Armatevi e partite, e, mi raccomando, resti tra di noi …

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Nota introduttiva del Direttore:
C’è una formula non detta che attraversa da anni il rapporto fra Repubblica, politica e Forze Armate: “armatevi e partite”. È l’ordine implicito dell’emergenza permanente, quello che chiede ai militari professionalità assoluta, rischio personale, sangue freddo, e nel contempo pretende che tutto resti nel perimetro del non-detto, del “low profile”, dell’archivio amministrativo. Alla fine, la gratitudine pubblica si riduce spesso a due estremi ugualmente ingiusti: o la celebrazione di rito, quando serve una fotografia istituzionale, oppure il silenzio, quando l’episodio dimostra con troppa chiarezza che qualcuno, a Roma, non ha deciso nulla, e qualcun altro, sul campo, si è assunto ogni responsabilità.
Questo articolo nasce proprio da qui: dall’indignazione verso una classe politica che usa la sicurezza come parola d’ordine e la difesa come cornice retorica, ma che poi arretra quando dovrebbe esercitare la sua funzione più seria: governare, scegliere, rispondere. Perché non c’è solo l’omaggio dovuto a uomini e donne che operano in scenari ostili; c’è una questione più grande e più scomoda: il modo in cui il silenzio istituzionale diventa una forma di rimozione, talvolta persino una censura di fatto, che priva il Paese di esempi, memoria, e responsabilità.
Il racconto che segue — verificato con riscontri autorevoli e pubblicato tutelando la fonte — non è soltanto cronaca di un “blitz” riuscito. È una lente impietosa su un paradosso italiano: si pretende l’eroismo, ma si teme la sua visibilità; si invoca la Patria, ma si risparmia il riconoscimento; si chiede di agire “per il bene comune”, però si evita accuratamente di dire chi ha dato l’ordine, chi lo ha negato, chi lo ha lasciato cadere nel vuoto. E in quel vuoto, mentre “da Roma nessuno risponde”, resta il punto politico più grave: uno Stato che domanda il massimo a chi serve, ma non sopporta di dover rendere conto del proprio minimo.
Quello che pubblichiamo è dunque anche un atto di restituzione: alla storia recente, alla dignità professionale dei reparti coinvolti, e a un’opinione pubblica che merita di sapere almeno questo, che talvolta l’Italia è stata salvata, o ha salvato i suoi cittadini e alleati, “non grazie alla politica, ma nonostante la politica”
Buona lettore e grazie al nostro Ettore Lembo che è sempre sul pezzo…

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Riceviamo e pubblichiamo questo racconto.

A tutela delle fonti, non comunicheremo la sua provenienza, ma abbiamo verificato chiedendo riscontro ad alcuni Generali.

Onore al Capo di Stato Maggiore Militare ed a tutti gli Uomini e Donne che hanno partecipato alla missione.

Sono tante le missioni ad altissimo rischio dove la popolazione non è stata informata né prima, né durante, come è giusto che sia, ma neanche dopo, magari per Onorare e ringraziare chi ha portato a termine, a proprio rischio, una pericolosa missione in scenari di guerra.

Non parliamo poi di celebrarne l’anniversario che ricordi l’azione e ringrazi chi ha avuto il coraggio di agire.

Così, missioni risolte brillantemente ed in piena autonomia dai Militari vengono taciute, ma quando qualcosa va storto…

Non si tace solo quando ci sono missioni che salvano personaggi… legati ad una certa politica e che magari si sono messi in pericolo pur di avere visibilità ed a spese dei cittadini Italiani.

Le cronache, anche recenti, lo esplicitano.

In altri casi, specialmente quando si tratta di comuni cittadini, si tace, così non si evita di dare lustro alle Nostre Forze Armate Italiane.

Onori quindi a colui che è oggi il Capo di Stato Maggiore Militare, ed ai Suoi Uomini e Donne che hanno eseguito i Suoi Ordini.

Onori all’allora Colonnello Emilio Motolese che lo ha aiutato e supportato nella difficile decisione e nell’operazione.

Un Doveroso Riconoscimento, oggi che siamo venuti a conoscenza di questi fatti.

Onore a chi si è presa la responsabilità di agire, mentre la politica vergognosamente taceva.

Sintomatica la frase “Da Roma, nessuno risponde, tutti vogliono sapere ma nessuno dice cosa fare”.

Lasciamo ora alla descrizione sommaria degli avvenimenti, così come pervenutaci a distanza di anni.

Spunti di riflessione importanti e necessari in un momento quale quello che stiamo vivendo.

Ringraziamo per la Fiducia riposta a Noi da Uomini e Donne di elevato spessore. Fiducia dimostrata inviandoci anche preziosi racconti che fanno parte di una Italia che c’è.

 

 

 

“ASSURDI SILENZI. GLI AMERICANI CI AVREBBERO FATTO UN FILM.

 

Difesa, il Generale Portolano e quell’eroico “blitz” in Afghanistan: un anniversario mai celebrato.

Esattamente dodici anni fa, in Afghanistan, i nostri militari furono protagonisti di un eroico “blitz” antiterrorismo mai celebrato. E rapidamente dimenticato.

Prima mattinata del 03.11.11. Un commando di sette guerriglieri talebani irrompe nella sede della società Esko International, a 300 metri dall’aeroporto di Herat. Due terroristi hanno cinture esplosive. All’interno, decine di impiegati vengono tratti in ostaggio, tra essi, alcuni italiani.

Il compound si trova a meno di un chilometro da Camp Arena, base Nato. Un chiaro segnale per dimostrare il controllo del territorio da parte dei talebani.

Alle 9,30, appena giunta la notizia alla base, il comando italiano, retto dal Generale di brigata Luciano Portolano e dal Colonnello Emilio Motolese, entrambi ufficiali di provata esperienza di combattimento in operazioni fuori-area, decide una reazione immediata.

Da Roma nessuno risponde.

Da Roma tutti vogliono sapere ma nessuno dice cosa fare.

Dopo un brevissimo brainstorming, Portolano si assume la responsabilità di un intervento rapido e deciso per liberare la trentina di lavoranti civili (31, tra i quali 6 italiani, 12 indiani, 12 altri stranieri e 1 afgano) chiusi all’interno.

Il compound è circondato da due plotoni (Rapid Reaction Force della Brigata “Sassari”) e si attiva immediatamente la Task Force 45 (le SF GIS e GOI).

Viene pianificata una azione diretta con vie di accesso multiple e in contemporanea da porte, finestre e tetto.

Deve essere una azione rapida e risolutiva.

L’azione viene eseguita perfettamente, tutti i terroristi sono eliminati, uno di essi attiva la cintura esplosiva provocando il ferimento di un GIS, il maresciallo Masala. Il minimo.

Tutti gli ostaggi sono liberi e salvi.

Ci sarebbe materiale per un film, libri, celebrazioni, ricorrenze. Tutto invece scivola via, quasi con imbarazzo viene nascosto sotto il tappeto delle cerimonie ufficiali dai toni ampollosi.

 Il low profile ci ha ampiamente dimostrato essere una solenne presa in giro. Gli eroi sono scomodi? Meglio se morti, medaglie alla memoria. Meglio se non hanno ucciso nessuno, ma si sono immolati. Meglio se gente comune, uomini qualunque. Costano poco, non chiedono nulla.

I professionisti invece pretendono in termini oggettivi. Ma servono. E allora teniamoli così, nell’ombra, quasi fosse una necessità e non debbano essere emulati. Quando i professionisti diventano eroi, li troviamo sulla Gazzetta Ufficiale, e basta così, sono medaglie silenziose.

In Italia nessuno saprà nulla o poco.

Gli Ambasciatori di India e Pakistan ringrazieranno il Gen. Portolano per aver salvato i propri connazionali con quel blitz rapido, determinato e risolutivo.

Dall’Italia ……. nulla.

Neanche negli anni successivi.

Qualcuno, tranne poche decine di “addetti ai lavori”, ha mai saputo niente di questo straordinario “”blitz” antiterrorismo? Qualcuno ha mai partecipato a cerimonie commemorative?

Macché, meglio non parlare dell’eroismo dei nostri militari all’estero nei teatri guerra. Meglio nascondere tutto…per sempre.”

 

Nota di rammarico di chi ci ha chiesto di pubblicare:

“La solita Italia che chiede ai suoi figli migliori di essere degli eroi ma non li vuole né celebrare né onorare.”

 


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