait quelques tensions après l’élection du successeur de Stefano Bissi, qui s’est déroulée le dimanche 3 mars. Alors que les premières estimations donnaient le challenger Leo Taroni vainqueur, la Commission électorale a finalement déclaré élu – avec seulement 26 voix d’avance sur près de 14 000 votants – le Frère Antonio Séminario, Grand Maître Adjoint de Bissi, qui le soutenait. Des recours devant la justice interne et la justice profane ont été annoncés par Taroni. Ce dernier avait axé sa campagne sur la lutte contre les infiltrations mafieuses dans les loges.
La proclamation officielle des résultats doit avoir lieu lors de la Grande Loge de Rimini prévue les 5 et 6 avril. Rappelons qu’à la différence de la France et de la Belgique, en Italie le Grand Orient est l’obédience dite « régulière », reconnue par la Grande Loge Unie d’Angleterre, et que l’obédience libérale est la Grande Loge d’Italie.
Au terme d’une vive polémique et d’une nuit de recomptages par la Commission électorale nationale, Antonio Séminario a été élu Grand Maître du Grand Orient d’Italie, la principale organisation maçonnique italienne. C’est la première fois qu’un Calabrais est élu à la tête du Goi.
La victoire a été obtenue par seulement 26 voix et le verdict a annulé un précédent décompte – officieux – résultant de la somme des voix dans les différentes régions, qui attribuait la victoire par seulement 15 points à Leo Taroni, un entrepreneur de Ravenne, qui, à la tête de la liste “Nous ensemble”, il avait axé sa campagne électorale sur la lutte contre les infiltrations mafieuses dans les loges.
Aujourd’hui, à 5 heures du matin, après une nuit de travail, la Commission électorale centrale a attribué 6.369 voix à Seminario, soit 46,09 pour cent du total. 6.343 voix ont été validées en faveur de Taroni, soit 45,90 pour cent ; et dans la région de Bari Pasquale La Pesa 688 voix, soit 4,98 pour cent.
Soutenu par le Grand Maître sortant, le Toscan Stefano Bissi, Seminario occupait déjà le poste de Grand Maître Adjoint du Goi. Né à Crosia, dans la province de Cosenza, le 5 février 1958, il réside à Rossano, où est basée sa loge, le “Francesco Galasso”. Il convient de noter qu’environ la moitié des voix qu’il a obtenues ont été recueillies précisément en Calabre et en Sicile, tandis que Taroni a été le plus voté en Sardaigne et dans tout le centre-nord, à l’exception de l’Ombrie. La proclamation de la victoire du Seminario a cependant provoqué de vives réactions de la part des partisans de Taroni, au point que l’ouverture de longues procédures de recours internes semble désormais évidente, alors que de nombreuses voix réclament une scission du Goi. La liste “Nous ensemble” annonce en effet un recours immédiat à la justice interne de l’association, mais aussi un recours à la justice ordinaire, sur la base de l’article 700 du Code de procédure civile, pour tenter d’obtenir d’urgence la suspension de la proclamation et l’annulation de l’élection. Certains partisans de Taroni n’excluent même pas de recourir à la justice pénale.




Guerra o Pace

 

La guerra in terra di Ucraina è un elemento di visibilità di un ben più ampio scontro geopolitico.

Scontro i cui attori strategici sono ovunque meno che in Ucraina, tantomeno sono ucraini.

Questo è un fatto.

Fatto che non viene rappresentato, a mio avviso, correttamente ai cittadini europei.

Temi questi che rappresentano i reali elementi di difficoltà per superare il conflitto e raggiungere una pace accettabile da tutti gli attori in campo.

Fatto plasticamente dimostrato dalla risposta all’appello del Santo Padre alla televisione svizzera da parte del portavoce del Consiglio per la sicurezza nazionale Usa.

Questo funzionario ha dichiarato che “Il presidente Biden ha grande rispetto per Papa Francesco e si unisce a lui nelle preghiere per la pace in Ucraina che potrebbe essere raggiunta se la Russia decidesse di mettere fine a questa guerra ingiusta e non provocata e ritirasse le sue truppe dal territorio sovrano dell’Ucraina”.

Lo stesso funzionario ha continuato dicendo che “Sfortunatamente continuiamo a non vedere alcun segno che Mosca voglia mettere fine a questa guerra e per questo siamo impegnati a sostenere Kiev nella sua difesa contro l’aggressione russa”.

“Impegnati a sostenere” dichiara l’amministrazione Biden, affermazione che i privati cittadini non possono che interpretare come invio di armi e dazioni economiche.

Al contrario noi cittadini occidentali siamo costretti ad apprendere dall’agenzia Ansa che “il ministro degli Esteri polacco Radoslaw Sikorski ha ammesso che militari dell’Alleanza sono presenti in Ucraina”.

Sempre dalla stessa agenzia giornalistica siamo, basiti, costretti a leggere che la portavoce del ministero degli Esteri, Maria Zakharova ha dichiarato in un’intervista alla testata Izvestia che “la Russia è già a conoscenza del fatto che in Ucraina operano militari della Nato, perché è impossibile nasconderlo”.

La Zakharova ha aggiunto che “Usa, Gran Bretagna e altri Paesi occidentali conducono una guerra ibrida contro la Russia facendo partecipare alle azioni istruttori delle forze speciali Nato”.

Ecco le parole chiave “guerra ibrida”, guerra non dichiarata, guerra per “interposto Stato”.

Compreso questo aspetto, molte le domande che si formano.

Chi fu il primo a dare inizio?

La Federazione Russa due anni fa con quella che il governo di Mosca definisce “operazione speciale” o l’amministrazione americana a guida Obama nel 2008 finanziando e supportando i movimenti anti russi in Ucraina a guida Julija Tymošenko?

Ancora, ritenuta attendibile l’affermazione della portavoce russa a causa delle dichiarazioni del ministro polacco, nell’elenco denominato “altri Paesi occidentali” si debbono annoverare anche “istruttori” italiani?

Nel caso il Parlamento ne è a conoscenza?

Nel caso la risposta alla domanda se vi siano già soldati italiani in Ucraina fosse positiva, potrebbero i giuristi esprimersi sul tema rendendo edotti i cittadini italiani sul fatto se detta azione del governo possa essere ritenuta coerente al nostro dettato costituzionale?

Da quanto sta emergendo risulta sempre più palese come le scelte in terra di Ucraina siano dettate da interessi geopolitici, e non solo, delle cancellerie occidentali e come queste siano etero dirette dall’amministrazione Biden.

Altrettanto chiaro è il fatto che queste cancellerie, l’amministrazione oggi presente a Washington e quelle europee che la frequentano, oltre alla NATO ed al Canada, sono oramai totalmente impossibilitate a modificare la propria linea politica a causa dell’approssimarsi di tornate elettorali sia in Stati Uniti che in Europa.

Dette cancellerie sono costrette a tenere il punto, lo dimostra quanto dichiarato dal funzionario statunitense, finanche portando l’occidente alle conseguenze più tragiche.

Queste cancellerie non possono fare altro che mantenere una linea interventista, anche con una postura sempre più aggressiva, a prescindere dalla logicità strategica della scelta avendo esse il fine di impedire l’emersione dei tanti “errori” compiuti sullo scenario ucraino sin dall’amministrazione Obama.

Errori nelle scelte strategiche ed “omissioni” nell’informazione ai loro cittadini.

Le seconde assecondate da un sistema dei media assai più “ideologico” che “terzo”.

Scelte politiche ammantate da elementi della morale che, in realtà, con la stessa e con l’etica rischiano di avere pochi elementi di contatto, fatto che emerge dalle parole del Santo Padre con chiarezza.

Parole che hanno causato prima stupore e, poi, reazioni che difficilmente non possono che essere ritenute irrituali, finanche rabbiose.

Se va ritenuta scontata la reazione del leader ucraino, attore totalmente etero diretto, che, questo è da temere, si è innamorato del proprio ruolo di “leader mondiale”, rattrista la cifra propagandistica del dibattito nel nostro occidente.

Una reazione rabbiosa ed a senso unico, tipico atteggiamento propagandistico a favore di una posizione, una reazione che ben si guarda dall’approfondire l’esortazione profonda che è insita nel ragionamento di chi si siede sul soglio di Pietro.

Se da un lato dobbiamo vedere il fuoco di fila dei media filo amministrazione Biden nostrani, dall’altro non possiamo che prendere nota del fatto che non vi sia nessun commento dai politici italiani.

Quest’ultimi, infatti, si sono astenuti dal commentare le parole del Santo Padre pur se “stimolati” dalla portavoce del ministero degli Esteri della Federazione Russa che ha fatto notare come il Santo Padre si rivolgesse fondamentalmente ai capi di Stato occidentali.

I fatti, però, rimangono invariati e sono altri come gli esperti militari fanno comprendere a chi ha l’opportunità di compulsarli.

Senza invii di enormi quantità di aerei da combattimento, piloti e staff tecnici inclusi, e di armi sofisticate in terra di Ucraina entro fine aprile causerà la sconfitta totale dell’Ucraina.

La politica è chiamata a decidere se questa posizione tecnica vada presa nella giusta considerazione o meno.

Due le strade che apre.

Quella voluta dall’amministrazione Biden di fornire armi e mezzi illimitati a chi gestisce il conflitto in terra di Ucraina, non a Zelensky che nulla potrebbe fare da solo, percorso che non può prevedere altro che un reale rischio di conflitto mondiale nel prossimo futuro, conflitto che prenderebbe origine nella nostra Europa.

L’alternativa è aprire un negoziato come propone il Santo Padre.

Un negoziato che porti ad un accordo stabile e duraturo fra le Super Potenze, reali decisori nel conflitto in terra di Ucraina.

I “vassalli” di questi non potranno fare altro che accettarne le decisioni ed i patti.

Riducendo a sintesi, i cosiddetti “grandi della terra” sono chiamati a scegliere fra trovare un accordo equilibrato o portare l’occidente in una nuova e senza prospettive “Guerra Mondiale”.

La terza ipotesi, quella della sconfitta sul campo della Federazione Russa attraverso il finanziamento ed il supporto dell’esercito ucraino, dati i fatti concreti in campo, non può che essere definita in altro modo che “infondato e propagandistico”.

I cultori del benessere dei propri cittadini non possono fare altro che ritenere soluzione unica quella di evitare un devastante conflitto mondiale attraverso la “negoziazione”.

La Seconda Guerra Mondiale non è terminata, come si deve sentire narrare da opinionisti che si prestano a narrare questo sui media, con la sconfitta di Hitler e del Terzo Reich.

La Seconda Guerra Mondiale è terminata con la scelta politica del presidente americano Delano Roosvelt di fermare il generale Patton che con le sue divisioni di carri armati intendeva raggiungere Mosca.

Questa scelta di pace dette inizio alla Guerra Fredda, un periodo di ricchezza e benessere per il nostro occidente.

Un periodo di stabilità fra ovest ed est Europa.

Furono errori gravi di natura economica a distruggere l’Unione Sovietica ed a far sciogliere il Patto di Varsavia, non le truppe alleate occidentali.

Oggi a quell’equilibrio dobbiamo tutti tendere.

I cosiddetti “grandi della terra” hanno il dovere di sedersi e firmare nuovi trattati di stabilità, una nuova Yalta e Reykjavik, e di disarmo nucleare, un nuovo SALT.

Questo è “negoziare”, senza personalismi, senza interessi bassi quali quelli di voler mantenere il proprio posto di potere.

Senza “vergognarsi”, questa l’interessante parola, parola assai più complessa di quello che potrebbe apparire ad una prima lettura, che il Santo Padre ha inserito al centro del dibattito.

Ignoto Uno




DSGA, è ora di alzare la testa!!!

Gentilissime Colleghe, cari Colleghi DSGA,

 

Con la presente vi inoltriamo le informazioni necessarie per aderire al ricorso contro questo CCNL 2019/21 che ci dequalifica tutti.

Con questa mail, passiamo alla fase operativa del ricorso.

Dopo aver contattato più avvocati esperti di diritto del lavoro, abbiamo deciso di scegliere quello più capace, che ci ha dato più sicurezza per il curriculum e per il bagaglio di esperienze, un esperto in diritto sindacale e di lavoro nella PA: l’avvocato FABIO POZZI.

L’avvocato ci ha prima ricevuto nel suo studio a Roma per studiare insieme il CCNL, e poi ha intavolato con noi una fruttuosa interlocuzione continua che ha portato a decidere insieme una strategia vincente per il/i ricorsi personale/i, impostando tutto sui danni subiti dai DSGA con questo CCNL, con ragionevoli aspettative di successo.

Non faremo ricorsi “copia e incolla, ma lo predisporremo esattamente per il/i DSGA che presenterà il ricorso. Per questo, insieme all’avvocato abbiamo preparato questa scheda per esaminare tutte le situazioni dei singoli aderenti, così da decidere quale/i tribunale/i adire in giudizio, almeno in questa prima fase, con ricorso/i pilota, per poi una volta ottenute le prime sentenze favorevoli, partire con i ricorsi in tutto il territorio nazionale e per tutti i DSGA. L’avvocato ha studiato già quali sono i Tribunali del Lavoro maggiormente favorevoli ai dipendenti, piuttosto che ai datori di lavoro e alla PA.

Vi prego di compilare questo entro e non oltre il 14/03/2024.

ECCO IL LINK:

clikkate qui

 

Per rendere l’adesione “solenne” ed in modo da ripartire le spese iniziali per il/i ricorso/i tra tutti gli aderenti, entro la medesima data di compilazione della scheda, ciascun aderente al ricorso, dovrà versare la quota pari a € 100,00 sul Conto Corrente intestato a:

Movimento Nazionale per la Valorizzazione dei Direttori SGA
IBAN: IT34Z0542476630000000156537

Causale: Adesione impugnazione ccnl 19/21

 

Copia del bonifico dovrà essere inviata all’indirizzo email: noidsga@gmail.com e a movimentonazionaledsga@gmail.com

Ricordiamo agli aderenti che sono iscritti ad una OOSS firmataria del CCNL 2019/21, che, se non lo avessero già fatto, dovranno presentare al proprio sindacato una dichiarazione di dissenso contro la firma a questo CCNL, che potrà essere del seguente tenore:

 

Il sottoscritto nato a il in qualità di DSGA presso la scuola , iscritto alla OOSS firmataria di questo CCNL Istruzione e Ricerca 2019/21, con la presente

DICHIARA

Il proprio dissenso rispetto alla firma del CCNL Istruzione e Ricerca 2019/21, che va a ledere i miei diritti acquisiti come Direttore SGA di ruolo nelle II.SS..

Il firma del dsga

 

Confidiamo in una decisa partecipazione di tutti i DGSA che tengano al nostro presente, ma soprattutto al nostro futuro! INSIEME SI PUO’ VINCERE!

NOI…DSGA




Nota del Comitato di Redazione

Suite à ton message d’hier. Merci. Aujourd’hui cet article sur le site hiram.be
C’est le grand bazar partout… 🤔😞

Nota del Comitato di Redazione

Gent.mi Lettori.
Nei giorni scorsi BETAPRESS ha pubblicato interventi, di AA diversi, incentrati sulle elezioni tenutesi in Italia in seno al GOI Grande Oriente d’Italia – Palazzo Giustiniani.
Le notizie si sono accavallate con una intensità e un ritmo persino frenetici e contenuti involontariamente contraddittori.
Per offrire un contributo in linea con la correttezza complessiva dell’informazione, così emendando causato fin qui pubblicato, abbiamo il piacere di porgere alla Vs. cortese attenzione l’odierno articolo apparso oggi sull’apprezzato e ben conosciuto periodico “Hiram.be”. Articolo che fa il punto definitivo sulla vicenda.
Buona lettura!

L’élection du nouveau GM du Grand Orient d’Italie contestée
Publié par Géplu
Dans Dans la presse

Ainsi que le relate le site Italy24.press, le Grand Orient d’Italie connait quelques tensions après l’élection du successeur de Stefano Bissi, qui s’est déroulée le dimanche 3 mars. Alors que les premières estimations donnaient le challenger Leo Taroni vainqueur, la Commission électorale a finalement déclaré élu – avec seulement 26 voix d’avance sur près de 14 000 votants – le Frère Antonio Séminario, Grand Maître Adjoint de Bissi, qui le soutenait. Des recours devant la justice interne et la justice profane ont été annoncés par Taroni. Ce dernier avait axé sa campagne sur la lutte contre les infiltrations mafieuses dans les loges.

La proclamation officielle des résultats doit avoir lieu lors de la Grande Loge de Rimini prévue les 5 et 6 avril. Rappelons qu’à la différence de la France et de la Belgique, en Italie le Grand Orient est l’obédience dite « régulière », reconnue par la Grande Loge Unie d’Angleterre, et que l’obédience libérale est la Grande Loge d’Italie.

Au terme d’une vive polémique et d’une nuit de recomptages par la Commission électorale nationale, Antonio Séminario a été élu Grand Maître du Grand Orient d’Italie, la principale organisation maçonnique italienne. C’est la première fois qu’un Calabrais est élu à la tête du Goi. La victoire a été obtenue par seulement 26 voix et le verdict a annulé un précédent décompte – officieux – résultant de la somme des voix dans les différentes régions, qui attribuait la victoire par seulement 15 points à Leo Taroni, un entrepreneur de Ravenne, qui, à la tête de la liste “Nous ensemble”, il avait axé sa campagne électorale sur la lutte contre les infiltrations mafieuses dans les loges. Aujourd’hui, à 5 heures du matin, après une nuit de travail, la Commission électorale centrale a attribué 6.369 voix à Seminario, soit 46,09 pour cent du total. 6.343 voix ont été validées en faveur de Taroni, soit 45,90 pour cent ; et dans la région de Bari Pasquale La Pesa 688 voix, soit 4,98 pour cent.

Soutenu par le Grand Maître sortant, le Toscan Stefano Bissi, Seminario occupait déjà le poste de Grand Maître Adjoint du Goi. Né à Crosia, dans la province de Cosenza, le 5 février 1958, il réside à Rossano, où est basée sa loge, le “Francesco Galasso”. Il convient de noter qu’environ la moitié des voix qu’il a obtenues ont été recueillies précisément en Calabre et en Sicile, tandis que Taroni a été le plus voté en Sardaigne et dans tout le centre-nord, à l’exception de l’Ombrie. La proclamation de la victoire du Seminario a cependant provoqué de vives réactions de la part des partisans de Taroni, au point que l’ouverture de longues procédures de recours internes semble désormais évidente, alors que de nombreuses voix réclament une scission du Goi. La liste “Nous ensemble” annonce en effet un recours immédiat à la justice interne de l’association, mais aussi un recours à la justice ordinaire, sur la base de l’article 700 du Code de procédure civile, pour tenter d’obtenir d’urgence la suspension de la proclamation et l’annulation de l’élection. Certains partisans de Taroni n’excluent même pas de recourir à la justice pénale.




La Pace deve essere una scelta di tutti.

Pace… parola che non genera ricchezza ad alcuni, ma a tutti.

“È più forte chi vede la situazione, pensa al suo popolo ed ha il coraggio di negoziare” questo ha dichiarato il Santo Padre parlando della guerra in terra di Ucraina.

A chi stava parlando Papa Francesco?

Difficilmente si può credere che stesse parlando esclusivamente a Zelensky.

Molto più probabilmente il Santo Padre ha ritenuto di rivolgersi a tutti i “grandi della terra”, ai leaders occidentali in primis.

Inconfutabile il fatto che Zelensky non esisterebbe nemmeno senza l’appoggio diretto, non solo attraverso la NATO, dell’amministrazione statunitense a guida Biden e dei suoi alleati nelle cancellerie europee.

Sono questi ad inviare in Ucraina armi e denaro.

Sembrerebbe non uomini in armi, fatto che, comunque, dobbiamo sperare con tutta la nostra forza visto il pericolo altissimo che questa eventualità causerebbe alla pace in tutta Europa, nel mondo intero.

Alta preoccupazione ha causato in chi crede che la pace sia l’unica opzione da perseguire il recente articolo, in prima pagina, del quotidiano La Verità che lasciava intravvedere anche azioni italiane in terra di Ucraina opache.

Zelensky è totalmente nelle mani di Biden e dei leaders europei a questi politicamente legati.

Corretta, almeno dal mio punto di vista, la posizione della Federazione Russa che dichiara come l’intervento del Santo Padre sia assai più diretto all’occidente che al presidente ucraino.

In fondo non è così assurdo l’assunto che la guerra in terra di Ucraina è stata voluta, ed è tuttora alimentata, da chi ha finanziato e facilitato la vittoria nelle presidenziali americane del 2020 di Biden, mai dimenticare che l’allora Presidente Trump non ha mai ammesso la sconfitta.

Il ragionamento alla televisione svizzera del Santo Padre non va interpretato, banalmente va ascoltato.

Parole chiare, parole forti, parole che i cattolici dovrebbero prendere per il loro portato.

I cattolici tutti, Biden e leader europei che si professano tali in tempo di Quaresima in primis.

Queste le Sue parole “E’più forte chi vede la situazione, chi pensa al popolo, chi ha il coraggio della bandiera bianca, di negoziare.

Oggi si può negoziare con l’aiuto delle potenze internazionali. La parola negoziare è coraggiosa.

Quando vedi che sei sconfitto, che le cose non vanno, occorre avere il coraggio di negoziare.

Hai vergogna, ma con quante morti finirà? Negoziare in tempo, cercare qualche paese che faccia da mediatore.

Nella guerra in Ucraina, ce ne sono tanti.

La Turchia, si è offerta. E altri. Non abbiate vergogna di negoziare prima che la cosa sia peggiore”.

Quante le suggestioni ai “potenti” in queste parole!

Parole valide per la guerra in terra di Ucraina, parole importanti per ogni conflitto oggi, e ieri, presente sulla terra.

“E’più forte chi ha il coraggio della bandiera bianca, di negoziare”, è più forte perché ha il coraggio di mettere il suo popolo davanti al suo ego dopo aver letto lo scenario in cui è chiamato a decidere sulle sorti della propria nazione.

Questo ha voluto consegnare ai grandi della terra, o presunti tali, il Santo Padre.

“Negoziare” è la parola chiave del ragionamento del Papa. Parola che definisce “coraggiosa”.

“Oggi si può negoziare con l’aiuto delle potenze internazionali”, questo spera il Santo Padre, questo è quanto lo stesso chiede, auspica, che i leaders delle nazioni più potenti abbiano al centro della loro agenda.

“Negoziare in tempo, cercare qualche Paese che faccia da mediatore”, andare oltre per costruire “pace”, questa la profonda suggestione del Santo Padre.

“Non abbiate vergogna di negoziare prima che la cosa sia peggiore”, mi chiedo chi, se vero statista ed in buona fede, può provare “vergogna” perché cerca di costruire “pace”.

Io provo vergogna per chi non prova vergogna a fomentare la guerra, magari per arricchirsi.

“Solo la forza della nostra protezione della vita, la nostra capacità di raggiungere i nostri obiettivi possono riportare la Russia a uno stato di sobrietà almeno parziale.

La follia russa deve perdere questa guerra.

Faremo di tutto per questo”, questa la risposta del presidente ucraino Volodymyr Zelensky a cui deve essere sommata la dichiarazione dell’ambasciatore ucraino presso la Santa Sede che recita “Qualcuno parlò di negoziare con Hitler?”.

Evidentemente, forse, pensano ancora di poter “vincere il dragone”.

L’alternativa, sarebbe una drammatica alternativa dovesse essere presa in considerazione, è che qualcuno in Ucraina e nel gruppo degli alleati di Zelensky voglia ancora arricchirsi attraverso i soldi provenienti dall’occidente e, per questo, necessiti che una guerra persa da tempo continui.

Intanto a morire sono i figli del loro popolo, non i loro figli.

Drammatico in tal senso se qualcuno, mi sovviene alla mente nel seguire la domanda su Hitler dell’ambasciatore ucraino presso la Santa Sede, potesse avere l’idea di copiare i fatti di Danzica che fecero iniziare la Seconda Guerra Mondiale.

Al tempo il dittatore nazista vesti dei tedeschi da soldati polacchi per far uccidere dei soldati tedeschi, impensabile che qualcuno, con il solo fine di allargare il conflitto, possa essere così cinico da vestire da soldati russi chi russo non è per far uccidere, sto inventando per copiare la storia del ‘900, soldati polacchi.

Per fortuna questo non può che essere solamente un “incubo” ad alta voce.

Ignoto Uno




Riflessioni sulla pace e sulle elezioni future

 

Nello studiare lo scenario elettorale che si presenta davanti a noi cittadini del mondo molti gli appuntamenti che ci aspettano.

Certamente fondamentali per il futuro di tutti noi sia le presidenziali di novembre in Stati Uniti che quelle di marzo della Federazione Russa.

Altrettanto certamente, soprattutto noi europei, quelle di giugno che definiranno il nuovo Parlamento della UE27 e, conseguentemente, la presidenza della Commissione Europea.

Per quanto concerne le elezioni americane lo scenario sembrerebbe oramai definito.

Sembra, infatti, che a chiedere il voto saranno Biden e Trump.

I programmi su cui i due contendenti si confronteranno sono diversi e chiari.

Al contrario non posso che notare, con mestizia, come non sia possibile riscontrare altrettanta chiarezza e diversità nei programmi dei gruppi europei che, attraverso i partiti che li compongono nei diversi Stati, chiederanno di essere onorati di ricevere il voto degli elettori europei.

In attesa di veder emergere un reale, credibile ed affidabile leader europeo di cultura concretamente “sovranista” in grado di lavorare alla creazione di una vera e paritetica Federazione degli Stati dell’Unione Europea, in assenza della quale inizia ad essere fondato chiedersi a cosa serva la UE27, mi permetto di soffermarmi su alcune delle affermazioni della Presidente Von der Leyen nel suo discorso di candidatura a leader del PPE.

La presidente della Commissione Europea, nel discorso di candidatura al Congresso del PPE, ha dichiarato di credere “nella dignità di ogni essere umano” e, fedele a questo assunto, ha aggiunto che “la nostra Europa, pacifica e unita non è mai stata così minacciata dagli estremisti e dai populisti sia di estrema destra che di estrema sinistra” e, per questo, bontà sua, ha deciso di “presentarsi e combattere in questa elezione, essendo oggi più importante che mai”.

Premesso che non ho mai avuto modo di sentire nessuno, leader politico o meno che fosse, dichiarare che la “dignità umana” non sia centrale nel suo pensiero, ho qualche decisa difficoltà ad interpretare la Von der Leyen come una statista che abbia combattuto per far rispettare la dignità di tutti gli esseri umani in europa.

Difficile vedere una azione forte e certa della Presidente in ordine al grave fenomeno del traffico di esseri umani e della, contemporanea, tutela delle dignità culturali e delle tradizioni degli Stati europei.

Altrettanto difficile riconoscerle la difesa della tutela della dignità di coloro che nel periodo della pandemia Covid vivevano con preoccupazione l’obbligo vaccinale.

Preoccupazione che, peraltro, purtroppo,si deve iniziare a ritenere fondata aumentando, conseguentemente, il desiderio di chiarezza sulle scelte che la Commissione Europea impose a tutti gli Stati membri, in primis su quel contratto quadro secretato per l’acquisto delle dosi vaccinali con le case farmaceutiche.

L’unico commento che si può fare a tanta ipocrisia è notare quanto sia facile aprire bocca e dare fiato.

La stessa presidente si sente di dichiarare, essendo persona amante della pace, che “oggi gli amici di Putin stiano seminando odio”.

Come non notare come il “problema” della guerra sia completamente scaricato su scelte compiute da “altri”.

Nessuna capacità di autocritica su questi anni di suo governo della nostra Unione Europea, eppure cose che non vanno se ne possono evidenziare veramente molte soprattutto oggi che il Santo Padre implora Zelensky di “alzare bandiera bianca ed aprire un negoziato”.

Fatto che, mi permetto di credere, dovrebbe creare un forte imbarazzo ai leader politici che si professano cattolici, Biden ed amici di Biden in testa.

Preso atto di questa fondante ed assai condivisibile novità, mi permetto di confutare il pensiero della Von der Leyen partendo dal concetto di “pace”.

Da libero cittadino europeo, ed ancor più libero pensatore e cultore del pensiero di Giovan Battista Vico, esprimo la mia opinione in materia e, sperando sia ancora permesso senza finire “dossierato”, propongo delle suggestioni che, questo il mio auspicio, possano aiutare ad evitare che un conflitto, quello in terra di Ucraina, che doveva, e poteva, essere evitato o, almeno, risolto in poche settimane continui a causare morte o, addirittura, si ampli in terra d’Europa nelle prossime settimane.

Mi permetto, in primo luogo, di porre una domanda ai “potenti” ed ai “sapienti”: risponde al vero o è falso che la Gran Bretagna, molto probabilmente stimolata dall’amministrazione statunitense a guida Biden, hanno letteralmente impedito al Presidente ucraino Zelensky di firmare una tregua in Turchia dopo due settimane dall’inizio del conflitto?

Nel caso rispondesse al vero, come io credo, perché questa intromissione nelle scelte del popolo ucraino? Quali i “vantaggi” per gli ucraini?

In Ucraina il conflitto ha causato solo morte e povertà.

Gli studiosi di fatti bellici sono assai certi che il conflitto ucraino sia, oramai, destinato a vedere l’esercito della Federazione Russa vincitore, quale il cambio di passo finalizzato a far tornare gli europei tutti, ucraini inclusi, ad una vita con prospettive di pace e di ritrovato benessere propone la Presidente Von der Leyen e chi a lei si sente vicino?

Ancor più dopo gli auspici del Santo Padre il cambio di passo è urgente per acquisire una accettabile credibilità politica sul punto.

La “pace” non si “costruisce” partendo dal principio “io ho ragione, tu hai torto”, bensì si raggiunge attraverso il dialogo con il portatore di valori, idee, principi ed interessi diversi, finanche opposti.

“Esportare la democrazia” di Obamiana memoria, palesemente tanto amata dalla presidente e dai suoi affezionati, italiani inclusi, non è più una strada accettabile.

La guerra arricchisce pochi e uccide molti, la pace fra i popoli crea benessere e crescita.

Obama, ed il suo vassallo Biden, amici di questi inclusi, continuano a credere che la “democrazia” sia “esportabile” e, conseguentemente, perseguono politiche basate sul “dividi et impera” di romana memoria.

Chi, al contrario, crede che il Presidente Donald Trump non sia un “cattivone”, anzi sia un presidente che ha saputo “riportare pace” in molti degli scenari che vedevano in essere un conflitto al suo arrivo alla Casa Bianca nel 2016, oltre ad essere assai stanchi di veder morire tanta gente per far arricchire pochi, sarà felice di supportare chi nella nostra Europa, ed Italia, metta al centro la cultura della trattativa.

Una trattativa “dura”, basata sul rispetto dei nostri valori occidentali, quelli della famiglia e delle origini cristiane, quelli del rispetto delle tradizioni altrui perché si hanno chiare, in primis, le nostre, quella che sa che solo il dialogo permette di comprendersi.

Questo è il “sovranismo”.

Alleanze con i “simili”, rispetto di chi ci rispetta.

Come non sperare di poter veder prendere spazio dei leaders europei con questi principi?

Soprattutto se si è padri e madri del ceto medio.

Ignoto Uno




A CHE PUNTO È IL GIORNO

 

Oggi parliamo di un argomento storico poco conosciuto, ma forse è meglio dire dimenticato.

Si tratta di una storia per certi versi analoga a tante altre, accadute in Europa nei secoli passati, ma che in questo caso riguarda il nostro Paese, l’Italia, e la sua bellissima isola, la Sicilia, e già solo per questo vale la pena che sia conosciuta e divulgata.

Si tratta di una storia di Convivenza e, contemporaneamente, di Discriminazione sull’isola del Mediterraneo e riguarda la storia degli ebrei in Sicilia.

La storia della presenza millenaria degli Ebrei in Sicilia, per secoli rimasta nell’oblio, torna ora ad affascinare e interessare storici, archeologi e antropologi che stanno riportando alla luce l’importante ruolo che ebbero gli Ebrei nello sviluppo economico e culturale dell’isola.

La rimozione c’è stata ed è motivata probabilmente dal pudore di dover narrare tutto ciò che gli Ebrei siciliani dovettero patire secolo dopo secolo, conquista dopo conquista, per mano di coloro che ne furono i potenti e spesso spietati dominatori, ma anche dal rammarico per tutte quelle risorse umane, culturali ed economiche che l’isola e tutto il sud d’Italia persero per sempre, dopo la loro espulsione nel 1493.

La storia giudeo-siciliana suscita ora nuovo interesse grazie alle recenti pubblicazioni che hanno avuto per oggetto la riscoperta di antica documentazione, rimasta sepolta per secoli negli archivi storici comunali e in quelli notarili di molte città siciliane.

Anche importanti e recenti scoperte archeologiche stanno accrescendo le nostre conoscenze della storia ebraica siciliana, lasciando intravedere possibili rivisitazioni dei fatti accaduti tra il III e il XVI secolo.

Si tratta di resti di siti sinagogali e cimiteri, disseminati un po’ ovunque sul territorio, dove numerose sono le pietre tombali rinvenute, sulle quali campeggiano epigrafi bilingui in greco, ebraico o latino con i tipici simboli ebraici della Menorah, dello shofar e della foglia di palma.

Sono stati anche ritrovati numerosi bagni rituali (mikvè), uno su tutti, quello commovente di Ortigia a Siracusa, di recentissima e casuale scoperta, considerato il più antico d’Europa, ricoperto di detriti dagli esuli ebrei prima del suo definitivo abbandono, forse per un senso di pudore o forse perché era ancora viva tra loro la speranza di un ritorno.

Ed ancora più affascinante è la storia del Kior (vasca per lavaggio delle mani) di Siculiana nell’agrigentino (sec. XV), proveniente con verosimile probabilità dalla Sinagoga o dal Cimitero di tale cittadina ed in epoca più tarda trasferito nel Battistero locale per divenirne la fonte battesimale.

Il suo donatore aveva voluto ricordare l’evento facendovi scolpire una scritta in ebraico, rimasta coperta per più di cinque secoli e dove oggi si può leggere: «Nell’anno 1475: Samuele figlio di Rabbì Yona Sib’on, riposi in Paradiso».
Posti ai due lati della scritta gli stemmi reali di Castiglia e di Aragona in onore dei sovrani spagnoli regnanti in quel periodo e che, ironia della sorte, solo diciassette anni dopo decretarono l’espulsione di tutti gli Ebrei oltre che dalla Spagna anche dalla Sicilia.

 

La storia è lunga, e non è certo questo il luogo per narrarla nella sua interezza, ma si può certamente affermare che non ci sia stato angolo della Sicilia in cui la presenza ebraica non fosse già ben radicata ancor prima dell’avvento del cristianesimo e soprattutto durante i quattro secoli precedenti l’espulsione, decretata dall’infame editto di Granada, siglato nel Gennaio del 1492 dai reali di Spagna, Isabella di Castiglia e da suo marito Ferdinando d’Aragona. Su incitamento del domenicano Torquemada, essi non dettero scampo agli Ebrei spagnoli e poco dopo anche a quelli siciliani, obbligandoli alla dolorosa scelta dell’esilio o alla conversione forzata.

C’era stato un tempo, tuttavia, in cui la vita degli Ebrei, nello specifico in Sicilia, era stata molto migliore e sicuramente diversa.

Ciò avvenne, nei due secoli di dominazione degli Arabi, i quali, seppur inizialmente considerassero gli Ebrei alla stregua di schiavi sui quali era lecito da parte loro qualsiasi abuso e sopruso, via via col passare degli anni, per motivi puramente economici, iniziarono ad instaurare con loro rapporti sufficientemente sopportabili.

Agli Ebrei, infatti, come pure ai Cristiani, venne concesso di poter professare liberamente la propria Fede e di costruire Sinagoghe e Chiese, anche se questa concessione non prescindeva dal pagamento di onerose gabelle.
Considerati dhimmi, cioè «protetti», gli Ebrei erano ritenuti una sorta di risorsa tributaria ed economica, situazione che li obbligava a pagare una tassa pecuniaria aggiuntiva, la gesìa. Questa loro condizione sarà poi, nei secoli seguenti, costantemente mantenuta anche dai successivi dominatori, per i quali non c’era alcun motivo di rinunciare a queste provvide, ma inique entrate fiscali.
Allo scopo di dare ulteriore impulso all’economia dell’isola, agli Ebrei, riuniti nelle loro Comunità dette Aliama, fu lasciata la possibilità di svolgere attività divenute con il tempo a loro peculiari, soprattutto quelle di tintori, conciatori, fabbri, artigiani, commercianti e armatori. 

D’altronde gli Ebrei, avvezzi a convivere con gli Arabi, come lo erano già in Spagna e nel Nord Africa, avevano con questi, oltre che la lingua, molteplici affinità come la comune conoscenza degli studi scientifici di medicina, astronomia e matematica e soprattutto delle materie teologiche e filosofiche.
Ciò che inoltre rendeva culturalmente simili le due etnie, era l’uso corrente della scrittura, motivo non sottovalutabile, che, di fatto, le poneva entrambe in una posizione più elevata rispetto al resto della popolazione, per lo più retrograda ed analfabeta.

 

Oggi sappiamo quanto esteso e vivace fosse il rapporto tra le varie comunità ebraiche in quell’area alla fine e dopo l’inizio del primo millennio e quanto, per questo, fosse divenuto essenziale il ruolo della Sicilia grazie al continuo prosperare e alla nascita in quei due secoli di numerosissime imprese manifatturiere e di altrettante piccole comunità ebraiche che le gestivano.

Cartiere, filature e tessiture della seta e del cotone, concia delle pelli, tintorie, fonderie siderurgiche, commercio delle stoffe, del grano e del formaggio (rigorosamente kosher) e il trasporto di queste e di altre mercanzie, furono solo alcune delle attività di appannaggio quasi esclusivo degli Ebrei siciliani, i quali, nei secoli seguenti, ne acquisirono naturalmente il monopolio, divenendo di fatto i più ricercati produttori, trasformatori ed esportatori di manufatti e di prodotti agricoli.
La Sicilia, posta in maniera strategica al centro del Mediterraneo, divenne, di fatto, uno snodo nevralgico per lo scambio di mercanzie di ogni tipo che, dall’isola, riprendevano poi la strada per il resto d’Italia e d’Europa.

Quanto vediamo oggi della Sicilia, lo si deve in buona parte ai due secoli di questa dominazione illuminata ed al suo intelligente sfruttamento, del quale gli Ebrei furono una parte essenziale.

 

Questa lunga premessa, assolutamente non esaustiva della memorabile storia della presenza e dell’attività degli Ebrei siciliani, ci è tuttavia utile per fare alcune considerazioni storiche attuali e contingenti, relative alla città di Catania ed alla recente costituzione ufficiale di una Comunità Ebraica e di una Sinagoga nel suo seno.

A volte la Storia viene riscritta dai posteri e ciò che sembrava dimenticato riaffiora dall’oblio, grazie al lavoro scrupoloso e appassionato di studiosi e di accademici, e anche di uomini leali e di buona volontà che, come nel caso di Catania, ne hanno ripreso in mano il bandolo riportando alla luce ciò che sembrava dimenticato per sempre.
Una Storia, quella della Sicilia ebraica e di Catania – ma non solo, verosimilmente somigliante per molti dei suoi aspetti a tante altre storie vissute e patite, anche in tempi recenti, dagli Ebrei di molti altri Paesi, storie esaltanti ma allo stesso tempo spesso dolorose, storie di persecuzioni, di morte, di esili, di abbandoni, storie rese simili dal pregiudizio e dall’invidia, dove la bramosia, infine, ne è stata sempre il rovinoso epilogo.

Accade, dunque, che alla Catania ebraica non venga – attualmente – riconosciuto il diritto di ridare vita ad una propria Comunità, al proprio culto, alla preghiera nella propria Sinagoga.

Sembra che si sia verificato un corto circuito di comunicazione con le autorità centrali della Penisola.

Come se queste non capissero gli Ebrei di Catania.

È sicuramente un momento non semplice per chi crede nell’importanza e nel valore di queste relazioni e, rispetto al passato, rispetto alla Storia, sembra che ci siano stati dei significativi passi indietro, ma proprio per questo sarebbe opportuno andare avanti, confidando nella possibilità che il confronto riesca a dare nel tempo i suoi frutti.

E forse ciò ha origine, anche, dalla profonda crisi attraversata da un Occidente che ha smarrito la propria identità, e che a volte non riesce a ben riconoscere quali siano i propri valori di riferimento. Tuttavia, si potrebbe andare oltre quell’ambito e slegarsi da ciò che spesso appare, purtroppo, come un secolarismo effimero – anche in campi religiosi.

 

  • Riassumendo in maniera essenziale e omettendo valutazioni halachiche, che sono di stretta competenza rabbinica, la sequenza dei fatti avvenuti a Catania è comunque tanto distopica da sfiorare i limiti del grottesco, posto che stiamo parlando di: 1) Laicità dello Stato; 2) Libertà religiosa; 3) Libertà di organizzazione ed azione; 4) Libertà di aprire luoghi di culto.
  • La Comunità Ebraica di Catania e il suo Istituto di Cultura Ebraica esercitano il culto ebraico all’interno della propria Sinagoga dal 17 ottobre 2018, nei locali concessi in comodato d’uso dal Comune di Catania e siti nel Castello di Leucatia; tale concessione ha la durata di sei anni e scadrà il 16 ottobre 2024.
  • Il 28 ottobre 2022 la Comunità Ebraica di Catania consacra ufficialmente al culto la propria Sinagoga, alla presenza di Rabbini giunti da Israele e da Whashington – essendosi dotata di un Sefer Torah e disponendo di un Rabbino e di un Tribunale Rabbinico di riferimento. Si tratta di un evento storico, religioso e culturale del massimo rilievo, sia per Catania – che fino al 1492 aveva due Sinagoghe – sia per l’Italia ebraica, che da Napoli in giù sembra si sia fermata nel (quasi) nulla.
  • In contemporanea, la signora Noemi Di Segni – nella sua veste di Presidente dell’Unione delle Comunità Ebraiche Italiane (di seguito: UCEI, Associazione di carattere privatistico) – inizia un attacco e una dura lotta di screditamento nei confronti della Comunità Ebraica di Catania, dichiarando e asserendo che essa non ha diritto di esistere né tantomeno di chiamarsi «Comunità Ebraica», né ancor più di avere titolo di appartenenza all’Unione delle Comunità Ebraiche Italiane.
  • L’anno 2023 si apre dunque con un pesante carteggio su carta bollata tra la predetta Presidente UCEI e l’Avv. Baruch Triolo, Presidente dell’Istituto Internazionale di Cultura Ebraica e Presidente della Comunità Ebraica di Catania – il quale ribatte alla Presidente Di Segni punto per punto, nello specifico: a) domandando dove fosse scritto che Catania non poteva usare la denominazione «Comunità Ebraica» (nemmeno si trattasse di un formaggio o di un vino d.o.p.) e b) ribadendo che la Comunità Ebraica di Catania sin da subito si era dichiarata disgiunta e non legata all’UCEI.
  • Emerge sin da subito la totale mancanza di possibilità di dialogo, di disponibilità al chiarimento reciproco, da parte della Presidente UCEI – che appare rispondere a ogni legittima comunicazione da parte dell’Avv. Baruch Triolo con quelli che si possono definire “argomenti fantoccio”, cioè utilizzando una fallacia logica che consiste nel confutare un argomento proponendone una rappresentazione errata o distorta.
  • Poi, da parte della Presidenza UCEI, si giunge all’intimidazione e infine alla citazione in Tribunale davanti al Tribunale Civile di Catania (prima udienza 08 febbraio 2024), inoltre convincendo (o meglio, tentando di convincere) con una sua personale visita, il Sindaco di Catania a revocare la concessione dei locali a suo tempo concessi a titolo gratuito (per sei anni, dal 2018 al 2024), destinati a uso Sinagoga e Uffici del Rabbino e siti presso il Castello di Leucatia.
  • La situazione diviene, a questo punto, orwelliana per tutta una serie di motivi: 1) l’UCEI è una associazione privata che, secondo il Codice Civile, può imporre le proprie regole statutarie solo ai propri iscritti e a nessun altro; 2) la Comunità Ebraica di Catania non aderisce e non vuole aderire all’UCEI, come sempre dichiarato; 3) una Associazione privata non dispone del potere di segnalare o accusare altre Associazioni per danneggiarle, né può imporre la propria volontà a una Pubblica Amministrazione (la città Metropolitana di Catania); 4) l’art.2 della legge 101/89 garantisce ad ebrei e comunità in genere il diritto, costituzionalmente garantito, della «libertà di esercizio del culto ebraico in forma sia individuale che associata»; 5) l’art.15 della legge 101/89 sancisce che «gli edifici destinati all’esercizio pubblico del culto ebraico, anche se appartengono a privati, non possono essere sottratti alla loro destinazione, neppure per effetto di alienazione, fino a che la destinazione stessa non sia cessata con il consenso della comunità competente».
  • Tutto ciò predetto, l’UCEI non si presenta alla prima udienza in Tribunale davanti al Tribunale Civile di Catania (08 febbraio 2024), costringendo il Giudice a rimandare la prima udienza al 24 gennaio 2025, nonostante la procedura preveda la presenza di entrambe le parti per un tentativo, obbligatorio, di conciliazione e impedendo la richiesta di chiarimenti. Sottraendosi in sostanza al contraddittorio. La Comunità di Catania era rappresentata dall’Avv. Giuseppe Sciacca, membro della Comunità, dal Presidente della Comunità di Catania, Avv. Baruch Triolo, e dal Vice Presidente Alessandro Y.N. Scuderi.
  • La minaccia di sfratto dai locali del Castello di Leucatia ha un esito altrettanto surreale: il 15 febbraio 2024, data fissata dal Comune di Catania per un sopralluogo dei locali, propedeutico alla riconsegna dei locali, i tecnici del Comune non si presentano. Ed è notizia di questi giorni che la Municipalità di Catania si è premurata di rivolgere le proprie scuse alla Comunità Ebraica di Catania.

 

E dunque?

A che punto è il giorno?

Cui prodest tutto questo folle, insensato, dispendio di mezzi e di energie?

Perché questo cortocircuito, terribile, proprio in ambito ebraico, proprio in questo periodo di tensioni e di guerre?

Questa realtà distopica si inserisce nel momento storico che stiamo vivendo che, dopo il 7 ottobre, è sicuramente estremamente complesso e di difficile interpretazione – e in cui le tensioni non si limitano purtroppo al solo Medioriente.

Nessuno ha verità assolute da proporre e in questo momento molti di noi sono più capaci di porre domande che di dare risposte, tuttavia, cercando di essere analitici e obiettivi, nonostante tutto, continuiamo a sperare: a sperare nel Dialogo e nel Confronto.  

Pena la morte, la dispersione dell’egregore – e questo non deve avvenire: quando un certo numero di persone si raduna intorno a un’idea, i pensieri e i desideri di quelle persone creano un’entità vivente; è una legge del mondo spirituale.

E anche se quell’entità non è fatta di particelle sufficientemente materiali da far sì che la si possa vedere e toccare, essa esiste.

Questa entità collettiva viene chiamata «egregore» ed è un’entità vivente e operante, ogni paese, ogni religione e ogni corrente di pensiero possiede un’egregore e tutti i suoi membri, i fratelli e le sorelle che si riuniscono attorno alla stessa idea di pace e di luce, non smettono di alimentarla e rafforzarla.

Così, non solo essa può agire sulle altre egregore nel mondo per influenzarle beneficamente, ma contribuisce anche, e soprattutto, all’evoluzione di quegli esseri che lavorano per formarla.

Ma anch’essa è soggetta all’entropia – che dà la misura del disordine presente in un sistema fisico e, quando l’entropia sarà massima, nessuna trasformazione sarà più possibile, e sarà così la cosiddetta «morte fredda» dell’universo, in un sistema disordinato e a energia minima.

 

Barbara de Munari

Torino, 08 marzo 2024

 

[Si ringrazia per la disponibilità delle Fonti Storiche: Ariel Arbib, Storia degli Ebrei di Sicilia fino al XVI secolo – Convivenza e discriminazione sull’isola del Mediterraneo, in Joimag, febbraio 2022]




Donna, luce della famiglia.

L’Inestimabile Ruolo della Donna

La vita di un uomo è intrecciata con la presenza e l’influenza delle donne in modi profondi e significativi, dalla nascita alla morte, le donne sono sempre presenti,  nelle nostre esperienze, sostenendoci nei momenti difficili e condividendo le gioie della vita, in occasione della Festa della Donna, è importante riconoscere e celebrare il ruolo fondamentale che le donne svolgono nelle nostre vite e nella società nel suo complesso.

Sin dalla nascita, siamo accolti tra le braccia amorevoli di una donna, la nostra madre.

È lei che ci dona la vita, che ci protegge e ci nutre nei nostri primi momenti di vulnerabilità. Attraverso il suo amore e la sua dedizione, ci insegna il significato del legame familiare e ci dà le fondamenta per crescere e prosperare.

Nella nostra infanzia, spesso siamo affidati alle cure amorevoli di una donna, che può essere una nonna, una tata o una sorella maggiore.

Queste figure femminili giocano un ruolo cruciale nel plasmare il nostro carattere, insegnandoci valori importanti come l’amore, la gentilezza e l’empatia.

Sono loro che ci confortano nei momenti di tristezza, ci incoraggiano nei momenti di sfida e ci ispirano a sognare in grande.

Con il passare degli anni, ci innamoriamo di una donna e scopriamo il potere trasformante dell’amore romantico.

È lei che illumina le nostre giornate con il suo sorriso, che riempie il nostro cuore di gioia e che ci accompagna lungo il cammino della vita.

Insieme, condividiamo speranze, sogni e progetti per il futuro, costruendo una relazione fondata sulla fiducia, sulla comprensione reciproca e sull’amore incondizionato.

Quando è il momento di costruire una famiglia, è ancora una volta una donna che ci accompagna in questo viaggio straordinario.

È lei che porta avanti il miracolo della vita, che dona al mondo nuove generazioni piene di speranza e di promesse.

Attraverso il suo impegno e il suo sacrificio, crea un ambiente sicuro e amorevole in cui i nostri figli possono crescere e svilupparsi pienamente.

Infine, quando giunge il momento di affrontare la morte, spesso siamo circondati dall’amore e dalla presenza confortante di una donna.

È lei che ci accompagna nei momenti finali, che ci tiene la mano e ci consola con le sue parole gentili.

Attraverso il suo sostegno e la sua presenza costante, ci dà il coraggio di affrontare l’ignoto e ci permette di lasciare questo mondo con dignità e serenità.

La Festa della Donna è un’occasione per onorare e celebrare il ruolo inestimabile che le donne svolgono nelle nostre vite. Sono loro che ci danno la vita, che ci sostengono nei momenti difficili e che ci accompagnano lungo il percorso della vita, che si tratti della nostra madre, della nostra compagna, delle nostre figlie o delle nostre amiche, è importante riconoscere il loro valore e il loro contributo alla nostra felicità e al nostro benessere.

Buona Festa della Donna a tutte le donne straordinarie che rendono il mondo un posto migliore con la loro presenza.

 

 

Prof. Angelo SINISI




Super Tuesday …. game over

 

Il 1 marzo 2024 la Presidente del Consiglio italiana Giorgia Meloni ha incontrato alla Casa Bianca il Presidente statunitense Joe Biden ricevendo da questi un endorsement chiaro “Giorgia è mia amica”.

Un confronto dichiarato da entrambi “intenso” ed “utile” durante il quale la Premier Meloni ha inteso dichiarare il “Pieno sostegno agli USA” in particolare sulle strategie da attuare a riguardo delle guerre in Medio Oriente ed Ucraina.

Il portavoce del Consiglio per la Sicurezza Nazionale della Casa Bianca, John Kirby, al termine del summit, ha sottolineato la “forte posizione assunta dal presidente Joe Biden e dalla premier italiana Giorgia Meloni riguardo agli aiuti all’Ucraina”.

“C’è una incredibile unità e tutti condividiamo le stesse preoccupazioni riguardo al fatto che Putin conquisti l’Ucraina e ciò che questo significa per la sicurezza della Nato“ ha continuato Kirby negando che vi siano “fratture” tra Washington e Palazzo Chigi.

Sarà per queste dichiarazioni, oltre per un assai irrituale bacio sulla fronte di Biden alla Meloni, che Fox News ha dichiarato “cocca di Biden” la Premier italiana.

Nella settimana precedente a questo incontro in Virginia vi era stato il CPAC, congresso dei conservatori repubblicani americani, ed i beni informati riportano che i cinque deputati della delegazione di Fratelli d’Italia presenti si siano sentiti chiedere dai delegati presenti innumerevoli volte dove fosse la loro leader.

Oltretutto il Presidente dell’Ungheria Orban incontrerà Trump nella sua residenza di Mar a Lago in Florida il prossimo 8 marzo.

Un recente articolo del quotidiano Il Foglio riportava che la Premier italiana avrebbe “autorizzato” il deputato di Fratelli d’Italia eletto nella circoscrizione estera che comprende la Florida, onorevole Andrea di Giuseppe, ad incontrare Trump.

Sempre i bene informati, però, sottolineano che l’invito “all’autorizzato” non sarebbe mai stato inviato da Mar a Lago.

Chi frequenta da dentro il cerchio magico trumpiano sa bene come la Premier Meloni sia ritenuta una che ha “cambiato casacca”, frase assai eufemistica rispetto a quelle che si sentono nei circoli del conservatorismo statunitense.

Martedì 5 marzo c’è stato il Super Tuesday ed è finito 11 Stati ad 1, ove “l’uno” era il Vermont.

Stato, a dire il vero, realmente insignificante dal punto di vista dei pesi per la nomination nel Partito Repubblicano.

Stato in cui vivono 645.570 cittadini americani su 331,9 milioni degli Stati Uniti tutti (dati omogenei del 2021).

Sarà per questo che la CNN, testata da sempre assai ostile al Presidente Trump, poche ore dopo la chiusura delle primarie del Super Tuesday ha annunciato che l’avversaria del “cattivone”, Niki Halley, si stia apprestando a ritirarsi.

Assai difficile poter pensare che i rapporti fra il conservatorismo americano a guida Trump e la Premier italiana possano portare nei prossimi tempi Fox News a titolare “Meloni cocca di Trump”.

Questo richiederebbe un ulteriore e di segno opposto “voltafaccia” della attuale leader della destra italiana.

Cambio di posizione che potrebbe non essere sufficiente.

Necessario è, infatti, che Trump e il conservatorismo americano tutto decidessero di dare alla leader italiana una “nuova possibilità”, in politica tutto è “possibile” ma nulla è “gratuito”.

Il politico Otto Eduard Leopold von Bismarck, nato in Germania nel 1815, è assai famoso per aver teorizzato il fatto che “con un “gentiluomo” si debba essere sempre più di un “gentiluomo”, ma con un “mascalzone” si possa essere più di un “mascalzone”.

Lo stesso politico tedesco, ed i tedeschi in Italia vanno assai di moda, usava anche teorizzare che la politica è “l’arte del possibile, la scienza del relativo” ed, ancora, che la politica “non è una scienza, come molti fra i signori professori immaginano, ma un’arte”.

Infine, Bismarck usava ripetere che la politica “non è una scienza esatta”.

Questi elementi di riflessione sarebbe assai utile che il centro destra, o destra centro come amano oggi dire gli opinionisti italici, li riportino nel loro ragionare per il bene ed il futuro della nostra nazione.

Partendo, appunto, proprio dalla politica estera ove, sommessamente mi sento di temere, il rischio di un avventuroso schiacciamento su un lato della politica statunitense potrebbe arrecare più danni che vantaggi dal gennaio 2025.

Ragionamenti ad alta voce, forse, ragionamenti di chi ha la fortuna di ascoltare le “gole profonde” del “deep Mar a Lago”.

Ignoto Uno




Tempi di guerra …

 

Due anni di guerra guerreggiata in Ucraina parte di un conflitto carsico, forse neanche tanto, fra Stati Uniti e Federazione Russa in terra di Ucraina iniziato almeno dal 2008, ma, molto più probabilmente, sin dai tempi di Bill Clinton presidente alla Casa Bianca.

Unico momento di “tregua” il quadriennato di Donald Trump.

 

Il 3 marzo la Nave Duilio, prima azione di guerra di una nave della Marina Militare Italiana dalla fine della Seconda Guerra mondiale, nello stretto di Bab el-Mandeb ha abbattuto un drone lanciato dagli Houti dallo Yemen.

 

La nuova, e drammatica, escalation in Medio Oriente che ha avuto inizio il 7 ottobre scorso con il massacro causato da Hamas nei territori israeliani e la necessaria ma violentissima reazione dell’esercito nella Striscia di Gaza.

 

I tantissimi focolai di guerra in Africa e in molti luoghi di confine come fra Pakistan ed India.

 

Questo, per brevi e non esaustivi cenni, lo scenario in cui noi tutti siamo chiamati a vivere ed educare i nostri figli.

 

Anni sempre più bui quelli che ci costringono a vivere attraverso le loro scelte i nostri governanti occidentali. Stati Uniti, Europa ed Italia inclusi.

 

Errori, io li reputo tali, già visti nel passato.

 

Errori che causarono, e causano, impoverimento e morte nel nostro occidente.

 

Per ora non si vede una grande reazione a livello del ceto medio, eppure la paura cresce.

 

Probabilmente è solo una questione di tempo, troppa la distanza fra le politiche, soprattutto in Europa, ed il pensiero di ampi strati sociali in ordine a tanti temi.

 

Guerre, politiche gender e green in primis. Politiche eccessivamente lontane dalle tradizioni e dalle necessità del nostro occidente.

 

I media, molti dei quali assai schierati con quello che oggi chiamano “globalismo”, si affannano a spostare il posizionamento culturale delle persone che li seguono ma, poi, basta un generale che scrive un libro e che parla alla loro pancia, perché le “origini” tornino a governare le loro opinioni.

 

La cosa assai interessante, direi anche divertente, è che più gli stessi media, e non solo, cercano di massacrarne l’immagine pubblica, più la figura dello stesso generale diviene “simbolo” per chi vuole vedere salvaguardate le proprie radici.

 

Origini, appunto.

 

Pensando a questa strana corsa alla guerra non può che venire alla memoria come il 15 novembre 1969, in occasione della Moratorium march on Washington scesero in piazza 500.000 persone.

 

Quel giorno nacque il Movimento Pacifista, il suo motto era “Give peace a chance”, date alla pace una possibilità.

 

Il governo degli Stati Uniti dovette prenderne atto.

 

Guerra che era iniziata il 1º novembre 1955 e terminò il 30 aprile 1975 con la caduta di Saigon, durò diciannove anni e sei mesi.

 

Cercare la “pace” non significa “subire il nemico”, significa “costruire un equilibrio con l’avversario attraverso la trattativa”.

 

Cercare la pace è un atteggiamento lungimirante, da statisti.

 

Furono statisti Franklin Delano Roosvelt e Iosif Stalin allorquando firmarono insieme l’Accordo di Yalta nel febbraio del 1945.

 

Qualcuno vuole vedere in quella scelta un accordo firmato fra due capi di Stato che avevano gli stessi valori?

 

Credo sia inconfutabile che in quella scelta di firmare quell’accordo non si possa che vedere la volontà di due avversari di trovare una forma di convivenza che potesse garantire a tutto l’occidente pace.

 

Cercare la pace significa non sentirsi al centro del mondo e unici portatori della “verità”.

 

È cercare la pace favorire movimenti rivoluzionari in nazioni confinanti con il “nemico”?

 

Certamente no! Sarebbe assai necessario esplicitarlo e, al fine di riportare stabilità ed armonia nel nostro occidente e nel mondo tutto, partire dal concetto che le cosiddette “zone di influenza” vadano facilitate.

 

Il cercare di fomentare forme rivoluzionarie, più o meno “non violente”, come accadde con i movimenti rivoluzionari in Ucraina dal 2008, oppure con le tristemente famose Primavere Arabe, per volere dell’allora presidente degli Stati Uniti Obama, già premio Nobel per la Pace, è parte fondante del caos in cui il mondo vive oggi.

 

Innegabile che durante la Guerra Fredda l’allora Unione Sovietica fece altrettanto.

 

In Italia dovemmo scoprire le liste Mitrokhin, gruppo che doveva facilitare l’avvicinamento al Patto di Varsavia del nostro Paese, gruppo ben noto al Partito Comunista Italiano del tempo, gruppo illegale, gruppo a cui si contrappose l’operazione della NATO nota come Stay Behind, in Italia divenuta famosa come Gladio.

 

Fu il Presidente democristiano Andreotti nel 1990 a renderla nota, fu il Presidente Emerito Francesco Cossiga a rendere esplicito che Stay Behind era una operazione coperta della NATO.

 

Di Gladio se ne sente parlare sempre tanto ancora oggi, sommessamente reputo in alcuni casi a sproposito, di Mitrokhin mai, mi chiedo il perché. Eppure i due dossiers andrebbero letti insieme.

 

Ancor più mi domando se oggi in Italia, ed in Europa, vi sia la presenza di una organizzazione antagonista all’atlantismo che abbia saputo pervadere la nostra società occidentale in tutti i suoi ambiti, anche, speriamo di no, istituzionali e partitici, una organizzazione che magari trovi stimoli ed alleanze più in estremo oriente che a Mosca.

 

Se dal 1964 iniziò a formarsi un movimento pacifista che seppe fermare la guerra del Vietnam e formare una cultura del rispetto delle diverse tradizioni e dei diversi popoli, se questa tradizione ha ancora seguaci nel mondo occidentale, se vi sono ancora persone che credono che la pace si costruisce con i tavoli di trattativa basati sul rispetto dell’avversario, se vi sono ancora persone che si rendono conto che la pace si basa su equilibri di forza, se vi sono ancora persone e leaders che la pensano così sarebbe stato assai saggio evitare sia la crisi ucraina che quella medio orientale.

 

Forse, però, magari agli stessi che in questi anni 2000 hanno tanto amato “esportare la democrazia” conveniva facilitare nuovi conflitti.

 

Come non comprendere che, in presenza di questi, qualcuno ci guadagna sempre.

 

Si chiama economia di guerra.

 

Si chiama, anche, arricchirsi sulla morte degli altri.

 

Ignoto Uno