Interferenza ed Imprinting: i pilastri dell’apprendimento efficace

 

Quando occorre ragionare su un metodo didattico o sul percorso educativo di una classe o di un singolo discente è obbligatorio fare una valutazione d’insieme che tenga conto di molteplici fattori legati al nostro “alunno”, vi sono fattori sociali, personali, emotivi, di contesto, ma in primis occorre valutare e ragionare su due pilastri importanti che poi a ruota legano tutti gli altri, Interferenza ed Imprinting.

Cerchiamo di capire quali differenze vi siano tra le due categorie nelle seguenti poche righe.

L’interferenza è un concetto chiave nella psicologia dell’apprendimento e della memoria ed è importante comprenderlo quando si tratta di ottimizzare il processo di studio.

L’interferenza si riferisce al fenomeno in cui l’apprendimento o la memorizzazione di nuove informazioni è ostacolato o influenzato negativamente dalla presenza di informazioni precedenti o simili.

Questo può avere un impatto significativo sullo studio.

Ecco come l’interferenza può influenzare l’apprendimento e cosa si può fare per gestirla, ovviamente occorre distinguere i differenti tipi di casus di fronte ai quali ci troviamo.

Potremmo partire con l’interferenza retroattiva, che spesso si verifica quando le nuove informazioni ostacolano la memoria delle informazioni precedenti.

Ad esempio, se stai studiando materiale nuovo prima di un esame, potresti dimenticare alcune delle informazioni che hai appreso in precedenza.

Per gestire l’interferenza retroattiva, è utile prendere delle pause durante lo studio per consolidare le informazioni apprese in precedenza.

La ripetizione spaziata, in cui si ripassa il materiale in intervalli di tempo sempre più lunghi, può aiutare a contrastare questo tipo di interferenza.

Nemmeno da sottovalutare l’incidenza dell’interferenza proattiva che si verifica quando le informazioni precedenti ostacolano la memorizzazione di nuove informazioni.

Ad esempio, se hai già imparato un elenco di parole in una lingua straniera e stai cercando di apprendere un nuovo elenco di parole, le parole precedenti potrebbero influenzare la tua capacità di ricordare quelle nuove.

Per gestire l’interferenza proattiva, è utile cercare di separare le informazioni simili nel tempo o nello spazio.

Ad esempio, puoi studiare il materiale relativo a una lezione precedente in una stanza diversa rispetto a quella in cui stai studiando il nuovo materiale.

La nostra mente poi spesso cade nell’interferenza delle informazioni simili.

Le informazioni che sono simili tra loro, come concetti o fatti correlati, possono generare interferenza.

Per gestire questo tipo di interferenza, è importante fare chiarezza tra le informazioni simili.

Puoi farlo creando mappe concettuali, riassunti o diagrammi che evidenziano le differenze tra le informazioni simili.

Vi sono differenti strumenti per aiutare il nostro cervello ad evitare i problemi di interferenza, tra i primi citiamo la variazione delle fonti di apprendimento.

Utilizzare diverse fonti di apprendimento e approcci di studio può aiutare a ridurre l’interferenza.

Ad esempio, se stai studiando per un esame di storia, potresti leggere un libro di testo, guardare video didattici e partecipare a discussioni di gruppo.

Questo approccio può aiutare a creare una variazione nell’apprendimento, riducendo così l’interferenza tra le diverse fonti di informazione.

Ma non basta, occorre affiancare alla variazione delle fonti anche una attività di Test frequenti.

Il testing frequente, o il quiz di sé stessi, può aiutare a identificare le informazioni che sono soggette a interferenza.

Quando ti testi su ciò che hai appreso, puoi scoprire quali informazioni potrebbero essere state influenzate dall’interferenza e quindi concentrarti su di esse durante lo studio successivo.

 In estrema sintesi, l’interferenza può essere una sfida nell’apprendimento e nello studio, ma ci sono diverse strategie che si possono utilizzare per mitigarla.

Queste strategie includono la gestione del tempo e dello spazio tra le informazioni simili, la variazione delle fonti di apprendimento ed il testing frequente per identificare le lacune nella memoria.

Non di così facile analisi invece è il concetto di imprinting che, già da subito, deve essere osservato ed analizzato in modo differente in base che si tratti di comportamento animale o umano.

L’imprinting è un concetto chiave nello studio del comportamento animale, in particolare degli uccelli e dei mammiferi precoci come anatre, oche e alcune specie di mammiferi come gli agnelli.

L’imprinting è un processo attraverso il quale i giovani animali sviluppano un forte legame con la prima figura che incontrano, spesso la madre o una figura materna sostitutiva.

Questo legame è solitamente stabilito nelle prime fasi della vita del giovane e può influenzare significativamente il comportamento futuro dell’animale.

Vi sono differenti stati dell’imprinting animale, tra cui è opportuno considerare la sensibilità temporale del fenomeno.

L’imprinting è più probabile che si verifichi durante un periodo specifico, noto come “periodo sensibile” o “periodo critico”.

Durante questo periodo, il giovane animale è particolarmente suscettibile a formare un legame con la figura materna.

La sensibilità temporale può variare tra le specie, ma solitamente si verifica nelle prime ore o giorni di vita.

Altro elemento chiave del fenomeno è la stabilità del legame, che, una volta stabilito, tende a essere molto forte e duraturo, infatti gli animali imprinteranno su quella figura materna e tenderanno a seguirla, cercarla e sviluppare un forte attaccamento emotivo.

Come valore assoluto il fenomeno ha una funzione di sopravvivenza importante.

Per molti animali, la madre fornisce cibo, protezione e insegnamenti essenziali per la sopravvivenza.

L’imprinting, in effetti ed a pensarci bene, garantisce che i giovani animali seguano e rimangano vicino alla madre, aumentando così le loro possibilità di sopravvivenza.

L’imprinting è spesso specie specifico, il che significa che un giovane animale imparerà a riconoscere e ad attaccarsi a individui della sua stessa specie.

Ad esempio, un pulcino di anatra imprinterà su un’altra anatra, non su un essere umano o su un animale di un’altra specie, anche se tolto dall’ambiente di riferimento il cucciolo può cambiare la specie di imprinting.

Lo studio dell’imprinting ha fornito importanti insight sullo sviluppo del comportamento animale e sulla psicologia comparata.

Il biologo Konrad Lorenz è stato uno dei pionieri nello studio dell’imprinting e ha condotto ricerche fondamentali su anatre e oche.

L’imprinting è stato utilizzato in alcune applicazioni pratiche, come il rilascio di animali selvatici allevati in cattività.

Ad esempio, i giovani uccelli possono essere “imprintati” su un pilota ultraleggero e guidati nella migrazione per migliorare il loro successo nella natura.

 In sintesi, l’imprinting è un processo comportamentale cruciale nei giovani animali che contribuisce alla loro sopravvivenza e all’adattamento al loro ambiente.

È uno dei modi in cui gli animali apprendono a riconoscere e a legarsi alle figure materna o caregiver durante le prime fasi della loro vita.

 Nell’uomo, il concetto di “imprinting” viene utilizzato in un contesto diverso rispetto a quello degli animali.

L’imprinting umano non riguarda solo il legame instaurato con una figura materna o caregiver nelle prime fasi della vita, come avviene negli animali, ma invece fa più riferimento a un processo di apprendimento e sviluppo in cui gli individui acquisiscono conoscenze, schemi di pensiero o comportamenti specifici attraverso l’osservazione e l’interazione con figure di riferimento.

Uno degli esempi più evidenti di imprinting nell’uomo è l’apprendimento del linguaggio.

I bambini acquisiscono la lingua materna attraverso l’osservazione e l’interazione con i genitori, i membri della famiglia e le persone che li circondano nelle prime fasi della vita.

Questo processo è essenziale per lo sviluppo delle capacità di comunicazione.

 Gli individui imparano i valori, le norme sociali e le abitudini culturali attraverso l’interazione con la loro comunità e la loro cultura di appartenenza.

Questo tipo di imprinting aiuta a plasmare la moralità ed il comportamento sociale delle persone.

Molte persone acquisiscono le loro credenze religiose e spirituali da figure di riferimento, come genitori, familiari o leader religiosi, attraverso insegnamenti, cerimonie e pratiche rituali.

 L’osservazione e l’interazione con figure di riferimento possono influenzare lo sviluppo di schemi di comportamento specifici.

Ad esempio, i bambini possono imparare a rispettare l’autorità, la gentilezza o l’altruismo attraverso il comportamento dei loro genitori o dei loro modelli di riferimento.

I giovani spesso sviluppano interessi e passioni basati su ciò che vedono o sperimentano nell’ambiente che li circonda.

Un bambino, infatti, potrebbe sviluppare un interesse per la musica se è stato esposto a strumenti musicali o a esibizioni musicali in tenera età.

L’apprendimento sociale è un processo attraverso il quale le persone imparano dagli altri attraverso l’osservazione e l’imitazione.

Questo tipo di imprinting si verifica quando le persone apprendono nuove abilità o comportamenti osservando gli altri.

Gli individui spesso sviluppano modelli di ruolo basati su figure di riferimento che ammirano o rispettano.

Questi modelli di ruolo possono influenzare le aspirazioni e le scelte di carriera.

È importante notare che l’imprinting nell’uomo è influenzato da una serie di fattori, tra cui la cultura, l’ambiente familiare, la comunità di appartenenza e l’esperienza individuale.

Non è un processo rigido come quello osservato negli animali e può variare notevolmente da persona a persona.

Ma proprio perché l’uomo è più complesso e possiede capacità analitiche ed astrattive più alte che ilr esto del mondo animale, ci piace considerare una ulteriore forma di imprinting ovvero l’imprinting educativo.

Quest’ultimo è un termine che può essere utilizzato per descrivere il processo attraverso il quale gli individui acquisiscono idee, valori, credenze e atteggiamenti specifici durante la loro educazione e sviluppo.

Questo processo è spesso influenzato dalle figure di autorità, dai modelli di riferimento e dalle esperienze educative che una persona ha durante la sua crescita e formazione.

I genitori svolgono un ruolo fondamentale nell’imprinting educativo dei loro figli, perché oltre a formare le prime figure di riferimento in un certo senso formano anche l’ambiente in cui il giovane si muove fin dalla tenera età.

Le loro azioni, i loro valori, le loro aspettative e il loro stile di genitorialità possono influenzare in modo significativo lo sviluppo dei bambini che come tutti i cuccioli non solo umani, tendono a copiare le figure adulte nella certezza che nell’ambiente a loro non ancora conosciuto, il comportamento delle figure adulte sia quello adatto alla sopravvivenza.

Ecco quindi che l’ambiente in cui un individuo cresce può avere un impatto duraturo sul suo imprinting educativo, in congiunzione con le figure di riferimento che vi si muovono all’interno.

Ad esempio, una famiglia che promuove l’apertura al dialogo e la comunicazione aperta può influenzare positivamente l’atteggiamento dei bambini verso la comunicazione.

L’istruzione formale in scuole e istituti possono essere una fonte importante di imprinting educativo.

Gli insegnanti, i programmi scolastici e le esperienze accademiche possono contribuire a plasmare le opinioni e le abilità degli studenti, specie perché divengono in fase di apprendimento educativo e non esperienziale schemi e modelli.

La cultura di appartenenza e la società in cui si vive svolgono un ruolo cruciale; infatti le norme sociali, i valori culturali e le aspettative della comunità possono influenzare ciò che viene considerato importante e appropriato nell’educazione.

All’interno di questo crogiolo educante i mezzi di comunicazione di massa, inclusi la televisione, i social media e Internet, hanno un forte impatto sull’imprinting educativo, spesso dannoso perché avulsi dal contesto educativo di riferimento in cui si muove il giovane.

In realtà molto spesso questi strumenti diventano elemento di ribellione rispetto al contesto educativo in essere, creando notevoli danni in quanto incontrollabili ma soprattutto non sotto il controllo dei responsabili educativi.

L’imprinting educativo non è un processo statico, infatti le persone possono continuare a imparare, adattarsi e cambiare le loro convinzioni e i loro valori nel corso della vita in risposta a nuove esperienze ed esposizioni.

In sintesi, l’imprinting educativo è il processo attraverso il quale le persone acquisiscono le loro conoscenze, le loro credenze e i loro valori durante la loro crescita e formazione lungo tutto l’arco di vita.

Questo processo è influenzato da una varietà di fattori, tra cui l’ambiente familiare, l’educazione formale, la cultura, i modelli di riferimento e le esperienze personali.

In conclusione di questa prima analisi appare evidente che la definizione di un modello educativo debba tenere in considerazione una pletora di variabili e di elementi statici che proprio perché tali, spesso influenzano le variabili presenti, obbligando a cambi di modelli ed all’inserimento di nuovi algoritmi educativi.

Solo con una attenta considerazione di tutti questi elementi sarà possibile definire percorsi efficaci di apprendimento.




Ribellione e patto educativo, strumenti intelligenti per i genitori (ed anche per i docenti).

Spesso non riusciamo a comprendere i modelli di ribellione che portano avanti i giovani, e la conseguenza di questa incomprensione viene poi riassunta dalla ormai celebre frase ” … con tutto quello che ho fatto per te…”, frase evidentemente inadatta ad un dialogo costruttivo, ma solo ad una serie di conseguenze da incriminatori, che porta poi ad una necessaria frase di ritorno “… e chi te l’ha chiesto…”.

Il comportamento di ribellione nei giovani è un fenomeno complesso che può essere influenzato da molteplici fattori psicologici, sociali ed emotivi molti non alla portata della comprensione della famiglia, ma questo comportamento è una parte normale dello sviluppo adolescenziale, e può variare notevolmente da individuo a individuo, da contesto a contesto, da ambiente educativo ad ambiente educativo.

Servono tre chiavi per aprire questo scrigno del tesoro dei giovani, la prima è un ascolto intelligente, aperto e senza sovrastrutture, la seconda una necessaria ed inevitabile dote di comprensione dell’altrui problema: inutile guardare agli altri con il filtro della nostra esperienza (… se negli occhi l’altrui affanno tu potessi rimirar, quanti che or invidia fanno, ti farebbero pietà … Metastasio) perché non capiremmo, e comunque non a fondo, non pienamente, per l’altro, ricordiamocelo, il suo problema è comunque più importante del nostro, anche solo perché è il suo; la terza una buona capacità analitica e rielaborativa, un pensiero positivo continuo che avvolga il giovane in una tunica di affetto comprensione e saggezza esercitando un dialogo costruttivo e pertanto chiaro ed illustrativo.

Ma cerchiamo di fare due riflessioni, durante l’adolescenza, i giovani stanno cercando di sviluppare la propria identità e autonomia, tanto che la ribellione può essere un modo per affermare l’indipendenza e cercare di capire chi sono.

I giovani di solito cercano di sperimentare con comportamenti ribelli parte del loro processo di esplorazione, questo può includere esperimenti con abbigliamento, musica, stili di vita e scelte sociali non conformi alle aspettative degli adulti, proprio perché il conflitto tra giovani e adulti è spesso un aspetto normale dell’adolescenza.

Gli adolescenti in generale cercano di ribellarsi contro le regole imposte dai genitori o dall’autorità come parte di questo processo, proprio perché regole non fatte da loro e comunque poco chiare e comprensibili, specie alla luce della scarsa quantità di esperienza e quindi di informazioni che un giovane possiede rispetto ad un adulto.

Può essere una colpa questa inclinazione giovanile? Ma proprio per niente, anzi è un valore positivo (ovviamente fino a quando non diventa un comportamento patologico che sfocia in forme di dipendenza), ed è in realtà un comportamento da appoggiare e sostenere perché fortemente bisognoso di informazioni, e  quindi positivo.

La ribellione diviene pertanto un indicatore di disagio informativo da parte dei nostri ragazzi, che deve essere affrontato non solo dai genitori ma anche dalla parte educativa (scuola) in cui il ragazzo si trova.

Noi stessi (adulti) quando non abbiamo risposte o siamo a disagio in una situazione generiamo forti segnali che vanno dallo stress all’irritazione, sfociando spesso anche in forme di malattie e comunque, in ogni caso, manifestiamo comportamenti emotivi anomali.

Ora proviamo a pensare a come affrontino i ragazzi certe situazioni (dalle separazioni famigliari, a lutti, ma anche solo a cambi di realtà sociale, come trasferimenti et similia) senza tutto il set informativo che noi invece già possediamo, o che siamo in grado di recuperare.

Ecco perché prima parlavamo di una tunica di affetto, comprensione e saggezza, perché questi sono i meccanismi necessari per poter instaurare un dialogo; anche noi cerchiamo affetto e comprensione quando abbiamo un problema e se non lo troviamo nelle persone che per noi sono dei punti di riferimento ecco che anche per noi scatta l’irritazione.

Le tre chiavi di cui parlavamo sono il vero grimaldello per aprire quella serratura che a volte ci sembra peggio di Fort Knox.

In ogni caso dobbiamo anche considerare che i coetanei possono esercitare una forte influenza sul comportamento dei giovani, così come l‘appartenenza a gruppi sociali o sottoculture che può portare a comportamenti ribelli con l’obiettivo di adattarsi o distinguersi dagli altri.

Talvolta, il comportamento ribelle può essere una reazione a situazioni stressanti, traumi passati o problemi emotivi non risolti.

Gli adolescenti durante questo turbine emotivo, anche solo come messa a terra di emozioni ingovernabili, possono cercare sensazioni forti e stimoli emozionanti.

Questa ricerca di eccitazione può portare a comportamenti estremi come l’uso di droghe, l’abuso di alcol o il coinvolgimento in comportamenti a rischio.

La ribellione può servire come una sorta di meccanismo di coping per affrontare queste difficoltà.

È importante notare, come già detto, che la ribellione nei giovani non è sempre negativa o dannosa, ma lo è la sua mancata “gestione” da parte degli adulti.

Può essere un mezzo attraverso il quale gli adolescenti esplorano il mondo, sviluppano una maggiore consapevolezza di se stessi e delle loro convinzioni, e acquisiscono capacità di gestione del conflitto.

L’ascolto attento, il sostegno emotivo ed un dialogo sincero da parte degli adulti possono anche aiutare a mitigare i conflitti durante questa fase dello sviluppo.

Durante questa crescita dei giovani, ribellione o meno, subentra un tema importante che sottende al dialogo tra generazioni che è l’unico vero strumento educativo oggi disponibile, ovvero la condivisione del sistema di rispetto delle regole, aspetto importante della pedagogia e dell’educazione.

I Genitori e gli educatori possono utilizzare diversi strumenti e metodi per insegnare ai loro ragazzi il rispetto delle regole in modo efficace, primo tra tutti è fondamentale comunicare chiaramente le regole e le aspettative ai ragazzi.

Qui è fondamentale la collaborazione tra scuola e famiglia, perché le regole devono essere regole di vita e pertanto applicabili dai ragazzi in tutto il loro ambiente, non solo in una parte, pur grande che sia.

Queste definizioni delle regole devono coinvolgere i ragazzi, aumentando il loro senso di responsabilità permettendo in tal modo che le regole siano condivise, comprensibili e comunicate in modo coerente a tutti.

Creare contratti comportamentali con i ragazzi in cui vengono definiti chiaramente i comportamenti attesi e le conseguenze per il mancato rispetto delle regole diviene strumento abilitante per il superamento di quelle tensioni che nascono dall’incomprensione e dalla mancata condivisione degli obiettivi finali.

Esistono alcune indicazioni che esterniamo sinteticamente:

  • Utilizzare risorse visive come poster, cartelloni o diagrammi per illustrare le regole in modo chiaro e visivo.
  • Gli educatori possono agire da modelli di ruolo, dimostrando il rispetto delle regole e delle norme comportamentali.
  • Gli studenti spesso imparano attraverso l’osservazione e l’imitazione.
  • Condurre discussioni in classe o attività di riflessione sugli obiettivi delle regole e sul loro significato.
  • Chiedere agli studenti di condividere le loro opinioni sulle regole e come possono contribuire al benessere della comunità.
  •  Assicurarsi che le conseguenze per il mancato rispetto delle regole siano appropriate e proporzionate.
  • Le conseguenze dovrebbero essere chiaramente definite in anticipo in modo che gli studenti siano consapevoli delle conseguenze delle loro azioni.
  • Ricompensare e riconoscere il comportamento positivo e il rispetto delle regole.
  • Gli incentivi positivi possono motivare gli studenti a seguire le regole.
  • Quando gli studenti partecipano alla creazione delle regole, sono più propensi a rispettarle.
  • Insegnare agli studenti i principi di giustizia e equità, in modo che comprendano l’importanza di rispettare le regole per garantire un trattamento equo per tutti.
  • Utilizzare storie, esempi e scenari reali o immaginari per illustrare i concetti di rispetto delle regole e le conseguenze del mancato rispetto.
  • Offrire consulenza e supporto agli studenti che possono avere difficoltà nel rispettare le regole a causa di problemi personali o emotivi.

L’ascolto e il sostegno possono aiutare gli studenti a comprendere meglio l’importanza del rispetto delle regole, di conseguenza è importante adattare gli strumenti e gli approcci all’età, alle esigenze e alle circostanze specifiche degli studenti.

Inoltre, il dialogo aperto tra educatori, studenti e genitori può contribuire a rafforzare il rispetto delle regole all’interno di una comunità educativa.




Adolescenti, stupri, alcol, violenza, ma che generazione è questa?

L’adolescenza è un periodo di transizione cruciale nella vita di ogni individuo, caratterizzato da cambiamenti fisici, emotivi e psicologici.

Durante questo periodo, i giovani cercano di definire la propria identità e di comprendere il proprio ruolo nella società.

Tuttavia, spesso si riscontra un crescente disagio giovanile, che può essere attribuito in gran parte alla mancanza di regole chiare e coerenti.

Sicuramente la moderna società educante ha fallito nel definire i meccanismi e le regole che la nuova generazione poteva fare propri; di sicuro non è stata aiutata da un eccessivo liberismo, da un politically correct che spesso ha invece come risultato una confusione indotta, una spersonalizzazione dell’individuo che lo estrania da tutte le responsabilità sociali.

Ragioniamo su come l’interconnessione tra il disagio giovanile e la mancanza di regole, analizzando le cause e gli effetti di questa situazione, sia strumento importante per trovare soluzioni efficaci.

Le regole e le strutture forniscono ai giovani un senso di stabilità e di orientamento, specie se queste fanno parte della loro vita sin da subito.

Abituare i giovani ad affrontare un mondo di regole ed a comprenderle è in realtà il passo genitoriale fondamentale per dare un futuro ai giovani.

L’età giusta è: fin da subito.

Quando mancano regole adeguate, i giovani possono sentirsi smarriti e confusi, e questo avviene in tutti gli stadi della vita, perché le regole evolvono con la crescita del ragazzo.

Per poter essere efficaci e costanti noi dobbiamo considerare che il concetto di regola è in realtà una struttura composta: semplificando la regola ha alla base un principio etico e come risultato un comportamento attuato.

Non basta pertanto dire non fare così, perché i meccanismi analitici del cervello dei ragazzi, oggi sempre più stimolati da una tecnologia molto invasiva, prendono frase e contesto (anche se a noi non sembra) e ne analizzano tutte le strutture presenti giudicandole istantaneamente fino a decidere se seguire o meno le indicazioni ricevute.

Ecco, pertanto, che le regole divengono non sono solo limitazioni imposte dall’esterno, ma devono fungere da guida interiore per aiutare i giovani a comprendere i confini dell’accettabile e sviluppare un senso di responsabilità.

La mancanza di regole può portare di conseguenza ad una sensazione di anarchia, dove i giovani possono sentirsi persi e indifesi, ma soprattutto giustificati su qualsiasi cosa.

La mancanza di regole nella vita dei giovani può derivare da diverse fonti.

La società moderna spesso promuove l’individualismo e la libertà personale, che possono essere interpretati dai giovani come un’assenza di limiti.

Inoltre, le famiglie possono essere sovraccariche di impegni e stress, il che può portare a una scarsa applicazione di regole coerenti e spesso non hanno gli strumenti adatti per intervenire nei confronti di una generazione che ha perso valori come rispetto e empatia.

Le istituzioni educative spesso si indirizzano maggiormente sul curriculum accademico piuttosto che sull’educazione sociale ed emotiva, lasciando un vuoto nella formazione dei giovani.

La mancanza di regole adeguate sfocia in un grave disagio giovanile, con diverse modalità.

Senza regole, i giovani sperimentano una mancanza di struttura nella loro vita quotidiana, portando a una scarsa gestione del tempo e all’incapacità di stabilire obiettivi realistici.

Inoltre, la mancanza di regole può aumentare il rischio di comportamenti anomali o devianti, come l’abuso di sostanze o la delinquenza giovanile, poiché i giovani potrebbero sentirsi liberi dalle conseguenze delle loro azioni.

La spersonalizzazione dell’identità personale verso le responsabilità è uno degli atti più gravi che la società educante può generare verso le giovani generazioni.

La mancanza di regole o meglio la loro mancata metabolizzazione nella crescita del giovane, porta poi alla partecipazione a fatti gravi magari collettivi (come le azioni delle bande) o individuali (bullismo etc.) che vengono perpetrati senza nessuna consapevolezza oggettiva; salvo poi stracciarsi le vesti davanti all’indignazione popolare.

Per affrontare il disagio giovanile derivante dalla mancanza di regole, è essenziale un approccio olistico.

Le famiglie possono svolgere un ruolo cruciale nell’instaurare regole chiare e consistenti, fornendo supporto emotivo e comunicando apertamente con i loro figli.

Le scuole dovrebbero integrare maggiormente l’educazione sociale ed emotiva nel curriculum, in modo da aiutare i giovani a sviluppare competenze di vita essenziali.

La società nel suo complesso può promuovere un equilibrio tra libertà individuale e responsabilità sociale, fornendo opportunità strutturate per il coinvolgimento dei giovani nella comunità.

Il disagio giovanile legato alla mancanza di regole è un problema complesso che richiede un approccio multifattoriale.

L’equilibrio tra libertà individuale e regole ben definite è fondamentale per il benessere dei giovani.

Fornire loro una guida strutturata durante l’adolescenza può contribuire a formare individui responsabili, consapevoli e ben adattati che affrontano le sfide della vita con fiducia.




Memorie bestiali a Londra

Documentare il mondo naturale

La British Library ha presentato la mostra dal titolo “Documentare il mondo della natura” (“Documenting the Natural World”) 

2)Locandina della mostra. Foto di Vittoria Bacch

La mostra è rimasta attiva dal 21 aprile al 28 agosto.

La mostra riunisce secoli di documentazione umana sugli animali.

Attraverso più di 100 manoscritti, opere d’arte e registrazioni sonore il percorso espositivo ha raccontato l’amore che l’umanità ha per la bellezza del mondo naturale.

Le opere rivelano anche la vasta diversità di specie di animali di tutte le parti del mondo.

Dal British Museum alla British Library al nuovo edificio a Euston road

La British Library è una delle più importanti biblioteche di ricerca al mondo e vanta un patrimonio di più di 150 milioni di documenti e 13 milioni di nuove raccolte ogni anno.

È stata resa accessibile nel 1973; in precedenza, faceva parte del British Museum che divenne poi il principale fornitore dei beni della nuova biblioteca.

A partire dal 1997 le raccolte vengono unite tutte in un unico edificio di nuova costruzione che si trova a Euston road nei pressi della stazione ferroviaria di St. Pancras, dove arrivano i treni provenienti da Parigi.

La nuova biblioteca fu progettata dall’architetto Colin St. John Wilson proprio al fine di riunire tali raccolte in un unico luogo.

Si tratta del più grande edificio pubblico costruito nel regno unito nel XX secolo.

2)La British Library. Foto di Vittoria Bacchi.
La British Library.

La biblioteca del re

Al centro dell’edificio si trova una torre di vetro di sei piani contenente la The King’s Library (“La biblioteca del re”).

In questa torre di vetro sono custoditi 65.000 volumi stampati e altri opuscoli, manoscritti e mappe raccolti dal re Giorgio III tra il 1763 ed il 1820.

Contiene inoltre una raccolta di beni storici internazionali alcuni dei quali risalgono al 300 ac.

 

L’amore dell’umanità per il mondo animale

Gli animali hanno affascinato l’umanità per secoli

Gli uomini hanno sempre cercato di capire meglio il nostro ambiente naturale.

La documentazione di animali e piante attraverso la catalogazione rappresenta il modo più semplice e funzionale per esplorare e conoscere questo mondo.

L’arte e la scienza unite per comprendere il mondo animale

Gli animali, nel corso dei secoli, sono stati documentati in molti modi, attraverso le registrazioni sonore, le illustrazioni e le descrizioni scritte.

Il percorso espositivo offre una visione unica sulle tecniche utilizzate per documentare il mondo animale.

L’intento della mostra è esplorare l’amore per il mondo animale attraverso la scienza, l’arte e la musica.

 

Differenti modi di rappresentare e studiare gli animali

È la prima grande mostra che documenta i differenti modi con i quali gli animali sono stati descritti, rappresentati e registrati.

In primis l’arte, con dipinti, raffigurazioni, disegni, illustrazioni.

Poi le fotografie e i filmati.

Esposti in mostra, ad esempio, le prime fotografie degli animali dell’Antartico

Poi la musica, i racconti, i romanzi, le poesie.

E quindi la scienza, con gli studi approfonditi sui vari aspetti del mondo animale, dall’anatomia, alla medicina, allo studio del comportamento.

Arte, scienza e suoni vengono mostrati simultaneamente dal percorso espositivo.

Numerosi gli animali documentati

La mostra offre un vasto panorama di documentazione animale.

Dalle specie più piccole ai mammiferi più grandi, dalle profondità degli oceani, alle cime delle montagne.

Sono esposti più di 100 opere tra manoscritti, raffigurazioni, registrazioni sonore.

Elefanti.-Antico-manoscritto.-Foto-di-Vittoria-Bacchi
Elefanti. Antico-manoscritto

Antico-manoscritto-con-serpenti.-Foto-di-Vittoria-Bacchi
Antico manoscritto con serpenti.

La scienza e l’arte a confronto

La mostra mette in evidenza come l’arte e la scienza si siano unite per capire il mondo animale.

Le illustrazioni degli animali, ad esempio, hanno aiutato gli scienziati a comprendere le varie specie, il loro aspetto e il loro comportamento.

Ad titolo esemplificativo una antica mappa migratoria di 67 uccelli esposta in mostra.

5Mappa-migratoria-di-67-uccelli.-Foto-di-vittoria-Bacchi-
Mappa migratoria di 67 uccelli.

L’arte ha anche offerto una finestra sulla relazione dell’uomo con il mondo animale, come nel caso dei dipinti che rappresentano gli animali come compagni dell’uomo.

Arte, scienza e suoni attraverso i secoli

Le tappe della esposizione ci portano in un viaggio attraverso i secoli.

Offrono una vasta gamma di documentazione, dai primi manoscritti alle opere d’arte più recenti.

 

I papiri dell’antica Grecia

Il viaggio parte dall’antica Grecia.

Un antico papiro, ad esempio, descrive nel dettaglio le abitudini canine dell’accoppiamento.

Le registrazioni sonore

Numerose le registrazioni sonore degli animali.

In particolare, uccelli, ma anche ippopotami, felini, animali notturni.

Regisrazioni-sonore-di-ippopotami.-Foto-di-Vittoria-Bacchi-
Registrazioni sonore di-ippopotami.

 

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Registrazioni sonore di uccelli.

Animali estinti e antichi manoscritti

La mostra offre anche una rara testimonianza sugli animali estinti o in via di estinzione.

 

Uccelli estinti: il picchio dal becco d’avorio

Esposto in mostra un antico manoscritto con una pagina raffigurante il picchio dal becco d’avorio, uccello della famiglia Picidi (Campephilus principalis).

8)Picchio dal becco d'avorio. foto di Vittoria Bacchi
Picchio dal becco d’avorio.

Tra le specie più appariscenti degli Stati Uniti è anche uno delle più rare e si teme che si sia già estinto.

Gli indiani usavano il suo becco e le sue piume per decorare o loro costumi da cerimonia. Misura 50 cm di lunghezza il piumaggio è nero lucido con due vistose strisce bianche sul collo dorso e ali.

Il becco è bianco e a forma di scalpello le zampe sono grigie.

L’alta cresta sagittale è rossa e appuntita nel maschio e nera e leggermente ricurva nella femmina.

Gli ultimi esemplari sono stati avvistati in Florida e a Cuba.

Uccelli estinti: il moho di Kauai

Ad esempio, si può ascoltare la registrazione dell’ultimo moho di Kauai, uccello passeriforme delle Haway, estinto della famiglia dei Mhoidi.

Con il suo 20 cm di lunghezza questo uccello era il più piccolo rappresentante del genere Moho.

Le creature dell’oscurità

In mostra una intera sezione è dedicata agli animali della notte.

L’oscurità ha sempre affascinato l’umanità.

Il buio è stato spesso accostato a pericolo e paura.

Ma nel mondo animale la percezione è diversa.

Ci sono creature che vivono di notte e che si sentono a loro agio nella oscurità.

 

Il mistero degli animali notturni

Molte specie rimangono tuttora un mistero per noi.

Ci sono animali che hanno accresciuto ed affinato i loro sensi e che si sono adattati a prosperare nella notte.

Artisti, scienziati ed esperti di suoni hanno trascorso notti intere per cercare di cogliere nella oscurità queste enigmatiche creature.

Esposto in mostra un antico manoscritto con una raffigurazione di barbagianni.

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Manoscritto con barbagianni.

Animali e francobolli artistici

Esposto in mostra anche una interessante bozza di francobollo raffigurante un galagone, un piccolo animale notturno.

 

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Galagone piccolo primate notturno del Malawi. Progetto per francobollo Richard Granger Barrett.

I pipistrelli sono uccelli?

Un raro manoscritto arabo descrive i pipistrelli come uccelli, basandosi sulla tradizione araba ma anche greca.

Il testo fa notare che i pipistrelli sono gli unici volatili che partoriscono e allattano.

Questo manoscritto testimonia come le conoscenze sugli animali sia condivisa attraverso le varie culture.

Il collegamento tra animali e medicina

Le prime conoscenze illustrate dai lavori arabi scientifici illustrano le caratteristiche degli animali dal punto di vista degli usi medici.

Si tratta del manoscritto illustrato datato 1225 del fisico siriano Jibra’ll ibn Bakhtishü’ ibn Jurjis, con a fianco la classificazione del filosofo greco Aristotele.

Antichi manoscritti

La mostra propone un notevole repertorio di antichi manoscritti.

1) Manoscritto sulla natura del 1758. Foto di Vittoria Bacchi.j
Manoscritto sulla natura del 1758. Foto di Vittoria Bacchi

Esposto in mostra l’antichissimo libro delle caratteristiche degli animali.

Si tratta del “Libro delle caratteristiche degli animali” (Book of the characteristics of animals), scritto in Iraq nel 1200 (Bakhtishü and Aristotle, Kitab na’t al hayawan). Iraq, circa 1225 o 1284.

12) Antico manoscritto arabo su pipistrelli e uccelli. Foto di Vittoria Bacchi.jpg
Antico manoscritto arabo su pipistrelli e uccelli. Foto di Vittoria Bacchi.jpg

Esposto in mostra anche un manoscritto del 1569 nel quale viene per la prima volta utilizzato l’uso pubblico del vocabolo “squalo” in inglese.

Leonardo da Vinci e l’anatomia animale

Esposta in mostra anche una raccolta di appunti di Leonardo da Vinci sulla anatomia animale (1500—1508).

Contiene studi sull’impatto del vento sugli uccelli in volo.

Il prezioso documento viene esposto al pubblico per la prima volta.

Il Codice Arundel di Leonardo

La British Library custodisce anche il Codice Arundel (dal nome del collezionista).

Si tratta di un manoscritto di Leonardo da Vinci comprendente 283 fogli databili tra il 1478 e il 1518.

Tra gli argomenti trattati il volo degli uccelli e l’anatomia animale.

Gli errori 

Nonostante la documentazione dell’umanità sugli animali, ci sono stati anche molti errori fatti nel passato.

Questa mostra evidenzia alcuni dei più grandi errori commessi.

Ad esempio, la convinzione che un ornitorinco dal becco d’anatra fosse una invenzione.

La mostra ci incoraggia a riflettere sulla nostra comprensione degli animali e ad apprezzare la bellezza della documentazione accurata.

L’evoluzione della comprensione umana degli animali

La nostra comprensione degli animali è in continua evoluzione e c’è ancora tanto da imparare.

Il percorso espositivo offre una finestra unica su come quella conoscenza è stata raccolta nel tempo e consente persino di riconnetterti a specie ora tristemente estinte.

La mostra ci ricorda di continuare a esplorare e comprendere la vasta diversità del mondo animale e di come la documentazione di esso possa portare a sviluppi in campo scientifico e artistico.

I commenti dei curatori della mostra

Cam Sharp Jones, curatore della British Library, afferma: “gli animali hanno affascinato gli umani da lungo tempo e numerosi sono gli studi fatti per comprenderli.

La mostra è una grande opportunità per mostrare i testi più antichi di descrizione degli animali nonché i lavori artistici ad essi ispirati.

A ciò si aggiungono le registrazioni dei suoni della natura, i suoni più strani degli animali.

La British Library ha al riguardo una collezione notevole”.

Altre sezioni della esposizione riguardano il mondo del mare, la profondità degli oceani e tanto altro ancora.

Cheryl Tipp, curatore dei suoni presso la British Library, ha detto: “spero che i visitatori vengano ispirati da questa mostra e che vengano invogliati a consultare il materiale cospicuo che ospita la nostra biblioteca”.

La mostra offre la possibilità anche di visitare la Biblioteca e l’edificio che la ospita, in una zona centrale di Londra che ancora non è zona turistica molto battuta e conosciuta.

 




98 mucche per l’arte Masai

Il Pitt Rivers Museum di Oxford contro i pastori Masai

Il 4 luglio 2023 è stata resa ufficiale la notizia che il Pitt Rivers Museum di Oxford dovrà risarcire i Masai del Lenya per un furto coloniale di 138 fa.

La notizia ha destato scalpore per le modalità risarcitorie dei danni causati.

Il famoso museo Pitt Rivers della Università di Oxford

Il Pitt Rivers Museum è un famoso museo della università di Oxford ubicato nella località di Parks Road.

La sede attuale del famoso museo è allestita nel palazzo neogotico all’interno del quale sono esposte anche le esposizioni del Museo di scienza naturale.

Il museo ospita le collezioni archeologiche e antropologiche del tenente generale Augustus Henry Lane Fox Pitt Rivers, un ufficiale inglese dell’esercito britannico etnologo e archeologo vissuto nel 1800.

Il palazzo è stato edificato nel 1885 su progetti di Thomas Manly Deane e Benjamin Woodward.

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Neolaureati a Oxford davanti alla Radcliffe Camera

L’ufficiale inglese amante della archeologia

Il museo fu istituito nel 1884 dallo stesso Augustus Pitt Rivers, morto nel 1900.

L’ufficiale archeologo decise, infatti, di donare le proprie collezioni archeologiche e antropologiche alla Università di Oxford.

Pitt è stato notato dagli studiosi per le innovazioni nella metodologia archeologica e della esposizione museale di collezioni archeologiche ed etnologiche.

Una collezione di tutto rispetto

Inizialmente la collezione contava 22.000 oggetti.

Oggi le opere ivi custodite ammontano a 5000.000 molte delle quali donate da studenti viaggiatori e missionari.

Il nobile obiettivo perseguito da Augustus Pitt era di esporre la cospicua collezione ai fini di studio educativo e didattico al servizio della società.

Una vicenda che nasce anni fa

Ma vediamo come l’ufficiale inglese è stato coinvolto in questa anomala vicenda.

L’idea di riportare a casa il tesoro che custodisce la storia e i segreti dei Masai è di Samwel Nangiria, un attivista per i diritti degli indigeni.

 

La visita del museo

Tutto nacque cinque anni fa.

Il keniano si reca nel 2017 in visita al “Pitt Rivers Museum” di Oxford.

Durante la visita del museo, nella collezione da 500mila pezzi provenienti da tutto il mondo, nota alcuni cimeli appartenuti ai pastori della parte orientale della Great Rift Valley.

Immediatamente avvia le pratiche per richiedere all’ateneo la restituzione degli oggetti d’arte masai.

 

La Great Rift Valley culla dell’umanità

La Great Rift Valley non a caso è considerata la culla dell’umanità.

Nel 1974, in Etiopia, vi furono ritrovati i resti fossili dello scheletro dell’australopiteco più famoso del mondo, denominato “Lucy”.

Ora la nostra antenata più celebre è esposta al museo di Addis Abeba.

La richiesta della comunità Masai

La comunità indigena che vive nella Great Rift Valley, in Africa, tra il nord della Tanzania e il sud del Kenya, richiede ufficialmente al museo etnologico britannico la restituzione di 148 antichi manufatti che espone da 138 anni.

Oggetti che il Regno Unito, negli anni dello splendore imperiale, agli inizi del Novecento, avrebbe trafugato e portato Oltremanica.

PASTORI Masai
Pastori masai

I reperti archeologici e i numerosi precedenti del passato coloniale inglese

Questo dei Masai è solo uno dei tanti fronti su cui Londra è chiamata a fare i conti con il proprio passato coloniale.

La controversia assomiglia molto a quella di cui sono protagoniste Grecia e Nigeria.

Atene chiede la restituzione dei marmi del Partenone esposti al British Museum.

Abuja vuole riappropriarsi invece dei suoi famosi bronzi di Benin in mostra permanente, sempre a Oxford.

 

Il Partenone trafugato

Sono passati più di 200 anni da quando il conte di Elgin trafugò le opere senza un vero consenso del Sultano.

Solo la furia degli abitanti di Atene impedì il completo smantellamento dell’Eretteo del Partenone.

Era previsto che venisse rimontato in Inghilterra.

I bronzi del Benin

I bronzi del Benin sono un gruppo di diverse migliaia di placche e sculture in metallo che decoravano il palazzo reale del Regno del Benin, in quello che oggi è lo Stato di Edo, in Nigeria.

Correva l’anno 1897 e le ambizioni coloniali britanniche in Africa si stavano espandendo.

Il palazzo reale fu raso al suolo e le opere d’arte al suo interno furono rubate.

I famosi bronzi di Benin city si trasformarono ben presto in bottino di guerra.

 

La replica della direttrice del museo

Il direttore del museo oxfordiano, Laura van Broekhoeven, ammette che l’istituzione possiede 148 manufatti Masai di epoca coloniale.

Si tratta di spade, frecce, bracciali e cavigliere.

Sottolinea altresì che in passato quei manufatti sono stati acquisiti per mezzo di funzionari, missionari e antropologi di era coloniale.

L’acquisizione a quei tempi era legale.

 I masai contestano

Non la pensa così il governatore keniano della contea di Narok, Patrick Ntutu, convinto che i proprietari di quelli oggetti siano stati uccisi o mutilati prima che gli ornamenti gli fossero portati via.

PASTORI DEL MASAI MARA. FOTO DI VITTORIA BACCHI
Pastori del Masai Mara 

Il museo si difende: solo 5 i reperti trafugati

La direttrice allora ammette che la sottrazione illegittima ci sarebbe stata.

Ma interesserebbe solo ed esclusivamente cinque reperti, identificati come cimeli di sensibile importanza culturale.

Novantotto mucche come risarcimento, scrive la testata del Nairobi Nation

La testata di Nairobi Nation scrive i che due clan Masai di Narok, Sululu e Mpaima, hanno ricevuto dall’Università di Oxford, che gestisce l’esposizione, 49 bovini ciascuna.

La notizia riporta che, precisamente, due famiglie della tribù dei Masai del Kenya hanno ricevuto in dall’Università britannica di Oxford 98 mucche.

I bovini sono stati portati in processione da impiegati dell’Università di Oxford ai capifamiglia.

L’insolito tributo è stato considerato come risarcimento “amichevole” per una collezione di manufatti originali sottratti ai loro antenati in epoca coloniale.

 

Il Pitt Rivers Museum di Oxford contro i pastori Masai

La mossa, è stato precisato da Oxford, è puramente simbolica.

Segno di volontà alla riconciliazione.

Fa parte di un processo di dialogo tra le parti.

Si ispirerebbe ai principi della diplomazia che insegna a misurare gesti e parole al contesto sociale e culturale della controparte.

 

I bovini come moneta

La trovata con cui il museo ha pensato di fare pace con i Masai è però unica e difficilmente riproponibile.

È vero che i bovini hanno rappresentato a lungo per i Masai una sorta di moneta.

I bovini da sempre, infatti, sono venduti o barattati in cambio di beni e servizi.

Sono utilizzati persino per “pagare” ammende per comportamenti disonorevoli o criminali.

La società Masai è cambiata

Ma le cose, a Oxford lo sanno di certo, sono un po’ cambiate.

Nella società Masai ha fatto capolino il concetto di proprietà privata e titolarità della terra.

Vaste aree della savana, precedentemente gestite collettivamente, sono state suddivise e adibite a nuovi usi, tra cui il commercio.

Il dono delle 98 mucche è insufficiente. Le critiche della comunità masai

Il dono delle 98 mucche è stato apprezzato, hanno mandato a dire i pastori, «ma non è abbastanza per compensare» il furto e l’esposizione illegittima di oggetti appartenuti ai propri avi.

I rappresentanti delle famiglie del clan Loita di Narok hanno dichiarato al quotidiano Daily Nation di apprezzare il gesto, ma che non è sufficiente.

Si aspettano “un risarcimento adeguato”.

Nessuna guerra, ma solo risarcimento decoroso

La comunità non vuole fare causa ai “signori” di Oxford.

Un portavoce delle famiglie Maasai, Seka ole Sululu, ha dichiarato che è stata presa la decisione di perseguire una riconciliazione pacifica con la celebre Università inglese.

I masai non hanno intenzione di fare causa al museo.

Per tradizione preferiscono sempre la pace alla guerra.

Ma si aspettano, quantomeno, un risarcimento decoroso.

 




Pedagogia ed inclusione: strumenti per combattere il disagio giovanile.

L’inclusione deve essere considerata come un vero e proprio strumento pedagogico, rendendola una pratica educativa estremamente importante e vantaggiosa.

Occorre, in realtà, ripensare l’approccio, mirando a coinvolgere e supportare attivamente tutti gli studenti, indipendentemente dalle loro differenze o abilità, all’interno dello stesso ambiente educativo.

Questo approccio promuove l’uguaglianza, il rispetto reciproco e la valorizzazione delle diversità, creando un ambiente di apprendimento ricco e stimolante per tutti.

E’ inevitabile oggi iniziare seriamente a trasformare l’inclusione in un fattore positivo nell’ambito pedagogico, coinvolgendo studenti e famiglie.

La Valorizzazione delle Diversità che è inevitabile in un buon processo inclusivo permette agli studenti di apprendere a conoscere e rispettare le diverse prospettive, background culturali, abilità e bisogni dei loro compagni di classe.

Questo promuove la comprensione e la tolleranza, preparando gli studenti per una società inclusiva e multiculturale.

Per poter avere successo occorre lavorare sull’empatia e sull’autorevolezza.

Empatia quale dote importante di studenti e docenti ed autorevolezza quale riconoscimento del ruolo per i docenti ed educatori.

Un percorso che passa obbligatoriamente per l’Apprendimento Collaborativo, che tramite il concetto di inclusione incoraggia la collaborazione tra studenti con diversi livelli di abilità.

Gli studenti imparano non solo dai loro insegnanti, ma anche l’uno dall’altro, sviluppando abilità sociali, empatia e competenze comunicative.

Vi è anche un aspetto che aiuta ad insegnare, infatti l’inclusione spinge gli educatori a adattare le loro pratiche per soddisfare una varietà di bisogni degli studenti.

Questo li sfida a cercare nuovi metodi di insegnamento e valutazione, potenziando ulteriormente la loro capacità di adattamento.

Un forte strumento di crescita personale che si attiverebbe  sugli studenti con bisogni speciali o con diversi stili di apprendimento, attivando la completa opportunità di partecipare pienamente all’istruzione regolare.

Questo aiuta a sviluppare una maggiore fiducia in se stessi ed a migliorare le loro abilità sociali ed accademiche.

Serve prestare attenzione alla preparazione per la Vita Reale, l’attuale società è variegata e inclusiva, ed i luoghi di lavoro e la comunità in generale riflettono questa diversità.

L’inclusione in ambiente scolastico prepara gli studenti a interagire e collaborare con persone diverse, contribuendo alla loro futura riuscita sociale ed economica.

Comprendere i sistemi di inclusione e viverli in prima persona, possono favorire una complessiva riduzione dell’emarginazione.

Infatti l’inclusione come strumento pedagogico può contribuire a ridurre l’emarginazione e l’esclusione sociale che spesso affliggono gli studenti con bisogni speciali, ma non solo.

Occorre infatti riflettere sul fatto che l’emarginazione oggi non è solo legata alla disabilità ma anche a d’importanti fattori socio-emotivi spesso irrisolti se non addirittura sommersi.

Appare evidente che stimolare, nei nostri giovani, meccanismi che aiutano a comprendere fenomeni che potremmo chiamare “isolanti” o “estranianti” potrebbe essere la chiave di successo per aiutare tutti i giovani, e far in modo che si possano anche aiutare fra loro.

Anche l’accesso a un’istruzione di alta qualità può migliorare le opportunità nella vita.

Tuttavia, è fondamentale sottolineare che l’inclusione richiede risorse adeguate, formazione per gli educatori e un impegno costante da parte di tutti gli attori coinvolti.

Ogni studente ha bisogni unici e l’adattamento delle pratiche pedagogiche può richiedere tempo ed energie.

Inoltre, potrebbe essere necessario bilanciare l’inclusione con il bisogno di supporto specifico per gli studenti con bisogni particolarmente complessi.

In sintesi, l’inclusione come strumento pedagogico promuove una società più giusta, rispettosa e aperta.

Implementarla richiede un approccio attento e impegnato, ma i benefici a lungo termine per gli studenti e per la società nel suo complesso sono inestimabili.

 

La Pedagogia al Servizio delle Famiglie: Una Partnership per il Successo Educativo




La Pedagogia al Servizio delle Famiglie: Una Partnership per il Successo Educativo

Nella società odierna, le famiglie e la pedagogia condividono un legame cruciale nell’educare e formare le future generazioni.

La pedagogia, intesa come scienza dell’educazione, gioca un ruolo fondamentale nel plasmare le menti giovani, mentre le famiglie sono i primi contesti in cui i bambini imparano valori, comportamenti e relazioni sociali.

Unendo questi due pilastri, possiamo creare un ambiente educativo completo e armonioso che promuova il successo e lo sviluppo integrale dei bambini.

Il coinvolgimento attivo delle famiglie nel processo educativo è una componente essenziale per il successo degli studenti.

Quando genitori e pedagogisti lavorano insieme, si crea una sinergia che permette di affrontare meglio le sfide e di cogliere appieno le opportunità per i giovani studenti.

La pedagogia non è limitata alle aule scolastiche, ma si estende anche alla vita familiare, dove si possono sperimentare e applicare i principi educativi in situazioni quotidiane.

I pedagogisti possono offrire alle famiglie preziose informazioni sulle fasi dello sviluppo infantile, sulla gestione delle sfide comportamentali e sulla creazione di ambienti stimolanti per l’apprendimento.

Dall’altra parte, le famiglie possono condividere con gli educatori le conoscenze uniche che hanno sui loro figli, inclusi interessi, talenti, punti di forza e debolezza.

Questo scambio di informazioni può aiutare gli insegnanti a personalizzare l’approccio educativo per soddisfare le esigenze specifiche di ciascuno studente.

La comunicazione aperta e continua tra pedagogisti e famiglie è un cardine di questa partnership.

Gli educatori dovrebbero stabilire canali di comunicazione efficaci per condividere aggiornamenti sull’apprendimento e il comportamento degli studenti, oltre a fornire consigli per il coinvolgimento familiare nell’educazione.

D’altra parte, le famiglie dovrebbero sentirsi a proprio agio nel condividere le loro preoccupazioni, suggerimenti e riflessioni sull’esperienza educativa dei loro figli.

L’apprendimento non dovrebbe limitarsi alle aule scolastiche, ma dovrebbe continuare anche a casa.

Le famiglie possono svolgere un ruolo attivo nell’incoraggiare i loro figli a esplorare nuovi argomenti, leggere libri, partecipare ad attività creative e scoprire interessi personali.

Inoltre, possono supportare l’apprendimento attraverso discussioni, ricerche e visite a musei o luoghi di interesse.

La pedagogia al servizio delle famiglie può anche concentrarsi sulla promozione di valori fondamentali come il rispetto, la tolleranza, l’empatia e la responsabilità.

I pedagogisti possono collaborare con le famiglie per incoraggiare la formazione di cittadini consapevoli e eticamente responsabili.

La pedagogia al servizio delle famiglie crea un’atmosfera in cui i bambini possono prosperare sia a livello accademico che personale.

Quando pedagogisti e famiglie si impegnano insieme nell’educazione dei giovani, si costruisce una base solida per il successo futuro.

Questa partnership non solo migliora l’apprendimento degli studenti, ma contribuisce anche a creare individui equilibrati, motivati e pronti ad affrontare le sfide del mondo in continua evoluzione.

 

N.B. pensiero tratto da “le conversazioni pedagogiche” corso per docenti e famiglie.




CERVELLI INBIBITATI E INTELLIGENZE ALLO SBANDO

 

Abili giocolieri – particolarmente versati nel mescolare le carte e confondere, quando non a mentire spudoratamente – tengono in ballo milioni di cittadini, nel mondo.

La cosa è talmente evidente che siamo arrivati a un punto in cui non vale neanche la pena di dedicare tempo ed energie preziose nell’elencare nefandezze di ogni tipo, tentativi di prevaricazione, inadempienza di norme e principi, violazione dei principi basilari sui quali si reggono le Nazioni, spoliazione di ogni autorità nel governare le stesse rispettandone i principi posti a tutela e salvaguardia della sovranità…

La gente è bombardata da notizie e dalle critiche alle stesse: critiche spocchiosamente liquidate come fake, o come frutto dei presunti ‘deliri di negazionisti’ o come esternazioni di qualche ‘no-qualcosa’ (erronee indicazioni di questo tipo continuano a fioccare).    

Situazioni dove chi somministra le notizie ufficiali, sostenute da un’informazione di parte se non di ‘regime’ ovvero ‘complice’, fa affidamento su una pletora di personaggi – chiaramente strumentalizzati e, è lecito pensare, fidelizzati da qualcuno – che si definiscono ‘esperti’ o sacerdoti di una ‘scienzah’ che rinnega quella Scienza che fino a ieri è stata per tutti guida certa.  Ed è qui il vero negazionismo, camuffato abilmente – e prepotentemente – da politically correct -: la parola d’ordine è negare, negare sempre e ostinatamente qualunque cosa venga detta e chiunque possa sostenerla; tutto ciò che possa contrastare il (loro) pensieri unico, va combattuto con tenacia assoluta.

L’ordine è sopraffare, sostituire tutto ciò che rappresentava e rappresenta il ‘prima’, persone incluse.       

Il bello è che la fazione dei ‘so tutto,  a prescindere’ evita accuratamente ogni confronto (specialmente pubblico: ossia, accettando un esplicito contraddittorio, mettendoci la faccia, di fronte all’opinione pubblica) con chi – con dati realmente scientifici e quindi attendibili – li possa contraddire. 

Stiamo vivendo, e non da oggi, una fase epocale, sociale, economica, finanziaria e mercantile, in cui vengono imposte situazioni, regole e condizioni forse cervellotiche, ma sicuramente contro gli interessi del popolo: di quel popolo che proprio attraverso le regole fin qui seguite e – soprattutto – la corresponsione di tasse, sostiene la macchina statale; e quindi la spesa facile, gli sperperi; quel popolo in nome e a favore del quale molti amministratori dicono di agire, ma che in realtà è la loro vittima preferita (e per lo più, unica).                                                                                                            

È così che il meccanismo ci appare, mentre si dilata; da un lato c’è chi tenacemente e costantemente inbibita i cervelli con false notizie, false speranze e false verità: dall’altro, chi – per propria scelta, o per alterazione neurofisiologica o semplice mancanza di cultura, o che ha gettato alle ortiche la propria cultura per nutrirsi dello spicciolame vacuo di pettegolezzi, banalità e falsità, che gira vorticosamente – non è più capace di pensare con la propria testa, non riflette più, non è più abile nell’instaurare un giusto processo mentale che lo porti a ragionare e quindi valutare per decidere, scegliere, in maniera consapevole e senza che sia qualcun altro a dire ‘fai così’ o ‘fai colà’ o peggio ancora suggestionandolo con ‘questo dev’essere il tuo pensiero’.                                                                                      

Non è più l’imposizione di una economia globale, quindi, ma un ‘falso capillare e d’insieme’ dove ci sarà chi è stato convinto di essere destinato a un’esistenza eccellente, mentre invece potrebbe essere candidato all’eliminazione mentale e forsanche fisica.                                                                                                         

Mi piacerebbe molto che, leggendo questo articolo, in molti si ponessero degli interrogativi, mettendo sui piatti di una bilancia ideale i fatti, così domandandosi: ma perché non si fa nulla?

Perché gli interventi sono tanto inappropriati e intempestivi?

Oppure, chi e perché ci mente e con quale fine?                                                     

A seguire, ecco dei dati sui quali riflettere.                                                      

nei supermercati ho notato che i ‘fagioli piattoni verdi’ provengono dal Marocco; i ‘cavolfiore’ dalla Francia; i ‘pomodori da riso’ dal Marocco; i ‘pomodori oblunghi verdi’ e le ‘pannocchie fresche di granturco’, dalla Spagna; i ‘pomodori datterino’ dal Marocco; la ‘lattuga’ dalla Spagna; il ‘Kiwi’ dalla Grecia; l’ ‘ananas’ dalla le Costa Rica; le ‘susine rosse’ dal Sud Africa; le ‘arance valencia’ dall’Argentina; le ‘pere conference’ e le ‘albicocche’ dall’Olanda; le carni in vendita provengono da Francia, Olanda, Danimarca, Scozia…

A prescindere dai leciti dubbi che possono sorgere in merito ai controlli sulla sicurezza alimentare (ricordiamo: l’Italia è stata leader in questo settore, con controlli scrupolosi e reali), mi chiedo: ma quando costa proprio in inquinamento far viaggiare e recapitare questi prodotti?

Perché non si dà più la preferenza ai prodotti a Km. ‘zero’ italiani?

Ci meravigliamo poi che la filiera agricola soffra, annaspi cercando di sopravvivere, dando la preferenza a prodotti che non hanno la stessa qualità di quelli italiani, che appena li porti a casa già iniziano ad andare a male?      

Ci meravigliamo se gli splendidi e particolari limoni nelle limonaie della costiera Amalfitana sono per lo più in terra, non colti né distribuiti perché più costosi di certi limoni (dal gusto ‘significativamente’ diverso) che vengono messi in commercio?                                                                                                    

Questi dati, da soli, sono già esplicativi del perché l’Italia sia tanto regredita: così come in ambito monetario – la moneta cattiva, caccia la buona (legge di Gresham) – tutto ciò che viene posto a sostituzione di buone merci, è oggi di scarsa qualità: se paghi poco, poco acquisti (recita un classico adagio); ma oggi si rischia seriamente e continuamente di pagare molto merce di qualità solo mediocre.

Non parliamo poi delle confezioni ‘alleggerite’ pur mantenendo una confezione inalterata ossia ‘grande’ per meglio raggirare l’acquirente.

Che dire poi dell’aumento dei prezzi anche dei generi alimentari di prima necessità? Che dire della tardiva presa d’atto di ciò da parte di chi ci amministra?

È da Agosto 2021 che tutti i prezzi sono esplosi in un crescendo irrefrenabile: ci sono voluti tutti questi mesi per rendersi conto dell’ormai insostenibilità della situazione, e che la gente non ce la fa più a sostenere un peso, dei costi, sempre crescenti.

Fa un certo effetto sentire ora di incontri, di tavole rotonde, di cabine di regìa, tra le varie componenti coinvolte nella dinamica dell’approvvigionamento e dei prezzi: ma quello che colpisce molto è che si lasci alle parti coinvolte applicare ovvero stabilire le commisurazioni dei prezzi calmierati/bloccati.

In una situazione di emergenza come quella attuale, il Governo, lo Stato, si devono ri-appropriare della centralità gestionale, nell’interesse dei cittadini: c’è bisogno di decidere e di informare tutti che ‘da domani’ è così per 90-180 giorni, poi si vedrà.                                                                               

Occorre dare un segno concreto di discontinuità, di volontà di cambiamento: dev’essere data preferenza e preminenza al made in Italy, ai prodotti di qualità, frenando l’import di prodotti scadenti e la loro immissione in commercio: un conto è parlare di tutela del mercato libero, altra cosa è commercializzare schifezze in commentabili di provenienza probabilmente non tanto accurata e/o verificata.

Occorre soprattutto ripristinare quei controlli che consentono di mantenere il controllo sui prezzi: ormai fuori controllo, sospinti al rialzo da una speculazione crudele.           

Diamo soddisfazione agli agricoltori, agli addetti del settore zootecnico, alla filiera vitivinicola: ciò si tradurrà in mantenimento di posti di lavoro, guadagni, investimenti, caratterizzati da alti standard qualitativi.                             

E che i prodotti ‘cattivi’ li mangino coloro che creano queste imposizioni: al pari dell’utilizzo degli OGM o dei diserbanti nelle coltivazioni di grano, dapprima vietato e ora stranamente consentito!

Si chiama ‘cultura del cibo’ e l’Italia in questo campo ha molto da insegnare.




Summit di Vilnius: Svezia e Ucraina si candidano ad entrare nella Nato

Il summit di Vilnius e le notti bianche di Helsinki

Le repubbliche baltiche cuore della geopolitica

Dopo il vertice Nato a Vilnius Biden vola ad Helsinki per festeggiare l’entrata della Finlandia nell’Alleanza Atlantica.

 

Missione europea per il presidente americano Joe Biden

Joe Biden è arrivato a Helsinki mercoledì 12 luglio sera per celebrare l’ingresso della Finlandia nell’Alleanza Atlantica.

Si tratta dell’ultima tappa di cinque giorni europei caratterizzati da un programma molto intenso.

 

L’incontro a Londra con Re Carlo e il premier inglese

La Missione europea è iniziata a Londra il 9 luglio.

Biden ha incontrato il premier inglese Rishi Sunak.

È stato inoltre ricevuto a Windsor, nel castello reale, da Re Carlo III.

 

Il summit della Nato a Vinius

La tappa successiva è stata a Vilnius in Lituania, in occasione del vertice dei Capi di Stato e dei Governo della Nato, svoltosi nelle giornate di martedì 11 e mercoledì 12 luglio nella capitale baltica.

Imponenti le misure di sicurezza adottate.

 

Banner pubblicitari in tutta la città

Numerosi anche i banner pubblicitari inneggianti allo Nato sparsi per la città.

publicità per il veritce Nato
publicità per il veritce Nato – Foto di Vittoria Bacchi

Davanti al vecchio teatro della città campeggia la scritta a caratteri cubitali “hashtag Nato Mes”.

vilnius teatro banner anti Nato e Mes
vilnius teatro banner anti Nato e Mes – Foto di Vittoria Bacchi

 

Le Repubbliche baltiche cuore della geopolitica

Il summit ha visto per la prima volta la Finlandia, già facente parte dell’Unione europea da antica data (1995), come membro a tutti gli effetti dell’Alleanza Atlantica.

Le altre Repubbliche baltiche invece, Lituania, Lettonia ed Estonia, fanno parte della Nato dal 2004, lo stesso anno in cui sono entrate a far parte dell’Unione europea.

Svezia e Ucraina si candidano ad entrare nella Nato

Il summit lituano ha inoltre registrato un ulteriore avvicinamento della Svezia alla Nato, veicolato dal nulla osta del presidente turco Erdogan, espresso proprio il giorno prima.

Al summit ha partecipato, per la prima volta nella storia dell’Alleanza, anche il Presidente ucraino Volodymyr Zelensky.

La Meloni a Riga per il bilaterale col premier lettone

Il presidente Meloni il giorno dopo il summit lituano ha raggiunto la vicina Lettonia, dove a Riga ha incontrato il presidente lettone Krišjanis Karinš.

Insieme al Ministro della difesa Crosetto i due presidenti hanno incontrato presso la Base militare di Camp Adazi il personale del Contingente italiano “Baltic Task Group”, impegnato nell’operazione Baltic Guardian nell’ambito della missione Nato Enhanced Forward Presence.

 

L’arrivo di Biden a Helsinki

Dopo il summit di Vilnius il Presidente degli USA è atterrato ad Helsinki, nella tarda serata di mercoledì 12 luglio, all’aeroporto della capitale nordica ubicato nei pressi della città di Vantaa (nota n. 5).

Ha alloggiato nel famoso hotel Radisson Royal, nel centralissimo quartiere Kamppi.

 

La leadership di Biden sulla scena mondiale

È sicuramente l’occasione per affermare la leadership del Presidente sulla scena mondiale, così ha confermato il Consigliere per la sicurezza nazionale, Jake Sullivan in una sua dichiarazione.

 

La fitta agenda della giornata finlandese

Il programma dell’unica giornata a Helsinki è stato molto intenso.

L’ultima tappa dei cinque giorni europei ha previsto giovedì 13 luglio l’incontro con il presidente finlandese Sauli Niinistö e con il Ministro capo della Repubblica finlandese, ossia il capo del Governo, Petteri Orpo.

 

L’incontro con la confederazione nordica

Biden ha avuto un meeting anche con i quattro primi ministri del Consiglio nordico, l’organo di consultazione politica ed economica costituitosi nel 1952.

Il consiglio nordico comprende oltre la Finlandia, la Svezia, la Norvegia, la Danimarca e l’Islanda e che ha sede a Copenaghen.

 

Le eccezionali misure di sicurezza a Helsinki

Quartiere di Toolo Helsinki
Quartiere di Toolo Helsinki

La visita di Biden ha fatto scattare misure di sicurezza eccezionali nella capitale finnica, con interi quartieri transennati

Quartiere di Toolo Helsinki
Quartiere di Toolo Helsinki

Il palazzo presidenziale, dove si sono svolti gli incontri, è stato presidiato con eccezionali misure di sicurezza e la zona del porto è diventata off limits.

L’ottocentesco palazzo presidenziale, già residenza dello zar di Russia dal 1809 al 1917, quando il Granducato di Finlandia faceva parte dell’Impero russo, si affaccia infatti proprio sul porto e sul Golfo di Finlandia, prospicente la piazza del mercato Kauppatori, il luogo più noto di Helsinki.

Palazzo presidenziale Helsinki
Palazzo presidenziale Helsinki

Anche le frontiere terrestri sono state allertate, ed eccezionalmente sono stati fatti controlli ai viaggiatori in arrivo.

 

Cinque anni fa la visita di Trump. L’assenza di Putin

Dopo cinque anni dalla visita di Trump lo scenario mondiale è cambiato totalmente.

Il presidente Putin non siede più nel consiglio nordico, essendone stato espulso dopo l’inizio della guerra in Ucraina.

Biden ha inoltre affermato che Putin avrebbe perso la guerra.

 

L’accoglienza a Helsinki da parte della popolazione

Numerosi cittadini americani, oltre che finlandesi, e anche qualche turista curioso, hanno atteso il Presidente Biden davanti al Palazzo presidenziale, attendendo ore ed ore.

La folla a Helsinki davanti al palazzo Predienziale
La folla a Helsinki davanti al palazzo Predienziale

Sono stati incuranti del tempo variabile e degli elicotteri militari costantemente in volo sopra le loro teste

 

Il sole di mezzanotte finlandese

A sera inoltrata Biden si è avviato in aeroporto per rientrare a Washington.

Una sera luminosa, perché ad Helsinki in questo periodo il sole non tramonta mai e le notti sono “bianche”.

Il sole di mezzanotte ha sicuramente favorito la vigilanza e i controlli sulla città presidiata.

 

Biden inciampa sulle scale dell’Air Force one

Piccolo incidente per Biden al momento di salire le scale del Air force one: è scivolato su un gradino, preoccupando i presenti e gli uomini della scorta.

Altre volte in passato l’anziano Presidente aveva avuto problemi di equilibrio mentre saliva la scaletta dell’areo presidenziale.

Nulla di grave stavolta, si è ripreso subito evitando di cadere.

 

Il “fuori programma” londinese e il protocollo reale infranto

Anche a Londra pochi giorni prima, durante l’incontro al castello di Windsor con re Carlo III, Biden sembra che abbia rischiato di cadere.

Il Presidente americano ha infatti afferrato all’improvviso il braccio del sovrano e si è aggrappato alla sua giacca.

Il fuori programma ha infranto il rigoroso protocollo della corona britannica, che impone il divieto assoluto di toccare il monarca, provocando sconcerto tra i presenti e lo sguardo imbarazzato del re.

 




LETTERA APERTA ALL’ON. SEBASTIANO (NELLO) MUSUMECI

Illustre Onorevole, nel Governo in carica, certamente Lei ricopre un incarico particolarmente significativo: specie in un contesto come quello che tutti viviamo, contrassegnato di eventi, e disastri, di origine anche naturale.

Stamani, in coincidenza con il suo intervento relativo ai disastri in terra di Sicilia (ma non solo), ascoltavo in TV anche un inviato che ricordava come colà fossero più di 300 i roghi ancora attivi.

Numeri e tipologia di diffusione che, decisamente, riconducono a valutazioni diverse piuttosto che non il ricondursi a fenomeni di autocombustione (sempre estremamente rara), o a fatti accidentali (altrettanto rari).

Lodevole l’impegno e l’abnegazione di quanti, con ogni mezzo, cercano di frenare la furia devastatrice delle fiamme, ma – così come da lei sottolineato – la presenza di mezzi aerei in numero maggiore, avrebbe certamente giovato. e, sempre Lei, si chiedeva se fosse o meno il caso che la UE si facesse carico di organizzare una flotta aerea di tale tipo per fronteggiare in area UE tale tipo di disastrosi eventi.

Nello scriverLe, Illustre Onorevole Musumeci, cerco di utilizzare quella complessiva sensibilità che necessariamente comporta il chinare il capo alla memoria delle vittime fin qui verificatesi.

Sono figlio di Siciliani – originari di Messina e Barcellona PdG – ho ancora numerosi parenti in Sicilia e conosco molto bene quelle nobili Terre: da Augusta a Messina, da Catania a Palermo… e ogni volta che posso, mi ‘ricarico’ gli occhi e lo spirito, riempiendo occhi e narici con i panorma ma anche i profumi di quella che considero anche come la mia Terra.

Tempo fa, quando attraverso la normale informazione, da Cittadino seppi che il sistema antincendio aereo era stato affidato a privati, rimasi molto interdetto: soprattutto, pensando ai tempi e ai costi di intervento.

Ora, chiedere alla UE, che già si occupa di fin troppe tematiche, avocate a sé con il dichiarato intento di alleggerire il carico decisionale di molti governi, non credo proprio che sia la migliore delle opzioni.

Il controllo dei propri territori e della vita di quanti vi insistano, non può che essere di competenza degli Stati Nazionali, e quindi degli Amministratori che in esso e per esso operino.

I Cittadini eleggono chi li possa rappresentare e guidare al meglio, ma chi è stato eletto non dovrebbe poter – a sua volta – delegare ad altri (la vecchia norma del ‘delegatum delegare non potest’ mantiene inalterata la propria ratio. Cambaimenti climatici…

Certo! E chi può negarli! il mondo, la terra, la Natura mutano in continuazione e solo noi esseri umani (un pò stolti) possiamo pensare di comandare alla Natura, persino modificandola ovvero modificandone il corso. Tropicalizzazione?

Certo: ma è dall’inizio degli anni ’70 del 1900 che gli scienziati (quelli veri…) ci avevano allertato, offrendoci un quadro preciso di come le condizioni più calde e sfavorevoli, persino pre-desertiche, avrebbero coinvolto il Sud d’Europa e quindi anche l’Italia.

Ma se è vero che la Natura cambia – così che non è portando dei frigoriferi sui ghiacciai che potremo favorire il ripristino degli stessi o rallentare l’assottigliarsi dei ghiacci in Groenlandia, o strapparci le vesti per l’innalzamento degli oceani che potremo risolvere i problemi via via emergenti – essa cambia da sempre: mi permetta di utilizzare la classica frase cambia ‘da che mondo é mondo’.

E’ la mano dell’uomo, con i suoi comportamenti, che incide sulla qualità della nostra stessa vita odierna: e se queste mani hanno delle micce in mano per devastare le aree verdi, per distruggere abitazioni, per minacciare vite, ebbene che queste mani vengano ‘tagliate’.

Se nella sola Sicilia ci sono, contemporaneamente, più di 300 roghi, che le fiamme divampano quasi in contemporanea dalla Grecia alla Sicilia, dal Salento alle Calabrie, dalla Spagna ad altri luoghi (guarda caso, tutti ameni ai fini turistici o residenziali), se le forze d’intervento scoprono – così come accaduto in Italia ma anche, ampiamente, in Grecia – degli incendiari o, in terra, decine e decine di micce per favorire l’innesco di incendi, è evidente che la soluzione non può che riporsi nella più rigida delle prevenzioni e in punizioni che diano il senso della severità dei comportamenti.

Perché non valutare di muovere accuse di ‘tentata strage’ o di ‘terrorismo’ (ossia, attività volte a creare terrore nella popolazione)?

Mi permetta di dire, Illustre Onorevole: sono personalmente stanco di ascoltare questo o quello, questa o quella, che suonano la fanfara dell’emergenza: una ’emergenza’ pressocchè continua.

Ma il termine richiama a eventi che ’emergono’ improvvisi, che si ‘manifestano’ senza possibilità di alcuna previsione o di adeguata previsione. Quando l’emergenza o le emergenze sono continue, non sono più tali.

E questo vale per gli endemici roghi, come per i disastri che toccano alluvioni o straripamenti torrenziali, causati dall’assoluta incuria dei territori. I disastri, occorre prevederli: quanto più possibile; soprattutto se talune situazioni tendono a ripetersi.

Lei è siciliano, la Sicilia ha anche uno splendido ‘Statuto Speciale’ che molto potrebbe giovare se trovasse applicazione globale e costante, faccia quanto Le è possibile per dare un segno nuovo e diverso, una testimonianza d’azione e d’amore per una Terra che ha pochi eguali al mondo.

Perché proprio in Sicilia non convocare un confronto internazionale non sul ‘Cambiamento climatico’ (esiste, e negarlo sarebbe da sciocchi) ma sugli effetti, sulle loro cause e concause?

Grazie per la Sua attenzione, Illustre Onorevole Musumeci.