A CHE PUNTO È IL GIORNO

 

Oggi parliamo di un argomento storico poco conosciuto, ma forse è meglio dire dimenticato.

Si tratta di una storia per certi versi analoga a tante altre, accadute in Europa nei secoli passati, ma che in questo caso riguarda il nostro Paese, l’Italia, e la sua bellissima isola, la Sicilia, e già solo per questo vale la pena che sia conosciuta e divulgata.

Si tratta di una storia di Convivenza e, contemporaneamente, di Discriminazione sull’isola del Mediterraneo e riguarda la storia degli ebrei in Sicilia.

La storia della presenza millenaria degli Ebrei in Sicilia, per secoli rimasta nell’oblio, torna ora ad affascinare e interessare storici, archeologi e antropologi che stanno riportando alla luce l’importante ruolo che ebbero gli Ebrei nello sviluppo economico e culturale dell’isola.

La rimozione c’è stata ed è motivata probabilmente dal pudore di dover narrare tutto ciò che gli Ebrei siciliani dovettero patire secolo dopo secolo, conquista dopo conquista, per mano di coloro che ne furono i potenti e spesso spietati dominatori, ma anche dal rammarico per tutte quelle risorse umane, culturali ed economiche che l’isola e tutto il sud d’Italia persero per sempre, dopo la loro espulsione nel 1493.

La storia giudeo-siciliana suscita ora nuovo interesse grazie alle recenti pubblicazioni che hanno avuto per oggetto la riscoperta di antica documentazione, rimasta sepolta per secoli negli archivi storici comunali e in quelli notarili di molte città siciliane.

Anche importanti e recenti scoperte archeologiche stanno accrescendo le nostre conoscenze della storia ebraica siciliana, lasciando intravedere possibili rivisitazioni dei fatti accaduti tra il III e il XVI secolo.

Si tratta di resti di siti sinagogali e cimiteri, disseminati un po’ ovunque sul territorio, dove numerose sono le pietre tombali rinvenute, sulle quali campeggiano epigrafi bilingui in greco, ebraico o latino con i tipici simboli ebraici della Menorah, dello shofar e della foglia di palma.

Sono stati anche ritrovati numerosi bagni rituali (mikvè), uno su tutti, quello commovente di Ortigia a Siracusa, di recentissima e casuale scoperta, considerato il più antico d’Europa, ricoperto di detriti dagli esuli ebrei prima del suo definitivo abbandono, forse per un senso di pudore o forse perché era ancora viva tra loro la speranza di un ritorno.

Ed ancora più affascinante è la storia del Kior (vasca per lavaggio delle mani) di Siculiana nell’agrigentino (sec. XV), proveniente con verosimile probabilità dalla Sinagoga o dal Cimitero di tale cittadina ed in epoca più tarda trasferito nel Battistero locale per divenirne la fonte battesimale.

Il suo donatore aveva voluto ricordare l’evento facendovi scolpire una scritta in ebraico, rimasta coperta per più di cinque secoli e dove oggi si può leggere: «Nell’anno 1475: Samuele figlio di Rabbì Yona Sib’on, riposi in Paradiso».
Posti ai due lati della scritta gli stemmi reali di Castiglia e di Aragona in onore dei sovrani spagnoli regnanti in quel periodo e che, ironia della sorte, solo diciassette anni dopo decretarono l’espulsione di tutti gli Ebrei oltre che dalla Spagna anche dalla Sicilia.

 

La storia è lunga, e non è certo questo il luogo per narrarla nella sua interezza, ma si può certamente affermare che non ci sia stato angolo della Sicilia in cui la presenza ebraica non fosse già ben radicata ancor prima dell’avvento del cristianesimo e soprattutto durante i quattro secoli precedenti l’espulsione, decretata dall’infame editto di Granada, siglato nel Gennaio del 1492 dai reali di Spagna, Isabella di Castiglia e da suo marito Ferdinando d’Aragona. Su incitamento del domenicano Torquemada, essi non dettero scampo agli Ebrei spagnoli e poco dopo anche a quelli siciliani, obbligandoli alla dolorosa scelta dell’esilio o alla conversione forzata.

C’era stato un tempo, tuttavia, in cui la vita degli Ebrei, nello specifico in Sicilia, era stata molto migliore e sicuramente diversa.

Ciò avvenne, nei due secoli di dominazione degli Arabi, i quali, seppur inizialmente considerassero gli Ebrei alla stregua di schiavi sui quali era lecito da parte loro qualsiasi abuso e sopruso, via via col passare degli anni, per motivi puramente economici, iniziarono ad instaurare con loro rapporti sufficientemente sopportabili.

Agli Ebrei, infatti, come pure ai Cristiani, venne concesso di poter professare liberamente la propria Fede e di costruire Sinagoghe e Chiese, anche se questa concessione non prescindeva dal pagamento di onerose gabelle.
Considerati dhimmi, cioè «protetti», gli Ebrei erano ritenuti una sorta di risorsa tributaria ed economica, situazione che li obbligava a pagare una tassa pecuniaria aggiuntiva, la gesìa. Questa loro condizione sarà poi, nei secoli seguenti, costantemente mantenuta anche dai successivi dominatori, per i quali non c’era alcun motivo di rinunciare a queste provvide, ma inique entrate fiscali.
Allo scopo di dare ulteriore impulso all’economia dell’isola, agli Ebrei, riuniti nelle loro Comunità dette Aliama, fu lasciata la possibilità di svolgere attività divenute con il tempo a loro peculiari, soprattutto quelle di tintori, conciatori, fabbri, artigiani, commercianti e armatori. 

D’altronde gli Ebrei, avvezzi a convivere con gli Arabi, come lo erano già in Spagna e nel Nord Africa, avevano con questi, oltre che la lingua, molteplici affinità come la comune conoscenza degli studi scientifici di medicina, astronomia e matematica e soprattutto delle materie teologiche e filosofiche.
Ciò che inoltre rendeva culturalmente simili le due etnie, era l’uso corrente della scrittura, motivo non sottovalutabile, che, di fatto, le poneva entrambe in una posizione più elevata rispetto al resto della popolazione, per lo più retrograda ed analfabeta.

 

Oggi sappiamo quanto esteso e vivace fosse il rapporto tra le varie comunità ebraiche in quell’area alla fine e dopo l’inizio del primo millennio e quanto, per questo, fosse divenuto essenziale il ruolo della Sicilia grazie al continuo prosperare e alla nascita in quei due secoli di numerosissime imprese manifatturiere e di altrettante piccole comunità ebraiche che le gestivano.

Cartiere, filature e tessiture della seta e del cotone, concia delle pelli, tintorie, fonderie siderurgiche, commercio delle stoffe, del grano e del formaggio (rigorosamente kosher) e il trasporto di queste e di altre mercanzie, furono solo alcune delle attività di appannaggio quasi esclusivo degli Ebrei siciliani, i quali, nei secoli seguenti, ne acquisirono naturalmente il monopolio, divenendo di fatto i più ricercati produttori, trasformatori ed esportatori di manufatti e di prodotti agricoli.
La Sicilia, posta in maniera strategica al centro del Mediterraneo, divenne, di fatto, uno snodo nevralgico per lo scambio di mercanzie di ogni tipo che, dall’isola, riprendevano poi la strada per il resto d’Italia e d’Europa.

Quanto vediamo oggi della Sicilia, lo si deve in buona parte ai due secoli di questa dominazione illuminata ed al suo intelligente sfruttamento, del quale gli Ebrei furono una parte essenziale.

 

Questa lunga premessa, assolutamente non esaustiva della memorabile storia della presenza e dell’attività degli Ebrei siciliani, ci è tuttavia utile per fare alcune considerazioni storiche attuali e contingenti, relative alla città di Catania ed alla recente costituzione ufficiale di una Comunità Ebraica e di una Sinagoga nel suo seno.

A volte la Storia viene riscritta dai posteri e ciò che sembrava dimenticato riaffiora dall’oblio, grazie al lavoro scrupoloso e appassionato di studiosi e di accademici, e anche di uomini leali e di buona volontà che, come nel caso di Catania, ne hanno ripreso in mano il bandolo riportando alla luce ciò che sembrava dimenticato per sempre.
Una Storia, quella della Sicilia ebraica e di Catania – ma non solo, verosimilmente somigliante per molti dei suoi aspetti a tante altre storie vissute e patite, anche in tempi recenti, dagli Ebrei di molti altri Paesi, storie esaltanti ma allo stesso tempo spesso dolorose, storie di persecuzioni, di morte, di esili, di abbandoni, storie rese simili dal pregiudizio e dall’invidia, dove la bramosia, infine, ne è stata sempre il rovinoso epilogo.

Accade, dunque, che alla Catania ebraica non venga – attualmente – riconosciuto il diritto di ridare vita ad una propria Comunità, al proprio culto, alla preghiera nella propria Sinagoga.

Sembra che si sia verificato un corto circuito di comunicazione con le autorità centrali della Penisola.

Come se queste non capissero gli Ebrei di Catania.

È sicuramente un momento non semplice per chi crede nell’importanza e nel valore di queste relazioni e, rispetto al passato, rispetto alla Storia, sembra che ci siano stati dei significativi passi indietro, ma proprio per questo sarebbe opportuno andare avanti, confidando nella possibilità che il confronto riesca a dare nel tempo i suoi frutti.

E forse ciò ha origine, anche, dalla profonda crisi attraversata da un Occidente che ha smarrito la propria identità, e che a volte non riesce a ben riconoscere quali siano i propri valori di riferimento. Tuttavia, si potrebbe andare oltre quell’ambito e slegarsi da ciò che spesso appare, purtroppo, come un secolarismo effimero – anche in campi religiosi.

 

  • Riassumendo in maniera essenziale e omettendo valutazioni halachiche, che sono di stretta competenza rabbinica, la sequenza dei fatti avvenuti a Catania è comunque tanto distopica da sfiorare i limiti del grottesco, posto che stiamo parlando di: 1) Laicità dello Stato; 2) Libertà religiosa; 3) Libertà di organizzazione ed azione; 4) Libertà di aprire luoghi di culto.
  • La Comunità Ebraica di Catania e il suo Istituto di Cultura Ebraica esercitano il culto ebraico all’interno della propria Sinagoga dal 17 ottobre 2018, nei locali concessi in comodato d’uso dal Comune di Catania e siti nel Castello di Leucatia; tale concessione ha la durata di sei anni e scadrà il 16 ottobre 2024.
  • Il 28 ottobre 2022 la Comunità Ebraica di Catania consacra ufficialmente al culto la propria Sinagoga, alla presenza di Rabbini giunti da Israele e da Whashington – essendosi dotata di un Sefer Torah e disponendo di un Rabbino e di un Tribunale Rabbinico di riferimento. Si tratta di un evento storico, religioso e culturale del massimo rilievo, sia per Catania – che fino al 1492 aveva due Sinagoghe – sia per l’Italia ebraica, che da Napoli in giù sembra si sia fermata nel (quasi) nulla.
  • In contemporanea, la signora Noemi Di Segni – nella sua veste di Presidente dell’Unione delle Comunità Ebraiche Italiane (di seguito: UCEI, Associazione di carattere privatistico) – inizia un attacco e una dura lotta di screditamento nei confronti della Comunità Ebraica di Catania, dichiarando e asserendo che essa non ha diritto di esistere né tantomeno di chiamarsi «Comunità Ebraica», né ancor più di avere titolo di appartenenza all’Unione delle Comunità Ebraiche Italiane.
  • L’anno 2023 si apre dunque con un pesante carteggio su carta bollata tra la predetta Presidente UCEI e l’Avv. Baruch Triolo, Presidente dell’Istituto Internazionale di Cultura Ebraica e Presidente della Comunità Ebraica di Catania – il quale ribatte alla Presidente Di Segni punto per punto, nello specifico: a) domandando dove fosse scritto che Catania non poteva usare la denominazione «Comunità Ebraica» (nemmeno si trattasse di un formaggio o di un vino d.o.p.) e b) ribadendo che la Comunità Ebraica di Catania sin da subito si era dichiarata disgiunta e non legata all’UCEI.
  • Emerge sin da subito la totale mancanza di possibilità di dialogo, di disponibilità al chiarimento reciproco, da parte della Presidente UCEI – che appare rispondere a ogni legittima comunicazione da parte dell’Avv. Baruch Triolo con quelli che si possono definire “argomenti fantoccio”, cioè utilizzando una fallacia logica che consiste nel confutare un argomento proponendone una rappresentazione errata o distorta.
  • Poi, da parte della Presidenza UCEI, si giunge all’intimidazione e infine alla citazione in Tribunale davanti al Tribunale Civile di Catania (prima udienza 08 febbraio 2024), inoltre convincendo (o meglio, tentando di convincere) con una sua personale visita, il Sindaco di Catania a revocare la concessione dei locali a suo tempo concessi a titolo gratuito (per sei anni, dal 2018 al 2024), destinati a uso Sinagoga e Uffici del Rabbino e siti presso il Castello di Leucatia.
  • La situazione diviene, a questo punto, orwelliana per tutta una serie di motivi: 1) l’UCEI è una associazione privata che, secondo il Codice Civile, può imporre le proprie regole statutarie solo ai propri iscritti e a nessun altro; 2) la Comunità Ebraica di Catania non aderisce e non vuole aderire all’UCEI, come sempre dichiarato; 3) una Associazione privata non dispone del potere di segnalare o accusare altre Associazioni per danneggiarle, né può imporre la propria volontà a una Pubblica Amministrazione (la città Metropolitana di Catania); 4) l’art.2 della legge 101/89 garantisce ad ebrei e comunità in genere il diritto, costituzionalmente garantito, della «libertà di esercizio del culto ebraico in forma sia individuale che associata»; 5) l’art.15 della legge 101/89 sancisce che «gli edifici destinati all’esercizio pubblico del culto ebraico, anche se appartengono a privati, non possono essere sottratti alla loro destinazione, neppure per effetto di alienazione, fino a che la destinazione stessa non sia cessata con il consenso della comunità competente».
  • Tutto ciò predetto, l’UCEI non si presenta alla prima udienza in Tribunale davanti al Tribunale Civile di Catania (08 febbraio 2024), costringendo il Giudice a rimandare la prima udienza al 24 gennaio 2025, nonostante la procedura preveda la presenza di entrambe le parti per un tentativo, obbligatorio, di conciliazione e impedendo la richiesta di chiarimenti. Sottraendosi in sostanza al contraddittorio. La Comunità di Catania era rappresentata dall’Avv. Giuseppe Sciacca, membro della Comunità, dal Presidente della Comunità di Catania, Avv. Baruch Triolo, e dal Vice Presidente Alessandro Y.N. Scuderi.
  • La minaccia di sfratto dai locali del Castello di Leucatia ha un esito altrettanto surreale: il 15 febbraio 2024, data fissata dal Comune di Catania per un sopralluogo dei locali, propedeutico alla riconsegna dei locali, i tecnici del Comune non si presentano. Ed è notizia di questi giorni che la Municipalità di Catania si è premurata di rivolgere le proprie scuse alla Comunità Ebraica di Catania.

 

E dunque?

A che punto è il giorno?

Cui prodest tutto questo folle, insensato, dispendio di mezzi e di energie?

Perché questo cortocircuito, terribile, proprio in ambito ebraico, proprio in questo periodo di tensioni e di guerre?

Questa realtà distopica si inserisce nel momento storico che stiamo vivendo che, dopo il 7 ottobre, è sicuramente estremamente complesso e di difficile interpretazione – e in cui le tensioni non si limitano purtroppo al solo Medioriente.

Nessuno ha verità assolute da proporre e in questo momento molti di noi sono più capaci di porre domande che di dare risposte, tuttavia, cercando di essere analitici e obiettivi, nonostante tutto, continuiamo a sperare: a sperare nel Dialogo e nel Confronto.  

Pena la morte, la dispersione dell’egregore – e questo non deve avvenire: quando un certo numero di persone si raduna intorno a un’idea, i pensieri e i desideri di quelle persone creano un’entità vivente; è una legge del mondo spirituale.

E anche se quell’entità non è fatta di particelle sufficientemente materiali da far sì che la si possa vedere e toccare, essa esiste.

Questa entità collettiva viene chiamata «egregore» ed è un’entità vivente e operante, ogni paese, ogni religione e ogni corrente di pensiero possiede un’egregore e tutti i suoi membri, i fratelli e le sorelle che si riuniscono attorno alla stessa idea di pace e di luce, non smettono di alimentarla e rafforzarla.

Così, non solo essa può agire sulle altre egregore nel mondo per influenzarle beneficamente, ma contribuisce anche, e soprattutto, all’evoluzione di quegli esseri che lavorano per formarla.

Ma anch’essa è soggetta all’entropia – che dà la misura del disordine presente in un sistema fisico e, quando l’entropia sarà massima, nessuna trasformazione sarà più possibile, e sarà così la cosiddetta «morte fredda» dell’universo, in un sistema disordinato e a energia minima.

 

Barbara de Munari

Torino, 08 marzo 2024

 

[Si ringrazia per la disponibilità delle Fonti Storiche: Ariel Arbib, Storia degli Ebrei di Sicilia fino al XVI secolo – Convivenza e discriminazione sull’isola del Mediterraneo, in Joimag, febbraio 2022]




Donna, luce della famiglia.

L’Inestimabile Ruolo della Donna

La vita di un uomo è intrecciata con la presenza e l’influenza delle donne in modi profondi e significativi, dalla nascita alla morte, le donne sono sempre presenti,  nelle nostre esperienze, sostenendoci nei momenti difficili e condividendo le gioie della vita, in occasione della Festa della Donna, è importante riconoscere e celebrare il ruolo fondamentale che le donne svolgono nelle nostre vite e nella società nel suo complesso.

Sin dalla nascita, siamo accolti tra le braccia amorevoli di una donna, la nostra madre.

È lei che ci dona la vita, che ci protegge e ci nutre nei nostri primi momenti di vulnerabilità. Attraverso il suo amore e la sua dedizione, ci insegna il significato del legame familiare e ci dà le fondamenta per crescere e prosperare.

Nella nostra infanzia, spesso siamo affidati alle cure amorevoli di una donna, che può essere una nonna, una tata o una sorella maggiore.

Queste figure femminili giocano un ruolo cruciale nel plasmare il nostro carattere, insegnandoci valori importanti come l’amore, la gentilezza e l’empatia.

Sono loro che ci confortano nei momenti di tristezza, ci incoraggiano nei momenti di sfida e ci ispirano a sognare in grande.

Con il passare degli anni, ci innamoriamo di una donna e scopriamo il potere trasformante dell’amore romantico.

È lei che illumina le nostre giornate con il suo sorriso, che riempie il nostro cuore di gioia e che ci accompagna lungo il cammino della vita.

Insieme, condividiamo speranze, sogni e progetti per il futuro, costruendo una relazione fondata sulla fiducia, sulla comprensione reciproca e sull’amore incondizionato.

Quando è il momento di costruire una famiglia, è ancora una volta una donna che ci accompagna in questo viaggio straordinario.

È lei che porta avanti il miracolo della vita, che dona al mondo nuove generazioni piene di speranza e di promesse.

Attraverso il suo impegno e il suo sacrificio, crea un ambiente sicuro e amorevole in cui i nostri figli possono crescere e svilupparsi pienamente.

Infine, quando giunge il momento di affrontare la morte, spesso siamo circondati dall’amore e dalla presenza confortante di una donna.

È lei che ci accompagna nei momenti finali, che ci tiene la mano e ci consola con le sue parole gentili.

Attraverso il suo sostegno e la sua presenza costante, ci dà il coraggio di affrontare l’ignoto e ci permette di lasciare questo mondo con dignità e serenità.

La Festa della Donna è un’occasione per onorare e celebrare il ruolo inestimabile che le donne svolgono nelle nostre vite. Sono loro che ci danno la vita, che ci sostengono nei momenti difficili e che ci accompagnano lungo il percorso della vita, che si tratti della nostra madre, della nostra compagna, delle nostre figlie o delle nostre amiche, è importante riconoscere il loro valore e il loro contributo alla nostra felicità e al nostro benessere.

Buona Festa della Donna a tutte le donne straordinarie che rendono il mondo un posto migliore con la loro presenza.

 

 

Prof. Angelo SINISI




Super Tuesday …. game over

 

Il 1 marzo 2024 la Presidente del Consiglio italiana Giorgia Meloni ha incontrato alla Casa Bianca il Presidente statunitense Joe Biden ricevendo da questi un endorsement chiaro “Giorgia è mia amica”.

Un confronto dichiarato da entrambi “intenso” ed “utile” durante il quale la Premier Meloni ha inteso dichiarare il “Pieno sostegno agli USA” in particolare sulle strategie da attuare a riguardo delle guerre in Medio Oriente ed Ucraina.

Il portavoce del Consiglio per la Sicurezza Nazionale della Casa Bianca, John Kirby, al termine del summit, ha sottolineato la “forte posizione assunta dal presidente Joe Biden e dalla premier italiana Giorgia Meloni riguardo agli aiuti all’Ucraina”.

“C’è una incredibile unità e tutti condividiamo le stesse preoccupazioni riguardo al fatto che Putin conquisti l’Ucraina e ciò che questo significa per la sicurezza della Nato“ ha continuato Kirby negando che vi siano “fratture” tra Washington e Palazzo Chigi.

Sarà per queste dichiarazioni, oltre per un assai irrituale bacio sulla fronte di Biden alla Meloni, che Fox News ha dichiarato “cocca di Biden” la Premier italiana.

Nella settimana precedente a questo incontro in Virginia vi era stato il CPAC, congresso dei conservatori repubblicani americani, ed i beni informati riportano che i cinque deputati della delegazione di Fratelli d’Italia presenti si siano sentiti chiedere dai delegati presenti innumerevoli volte dove fosse la loro leader.

Oltretutto il Presidente dell’Ungheria Orban incontrerà Trump nella sua residenza di Mar a Lago in Florida il prossimo 8 marzo.

Un recente articolo del quotidiano Il Foglio riportava che la Premier italiana avrebbe “autorizzato” il deputato di Fratelli d’Italia eletto nella circoscrizione estera che comprende la Florida, onorevole Andrea di Giuseppe, ad incontrare Trump.

Sempre i bene informati, però, sottolineano che l’invito “all’autorizzato” non sarebbe mai stato inviato da Mar a Lago.

Chi frequenta da dentro il cerchio magico trumpiano sa bene come la Premier Meloni sia ritenuta una che ha “cambiato casacca”, frase assai eufemistica rispetto a quelle che si sentono nei circoli del conservatorismo statunitense.

Martedì 5 marzo c’è stato il Super Tuesday ed è finito 11 Stati ad 1, ove “l’uno” era il Vermont.

Stato, a dire il vero, realmente insignificante dal punto di vista dei pesi per la nomination nel Partito Repubblicano.

Stato in cui vivono 645.570 cittadini americani su 331,9 milioni degli Stati Uniti tutti (dati omogenei del 2021).

Sarà per questo che la CNN, testata da sempre assai ostile al Presidente Trump, poche ore dopo la chiusura delle primarie del Super Tuesday ha annunciato che l’avversaria del “cattivone”, Niki Halley, si stia apprestando a ritirarsi.

Assai difficile poter pensare che i rapporti fra il conservatorismo americano a guida Trump e la Premier italiana possano portare nei prossimi tempi Fox News a titolare “Meloni cocca di Trump”.

Questo richiederebbe un ulteriore e di segno opposto “voltafaccia” della attuale leader della destra italiana.

Cambio di posizione che potrebbe non essere sufficiente.

Necessario è, infatti, che Trump e il conservatorismo americano tutto decidessero di dare alla leader italiana una “nuova possibilità”, in politica tutto è “possibile” ma nulla è “gratuito”.

Il politico Otto Eduard Leopold von Bismarck, nato in Germania nel 1815, è assai famoso per aver teorizzato il fatto che “con un “gentiluomo” si debba essere sempre più di un “gentiluomo”, ma con un “mascalzone” si possa essere più di un “mascalzone”.

Lo stesso politico tedesco, ed i tedeschi in Italia vanno assai di moda, usava anche teorizzare che la politica è “l’arte del possibile, la scienza del relativo” ed, ancora, che la politica “non è una scienza, come molti fra i signori professori immaginano, ma un’arte”.

Infine, Bismarck usava ripetere che la politica “non è una scienza esatta”.

Questi elementi di riflessione sarebbe assai utile che il centro destra, o destra centro come amano oggi dire gli opinionisti italici, li riportino nel loro ragionare per il bene ed il futuro della nostra nazione.

Partendo, appunto, proprio dalla politica estera ove, sommessamente mi sento di temere, il rischio di un avventuroso schiacciamento su un lato della politica statunitense potrebbe arrecare più danni che vantaggi dal gennaio 2025.

Ragionamenti ad alta voce, forse, ragionamenti di chi ha la fortuna di ascoltare le “gole profonde” del “deep Mar a Lago”.

Ignoto Uno




Tempi di guerra …

 

Due anni di guerra guerreggiata in Ucraina parte di un conflitto carsico, forse neanche tanto, fra Stati Uniti e Federazione Russa in terra di Ucraina iniziato almeno dal 2008, ma, molto più probabilmente, sin dai tempi di Bill Clinton presidente alla Casa Bianca.

Unico momento di “tregua” il quadriennato di Donald Trump.

 

Il 3 marzo la Nave Duilio, prima azione di guerra di una nave della Marina Militare Italiana dalla fine della Seconda Guerra mondiale, nello stretto di Bab el-Mandeb ha abbattuto un drone lanciato dagli Houti dallo Yemen.

 

La nuova, e drammatica, escalation in Medio Oriente che ha avuto inizio il 7 ottobre scorso con il massacro causato da Hamas nei territori israeliani e la necessaria ma violentissima reazione dell’esercito nella Striscia di Gaza.

 

I tantissimi focolai di guerra in Africa e in molti luoghi di confine come fra Pakistan ed India.

 

Questo, per brevi e non esaustivi cenni, lo scenario in cui noi tutti siamo chiamati a vivere ed educare i nostri figli.

 

Anni sempre più bui quelli che ci costringono a vivere attraverso le loro scelte i nostri governanti occidentali. Stati Uniti, Europa ed Italia inclusi.

 

Errori, io li reputo tali, già visti nel passato.

 

Errori che causarono, e causano, impoverimento e morte nel nostro occidente.

 

Per ora non si vede una grande reazione a livello del ceto medio, eppure la paura cresce.

 

Probabilmente è solo una questione di tempo, troppa la distanza fra le politiche, soprattutto in Europa, ed il pensiero di ampi strati sociali in ordine a tanti temi.

 

Guerre, politiche gender e green in primis. Politiche eccessivamente lontane dalle tradizioni e dalle necessità del nostro occidente.

 

I media, molti dei quali assai schierati con quello che oggi chiamano “globalismo”, si affannano a spostare il posizionamento culturale delle persone che li seguono ma, poi, basta un generale che scrive un libro e che parla alla loro pancia, perché le “origini” tornino a governare le loro opinioni.

 

La cosa assai interessante, direi anche divertente, è che più gli stessi media, e non solo, cercano di massacrarne l’immagine pubblica, più la figura dello stesso generale diviene “simbolo” per chi vuole vedere salvaguardate le proprie radici.

 

Origini, appunto.

 

Pensando a questa strana corsa alla guerra non può che venire alla memoria come il 15 novembre 1969, in occasione della Moratorium march on Washington scesero in piazza 500.000 persone.

 

Quel giorno nacque il Movimento Pacifista, il suo motto era “Give peace a chance”, date alla pace una possibilità.

 

Il governo degli Stati Uniti dovette prenderne atto.

 

Guerra che era iniziata il 1º novembre 1955 e terminò il 30 aprile 1975 con la caduta di Saigon, durò diciannove anni e sei mesi.

 

Cercare la “pace” non significa “subire il nemico”, significa “costruire un equilibrio con l’avversario attraverso la trattativa”.

 

Cercare la pace è un atteggiamento lungimirante, da statisti.

 

Furono statisti Franklin Delano Roosvelt e Iosif Stalin allorquando firmarono insieme l’Accordo di Yalta nel febbraio del 1945.

 

Qualcuno vuole vedere in quella scelta un accordo firmato fra due capi di Stato che avevano gli stessi valori?

 

Credo sia inconfutabile che in quella scelta di firmare quell’accordo non si possa che vedere la volontà di due avversari di trovare una forma di convivenza che potesse garantire a tutto l’occidente pace.

 

Cercare la pace significa non sentirsi al centro del mondo e unici portatori della “verità”.

 

È cercare la pace favorire movimenti rivoluzionari in nazioni confinanti con il “nemico”?

 

Certamente no! Sarebbe assai necessario esplicitarlo e, al fine di riportare stabilità ed armonia nel nostro occidente e nel mondo tutto, partire dal concetto che le cosiddette “zone di influenza” vadano facilitate.

 

Il cercare di fomentare forme rivoluzionarie, più o meno “non violente”, come accadde con i movimenti rivoluzionari in Ucraina dal 2008, oppure con le tristemente famose Primavere Arabe, per volere dell’allora presidente degli Stati Uniti Obama, già premio Nobel per la Pace, è parte fondante del caos in cui il mondo vive oggi.

 

Innegabile che durante la Guerra Fredda l’allora Unione Sovietica fece altrettanto.

 

In Italia dovemmo scoprire le liste Mitrokhin, gruppo che doveva facilitare l’avvicinamento al Patto di Varsavia del nostro Paese, gruppo ben noto al Partito Comunista Italiano del tempo, gruppo illegale, gruppo a cui si contrappose l’operazione della NATO nota come Stay Behind, in Italia divenuta famosa come Gladio.

 

Fu il Presidente democristiano Andreotti nel 1990 a renderla nota, fu il Presidente Emerito Francesco Cossiga a rendere esplicito che Stay Behind era una operazione coperta della NATO.

 

Di Gladio se ne sente parlare sempre tanto ancora oggi, sommessamente reputo in alcuni casi a sproposito, di Mitrokhin mai, mi chiedo il perché. Eppure i due dossiers andrebbero letti insieme.

 

Ancor più mi domando se oggi in Italia, ed in Europa, vi sia la presenza di una organizzazione antagonista all’atlantismo che abbia saputo pervadere la nostra società occidentale in tutti i suoi ambiti, anche, speriamo di no, istituzionali e partitici, una organizzazione che magari trovi stimoli ed alleanze più in estremo oriente che a Mosca.

 

Se dal 1964 iniziò a formarsi un movimento pacifista che seppe fermare la guerra del Vietnam e formare una cultura del rispetto delle diverse tradizioni e dei diversi popoli, se questa tradizione ha ancora seguaci nel mondo occidentale, se vi sono ancora persone che credono che la pace si costruisce con i tavoli di trattativa basati sul rispetto dell’avversario, se vi sono ancora persone che si rendono conto che la pace si basa su equilibri di forza, se vi sono ancora persone e leaders che la pensano così sarebbe stato assai saggio evitare sia la crisi ucraina che quella medio orientale.

 

Forse, però, magari agli stessi che in questi anni 2000 hanno tanto amato “esportare la democrazia” conveniva facilitare nuovi conflitti.

 

Come non comprendere che, in presenza di questi, qualcuno ci guadagna sempre.

 

Si chiama economia di guerra.

 

Si chiama, anche, arricchirsi sulla morte degli altri.

 

Ignoto Uno




IL BANDECCHISMO III

Negli articoli Bandecchismo I e II parte ci siamo occupati del fenomeno politico legato al Manager e Sindaco di Terni e messo a terra all’indomani delle elezioni amministrative del Maggio 2023 con la conquista dello scranno più alto del Palazzo del Governo cittadino ma iniziato anni prima con la decisione di acquistare la Società Ternana Calcio arrivata poi in Serie B nel campionato 2020/2021.

Nella seconda parte dell’articolo ci siamo interrogati sulla contaminazione del bandecchismo nella comunità civile e politica ma anche all’interno delle Istituzioni democratiche che non hanno finora reagito alle procedure di tutela previste dalle leggi sugli enti locali. 

In questo ultimo articolo della serie indagheremo sull’ultimo tassello del mosaico: quello della cittadinanza o meglio della transizione da un Modello di cittadinanza ad un Modello di sudditanza in atto nella circoscrizione amministrativa di Terni.

La differenza, senza scendere nella teoria, è semplice e di facile intuizione: i cittadini scelgono e condividono attraverso la sovranità popolare assicurata dal suffragio universale le scelte pubbliche; i sudditi subiscono, al contrario, ogni decisione imposta dall’alto da poteri assoluti siano essi in capo ad una Monarchia o ad uno Stato assoluto.

La legge prevede i reati di occupazione di Potere Pubblico e di Funzione Pubblica negli articoli rispettivamente 287 e 347 del codice penale. È tuttavia una sentenza della cassazione penale, la 48745/2011, che rende evidente le asimmetrie nella gestione del potere a Terni.

Infatti, la sentenza recita: ” Per la configurabilità della usurpazione di Funzioni Pubbliche occorre il dolo generico che consiste nella volontà di assumere ed esercitare la funzione pubblica sapendo di non esserne autorizzato…”.

La sentenza richiamata mette in luce gli elementi costitutivi della usurpazione di Funzione Pubblica iniziata a Terni con il Lodo Incompatibilità del Manager Bandecchi con la carica di Sindaco denunciata da un “parere” del Ministero dell’interno e oggetto di iniziative popolari indirizzate al Prefetto ed al Ministro ma rimaste prive di riscontro.

Una questione di legittimità non indifferente perché, vale la pena ricordarlo, il Sindaco di Terni è alla guida della Città di Terni ma anche del Gruppo Universitario Unicusano e delle sue diramazioni italiane ed estere. 

È proprio questo legame, mai reciso, contenitore e contenuto della progressiva sottrazione di cittadinanza attiva alla comunità locale.

I provvedimenti del Sindaco, del resto, non hanno mai nascosto questo conflitto d’interessi evidente nella ingerenza finanziaria del Gruppo industriale del Bandecchi imprenditore nella gestione della città del Bandecchi Sindaco.

Potremmo ricordare, a tale riguardo, gli interventi sull’arredo urbano finanziati privatamente dal manager, come l’appalto di polizia privata in giro per la città, per non dimenticare i regali di Natale ai dipendenti pubblici in aperta violazione dell’art 4 del Tuel che regola il contratto dei lavoratori nel settore pubblico, fino alle installazioni di Pasqua, delle monumentali uova alte fino a 6 metri finanziate e messe in posa dalle società private del Sindaco e probabilmente senza le necessarie procedure in ordine ai rischi degli ingombri e degli ancoraggi.

L’operazione tuttavia più emblematica resta il Progetto relativo alla ristrutturazione dello Stadio di Calcio locale che dovrebbe prevedere la realizzazione di una clinica privata da convenzionare con il Servizio Sanitario Nazionale. Due interventi per circa 80 milioni di euro che già la giunta precedente aveva definito di interesse pubblico nel 2021 e che oggi, con Bandecchi Sindaco, celebrerebbero il mega conflitto di interessi che potrebbe vedere (nel caso non vengano chiarite le Governance reali delle società coinvolte) il Sindaco di Terni nel duplice ruolo di committente pubblico e di commissionario privato.

Una questione che non scandalizza, però, né è oggetto di interrogazioni o approfondimenti.

La città, la comunità politica e le Istituzioni subiscono ormai il bandecchismo e c’è da chiedersi se diventare sudditi non sia una scelta vincente in Italia.

 

 




Al via il 3X2 nel Grande Oriente d’Italia, la più affollata obbedienza massonica italiana (di Paolo Battaglia La Terra Borgese)

Al via il 3X2 nel Grande Oriente d’Italia, la più affollata obbedienza massonica italiana

di Paolo Battaglia La Terra Borgese

Tre liste ma solo una di due vincerà il confronto.

È quanto è lecito desumere dalle dòxa di Zetetica e Cavaliere Nero.

Si vota domenica 3 marzo.

 

A muoversi da fuori il GOI, in nome della torcia luminosa della civiltà e del progresso, è perfino Giuliano Di Bernardo, già Gran Maestro del Grande Oriente d’Italia – Palazzo Giustiniani, che ha sponsorizzato – direttamente e indirettamente – la lista numero 1 anche durante un’intervista di Fedez, nel corso di una puntata del podcast Muschio Selvaggio.

 

Tre liste ma solo una di due vincerà il confronto. È quanto è lecito desumere dalle dòxa di Zetetica e Cavaliere Nero (forum digitali massonici riservati agli addetti ai lavori).

 

Quis similis tui in fortibus Domine?

 

La terza lista – secondo gli umori registrati in Zetetica e soprattutto in Cavaliere Nero – sarebbe in netta minoranza, e la seconda, quella sponsorizzata dall’attuale Gran Maestro, si dichiara (ovviamente) del proseguimento.

 

A chi mira al cambiamento, non resterebbe altro da fare che votare per la lista numero 1

 

Così – se le opinioni rispecchiano la realtà aritmetica esposta -, a chi mira al cambiamento, non resterebbe altro da fare che votare per la lista numero 1.

Ciò al fine di non disperdere i voti, che, senza volerlo, diversamente, se destinati alla lista numero 3, finirebbero col favorire, la lista del proseguimento poco cara ai cambiamentisti tutti.

Purtroppo, in termini di obiettivi numerici ne pagherebbe le conseguenze di risultato la terza lista, sol perché considerata in minoranza.

 

Per farla breve, secondo alcuni e per non essere di tedio ai lettori: da un anno a questa parte, la fulgida luce massonica si è dovuta confrontare adendo i metodi “profani”.

 

Ma è storia vecchia, come vecchio è il profilo delle campagne elettorali in seno al GOI, che in termini dialettici perfettamente combacia con i programmi elettorali cosiddetti profani.

 

E la salsa è sempre la stessa, quella che suga per concimare un elenco di azioni e di tematiche sempre ripetute ed uguali ad ogni consultazione elettorale.

 

Giacché da sempre è uguale il repertorio di novità (?) proposte dal candidato di turno: la sovranità della loggia, il tema delle cariche, l’indipendenza della giustizia massonica rispetto alla giunta di governo del GOI, l’organizzazione interna, le azioni nel mondo profano, i rapporti con lo Stato, la solidarietà interna ed esterna, l’ammontare dell’appannaggio da riconoscersi al G.M. e, da questi ultimi anni, la discussa Fondazione del GOI. 

 

La lista numero 1

 

Tuttavia, questa volta, udite e lette le sue promesse, se vincesse il candidato della lista numero 1, LEO TARONI, egli, mantenendo fede al suo programma elettorale, è certamente destinato a passare alla storia della massoneria italiana e non solo, per i radicali cambiamenti di cui sarà artefice, dando vita a nuove origini nel Grande Oriente d’Italia – Palazzo Giustiniani.




Rossella Burzi, Medico con la EMME Maiuscola!

La Dott.ssa Rossella Burzi, specializzata in Medicina Nucleare e Medico Legale e delle Assicurazioni, da sempre è impegnata nell’assistenza medica umanitaria, come dimostra la sua attività di medico volontario durante una missione in Iraq (2010) finalizzata alla costituzione di una medicina territoriale.                                              

Dedita a un approccio olistico della salute che comprenda anche l’alimentazione, un sano stile di vita e il benessere personale e mentale, ha dimostrato il suo coraggio e la sua indipendenza nel triennio della gestione pandemica, fondando l’Associazione no-profit e pro veritateEdward Jenner” di cui è ora tesoriera.                                        

Insieme al marito Giuseppe Barone, capitano medico della Croce Rossa Militare e medico nucleare e legale, ha assistito – e tuttora assiste – i danneggiati da malasanità. In campo prettamente medico, l’Associazione Jenner ha aiutato e curato i pazienti danneggiati da vaccino; in campo medico legale e legale ha prestato assistenza gratuita con accurate perizie autoptiche e non, così sostenendo i parenti dei defunti, così ottenendo a favore dei propri pazienti danneggiati i primi indennizzi per danni da vaccino e le prime invalidità civili. 

Stanno iniziando ora le prime cause di risarcimento danni in Italia; si tratta  di cause extragiudiziali molto costose le cui spese non sono affrontabili per la maggior parte dei danneggiati. Ricordiamo che l’Associazione Jenner opera in regime ‘no-profit e pro veritate’: tutti sono volontari e l’Associazione stessa non riceve né sovvenzioni pubbliche, né altri sussidi o contributi, potendo contare solo su pochissime modeste donazioni private.                                                            

Nella sua attività di assistenza e divulgazione scientifica e sociale, la Dott.ssa Burzi si impegna a diffondere tra i pazienti la consapevolezza dei propri diritti e tra i colleghi medici un approccio critico e una “medicina della persona” che superi l’adesione pedissequa e a-critica ai protocolli, ristabilendo la regola aurea dell’Ars medica: operare “in scienza e coscienza”.

Per l’esperienza maturata sul campo e l’ampia casistica clinica analizzata, la dott.ssa Burzi si candida, insieme agli altri colleghi dell’associazione, a diventare un consulente qualificato della commissione d’inchiesta sul covid, appena approvata dal parlamento su istanza di Fratelli d’Italia.                                                   

Infine nel corso del 2023 si è prodigata, insieme ai volontari dell’Associazione Jenner, nel portare aiuto materiale, morale e clinico alle popolazioni romagnole colpite dall’alluvione di maggio, agendo direttamente sul territorio e cercando di offrire alla popolazione bisognosa generi di prima necessità e aiuti calibrati in base alle effettive necessità.                                                                                                        

Il 5 Marzo, a Bologna, nei saloni dell’Hotel Europa, la Dott.ssa Rossella Burzi riceverà un meritato riconoscimento per tanta abnegazione e premura: nel corso di una significativa cerimonia, le sarà assegnato il PREMIO ECCELLENZA DONNA 2024; un premio che gratifica la Professionista, la Donna, la passione il merito e il coraggio, anche di un Team di grande spessore umano, clinico e sociale.                           

Chi scrive ha avuto modo di apprezzare personalmente le qualità della Dott.ssa Burzi allorché, in prossimità del Natale 2022, un proprio familiare ha patito un’affezione alle vie respiratorie, per le quali si rese necessario il ricovero ospedaliero.

Sollecitata al riguardo, non ha lesinato suggerimenti e consigli: tali da rincuorare la paziente e tutta la famiglia.

Ancora Grazie!                                                                        

Abbiamo avuto l’opportunità di formulare qualche domanda alla Dottoressa:                 

Programmi per il futuro prossimo?

Certo, i ritmi sono intensi… ma non sono capace di sottrarmi ad alcuno dei miei impegni, ben consapevole che ci sono persone che soffrono, fisicamente e psicologicamente.

Anzi: mi accorgo che quando mi confronto con tematiche e problematiche, per reazione (ma anche per passione) subentrano nuove, nascoste energie. 

Ma il mio impegno resterà anche quando l’età della pensione subentrerà: con un’arma in più, maggior tempo a disposizione per aiutare chi soffre e chi possa aver subito un’ingiustizia sanitaria.                                                        

Cosa avrebbe voluto fare che non le è stato possibile portare a compimento?

Il rammarico, non solo mio ma di tutto il team, è quello di non poter contare su mezzi tali da assicurare un maggior impegno e un impiego ancora più articolato di professionisti.

La precedenza la vorremmo dare a una più significativa e continua presenza nell’assistenza dei pazienti impossibilitati a muoversi.

Ma siamo fiduciosi: guardiamo al futuro con ottimismo.                                                           

  Se dovesse lanciare un appello ‘sociale’, specie ai suoi concittadini?

Aiutateci come potete: un piccolo contributo di molti può aiutarci a fare grandi cose.

Ma soprattutto vogliatevi bene: controllate la vostra salute, mantenete un sano e continuo rapporto con il vostro medico di base, procedete a screening periodici e siate pronti a cogliere quelle variazioni che, pur non destando in voi allarme, vi spingano ad approfondire la valutazione clinica.

Non abbiate timore di prendere coscienza e consapevolezza della vostra eventuale malattia, di ciò che vi sia accaduto. Solo con la forza di tutti possiamo essere più forti nell’ottenere giustizia.                                        

E alle autorità?

Potrei dilungarmi troppo…

Le autorità amministrative e sanitarie sanno, hanno il polso della situazione, anche se talvolta la lentezza negli interventi sciupa molto.

Aiutateci ad aiutare: aiutando noi, le Associazioni di volontariato a vocazione territoriale come la nostra e le tante che possano esistere, consente di alleggerire le strutture sanitarie complesse, assicurando nel contempo assistenza sollecita di qualità, garantita dal contributo di professionisti capaci che saranno lieti di offrire ogni più utile aiuto.

Ma un preciso richiamo desidero riservarlo a quanto sta accadendo, in maniera molto dolorosa.

A fronte di persone che soffrono, che restano invalide, che muoiono, e – cosa ancor più grave – prima sane, è assurdo che nessuno sia ritenuto responsabile.

L’auspicio più vivo è che finalmente sia operativa la Commissione di Inchiesta che faccia luce su quanto è accaduto.

E’ doveroso che i responsabili paghino e si assumano le proprie responsabilità, senza così dover assistere a vergognosi scarica-barile.

Assistere a risposte del tipo ‘nessuno è responsabile’, non è segno di civiltà e mortifica ulteriormente le vittime: quasi avessero insistito e battagliato per sottoporsi alle note ‘terapie’ con sieri – ormai è accertato oltre ogni ragionevole dubbio – sperimentali.                                                                           

Ringraziamo la Dott.ssa Rossella Burzi per averci dedicato un po’ del suo tempo, rinnovando i nostri complimenti per l’importante riconoscimento che le verrà conferito.

Complimenti ai quali si associano gli Amici di ZETETICA e del suo Amministratore Paolo Battaglia La Terra Borgese e i Lettori di BETAPRESS.IT con il suo Direttore Prof. Corrado Faletti.




Ognuno per sé, Dio contro tutti, altro che Europa…

La tendenza delle nazioni a perseguire principalmente i propri interessi nazionali, anche quando si proclama l’obiettivo del bene comune, è un fenomeno complesso e radicato profondamente nella storia delle relazioni internazionali e la teoria realista delle relazioni internazionali, stigmatizza questo comportamento come intrinsecamente legato alla natura anarchica del sistema internazionale.

In assenza di un’autorità centrale che regoli le interazioni tra gli stati, questi ultimi agiscono in un contesto di auto-aiuto, dove la sicurezza e gli interessi nazionali diventano la massima priorità.

Il realismo sostiene che, anche nelle situazioni in cui viene invocato il bene comune, le nazioni tendono a valutare le proprie azioni principalmente in termini di potere e sicurezza, cercando di massimizzare la propria influenza e minimizzare le vulnerabilità.

D’altra parte, la teoria liberalista offre una visione leggermente diversa, enfatizzando il ruolo delle istituzioni internazionali, del commercio e della democrazia nel mitigare l’egoismo nazionale.

Secondo questa prospettiva, anche se le nazioni sono motivate dai propri interessi, la cooperazione internazionale e le reti di interdipendenza economica possono portare a risultati che beneficiano il bene comune.

Tuttavia, anche all’interno di questo quadro, le nazioni possono cercare di plasmare le regole e le istituzioni a proprio vantaggio, dimostrando come l’interesse nazionale e il bene comune possano essere difficili da conciliare.

La psicologia sociale offre ulteriori spiegazioni, suggerendo che la tendenza a favorire il proprio gruppo (in-group bias) può essere applicata anche al livello degli stati.

Questo bias porta le nazioni a privilegiare i propri cittadini e interessi sopra quelli degli altri, spesso giustificando tali azioni con la retorica del bene comune, anche quando le politiche adottate possono avere effetti negativi sul resto del mondo .

In ogni caso la storia diplomatica fornisce numerosi esempi di come le nazioni abbiano spesso invocato il concetto di bene comune per giustificare azioni che, in realtà, erano guidate da motivazioni egoistiche.

Questo non significa che il bene comune non possa mai essere un obiettivo sincero, ma piuttosto che la sua invocazione deve essere esaminata criticamente, tenendo conto dei contesti storici e geopolitici specifici.

Questo dovrebbe essere un dovere dei giornalisti, che sarebbero sempre tenuti a fare un’analisi critica delle dichiarazioni degli stati.

 

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Così oggi ci racconta il nostro amico IGNOTO UNO:

 

Gli Stati Uniti a guida Biden assecondati dai leaders europei, Commissione in testa, assai poco attenti al futuro dei propri popoli e molto di più alle logiche di potere di certi ambienti finanziari, erano, almeno ufficialmente, certi di riuscire a far terminare l’autarchia di Vladimir Putin ed a ricondurre, attraverso la sostituzione di questi, la Federazione Russa all’interno del sistema dagli stessi creato per garantirsi il controllo dell’occidente tutto, in pochi mesi, attraverso la guerra in terra di Ucraina.

Operazione politica, a dire il vero, che prendeva inizio già nel 2014, Obama alla Casa Bianca, con la Rivoluzione Ucraina contro il presidente Victor Janukovyč.

Rivoluzione evidentemente “facilitata” da chi allora governava a Washington.

Victor Janukovyč, leader politico filo russo, che, nel 2010, aveva vinto le elezioni battendo Julia Tymosenko che, al contrario, teneva stretti legami con l’occidente.

Tymosenko era colei che, infatti, dichiarava già nel 2008 “la vittoria di Obama ci ispirerà, le capacità di Obama sono ciò di cui il mondo ha bisogno”.

Queste “capacità” il mondo le ha potute vivere sulla propria pelle.

Le tante, troppe, “rivoluzioni democratiche” e il trasbordante desiderio di “esportare la democrazia” dello stesso Obama hanno, oggi lo vediamo e subiamo assai bene, devastato molte regioni del mondo.

Tornando alla martoriata terra ucraina, non possiamo che, sconsolati noi che crediamo nella vita e nella pace, prendere atto che sono passati due anni dal giorno in cui iniziò la,così la hanno denominata al Cremlino, Operazione Speciale, era il 20 febbraio 2021, e i fatti dicono ben altro rispetto a quanto ci è stato raccontato in questi ventiquattro mesi.

Non fosse tragico sarebbe ilare il discorso alla Camera dei Deputati italiana dell’allora Premier Mario Draghi in cui narrava la “vittoria” dell’esercito ucraino sulle forze militari russe e la devastante crisi finanziaria ed industriale della stessa Federazione Russa.

Ovviamente i media nostrani si guardano bene dal riportare alla memoria degli italiani quelle che i fatti, oggi, non possono fare altro che definire quelle affermazioni, a dire il vero assai assertive, come “baggianate”, tantomeno intervistano il diretto interessato, sempre menzionato come “risorsa” per il futuro europeo, con il fine di chiedergli quali fossero le sue fonti per portarlo ad esprimersi pubblicamente in quel modo così fuorviante per le scelte del Parlamento italiano.

Migliaia di morti e feriti, l’Ucraina completamente distrutta, cinque regioni della stessa saldamente sotto il controllo delle truppe russe, esercito ucraino che deve coscrivere nuovi giovani militari, il Capo di Stato Maggiore ne chiede 500mila, e sta terminando sia le armi che le munizioni.

Questa la drammatica realtà.

Nessun leader politico occidentale parla più di tregua e, allo stesso tempo, chi non ha una propensione alla demagogia ed ha una reale competenza nella strategia militare ritiene oramai certa la vittoria russa.

Oltretutto, ben conscio che il detto “l’appetito vien mangiando” vale sempre, le forze militari russe sembrerebbero oramai pronte a prendere il controllo di tutta l’Ucraina e non solo delle regioni russofone che erano, due anni fa, il reale obiettivo di Putin.

Dazioni economiche a favore del governo ucraino, tredici pacchetti di sanzioni alla Federazione Russa hanno assai impoverito tutti gli Stati Europei e, questo vede chi ha avuto modo di viaggiare all’interno della Russia di oggi, non hanno annichilito ne il potere di Putin, ne il sistema socio economico russo.

Un esempio su tanti, l’Italia nel 2023 ha incrementato l’importazione di grano dalla Federazione Russa per più del 1.000%.

Questo è un fatto, un fatto che andrebbe ben tenuto in evidenza da chi, in democrazia si deve ritenere “pro tempore”, è chiamato a decidere per i popoli occidentali, europei in particolare, compresa la Premier Meloni oggi chiamata a presiedere il G7.

Il pensiero che le elezioni presidenziali statunitensi del prossimo novembre e quelle europee di giugno impediscano a chi governa di prendere atto che sia necessario cambiare strategia politica è assai forte in molti analisti politici.

Fosse vero questo, temo che nulla accadrà prima del gennaio 2025 e che la guerra in Ucraina continuerà a uccidere e distruggere lasciando al prossimo presidente statunitense, molto probabilmente Donald Trump, il compito di “sanare” questa “metastasi” causata da un pensiero politico ideologico e non pragmatico.

I mesi che ci separano da quel momento incrementeranno la distruzione non solo dell’Ucraina ma anche delle relazioni politiche fra Stati confinanti all’interno, in particolar modo, dell’area geografica europea.

Senza voler menzionare i danni ai sistemi socio economici degli Stati della UE27.

Impossibile non vedere una diretta correlazione fra le scelte politiche in ordine alla guerra in Ucraina degli Stati Europei ed il fatto, esempio simbolo, che la Germania è entrata in recessione.

Putin è un “autarca”? Certamente sì.

Una domanda, sommessa, però, mi sovviene nel pensare al concetto di “autarchia”.

Giorgia Meloni era già nel 2006 vicepresidente della Camera dei Deputati, Matteo Salvini europarlamentare dal 2004, Antonio Tajani europarlamentare dal 1994.

Tre esempi scelti perché al vertice della nostra amata Italia oggi, se vi diverte continuate voi, sia con altri esponenti di destra che di sinistra o del cosiddetto centro.

Una Italia ove i parlamentari sono “nominati” dai leaders dei rispettivi partiti.

Una Italia ove è impossibile a causa delle norme fatte ad arte partecipare alle elezioni con nuove formazioni politiche.

Una Italia ove i media portano alla ribalta, troppo spesso, esclusivamente una, come oggi si suol definire, “narrazione”, quella di chi attualmente comanda.

Non è “autarchia”, anche, questa?

“Chi è senza peccato scagli la prima pietra” si legge nel Libro.

Ognuno, se amante della libera democrazia, se amante del pensiero logico che prevede che chi vince le elezioni rimanga conseguente al programma che ha proposto in campagna elettorale nella propria azione di governo, sarà libero, se lo vorrà, di riflettere su questa suggestione.

In fondo gli immensi filosofi ateniesi insegnarono, a chi li ha approfonditi sul serio, che per poter affrontare “l’altro”, prima, bisogna “conoscere se stessi”.

Le nazioni possono affrontarsi, confrontarsi, trovare equilibri, esclusivamente se rispettano se stesse.

Le proprie tradizioni, le proprie origini, la propria cultura.

Putin, esattamente seguendo questa traccia, parla di “area russa”, Zelensky riporta le sue scelte alla sua lettura delle “origini dell’Ucraina”, Trump parla di “America first”, difficile vedere un leader europeo di questi tempi fare altrettanto.

L’Europa, ancor più la nostra amata Italia, è ora che ricordi dove trova le sue radici, magari mettendo queste in mani salde che sappiano rispettarle ….. non solo a parole.

Ignoto Uno

 

 

DOSSIER UKRAINA: TOP SECRET




Se usi questa salsa potrai volare!!!!

Riportiamo una giusta domanda che si pone oggi ETTORE LEMBO NEWS, ovvero:

dove vogliamo arrivare?

https://tinyurl.com/yc4ds6y9

 

L’utilizzo di un messaggio popolare ma fuori contesto per la finalità che si vuole ottenere pone l’accento su un tema oggi quanto meno fondamentale: la questione della pubblicità fuorviante.

Questo tema si annida profondamente nelle riflessioni etiche e nelle prassi commerciali, costituendo un terreno di dibattito cruciale per l’integrità del mercato e la protezione dei consumatori.

Quando un messaggio pubblicitario viene considerato fuorviante, ci si riferisce alla sua capacità di indurre in errore attraverso informazioni false o presentate in modo tale da ingannare il ricevente, portandolo a compiere scelte non consapevoli o non pienamente informate.

Questa pratica non solo mina la fiducia tra consumatore e aziende ma solleva anche questioni significative riguardo l’etica commerciale e la responsabilità sociale d’impresa.

Dal punto di vista economico, la pubblicità fuorviante distorce il meccanismo di mercato basato sulla concorrenza leale e sull’informazione.

Nel mercato ideale, i consumatori fanno scelte basate su informazioni accurate e complete, permettendo così una distribuzione efficiente delle risorse e una concorrenza basata sulla qualità e sul valore dei prodotti.

La disinformazione, al contrario, causa una “falla di mercato”, dove i consumatori sono indotti ad acquistare prodotti o servizi che non rispondono alle loro aspettative o necessità, con conseguente insoddisfazione e potenziale danno economico.

Sul piano sociale, la pubblicità fuorviante erode la fiducia dei consumatori non solo nei confronti delle singole aziende ma dell’intero sistema commerciale.

In un’era caratterizzata da una crescente sensibilizzazione sui diritti dei consumatori e sull’importanza della trasparenza, pratiche pubblicitarie ingannevoli possono avere un impatto negativo sull’immagine e sulla reputazione delle aziende, generando un clima di sfiducia che va oltre il singolo atto di acquisto.

Questo può portare a una maggiore regolamentazione da parte delle autorità pubbliche, con l’introduzione di normative più stringenti sulla pubblicità e sul marketing.

Dal punto di vista etico, la pubblicità fuorviante solleva questioni fondamentali sulla responsabilità delle aziende nei confronti dei loro stakeholder, inclusi consumatori, società e ambiente.

Nel contesto della responsabilità sociale d’impresa, le aziende sono chiamate a operare non solo con l’obiettivo di massimizzare il profitto ma anche di contribuire positivamente al benessere della società.

La pratica di diffondere messaggi pubblicitari ingannevoli si pone in netto contrasto con questi principi, poiché manifesta un disinteresse verso l’integrità e il benessere del consumatore, privilegiando invece l’obiettivo di massimizzazione delle vendite a breve termine.

Dal punto di vista pedagogico, l’educazione al consumo critico rappresenta un aspetto fondamentale nella formazione dell’individuo moderno.

In un’epoca caratterizzata da un bombardamento continuo di messaggi pubblicitari, è essenziale sviluppare competenze critiche che permettano di analizzare, valutare e comprendere i messaggi pubblicitari, distinguendo quelli affidabili da quelli fuorviante.

Questo approccio pedagogico non solo prepara l’individuo a difendersi dalle pratiche commerciali ingannevoli ma promuove anche un consumo più consapevole e responsabile, in linea con i principi di sostenibilità e di etica.

In conclusione, la gravità di diffondere un messaggio pubblicitario fuorviante risiede non solo nelle sue immediate conseguenze economiche e sociali ma anche nelle sue ramificazioni etiche e pedagogiche.

La lotta contro la pubblicità ingannevole richiede un approccio multidisciplinare che coinvolga legislatori, aziende, educatori e consumatori, ciascuno con il proprio ruolo nella promozione di pratiche commerciali etiche e trasparenti.

La realizzazione di un mercato basato sulla fiducia e sull’integrità non è soltanto un obiettivo etico ma una necessità pratica per lo sviluppo sostenibile dell’economia e della società.




Biden: Putin? un pazzo figlio di puttana…

Epiteti dei “potenti” o presunti tali, alla faccia della diplomazia!

Viene riportato dalla stampa che il Presidente degli Stati Uniti Joe Biden, durante un evento elettorale a San Francisco, avrebbe dichiarato che “Dobbiamo occuparci di un pazzo figlio di puttana come Putin e preoccuparci della guerra nucleare, ma la vera minaccia esistenziale per l’umanità è il cambiamento climatico”.

Premesso che se il governatore della Regione Campania apostrofa con la parola “stronza” la Premier italiana i commenti sono al calor bianco e se il presidente degli Stati Uniti da del “figlio di puttana” al presidente russo non accade praticamente niente, questa volta, è da tempo che non succede, al netto dell’insulto assai gratuito alla signora Putin, fatto ancor più grave e politicamente sconveniente dell’epiteto contro la Premier italiana, Biden, suo malgrado, dice qualcosa di interessante.

Dice, infatti, che “la vera minaccia esistenziale per l’umanità è il cambiamento climatico” mentre si rischia la guerra nucleare, lasciando così intendere che i normali cittadini non hanno chiaro quali debbano essere le reali priorità del momento.

Di questo possiamo incolpare i media?

Certamente sì.

Questo accade quando gli interessi e la ideologia dominano sulla famosa “notizia”.

Biden dice, questo a me sembra, che il “cambiamento climatico” è un tema “secondario” di fronte al rischio imminente di catastrofe nucleare.

Dice che il mondo è sul limite di una guerra nucleare!

Il Presidente Biden afferma questo e, al posto di costruire un percorso di pace basato su un accordo di moratoria sulle armi nucleari, chiede al Congresso Statunitense ulteriori somme per armare l’Ucraina e stimola l’Unione Europea a fare altrettanto.

Difficile comprendere la sua logica.

Difficile soprattutto allorquando gli esperti militari non sono così convinti che la Russia stia perdendo la guerra.

Ne quella militare, ne quella socio economica.

I quotidiani italiani del 22 febbraio riportavano il paradosso delle enormi importazioni di grano che la nostra industria sta facendo dalla Russia, sopra il 1.000% in più degli anni precedenti.

Ci sarebbe da chiedersi come facciano i russi a “morire di fame” se possono incrementare le loro esportazioni di beni alimentari primari in questo misura.

Altro ilare tema è quello delle sanzioni.

Per comprendere quanto siano ridicole consiglio di passare un bel week end culturale a Mosca o a San Pietroburgo.

Troverete negozi pieni di merci occidentali.

Troverete gente che vive esattamente come prima della guerra in Ucraina e che si lamenta dell’inflazione esattamente come sono costretti a fare gli occidentali.

Troverete gente che ti chiede perché non si siedono tutti i potenti ad un tavolo per costruire una pace duratura esattamente come lo chiedo io e la maggioranza degli italiani.

Troverete gente che vorrebbe tornare a poter viaggiare a prezzi accessibili e senza dover fare il giro del mondo perché mancano le rotte, esattamente come facevano prima della guerra, esattamente come vorrebbero riprendere a poter fare gli occidentali tutti.

Statunitensi, europei e russi, quelli del cosiddetto ceto medio, si sono stancati di vivere male perché pochi potenti vogliono arricchirsi attraverso questa guerra.

Molti si chiedono se tutti quei soldi di cui si sente tanto parlare arrivano veramente in Ucraina o prendano altre direzioni, magari quelle dei paradisi fiscali e bancari.

Sarà, forse, per queste domande che quasi la metà degli italiani vorrebbe rivedere il Presidente Donald Trump alla Casa Bianca, quando c’era lui vivevamo tutti bene ed in pace.

Per fortuna, questo sembrerebbe proprio, sta tornando.

Sabato parlerà al CPAC in Virginia, qualcuno pensa che inizierà a dettare la linea, certamente lo ascolteranno molte delegazioni straniere, alcune capiranno che il mondo di oggi non prevede il tenere i piedi in tutte le staffe.

Ignoto Uno

 

 

da ettorelembonews