NATURA AMICA

 

La Collega Dr.ssa Fiorella Ialongo, mi ha messo a parte di una bella iniziativa fiorita – è il caso di dire – a Campoverde di Aprilia (nella fertile e alacre terra Pontina): una iniziativa che premia il lavoro e l’intraprendenza di Imprese e singoli usi alla massima laboriosità e – sotto il profilo squisitamente merceologico –  posti ai vertici di quella piramide che, oltre che coinvolgere il mondo del lavoro e della produzione, coinvolge il complesso delle stesse filiere dell’agro-alimentare e della zootecnia.                  Il mio interesse a questo bell’evento – rammentando che senza la cura della Natura e dei suoi frutti, l’essere umano non potrebbe certo alimentarsi di surrogati impropri, peraltro trattati ampiamente in modo chimico, per essere definiti seriamente ‘prodotti alimentari’ – trova origine nel particolare momento che vive l’Italia.                        

Assistere un giorno sì e l’altro pure al fiorire (fiori del male?) di idee o iniziative tese a influire pesantissimamente sulla zootecnica o sulla produttività agricola italiane, è come assistere ai tiri di prova di un plotone d’esecuzione, prima che – aggiustato il tiro – procedano a giustiziare una parte enorme del made in Italy, della produzione, della qualità di comparti da sempre fiore all’occhiello tanto dei produttori che dell’Italia stessa.

Non parliamo poi del devastante impatto che si avrebbe sul mondo del lavoro, se queste filiere subissero attacchi rovinosi per mano di Bruxelles.    

C’è poco da girarci attorno: l’Italia è da anni al centro di attacchi concentrici che l’hanno via via spogliata di aziende prestigiose, o hanno visto entrare in vigore normative tali da riverberarsi negativamente sulla nostra produttività come pure sui nostri prodotti.  Prodotti di eccellenza, che, tra ‘semafori’ e mille pseudo-motivazioni, hanno il fine di mortificare produzione, vendita e lavoro.                                                         

Quando entro in un supermercato, mi sorgono mille domande: carni (di cui non è dato conoscere con precisione la filiera, che non si sa quanto pregiate o come e quanto trattate possano essere) in vendita e provenienti da Francia, Olanda, Austria, Belgio: così che trovare delle carni italiane (sappiamo quanto rigorosi siano gli standard produttivi e di controllo di questo prodotto) è diventato raro.

Lo stesso dicasi per tanti altri prodotti, riguardo ai quali resto persino diffidente. Non parliamo poi di ‘insetti’, ‘vermi’, blatte’ o quant’altro: il cui cibarsi lascio certamente ad altri pellegrini del cibo, ma che – vi assicuro – non trova riscontri nelle altre nazioni, così come vogliono farci credere (ci sarà chi possa utilizzare qualcuno di questi materiali, ma sono soggetti in zone estremamente povere, o personalmente in tale condizione). 

Motivo che, unito alle altre recentissime notizie, mi porta a ritenere che sì, c’è gente (odiatori dell’Italia e degli Italiani? Del genere umano?) che, con grande costanza, si adopera per depauperare tutto ciò che sia espressione della creatività, dell’imprenditorialità, delle peculiarità produttive, dell’Italia.     

Sono anni che, tutto ciò che è italiano, e che rappresenta l’italianità (ossia, vanto per l’Italia) è sotto assedio, suscitando bramosie di conquista: in ordine di tempo, le ultime nostre peculiarità a essere seriamente minacciate sono salute, libertà (vedasi ‘sistema (cinese) dei crediti’, e spersonalizzazione: ciascuno di noi non sarà più ‘persona’ ma solo un numero, un codice, un input) e risparmio (si pensi: se tutta questa mole andasse a far parte di un sistema di cryptovaluta, le posizioni di ciascuno – ancorché ancorate al nome – sarebbero ancorate al soggetto e a tutto ciò che risulta alla base della sua schedatura; così che lo stesso denaro che, se depositato in una banca non è più suo (sotto il profilo della ‘proprietà’), se confluente in una massa indistinta non sarà suo doppiamente, e basterà un click perché il gestore del tutto gli possa impedire di avere accesso a ciò che (un tempo che fu) era ‘suo’.                                                         

Un plauso quindi agli organizzatori e ai partecipanti di questa interessante kermesse di Campoverde, esaltazione della nostra capacità produttiva, della nostra cura per la Natura, della nostra passione per il cibo sano e gustoso, della nostra stessa ‘inventiva’: tutte condizioni premianti, a fronte delle quali saremo al loro fianco nel sostenerne le scelte, l’amore che ripongono nel loro lavoro, e la volontà di proseguire nell’opera.                                                                                     Complimenti a tutti!                                                                                                                     Giuseppe Bellantonio

Di seguito, l’articolo sopra citato, a firma della Dott.ssa Fiorella Ialongo, da cui abbiamo tratto gradito spunto per l’intervento.                      

Solo l’agricoltura, che senza dubbio è molto vicina e quasi consanguinea alla sapienza, è priva tanto di scolari che di maestri” (‘De Re Rustica’, Lucio Giunio Moderato Columella)

Prendendo spunto dalla precedente citazione, in occasione del ponte del 1° maggio, potrebbe essere interessante trascorrere una giornata di intrattenimento ed informazione, di aggregazione sociale e di incontro con i professionisti dell’agricoltura. Senza dimenticare la possibilità di gustare specialità enogastronomiche a km. ‘zero’ e provare esperienze dal gusto antico ma sempre attuali.                                                                                    Il riferimento è alla XXXVI° Mostra Agricola di Campoverde che terminerà il primo Maggio, e si tiene presso l’Area Fiere di Campoverde ad Aprilia (LT).                      

I dati che ci sono giunti dai primi giorni dell’evento sono molto confortanti: sono andati sold-out i ca. 350 stand dedicati ad agricoltura, floricultura, innovazione, enogastronomia, bestiame, macchine ed attrezzature agrozooalimentari.                              

Di sicuro interesse anche gli spettacoli in programma quali, ad esempio, le prove di abilità di attacchi carrozze curate dalla Fitetrec Ante, il Western Show, i convegni, gli eventi curati da giornalisti specializzati nel settore come Tiziana Briguglio e Roberto Ambrogi dell’ARGA Lazio.                        

Detto diversamente, la Mostra Agricola di Campoverde ha visto crescere nel tempo la propria importanza. Si tratta di un risultato che premia sia l’impegno degli organizzatori, sia le finalità della manifestazione. Essa, infatti, ha tra i suoi fini quello di mettere in contatto, attraverso gli stand, i consumatori con i produttori. I secondi possono far conoscere ai primi la qualità del proprio marchio a un prezzo competitivo: contatto rafforzato dal piacere di una stretta di mano e di un sorriso, recuperando anche l’aspetto relazionale, troppo spesso punito dagli acquisti on-line.            

Fiorella Ialongo

(Maggiori dettagli sul sito: https://www.mostraagricola.it/ )

 




“Spegni la TV, riaccendi la speranza”

Triennio 2020-2022: responsabilità di istituzioni e media nel sensibile aumento dei casi di ansia, depressione e stress.

A quanto pare, le restrizioni adottate e una cattiva gestione dell’informazione hanno influito in modo significativo sul benessere mentale delle persone più fragili, specialmente se intolleranti all’incertezza, o con disagio mentale preesistente.

In Italia, si assiste tuttora a un sensibile aumento dei casi di ansia, depressione e stress.

A confermarlo sono i risultati di ricerche scientifiche e studi condotti dall’ISS e dall’OMS, di cui condivido i link per chi volesse approfondire l’argomento.

Il fattore determinante è la paura

Raggiungo a Milano la dott.ssa Elena Pagliacci Cipriani, psicanalista dal 1982 e Consigliere Nazionale della Lega Italiana di Igiene Mentale, per fare il punto della situazione.

Le chiedo quale sia, a suo avviso, il fattore determinante. “Nel 90% dei casi è la paura. Prima eravamo abituati all’idea di poter fare qualsiasi cosa, come se la morte non esistesse o fosse una lontanissima probabilità, che comunque non accade mai a noi. Improvvisamente siamo stati colti dalla paura di morire. Ed è questa paura ad aver schierato le persone in fazioni, alimentando divisioni e discriminazione.”

 

Le categorie più fragili

In base all’esperienza dell’intervistata, ad essere più colpiti sono gli adolescenti, molti dei quali manifestano forme di fobia patologica a tutto.

“La paura della morte è primordiale e ne siamo tutti più o meno toccati. Da ragazzi ci crediamo immortali. Col passar del tempo, si fa sempre più vicina. Il grande dramma al quale assisto nel mio lavoro è che il 90% dei miei giovani pazienti, alla domanda ‘Come va?’, risponde ‘Boh’. In generale sembra non abbiano più parole per ‘documentare’ ciò che provano, chi sono. L’unica parola che riescono a dire è ‘Boh’. I giovani d’oggi crescono senza conoscere se stessi” prosegue “E questo vale per tutti noi: non ci conosciamo più. ‘Grazie’ al computer e più in generale alla tecnologia, è come se viaggiassimo con un bigino in tasca della vita. Non abbiamo più una vita ‘vera’ dove incontrare le persone, conoscerle, capirle, confrontarci con loro sui fatti della vita. Molti di noi  – continua – tendono a chiudersi in ‘bolle’ in cui tutto va bene, tutto è perfetto …  Ma non è vero: sembrano ‘cadaveri’ che camminano. Non c’è la voglia di conoscersi, di ascoltarsi: ci si interrompe continuamente. Gli ascoltatori sono circa il 10%. Troppo pochi.” 

Riguardo alla donna, la Dott.ssa Pagliacci Cipriani non concorda con i risultati degli studi che ne evidenzierebbero una maggiore vulnerabilità. Pur essendo più sensibile al cambiamento, infatti, la donna ha sempre dimostrato una maggiore forza e resistenza rispetto all’uomo. Quest’ultimo, per sua natura, tenderebbe all’ipocondria, sottoponendosi a mille esami e analisi per accertare l’eventuale presenza di una malattia. Comunque l’uomo, più abitudinario rispetto alla donna, farebbe più fatica ad accettare e gestire il cambiamento.  

Per quanto attiene alla categoria sociale più colpita, la dott.ssa Pagliacci individua nella classe più abbiente una maggiore vulnerabilità alla sofferenza provocata dall’idea della morte, non più vista come lontanissima probabilità ma come qualcosa che può accadere da un momento all’altro. Di qui la corsa al vaccino vissuto come qualcosa di taumaturgico, in grado di salvarti la vita. Senza tener conto del fatto che, essendo in fase sperimentale, le conseguenze del suo utilizzo non erano e non sono tuttora pienamente prevedibili. 

Le fasce sociali media e bassa invece, più abituate alla “sofferenza”, hanno a suo avviso reagito molto meglio rispetto alla classe “alta”.

 

Il ruolo delle Istituzioni

Alla mia domanda sul modo in cui le restrizioni imposte abbiano influito sull’aumento degli individui colpiti da ansia, depressione e stress, la Psicanalista risponde che a tutt’oggi, nonostante non sia più obbligatorio, in ambiente ospedaliero rimane l’imprinting di indossare le mascherine. Questo, ovviamente, mantiene vivo il ricordo dei peggiori momenti del triennio trascorso, alimentando ulteriormente l’ansia.

E qui la dottoressa, che premette di odiare le etichette “pro vax” / “no vax” e i protocolli*, racconta un episodio della sua vita personale. Il fratello aveva avuto un tumore al polmone. Era stato operato e l’intervento era andato benissimo. Stava bene. Tuttavia il protocollo esigeva per lui la somministrazione di più dosi di vaccino. “È morto in ospedale in seguito a questi protocolli” conclude la Dottoressa Pagliacci Cipriani, convinta che se fosse rimasto a casa, curato da un medico “come quelli di una volta” che ti guardavano e capivano subito quello che avevi, e avesse preso le sue medicine, molto probabilmente oggi sarebbe ancora in vita.  

 

Il ruolo dei giornalisti e dei Media

Su quale sia la responsabilità dei giornalisti e dei media riguardo alla diffusione della paura, l’intervistata non ha dubbi: “È immensa: l’informazione trasmessa da radio e televisione nell’arco del triennio è tutta all’insegna della paura. Rare sono le persone che si azzardano a dire: ‘Tranquilli …’ e quei pochi vengono additati come quelli della contro informazione. 

“Quando muore qualcuno – prosegue –  tu stai bene al momento. È dopo che viene fuori il lutto. La stessa cosa è successa con il Covid. All’inizio si sono avuti dei drammi reali. È in un secondo tempo che sono emersi tutto l’immaginario e una scenografia deleteria: l’informazione aveva minato alla base tutto ciò in cui credevi. Accendevi la tv e sentivi, una dopo l’altra, centomila cose deleterie. In meno di un anno si è arrivati a non avere più fiducia in niente, soprattutto nei riguardi dei media e delle istituzioni. Dal patriottismo sanitario del ‘volemose bene’ – bandiera alla finestra, ‘Evviva l’Italia’, ‘Siamo tutti uniti’, ‘Che bello, siamo insieme’ – si è passati, nel giro di pochi mesi, a ‘Basta (cattive notizie ndr), non ce la faccio più’. Alla stanchezza e a un generale senso di impotenza si sono aggiunte, nel tempo, le fazioni. Senza ahimè comprendere che nelle guerre non ci sono mai né vinti, né vincitori. Gli schieramenti hanno generato incomprensioni, che hanno messo fine a rapporti di amicizia e di amore. Da un giorno all’altro, persone che credono di conoscersi da una vita si ritrovano improvvisamente ‘nemiche’. Anche quando dici di conoscere qualcuno, infatti, in realtà non lo conosci affatto. È solo nei momenti più drammatici che puoi conoscere davvero una persona: nelle malattie, nella lotta per la vita, nelle difficoltà economiche. Allora ti rendi conto che l’altro è simile a te non perché ne condividi per forza le idee, ma perché le manifesta con la stessa libertà con cui tu esprimi le tue.”

 

L’elaborazione del lutto

Affrontiamo ora il tema del dolore emotivo e della sua metabolizzazione.

“Nel primo periodo si sono avute molte morti in terapia intensiva, causate dal sovradosaggio di ossigeno che ha distrutto i polmoni dei pazienti”, dice l’intervistata, che entra nel merito del tipo di dolore affrontato. “Il dolore causato dal dramma vissuto dai parenti è quello di chi perde un proprio caro non in seguito a una lunga malattia, ma da un momento all’altro, a causa di un incidente. Nel primo caso c’è tutto il tempo per abituarsi all’idea della morte. Nel secondo si vive un ‘dramma’, e si cerca un colpevole da accusare. L’informazione, diffondendo un minestrone di idee contrastanti, non ha certo aiutato le persone a reggere il dolore per l’improvvisa, inaspettata perdita dei propri cari. A tutto questo si aggiunge la scarsità o l’assenza addirittura di iniziative, da parte delle istituzioni, tese a offrire un sostegno di carattere psicologico al maggior numero possibile di persone.”

 

La nuova normalità

Oggi si parla tanto di “nuova normalità”. Ma che cos’è e quanto ci costa, a livello mentale, accettare e adattarci a questa nuova normalità?

“Non è una nuova normalità – risponde la Dott.ssa Pagliacci Cipriani – è convivere con il pensiero che, dietro alla porta, possa sempre capitare qualcosa. Guarda caso, subito dopo il Covid c’è stata la guerra: è un continuum. E questo pensiero è comune in tutte le fasce d’età. Anche i giovani, interrogati sui loro progetti e sul loro futuro, non sanno più cosa rispondere. È forse questa la ‘nuova normalità’ di cui tanto si parla? Certamente no. È una ‘sopravvivenza’ aspettando qualcosa che magari non arriverà mai più e che se arriva, è un qualcosa che stavi comunque aspettando. È bruttissimo.”

 

Il miglior antidoto alla paura

Per concludere chiedo alla Psicanalista quale sia, a suo parere, il miglior antidoto alla paura. “La speranza. Se nutri speranza, per esempio riguardo a un progetto, puoi ancora pensare che ogni cosa si risolverà. Ma se la speranza viene a mancare, soggiogata dai ‘Boh’, c’è poco da fare. Dovrebbe però, a mio parere, rinascere in una forma nuova, all’insegna del ‘basta con l’apparenza’. Non ne possiamo più dell’apparenza!”

 

Il modus operandi

“La scuola americana cognitivo comportamentista dice: ‘Cosa hai fatto? Ti spiego’. Io sono assolutamente certa che se tu non hai capito cosa precede il cosa è successo e poi vediamo cosa fare, non potrai mai guarire davvero. Perché sarà un cerotto. Quello che vedo, tra molti dei miei colleghi, è una superficialità ormai così forte per cui ciò che interessa è innanzitutto il guadagnare … Sono pochissimi i colleghi che si rendono conto che il paziente non ha neanche gli occhi per piangere. Oggi c’è: quanto ti deve dare, cosa deve fare … Anche qui parliamo di protocollo. Non parliamo di umanità, è come se l’umanità fosse scomparsa. Perché? Perché non si guarda oltre all’apparenza: quello che è ricco, quello che conta … ma chi se ne frega? Io devo guardare quello che c’è dentro. Devo aiutare questi ragazzi che urlano in silenzio.”

 

Le fonti

Dai risultati di uno studio condotto dall’ISS e dall’Unità di Biostatistica Epidemiologia e Sanità Pubblica del Dipartimento di Scienze Cardio-Toraco-Vascolari e Sanità Pubblica dell’Università degli Studi di Padova, pubblicata dalla rivista accademica Bmj Open, si apprende che in Italia, durante il lockdown, l’88,6% delle persone sopra i 16 anni ha sofferto di stress psicologico e quasi il 50% di sintomi di depressione, con le persone più giovani, le donne e i disoccupati che si sono rivelati più a rischio.  

https://www.iss.it/primo-piano/-/asset_publisher/3f4alMwzN1Z7/content/id/6898844

https://www.sanita24.ilsole24ore.com/art/dal-governo/2022-04-26/covid-iss-il-lockdown-e-aumentata-depressione-soprattutto-giovani-160507.php?uuid=AE6GUTUB

L’OMS, nel testo della sua Costituzione firmata a New York il 22 luglio 1946, dà della salute questa definizione: “Uno stato di completo benessere fisico, mentale e sociale che non consiste solo in un’assenza di malattia o di infermità». Eppure, nel Survey pubblicato il 5 ottobre 2020, il Direttore Generale Dr Tedros Adhanom Ghebreyesus, ammette che il “COVID-19 ha interrotto i servizi essenziali di salute mentale in tutto il mondo proprio quando erano più necessari. I leader mondiali – continua – devono muoversi in modo rapido e deciso per investire di più in programmi di salute mentale salvavita, durante la pandemia e oltre”. 

https://www.who.int/news/item/05-10-2020-covid-19-disrupting-mental-health-services-in-most-countries-who-survey#:~:text=Bereavement%2C%20isolation%2C%20loss,outcomes%20and%20even%20death

Sul sito del Centro Regionale di Informazione delle Nazioni Unite si legge un riassunto del documento emesso dall’OMS il 10 marzo 2022: “Covid-19 aumenta del 25% i casi di ansia e depressione”. L’articolo mette in evidenza chi è stato maggiormente colpito e riassume l’effetto che la pandemia ha avuto sulla disponibilità dei servizi di salute mentale e su come questi siano cambiati durante il triennio.

https://unric.org/it/oms-covid-19-aumenta-del-25-i-casi-di-ansia-e-depressione/

 

 




Graffi … di ordinaria succubanza.

Dopo la preordinata e strumentale mobilitazione della gente di Cutro all’arrivo dei membri del Consiglio dei Ministri, con tanto di cartellonistica ad hoc (stessa copisteria, stesso cliché…), con tanto di grida ‘assassini’, neanche riservate ai peggiori autori dello scempio sanitario-sociale ed economico chiamato ‘pandemia’, provenienti da gente schierata in modo apparentemente strano, come fossero delle comparse piazzate ad arte, ho sentito dispiacere per la gente di Calabria: sempre ospitale, pronta e generosa.

Che mi appariva come impegnata in una parte non sua.

Sulla spiaggia di Cutro continua tuttora l’happening rosso che ne ha fatto un motivo di agitazione e propaganda.

Intanto, interpretando le vicende italiane come una sorta di ‘via libera, tanto ci difendono’, si sono intensificati gli sbarchi.

Anche se il mainstream continua a sostenere la tesi dei ‘poveri’, dei ‘poverini in cerca di fortuna’ e quant’altro di lacrimevole, la realtà è che questi soggetti che emigrano in clandestinità pagano cifre che vanno dai 6.000 ai 12.000 euro (così si legge dalla stampa varia): cifra ragguardevole per chi proviene da economie modeste o modestissime.

Quasi sempre arrivano privi di documenti, con una notevole presenza di minorenni non accompagnati a bordo (che fine fanno? chi è che li ‘raccoglie’?), sono restii a farsi inquadrare dalle telecamere.

Considerando che i ‘motivi umanitari’ sono sempre più flebili, è sempre più evidente che ci si trovi davanti a una vera e propria pianificazione, sostenuta dalla malavita internazionale e che include necessariamente collegamenti di questa con quella dei luoghi di approdo.

I meccanismi di ospitalità e mantenimento danno luogo a processi di sfruttamento ulteriore del fenomeno: uno sfruttamento estremamente avido e lucroso.

Il Governo Italiano deve far sapere che, esclusivamente tramite i propri uffici consolari, è disponibile a valutare e accogliere richieste di asilo anche temporaneo per cure mediche (accertate e documentate, avallate da enti governativi dei paesi di provenienza) per sé o familiari conviventi, richieste di lavoro anche non particolarmente qualificate (ad esempio, braccianti, colf, assistenza agli anziani senza requisiti infermieristici o medici), e quant’altro.

Solo per gli elementi ammessi a godere di un permesso di soggiorno inizialmente temporaneo, sarà ammesso il ricongiungimento familiare con il coniuge e/o i figli, sempre che nel periodo la persona non abbia violato la legge e gli obblighi connessi al suo status. Stesse procedure per motivi di studio.

Essenziale la conoscenza della lingua italiana e il possesso di documenti originali rilasciati dal paese di provenienza.

Ammessi i visti turistici per massimo 30 giorni, previa costituzione di un deposito cauzionale di 3.000 euro, tale da consentire la copertura delle spese di rimpatrio: importo che sarà confiscato in caso di irreperibilità del soggetto.

Gente che arriva senza documenti o passaporti, bambini e adolescenti che giungano non accompagnati, in sintesi tutti quei soggetti che alimentano la tratta di esseri umani, devono rimanere nel proprio paese.

Una norma di questo tipo, non farebbe gridare allo scandalo, né potrebbe dar luogo a critiche di razzismo o discriminazione.

Io accolgo secondo le mie regole e la mia legge, così come fanno tutte le nazioni: per il resto, ti posso salvare (se continui ad arrivare clandestinamente) ma ti rinvio subito al tuo paese.

In 24 ore.

Questo si chiama ‘ordine’ e rispetto delle leggi: potrebbe diventare un appunto utile per chi amministra? O dobbiamo continuare a sentirci complici di questi mercanti senza scrupoli?




Canzoni vicine canzoni distanti

Due artisti di altri tempi: Cristina Ferrari e Simone Gambini

Abito Floreale e cappello di paglia legato al foulard lei; giacca, cravatta e stile un po’ steampunk lui.

 

Cristina Ferrari e Simone Gambini hanno preso parte all’ultimo video del regista avanguardista Claudio Bernieri, che con i suoi effetti speciali, e la sua passione per il retrò e il Vintage, li ha letteralmente catapultati nel passato, al tempo in cui, per le dichiarazioni d’amore, non si mandavano vacui sms, noiose emoticon, o messaggi privi di pathos, ma si regalavano fiori, si intrecciavano sguardi, si sfioravano sorrisi.

Il testo e la musica di Raffaele Pistone ci accompagnano con la magica voce di Cristina in una “CANZONE D’ALTRI TEMPI” dedicata a tutte le Mamme, anche a quelle “distanti”:

(https://youtu.be/5aYV6MRkAfQ)

Pur provenendo da esperienze artistiche diverse, Cristina e Simone, hanno un recente passato in comune: entrambi hanno partecipato a rielaborazioni musicali della Commedia Dantesca: Cristina fa risuonare nel nostro cuore la bellezza dei versi con la sua voce dolce e potente.

Dante, dopo aver attraversato l’Inferno e il Purgatorio alla ricerca della salvezza, ché la diritta via era smarrita, guidato prima da Virgilio e poi da Beatrice, ha raggiunto l’ Empireo.

È ormai arrivato alla fine del suo viaggio, in Paradiso, e si prepara ad affrontare l’ esperienza ineffabile per eccellenza, l’ excessus mentis in deum, la contemplazione di Dio nel mistero della Trinità.

Per uscire dai confini della sua mente umana e tuffarsi nella visione ultima ha bisogno di una grazia sovrabbondante, che può derivargli solo da Maria, colei che per prima, vedendolo smarrito nella selva oscura, è venuta in suo soccorso. Il cerchio si chiude. E allora San Bernardo, che accompagna il poeta all’ ultimo passo, innalza la sua preghiera alla Vergine, perché interceda per Dante presso Dio, sì che ‘l sommo piacer li si dispieghi.

Vergine Madre, figlia del tuo figlio, / umile e alta più che creatura, /

termine fisso d’ etterno consiglio …  inizia così il canto XXXIII del

Paradiso, l’ultimo della Divina Commedia, il più bello e complesso per l’

altezza dei contenuti e dello stile.

Claudio Fanton con le sue note eseguite al duduk, l’oboe armeno, è riuscito a sottolineare e ad accompagnare la musicalità degli endecasillabi danteschi, creando un’ atmosfera sacra, sospesa, resa ancor più coinvolgente dalla straordinaria interpretazione di Cristina.

Antico e moderno si fondono per celebrare il Sommo Poeta.

Il suono melodioso e malinconico del duduk, un omaggio al martoriato popolo dell’ Armenia, accompagnando la preghiera, ci aiuta a vivere la bellezza eterna della Poesia, sublime musica per l’ anima.

(https://youtu.be/4arG33ZHnWo)

Simone interpretando Casella nel secondo canto del Purgatorio, (https://www.youtube.com/watch?v=myjYpQ9wV5M) in una versione musicale, capace di trasportare gli uditori nei tre mondi Danteschi, facendo rivivere tanto i terrori infernali, quanto le soavi beatitudini dell’Empireo, grazie alle musiche e ai disegni del suono del DJ e produttore discografico Dance, House, Soulful House-Deep, Joseph B (Joseph Brittanni), e del pianista Alex JB Martin, alla voce narrante di Kronos (all’anagrafe Gianluca Cellai, prof. di Lettere) e a personaggi del mondo Televisivo e teatrale, che coll’anima, la mente e il cuore, hanno realizzato questo colossale lavoro.




LA SCUOLA DI MASSA … OCCORRONO CORRETTIVI

 

La “scuola di massa” è stato l’epilogo finale del ‘68, da cui abbiamo ereditato una scuola aperta a tutti, grande conquista per l’istruzione democratica, ma oggi forse sono necessari correttivi.

Le responsabilità sono da ricercarsi ancor prima del ‘68 con l’istituzione della scuola media unica (1962), l’eliminazione del latino e il costante depauperamento dei contenuti di studio e l’approccio del donmilanismo, ideologia che avrebbe avuto un senso negli anni ’50, ma che alla fine dei ’60, quando si diffuse, era divenuta largamente anacronistica.

Probabilmente la scuola media unica, col tentativo di realizzare un’uguaglianza formale e non certo sostanziale ha segnato l’inizio del declino del nostro
sistema scolastico, aprendo poi la via a quella che sarà dagli anni ‘90 la diffusa licealizzazione con danni irreparabili soprattutto all’istruzione tecnica e professionale.

Prima del 1962 al termine della scuola elementare si poteva accedere alla “vecchia” scuola media (quella con il latino), ma solo dopo aver superato un esame di ammissione.

Per chi non andava alle medie c’erano tre scuole di avviamento (industriale, professionale e commerciale) e anche la scuola d’arte.

Con l’avviamento industriale si poteva accedere agli istituti tecnici industriali e con quello commerciale si poteva passare agli istituti di ragioneria mentre con l’avviamento professionale si andava negli istituti professionali.
Con la scuola d’arte, infine, ci si poteva iscrivere al liceo artistico.

È vero in pratica che a 11 anni, si decideva (all’80%) il futuro scolastico dei ragazzi che, quindi, veniva determinato più dalla appartenenza al ceto sociale che alle capacità, ma i percorsi proseguivano in continuità e la scuola riusciva a programmare un’offerta di qualità e di settore, sfornando professionalità compiute come periti agrari, commerciali, geometri, periti industriali e periti meccanici, pronti per il lavoro.

Oggi la dispersione scolastica aumenta, soprattutto quella implicita, fenomeno piuttosto diffuso che spesso sfugge alle statistiche. Ci si riferisce a quella quota non trascurabile di studenti che conseguono il diploma e non raggiungono nemmeno lontanamente i livelli di competenza che ci si dovrebbe aspettare dopo tredici anni di scuola.

E si continua a parlare con eccessiva enfasi di competenze, senza che i nostri ragazzi apprendano conoscenze certe.

Si programma per competenze anche nel primo ciclo e si dimentica il leggere, scrivere e far di conto, conoscenze e abilità essenziali sulle quali costruire nel secondo ciclo competenze certe e durevoli.

Adesso ognuno decida se davvero la scuola di allora fosse peggiore o migliore di quella attuale, ma non c’è dubbio che occorrono correttivi urgenti se vogliamo puntare su una società basata sulla conoscenza.

 

Pio Mirra
DS – IISS Pavoncelli Cerignola (FG)




Graffietti …

Monaco nefasta.

Conferenza (per la guerra?).

Ascoltando/leggendo dichiarazioni surreali, viene da chiedersi: ma stanno bene?

Sono lucidi o ipnotizzati?

C’è chi pensa di arricchirsi producendo armi o altri giocattolini bellici?

Perché non hanno il coraggio di chiedere ai Popoli cosa vogliono fare, con un referendum in tutta l’Europa?

E’ l’elasticità italiana, nostro vanto ma anche limite.

Ho vissuto in Inghilterra ed in Svizzera (tedesca) e conosco la mancanza di creatività e l’incapacità di fronteggiare situazioni impreviste.

Però poi tutto funziona, anche se al più piccolo inciampo, tilt.

La creatività è scoraggiata, la scuola repressiva, il tanto declamato college Eton è un liceo classico del tutto omologo (e forse non a livello) ai nostri licei romani.

Però dobbiamo decidere, continuare a vantarsi della nostra (indubbia) intelligenza o quanto meno prontezza di spirito, oppure decidere di far funzionare le cose, avere comportamenti più sociali e conservarla, la nostra capacità di sopravvivenza, ma accettare che esistono le regole ed alcune si possono anche rispettare




Il Ministro nordio accoglie il beato giudice Livatino

Il giudice ragazzino: Rosario Livatino

Rosario Livatino
Rosario Livatino

Reliquia di Rosario Livatino
Reliquia di Rosario Livatino

Al ministero della Giustizia il 20 gennaio 2023 è giunta la reliquia di Rosario Livatino, magistrato siciliano dichiarato beato dalla Santa Madre Chiesa.

Il ministro della Giustizia Carlo Nordio ha accolto la reliquia nella sala ministeriale dedicata al Giudice.  Nordio ha ricordato Rosario Angelo Livatino con queste parole: “ Le spoglie, l’esperienza e la tragica fine ci dimostrano che anche in questo mondo c’è spazio per coniugare la fede nell’uomo con la fede nella giustizia  divina”.

Parole importanti soprattutto se si tiene conto del fatto che Livatino è il primo magistrato riconosciuto e dichiarato beato dalla Chiesa Cattolica. Papa Giovanni Paolo II lo definì “martire della giustizia e indirettamente della fede”.  La Sua reliquia è stata esposta nel ministero della Giustizia per volontà della Venerabile Arciconfraternita Maria Odigitria dei Siciliani in Roma, che ne ha curato l’esposizione.

La “Peregrinatio Beati Rosarii Livatino – Fidei et Justitiae Martyris”, ossia la sua  reliquia, è costituita da una teca contenente la camicia che Livatino indossava il giorno in cui fu ucciso dalla mafia mentre si recava a lavoro il 21 settembre 1990.

Livatino è noto come il “giudice ragazzino”,così definito dal Presidente della Repubblica Francesco Cossiga, un testimone della storia italiana che ha donato la sua vita per la legalità e per la giustizia.  Livatino era un giudice sicuro di sé, capace di condurre inchieste “scomode” e percorrere strade sconosciute (come quella che ha portato alla confisca dei beni ai mafiosi).  Estremamente credente, rispettoso delle regole e con una visione del mondo della criminalità e politica corrotta molto ampia. Riponeva grande fiducia nel corpo della Guardia di Finanza in quanto capace di coniugare sia l’attività investigativa economico finanziaria sia applicare la legge.

Rosario Livatino nacque a Canicattì nel 1952. Dopo gli studi classici, si laureò nel 1975 in giurisprudenza a Palermo. Vinto il concorso in magistratura, nel 1979 divenne sostituto procuratore presso il tribunale di Agrigento e qui prestò servizio fino al 1989.

Criminalità organizzata, tangenti e corruzione: furono questi i nemici che Livatino combatté in questi anni. Dopo aver compreso il forte legame tra la politica siciliana e la mafia, diede vita, insieme ai magistrati Cardinale e Saieva, a indagini a tappeto su tutto il territorio agrigentino. Queste poi portarono al maxi-processo contro i mafiosi di Agrigento, Canicattì, Campobello di Licata, Porto Empedocle, Siculiana e Rivera; il maxi processo si concluse con quaranta condanne e Livatino stesso interrogò gli onorevoli Bonfiglio, Di Leo e Mannino.

La sua tenacia, gli ideali e il suo coraggio spaventarono sia la politica corrotta sia i mafiosi siciliani che decisero di mettere a tacere il “giudice ragazzino”. Così, fu ucciso il 21 settembre 1990 sulla ss640 Caltanissetta – Agrigento da quattro sicari assoldati dalla Stidda agrigentina.

La stampa: omicidio del giudice
La stampa: omicidio del giudice

Infatti, dopo averlo speronato dall’auto dei killer, il giudice iniziò a scappare nella campagna limitrofa ma uno degli inseguitori gli sparò un primo colpo ad una spalla.

Nonostante questo, Livatino continuò la sua fuga ma dopo poche decine di metri fu ucciso con un colpo di pistola. Tra i primi che accorsero sul luogo del delitto vi furono Elio Spallita, Paolo Borsellino e Giovanni Falcone.

La stele sul luogo dove il giudice martire è stato colpito a morte, lungo la statale Caltanissetta-Agrigento
La stele sul luogo dove il giudice martire è stato colpito a morte, lungo la statale Caltanissetta-Agrigento

L’omicidio di Livatino mise in luce una ferita nel rapporto tra  Stato e magistratura: la solitudine. I magistrati dispongono di un grande potere nella lotta alla mafia quando sono nell’esercizio delle loro funzioni, ma dopo il lavoro sono soli, abbandonati e privi di alcun tipo di protezione.  Per questo motivo, dopo l’omicidio del giudice, Roberto Saieva e Fabio Salomone, magistrati e suoi colleghi,  denunciarono lo Stato di aver abbandonato tutti i magistrati nella lotta alla mafia. Stessa cosa fece il giudice Francesco Di Maggio che all’Unità disse “ Dietro la bara di Livatino non può nascondersi tutta la magistratura”.

Le sue parole tuonarono come accusa verso lo stato e provocarono numerose polemiche.

Con la sua vita, con il suo lavoro e con la sua passione Livatino ci ha mostrato cosa significa essere uomini rispettosi delle leggi e buoni cristiani.




E’ sempre meglio ricordare…

Oggi si celebra IL GIORNO DEL RICORDO.

Una solennità dedicata a ricordare le vittime dell’odio, italiane, gettate vive o moribonde dagli jugoslavi di Tito nelle crepe carsiche dette ‘foibe’.

Gli oltre 350.000 italiani, profughi di quelle terre, spinti alla fuga dalle loro terre cadute in mano dei comunisti titini, dovettero abbandonare ogni cosa, dirigendosi in massa verso l’Italia.

È Storia che troppi furono gli italiani, intrisi e corrotti dall’ideologia comunista, che negarono ogni aiuto: persino negando la sosta nelle stazioni, negando l’acqua ai bambini e agli anziani, a tutti.

Drammi collettivi e individuali leniti – nel tempo, e solo in parte – dallo slancio e dalla generosità di Italiani che aiutavano altri Italiani, più sfortunati di loro.

Quanti uccisi così barbaramente e gettati nelle foibe, furono ritrovati alcuni anni dopo, e il recupero dei corpi suscitò dolore e sdegno negli Italiani. Il governo italiano insediatosi nel dopoguerra si era impegnato a corrispondere aiuti a quanti tutto avevano dovuto abbandonare in mani nemiche. Ma la “pratica” è ancora aperta, nonostante gli impegni solenni.

Quelli che sono qui sotto riportati, sono i pensieri di un Italiano, legato da sentimenti patri e famigliari a quegli Italiani cacciati da terre italiane cedute a mani ostili e avverse.

Le sue lucide, scarne ma pesanti parole, sono frutto dei suoi ricordi diretti: scavano drammaticamente, ancora oggi, l’animo di chi legge condividendo sofferenze e delusioni di altri nostri Fratelli Italiani.

Ma anche una ricorrenza solenne che deve aiutarci a cacciare dalle menti, dai cuori, dalle labbra, la parola “”guerra””: fin troppo frequentemente usata, in questi ultimi tempi.

Occorre lavorare per la PACE, respingendo ogni tentativo di fare passare le guerre ora come buone ora come cattive.

Le guerre tali sono, con tutti ciò che di tragico e luttuoso trascinano con sé.

L’Italia ripudia la guerra, recita solennemente la nostra Costituzione: ma la guerra, ogni guerra, è un puzzle composito, con mille sfaccettature.

Deve invece SCOPPIARE LA PACE, riconducendo gli Uomini dall’odio (troppo spesso immotivato) verso un Amore Universale condiviso con animo fraterno.

Questo è l’unico modo degno per celebrare le vittime di tutte le guerre. Che il grido possente MAI PIÙ GUERRE salga possente nel Cielo, riecheggiando di valle in valle.

 

————–
Mio bisnonno, italiano d’Istria, fu deportato sotto l’Austria nel campo di Katzenau, vicino Linz

Mio zio, della Regia Marina, rifiutandosi di collaborare coi tedeschi fu deportato allo Stalag B, tra Germania e Polonia.

Mia mamma, perché espresse compiacimento per Trieste italiana, fu incarcerata dalla polizia politica Yugoslava, la famigerata OZNA.

Mio padre, fuggito in quanto italiano dalla Yugoslavia, è stato sbattuto tra un campo profughi ed un altro fino ad arrivare nell’orfanotrofio di don Orione, a Roma.

Io e mia sorella, coi miei genitori, abbiamo vissuto al Villaggio Giuliano-Dalmata di Roma in una casa popolare di 48 mq per 30 anni.

Non una vita, ma tre generazioni in salita.

Antonio Ballarin




Riprenditi presto, Ornella!

È di pochi minuti fa la notizia dell’annullamento del concerto della nota cantante Ornella Vanoni previsto per venerdì 3 febbraio alle ore 20:45 al Palazzo dei Congressi a Lugano.

L’organizzatore Denis Mazzotta ci fa sapere che lo Show “Le Donne e la Musica” è stato cancellato a causa dell’indisposizione dell’Artista e che non è prevista una data sostitutiva.

Questo il comunicato stampa: “La signora Ornella Vanoni presenta uno stato febbrile che la rende impossibilitata nella realizzazione della tappa del tour ‘Le Donne e la musica 2023’, programmata per la data 03/02/23 presso il Palacongressi di Lugano.”

Quella di domani sera sarebbe stata l’ultima tappa di una tournée che ha visto la Signora della canzone d’autore italiana, accompagnata da un ensemble di cinque musiciste, girare l’Italia cantando e raccontandosi ai suoi amati fan.

Colgo l’occasione per invitarvi a leggere l’articolo dedicato all’Artista, da noi pubblicato proprio ieri.

A Ornella va l’augurio mio e di tutta la Redazione di Betapress.it, di una prontissima guarigione.

 

 

 

 

 




Il coraggio eroico di Ornella Vanoni

 

Il 3 febbraio prossimo, al Palazzo dei Congressi di Lugano, farà tappa l’imperdibile show di Ornella Vanoni: “Le Donne e la Musica”.

Ad accompagnare la Signora della canzone d’Autore italiana, una piccola orchestra di cinque musiciste d’eccellenza: Sade Mangiaracina (pianoforte e arrangiamenti), Eleonora Strino (chitarra), Federica Michisanti (contrabbasso), Laura Klain (batteria), Leila Shirvani (violoncello).

Il concerto è un’ottima occasione per riascoltare – oltre ai più recenti – i motivi che ne hanno decretato il successo nel mondo godendo, tra un brano e l’altro, del suo schietto modo di raccontarsi.

“Unica”

Ornella Vanoni, oggi, è limpida espressione e compendio di una vita vissuta con audacia alla scoperta di se stessa e dei suoi straordinari, multiformi Talenti. Il suo percorso umano e artistico, eccezionalmente ricco e longevo, è costellato di mete riservate a pochi. Comunque, in quasi settant’anni di carriera, di lei è stato scritto e detto tutto. Mi chiedo come sia possibile renderle omaggio, tenendo desti i lettori fino all’ultima riga dell’ennesimo articolo a lei dedicato. 

Ebbene: rivisitando alcuni momenti della sua vita alla luce del “Viaggio dell’Eroe” di Vogleriana memoria, ho individuato tre degli ingredienti del suo Successo: il Coraggio, l’Amore e l’Autoironia. Valori tutt’altro che scontati, che possono ispirare anche noi a trarre il meglio dall’esperienza che chiamiamo “vita”.

“Il Coraggio”

In ogni Viaggio dell’Eroe che si rispetti, non è facile all’inizio. Timidissima, insicura, ignara del proprio potenziale, O. non sa che fare di sé. Parla cinque lingue ma si sente “ignorante”. Eppure è già dotata di tutte le risorse necessarie per realizzarsi in pieno nella sua Identità più vera. C’è già tutto! Deve solo prenderne atto. “Non avevo nessun fuoco – racconta in un’intervista – ero inconsapevole di qualsiasi talento … Ero una ragazza da inventare.” 

“Hai una bella voce, perché non fai l’attrice?” le dice un giorno un’amica della madre. Se la vita è un groviglio di strade tutte virtualmente praticabili, a ogni incrocio c’è un segnale e sta a noi interpretarlo e prendere la giusta direzione. Ornella prepara la poesia “Verrà la morte e avrà i tuoi occhi” di Cesare Pavese e un pezzo dell’Elettra di Sofocle. Quindi si presenta all’esame di ammissione alla scuola del Piccolo Teatro. Davanti a sé ha dei “giganti”: oltre al regista Giorgio Strehler, ci sono l’impresario teatrale Paolo Grassi e l’attrice Sarah Ferrati che, dietro all’impaccio e alle interruzioni dell’aspirante allieva, percepisce “qualcosa”. Infatti, viene presa.   

È con Strehler che Ornella intraprende il Viaggio alla scoperta di se stessa. “Ragazza da inventare”, in lui trova un maestro, un mentore, un uomo nel cui abbraccio sentirsi al sicuro. Per usare una metafora a lei cara, è un pezzo di legno che, nelle mani del suo Geppetto, si lascia trasformare in Pinocchio.

Il Piccolo Teatro è una ventata di cultura per la giovane Ornella. Parla pochissimo. Ascolta. Osserva. Assiste alle prove dei “grandi”, rubandone gesti e intonazioni. Impara. Cresce in fretta.

Ma la prova più grande da affrontare è il dissidio interiore fra la sua timidezza e una “missione” che la vuole sotto i riflettori, esposta all’attenzione, alla curiosità e al giudizio del pubblico.

Di questo Strehler è consapevole fin dall’inizio: “Amore hai un grande talento ma se sali sul palco è un miracolo, perché non hai i nervi per fare questo mestiere.” Il regista ha un’idea geniale: creare per lei un personaggio su misura. Nasce la “ragazza della mala” e un repertorio di finti traditional, in uno dei più famosi falsi storici della canzone italiana.

L’immagine della cantante intellettuale, dai modi scostanti e dall’aria un po’ snob è costruita, certo, ma funzionale a coprire la sua insicurezza. D’altra parte il pubblico, incuriosito, si lascia ammaliare dal suo fascino naturale, da questa sua moderna bellezza e soprattutto, da un timbro di voce unico al mondo. (A me ricorda tanto il sax soprano). 

Negli anni a seguire il cliché della cantante della malavita le sta stretto. La nostra eroina lascia il porto sicuro del Piccolo Teatro, il suo “creatore” e i suoi eccessi. Ha paura? Probabilmente sì. Ma è più forte in lei il desiderio di cimentarsi in cose nuove: la canzone d’autore, il jazz, il Brasile …

Seguono anni d’ansia, notti insonni, tre crisi depressive. Alla fine, la Vanoni si arrende al suo destino di eclettica Artista. “A un certo punto mi sono detta: ‘Magari sono brava’”. È la resa essenziale alla vittoria. 

Gli strepitosi risultati da lei ottenuti in campo teatrale, musicale, televisivo e cinematografico, sono tutti in rete.   

Ciò che di lei qui mi preme evidenziare è l’aver risolto, nel tempo, l’interiore incoerenza fra essere e apparire. Il duello fra paura e coraggio che assorbiva così tanta energia, ormai è un lontano ricordo. Basta ansia, insonnia, depressione! Non ce n’è più motivo.

“L’Amore”

Probabilmente è stato il padre a ispirare, in lei, la sua prima idea di Amore.

Di lui conserva, indelebile, il ricordo dell’eroe che, nel suo cappotto grigio, la prende per la vita e porta in salvo facendole scudo con il corpo, in una Milano sotto i bombardamenti. 

Quella del padre per la figlia è la forma d’amore più puro. Esistono, tuttavia, varie forme d’amore, come vari sono i personaggi che lo interpretano.

Strehler è il mentore, la guida, il faro nella nebbia. “Hai vent’anni, arriva il tuo maestro che è un genio assoluto e ti dichiara il suo amore. Che fai, non ti innamori?” Alzi la mano chi non si è mai innamorata del proprio professore, a scuola! 

Gino Paoli è l’amore irraggiungibile per cui lottare. “È stato un casino, un amore molto travagliato e forse ho amato Paoli così tanto proprio per questo. Non lo possedevo, non lo avevo” – confessa Ornella al giornalista  Malcom Pagani per Vanity Fair – “Quando non hai una persona sei portato a credere che l’amore più grande sia quello che ti fa soffrire di più. E invece, caxxo, dovrebbe essere il contrario. Dovresti amare chi ti rende felice». Qualcuno di noi ci è già passato? 

Lucio Ardenzi è l’errore di percorso che però ti fa un regalo, anzi, due: il debutto in teatro e un figlio. Nel 1960 Ornella si sposa in giallo (a quei tempi il suo colore preferito). Ha ventisei anni, l’età giusta per metter su famiglia. Ma non è vero amore. La verità è che è ancora innamorata di Paoli. Alla nascita di Cristiano, lei e il marito sono già separati. 

Hugo Pratt è l’amore platonico. Anche se tra loro non c’è stato mai nulla a livello fisico, la Cantante lo ricorda come l’uomo più affascinante che abbia mai incontrato. Quando ne parla le si illuminano gli occhi. “Avrei voluto seguire tutta la vita lui e morire vicino a lui” racconta in un’intervista. “E poi quando parlava, quando scriveva, quando raccontava … era un po’ come Borges … non capivi mai quale era la verità, quale era la finzione, quale era l’invenzione … Poi questa sua curiosità … Tu ti sedevi davanti a lui e il mondo era lì.”

Pino Roveredo (scrittore recentemente scomparso) è l’amore intellettuale, poetico, virtuale. “Un amico vero – ha confessato ad Alex Pessotto per “Il Piccolo” – ma quante litigate! La sua era un’intelligenza creativa. Parlare con lui era un piacere”.

Francesco Leto è l’amore non convenzionale. Nonostante i quasi quarant’anni di differenza d’età i due hanno trascorso, nello stesso letto, notti intere a chiacchierare.

Negli anni della maturità, l’amore acquista sfumature bellissime. È l’Amore che abbraccia il Tutto e si fa dolce come un frutto maturo. È l’amore incondizionato che Ornella prova per suo figlio Cristiano e i suoi nipoti Matteo e Camilla. È a loro che è dedicato il suo cinquantesimo disco: “Unica”.

Gesù è l’Amore che sposa, dell’Artista, la parte animica. Riempie, mitigandoli, i momenti di solitudine e malinconia. Riaccende nel suo cuore la speranza. A Ornella piace immaginarlo stanco, la sera, per il tanto camminare. Lei lo accoglie e lo rincorre per casa. Gli lecca i piedi nella certezza che non potrà ammalarsi: dopotutto, per quanto sporchi e impolverati, sono i Suoi piedi!

E poi c’è l’amore per gli amici, pochi ma veri. L’amore per gli ultimi, i vulnerabili, i sofferenti. L’amore che si esprime nell’abbraccio di qualcuno che ti stringe forte. “Perché l’abbraccio scioglie tutti i nodi. Ed è la cosa più bella che esista.”

L’amore per Ondina – il suo barboncino nero – inseparabile compagna di serate da “ragazze sole” trascorse giocando, mangiando, guardando la TV.

E poi c’è l’amore per l’Arte, per la Bellezza in tutte le sue forme e modalità espressive, per la Cultura, la Poesia, la Musica. Riguardo a quest’ultima, la Vanoni non è innamorata di un genere specifico: ama la musica di qualità. E ama il Talento, soprattutto quando è raro e straordinario.

L’Autoironia

Ornella si autodefinisce “spudorata”. Certo, un po’ lo è sempre stata, ma è finito il tempo in cui l’eccesso di franchezza serviva a mascherare il terrore del giudizio o di non essere all’altezza. Oggi Ornella si racconta senza tabù, mettendo in luce le sue umane debolezze, le idiosincrasie, le delusioni … soffermandosi a volte sugli episodi più buffi, o imbarazzanti, che la vedono protagonista. E qui l’autoironia, che è frutto di una piena accettazione di se stessa e del proprio intrinseco valore, la fa da padrona. 

Chi ha avuto la fortuna di conoscerla, di frequentarla per un periodo o anche soltanto di imbattersi in lei in centro a Milano a spasso con Ondina, sa benissimo che è “unica”: unica nella sua coerenza, perché è la stessa persona in pubblico e in privato. 

Oggi è tranquilla, serena, pienamente soddisfatta di sé e delle cose che ha fatto. Non ha alcun rimpianto. “Sono libera, sono lieve. Mi occupo più degli altri che di me stessa”. Meno egotica, più generosa, l’Artista si sente molto più felice di quand’era giovane. Anzi, la sua “vecchiaia” le piace tantissimo!

Il segreto della sua (invidiabile!) libertà di oggi, forse, è nell’aver trovato il coraggio di essere se stessa e, soprattutto, nel non prendersi troppo sul serio. Indubbiamente, basta un pizzico di autoironia per rendere la vita un’esperienza più “leggera” – che non vuol dire superficiale! – divertente e sopportabile, anche nei momenti più delicati. 

Non ci rimane che raggiungerla il 3 febbraio alle 20:30 al Palazzo dei Congressi di Lugano, in occasione dell’ultima tappa del suo concerto “Le Donne e la Musica”. Ascolteremo dalla sua viva voce le canzoni e i momenti che hanno costellato la sua lunga storia di Donna e Artista, rendendola “Unica”.