l’incomprensione

È così strano pensare di capirsi usando sempre le stesse parole.
Sopratutto se prima ci rifiutiamo di sintonizzarci sulle stesse frequenze… Come le radio.

Pensandoci, mi pare che (mutuando il lessico di Saussurre), con l’utilizzo della lingua,
il significante delle parole resti sempre lo stesso
mentre il suo significato non faccia che cambiare.

Chi può dare oggi una definizione di parole come
Amore
Politica
Famiglia
Dio
Fascismo
Comunismo
Ricchezza
Pace
Amicizia

E tutte quelle altre parole esposte alla normale usura da parte dell’uomo?

Una definizione fedele alla prima volta che sono state usate e all’utilizzo corrente.

Le parole cambiano significato e noi continuiamo ad usarle ciecamente

Quasi come si fa con la fiducia mal riposta.

Ci sono parole che vanno molto bene per parlare del passato
Un po’ meno bene per parlare del presente
Parole da inventare per parlare del futuro.




Yama e Yamii – una storia hindu

I nostri Dolori non sono Eterni

Yama e Yamii si amavano nell’eternità del creato.

Yama era il maschile e Yamii il femminile.

L’amore di Yama e Yamii era bellissimo.

La gioia di Yama e Yamii riempiva l’Universo e tutti godevano di tanta Grazia.

Ad un certo punto Yamii morì e Yama smise di essere felice.

Yama cominciò a piangere la morte della sua amata.

Pianse perché si sentiva solo,

Pianse perché Yamii non c’era più,

Pianse perché lui era rimasto vivo,

Pianse perché aveva perso ciò che lo completava,

Pianse perché sentiva un dolore fortissimo al cuore.

Yama pianse, pianse e pianse.

Pianse molto, pianse ininterrottamente.

Yama pianse talmente tanto che gli dèi si impietosirono e decisero che bisognava fare qualcosa.

Fu così che crearono il tempo.

Quel giorno arrivò la notte e dopo la notte arrivò di nuovo il giorno.

Al nuovo giorno gli Dèi cercarono Yama, lo trovarono e videro che non piangeva.

“Yama, non piangi più la morte di Yamii?” gli chiesero.

Yama li guardò e rispose: “è morta ieri”.

——-

Nel corso della nostra vita ci troviamo a ridere e a piangere.

I lutti della nostra anima sono le separazioni, i fallimenti, le morti…

È giusto e normale soffrire sui nostri dolori 

ma questi vanno ordinati.

Arriva il momento di entrare nel tempo, smettere di piangere e dire “è morta ieri”




Il brutto anatroccolo siamo noi

La Storia del brutto anatroccolo

C’era una volta un uovo.

Quest’uovo un giorno si schiuse e diede alla luce il più brutto anatroccolo che si fosse mai visto.

Sgraziato, deforme e dalla voce assordante.

Piano piano persino la mamma comincio a vergognarsi di quel figlio.

Così, disprezzato da tutti e con la profonda convinzione di essere sbagliato, andò via.

Non sapeva dove ma se ne andò.

Gli amici che incontrava per strada finivano per fargli del male.

Appena sentivano che era un anatroccolo, lo prendevano in giro per la sua bruttezza e deformità.

Più di una volta cercò di morire ma c’era sempre un imprevisto che lo salvava, e un po’ era forse anche per quel suo desiderio di vita anche se doloroso da affrontare.

Si chiedeva perché fosse così sbagliato mentre al mondo esistevano creature perfette.

Alcune le incrociava alle volte per caso: creature bellissime che nuotavano e volavano con una eleganza ipnotizzante.

Una volta scoprì che si chiamavano cigni.

La visione dei cigni, il contatto con la loro bellezza, creava un tuffo al cuore del brutto anatroccolo.

Sentiva il desiderio di voler appartenere a quella razza e il dolore di non sentirsi degno di avvicinarsi.

Tutte le volte che li incontrava volare sopra di lui, i cigni gli urlavano contro per la sua bruttura.

Ci vollero stagioni e dolori.

Un giorno il brutto anatroccolo, ormai cresciuto, mentre nuotava solo e triste, si imbatté per errore in un gruppo di cigni che facevano il bagno.

I primi sentimenti furono la mortificazione e l’imbarazzo e, il primo istinto, la fuga.

Ma prima che le emozioni arrivassero pienamente e facessero fuggire il brutto anatroccolo, i cigni tornarono a parlare.

E da vicino, questa volta, capí le loro parole.

Non erano urla di disprezzo ma saluti.

I cigni dissero all’anatroccolo confuso di specchiarsi e di riconoscersi

E fu allora che capí che per tutta la vita e attraverso tutti i dolori, non era stato un brutto anatroccolo ma un bellissimo cigno.


Dedicata a tutte le persone che soffriranno sempre finché non capiscono chi sono e dove stanno quelli della loro razza.

Dedicata a chi cerca il coraggio di dire “non sono quello che pensi”.

Dedicata a chi cerca la forza di confrontarsi col proprio specchio.

 

Crediti
Audio libro de Il Brutto Anatroccolo -> clicca qui




L’insidia delle arpie

A Salmidesso, in Tracia, c’era un re molto famoso.

Il suo nome era Fineo ed era conosciuto come un grande veggente.

Quando gli Déi vennero a sapere che Fineo rivelava tutti i loro piani, si arrabbiarono molto e Zeus lo punì mandandogli le Arpie affinché contaminassero con i loro escrementi il cibo che voleva mangiare.

Il povero Fineo era quindi destinato a morire di fame perché, ad ogni pasto, tutte le volte che stava per avvicinarsi ad un boccone, le Arpie glielo rubavano o, se non arrivavano, ci defecavano sopra.

Un giorno però a Salmidesso arrivarono Giasone e gli Argonauti.

Giasone aveva bisogno di una informazione che solo Fineo poteva dare e così, in cambio di questa informazione, gli Argonauti scacciarono le Arpie

———-

Facciamo attenzione però,

perché le Arpie non furono uccise ma scacciate

e così può capitare ogni tanto a qualcuno di noi di fare la fine Fineo.

Ci possono capitare di quelle volte in cui siamo talmente lungimiranti da vedere oltre quello che vedono tutti gli altri 

e, in quel momento, ecco arrivare le Arpie di turno a gettare escrementi sul nostro progetto.

Le Arpie sono quelle persone che ci dicono che non siamo buoni a nulla, che siamo degli incapaci, che non combineremo niente di buono.

Sono quelle persone che godono nel buttarci sterco addosso per sentirsi più simili a loro stesse.

Non hanno ragione, non sono logiche, ma gli escrementi che producono sono più concreti e puzzolenti delle nostre visioni

e tutta questa concretezza ci mette in crisi facendoci credere di non avere scampo,

facendoci credere che moriremo presto.

Che la morte spirituale è imminente.

Ma ci sono gli Argonauti.

Ci sono comunque le persone che credono in noi,

e se non ci sono fisicamente, dobbiamo trovarli dentro di noi: cacciare le Arpie e mantenere il nostro dono della veggenza divina.

Le Arpie vanno allontanate da tutte le nostre tavole apparecchiate perché sono il frutto dell’invidia suscitata dall’eccesso di verità.




Grazie Ciro

“Penso che Ciro ci abbia dato un altro dei suoi grandi insegnamenti su un tema sul quale stiamo riflettendo in questi giorni.

Non è la morte che trovi ma la vita che fai.

Ciro poteva benissimo rimanere in casa come Tigro.
Poteva addirittura essere un gatto buono e mansueto e restare nella sua prima casa
Ma lui era uno spirito libero e irrequieto

Lui aveva fame di tutto come dovremmo averne noi
Lui pretendeva, recriminava e otteneva, come dovremmo fare noi
Lui non aveva paura di nulla, come dovremmo fare noi

Se è morto, è stato un accidente della vita che ha vissuto al meglio e non dobbiamo avere sensi di colpa o rimorsi
Noi siamo stati un incontro nella sua vita che lui ha vissuto come ha voluto
Adesso forse è in viaggio verso un’altra vita e rinascerà Napoleone
Forse tornerà da noi ma non siamo i suoi padroni”

Questo messaggio l’ho inviato a Fulvio una sera che pensavamo che Ciro fosse stato investito.

Poi, il giorno dopo, abbiamo verificato che non era lui il gatto investito

Ad oggi pensiamo che abbia trovato un’altra casa

La riflessione su un gatto che ha dato tanto spunti, resta.

Senza Ciro e senza la possibilità di raccontare le sue avventure, sarò una persona meno interessante.




Cadere dalla bici

Sono caduta con la bici (ormai qualche anno fa)

Non mi sono fatta niente.

Stavo cercando di superare il traffico salendo sul marciapiede.

Non ce l’ho fatta.

Sono scivolata lunga sull’asfalto.

Uno scooter mi ha raggiunta per aiutarmi e il pullman di turisti che stavo cercando di superare ha aperto le porte per vedere come stessi.

Mi sono rialzata immediatamente.
Addirittura una turista dal pullman panoramico mi ha guardata applaudendo e ha detto “quanto è bella, brava”
(mistero).

Lo scooterista, accerttato che mi fossi rialzata, voleva andare via
Ma io l’ho fermato e gli ho fatto raddrizzare la bici che si era un po’ storta.

Poi voleva ancora andare

E io gli ho detto:
“no stai fermo qui che io faccio un giro in bici per vedere se è tutto a posto”.

Era tutto a posto.

Ad un certo punto, probabilmente vedendo che ero molto tranquilla e lucida, lo scooterista mi ha detto:

“meno male che non passava nessuno, se no sai che brutta figura?”

E io:

“brutta figura?!
Ma io sono in mito: sono caduta e non mi sono fatta niente.
Quale brutta figura?”

L’ho ringraziato per l’aiuto e sono andata via.

———————
Cosa ho imparato – morale circolare.

– Se metti in conto di poter cadere, alzarti è molto più facile
(ovviamente è simbolico e vale solo se non ti fratturi)

– Se sai di avere bisogno di aiuto, devi sapere esattamente di cosa hai bisogno perché è probabile che trovi gente disposta ad aiutarti ma che non sappia cosa fare.

– se una caduta agli altri può sembrare vergognosa, fregatene perché in realtà tu che ti rialzi sei un mito.

– se non sai salire sui marciapiedi, è possibile che tu cada

– ricomincia dalla prima




Il perdono di Giuda

Quando Giuda contò i suoi trenta denari e capì che né quelli né mille volte quelli potevano comprare quello che cercava, si sentì perso.

Giuda aveva fatto il più grande sbaglio della sua vita,

aveva preso tutto quello per cui aveva vissuto e lo aveva venduto 

e quel che era peggio, era che in mano si trovava delle monete senza valore,

delle monete che non erano buone neppure per essere donate ai poveri perché erano macchiate dell’errore.

Agli occhi di Giuda e di chi lo giudicava, nulla di quello che aveva fatto, era buono o poteva diventarlo.

Giuda aveva fatto una azione per distinguersi e si è trovato con nulla in mano e una infinità di sensi di colpa.

A me Giuda fa pena.

Giuda siamo noi quando sbagliamo,

quando facciamo gli errori grandi,

quelli veramente grandi.

Giuda siamo noi quando facciamo del male e compiamo una di quelle azioni che cambiano tutto, 

una di quelle azioni dopo le quali nulla sarà più come prima.

Giuda siamo noi quando quella azione è una azione che fa del male.

Giuda siamo noi quando agiamo male.

Giuda però, DOVEVA farlo.

A pensarci bene, senza Giuda gli uomini non avrebbero trovato salvezza.

Se Giuda non avesse tradito, Gesù non sarebbe diventato Cristo.

Il tradimento di Giuda era una tappa obbligatoria per la salvezza del mondo.

E allora dov’è il peccato di Giuda?

Il peccato di Giuda è sempre lo stesso.

L’unico e solo peccato riconosciuto ufficialmente come tale dal Concilio Vaticano II ad oggi (giuro: l’unico).

Il peccato di Giuda è stato non accettare l’amore di Dio, 

non accettare il perdono di Dio.

Giuda è stato talmente tanto male da non credere di meritare il perdono,

perché l’aveva fatta davvero grossa,

perché tutti ce l’avevano con lui,

perché lui stesso, per primo, si vergognava.

Si vergognava talmente tanto da non riuscire a pentirsi 

e, così, non riuscendo a perdonarsi, si è condannato.

Dio, da contratto, lo avrebbe perdonato ma lui non ha perdonato sé stesso.

E fu così che Giuda si allontanò, scelse un albero e si impiccò

e morì strozzato dai suoi sensi di colpa.

————————————————————————————————

Noi lo facciamo di continuo.

Sbagliamo,

non ci perdoniamo,

e facciamo una serie sistematica di piccoli gesti che, negli anni, ci portano alla morte.

Pensiamo di non meritare amore e scegliamo persone che non ci amano,

pensiamo di non meritare dignità e intraprendiamo strade che ci mortificano,

pensiamo di non meritare successo e intraprendiamo strade che ci portano al baratro.

Lo vediamo ogni giorno nelle persone che soffrono senza perdonarsi,

in chi ha scelto di vivere per strada perché fugge da una sua vecchia vita,

in chi non vuole chiarire un malinteso perché non crede di meritare perdono.

I primi che devono perdonare i propri errori siamo noi stessi,

Giuda non doveva morire.




La tensione al miglioramento

Cosa hai fatto per diventare migliore? Post edificante e piccola indagine estiva

“Mia cara, ma tu chi frequenti per ora?”

Questa era la domanda (nella versione molto edulcorata) che mi faceva un tempo il mio amico quando veniva a cena a casa mia e io gli preparavo cibo che veniva sempre di colore nero.

Da quelle cene ad oggi sono passate diverse passeggiate al freddo in motorino, diversi chilometri, diverse città, tantissimi traslochi, missioni impossibili e competizioni, qualche articolo che raccontava di noi e pochi, pochissimi cambi di partner.

Possiamo proprio dire che da quelle cene ad oggi abbiamo messo la testa a posto.

Tanto che adesso la domanda è diventata:

“Mia cara, e tu cosa hai fatto in questi giorni per diventare migliore?”

Nel giro di poche settimane, dopo aver passato tanto tempo a riflettere e capire,

– Ho iniziato ad agire prima di pensare troppo.
– Mi sono stancata di avere paura e di essere diffidente.
– Ho deciso che sono più forte delle debolezze altrui e perfettamente in grado di affrontarle sempre e comunque
– Ho scelto di rispettare le scelte altrui e di appoggiarle, se per loro sono bellissime.

In poche parole, ho deciso di fare il salto in fretta e senza pensarci e di non avere più paura.


E così, di fronte questa domanda mi sono chiesta?
E le persone cosa fanno per diventare migliori?

Tu che fai per diventare migliore?

Il fatto è che in questo momento sono dell’idea (o nell’età, chissà?) che non ci sia più molto tempo per i cambiamenti graduali ma esiste l’urgenza di diventare migliori nel più breve tempo possibile.

Prendendo tutto quello che si è imparato nel corso della vita e portandolo a frutto subito.

Tu che fai per diventare migliore?

Non mi interessa farmi i fatti di chi vorrà rispondermi ma mi interessa capire se c’è in giro una spinta, una urgenza al miglioramento.

– Niente discorsi generici
– Niente deprecatio temporis acti (se non sai cos’è te lo cerchi e migliori te stesso)
– Niente vista sugli altri
– Niente progetti

Solo analisi semplice, diretta e onesta.




Le persone speciali sbagliano vita e compiono grandi imprese

Le persone speciali sbagliano vita e compiono grandi imprese

Il bodhisatva sceglie di non compiere il suo percorso di salvezza e di non uscire dal ciclo delle rinascite;
lo fa perché vuole salvare il mondo e sa che quella è l’unica via.

Nella storia conosciuta, il mondo è salvato dai dissidenti,

da chi dice “no” al proprio destino perfetto,
da chi scompagina le carte del piano già steso.

Dire “no” è la via dei santi e degli eroi.

San Francesco era un ricco rampollo e Sant’Ignazio un generale valoroso.

Enea ha lasciato la sua casa col padre sulle spalle e Ulisse ha lasciato Itaca.

Tutti quanti hanno cambiato la storia.

Da che mondo è mondo le persone che lasciano il segno, sono quelle che deviano dalla strada che sembrava segnata per loro.

Le persone speciali sbagliano vita e compiono grandi imprese.

Dedicato a tutti quelli che fanno i conti con la propria vita e pensano di aver deluso le aspettative di chi aveva ipotecato il loro futuro.

Non arrendetevi: non sapete mai a che punto della vostra storia siete.

Il vostro destino non ha nulla a che fare con quello che immaginavano gli altri.




Il vantaggio del laureato In lettere

Noi laureati in lettere e filosofia partiamo avvantaggiati.

[esperimento sociologico letterario di resistenza umana].

Nella guerra sociale dell’affermazione e della gratificazione,
nella jungla dello scherno e delle maldicenze,
nella Cambogia delle rappresaglie psicologiche e delle violenze verbali,
noi laureati in lettere e filosofia, partiamo avvantaggiati.

Perché lo sappiamo fare.
Perché ci siamo abituati.

Perché veniamo addestrati fin da subito a incassare il colpo anziché schivarlo,
a resistere al dolore anziché fuggirlo.
Lo affrontiamo, lo assorbiamo e contrattacchiamo con il colpo segreto del tomo nascente.

Noi ci iscriviamo all’università e già la segretaria ci guarda e ci fa capire che non abbiamo futuro,
che saremo gli scarti delle graduatorie perenni e la sponda delle miserie di ogni call center.
Siamo la falange inutilmente laureata della moderna classe operaia.

Ma lo sappiamo fare.

Noi abbiamo avuto a che fare con centinaia di persone di tutti i luoghi e di tutti i tempi (per lo più morte o immaginarie) e, senza conoscerle e senza apparenti ragioni, ci siamo sforzati di capirle.
E il più delle volte ci siamo riusciti.

Noi osserviamo le azioni degli uomini da quando la terra era una massa d’acqua.
Ormai ne conosciamo tutte le cupidigie e tutte le dolcezze.
Siete un libro aperto … e già sfogliato mille volte.

Conosciamo più autori che persone e ogni pensiero ha una bibliografia di riferimento di almeno dieci testi ordinati in ordine cronologico.

Mentre gli altri sfogliano l’almanacco del giorno dopo pensando al giorno in corso, noi spulciamo la cronologia universale pensando all’eternità.

Quando persone noiose pensano di avere argomenti interessanti, l’unico aspetto per noi degno di attenzione è l’antropologica struttura sociolinguistica sintattica e lessicale di quello che dicono.

Di un discorso vanesio, noi dimentichiamo il senso generale e ci fermiamo sulla semplice parola assaporandone la storia segreta.

Per noi una parola ha a che fare con la linguistica italiana, la filologia romanza e la glottologia generale.
Dietro un saluto comune, odoriamo slavi misteri sociali.

Ma che ne sanno gli altri?

Ci offendono e ci scherniscono ma noi non ci spostiamo.

Abbiamo abbandonato i banchi delle biblioteche per integrarci nella società ma continuiamo a sfogliare i libri di nascosto.

Ci siamo mischiati a voi.
Se ci conoscete da poco, probabilmente neppure sapete che studi abbiamo fatto
Ma ci riconoscerete dalla forza.

Noi non ci pieghiamo alle vostre maldicenze.
Incassiamo e non ci pieghiamo.
E poi entriamo.
E vi deridiamo.

Non abbiamo la tecnica degli istituti professionali
ma abbiamo studiato Aristotele e sappiamo cos’è la techné.

Non abbiamo le basi, ma abbiamo le fondamenta.

Pensate di potere fare a meno di noi ma senza noi non vi capite.
Noi ridiamo mentre voi state seri e non capite perché.

Nella nostra perfetta mimesi, ci riconoscete da questo: dall’ironia.

Non avrai davvero letto fino a qui…
incredibile…
Sono costernata.