L’alternativa del silenzio

Questa cosa del nome magico ha creato un po’ di confusione.

Vediamo se posso fare un po’ di chiarezza.

Secondo numerosissime tradizioni che scorazzano da destra e sinistra dell’Universo Mondo,

l’atto della creazione è legata alla emissione di un suono.

Il “bhu” del purusha,

Il “logos” delle culture pagane e cristiane,

La “vac” hindu,

Ma anche la “parabola” (da cui parola)

Insomma avete capito:

Tutte quelle culture da cui nascono i concetti di parole magiche degli stregoni,

delle formule ipnotiche degli illusionisti,

delle parole di incoraggiamento dei motivatori.

Per intenderci, maledizioni (dire – quindi fare in modo che si avveri – il male) e benedizioni (vedi e adatta analisi precedente) varie.

Il tutto per dire che la parola è in grado di modificare ciò che esiste.

Il fatto è che se dici

“Il mio socio” e non hai mai firmato nulla,

“La nostra biblioteca” e non è possibile accedere a un solo libro,

“I miei dipendenti” e non hai mai emesso una busta paga,

“La mia attività” e non ci hai mai guadagnato un soldo,

“Mio marito” ma non avete celebrato un solo rito,

“La mia laurea” ma non hai mai fatto l’ultimo esame 

“La mia azienda” ma non hai mai visto un notaio in vita tua 

allora c’è qualcosa che non va.

Sperare che qualcosa si avveri e parlarne come se l’avessi già, è sbagliato.

Per rendere vera qualcosa, non basta metterci sú una parola a caso.

Non basta questo…

Agire così, non è usare la forza delle parola per creare la realtà ma è MENTIRE.

————–

Poiché questo nella vita capita a tutti,

poiché a tutti quanti è capitato volontariamente o involontariamente di usare il “nome sbagliato” per indicate qualcosa che era “altro”,

per non fare sempre lo stesso errore, riflettiamo su questo:

Le parole magiche esistono 

ma hanno sempre origine dal silenzio 

Iniziamo da quello.




Superare la paura

“L’intolleranza è la paura che nutriamo verso l’altro quando temiamo che possa toglierci qualcosa”

Raimundo Panikkar

Questa frase l’ho letta la prima volta quando avevo 21 anni

e ancora la ricordo a memoria.

E la ricordo tutte le volte che guardo qualcuno e a pelle mi fa gratuitamente antipatia.

Allora, mentre una parte grande di me vorrebbe urlarle contro, offendere, aggredire…

una parte più piccola ma con più carattere mi porta a chiedermi:

“perché questa persona/ questa cosa/questo pensiero… mi fa paura?

Cosa potrebbe togliermi?”

E capisco che, spesso, non ho niente da temere 

e torno calma.

Mi capita tutti i giorni, più volte al giorno.

Lo vedo capitare di continuo, ovunque:

– un commento aggressivo a una considerazione pacata,

– un irrazionale pensiero radicato contro un atteggiamento generale,

– una posizione aprioristica e sorda alla ragionevolezza di una azione.

La paura ha una componente comune qualunque forma o causa abbia: 

è irrazionale.

Se fossimo abbastanza lucidi da poter accettare che la paura è cieca e l’intelletto è una candela,

Sarebbe tutto più chiaro.

Ma non è sempre così.

Come è difficile non avere paura.




Barbablù e il tranello contemporaneo

Barbablù era un uomo alto, piacevole e ricco; un uomo di grande fascino e magnetismo e cercava una sposa.

Quando arrivò nel paese, individuò una famiglia con tre figlie.

Le corteggiò e, alla fine, la più piccola si convinse che, dopo tutto, la sua barba non era così blu, e così accettò di sposarlo.

La giovane si trasferì con lui in un bellissimo e grandissimo palazzo.

Lì conduceva felicemente la vita della sposa.

Tutto era perfetto.

Un giorno Barbablù dovette partire.

Prima di andare via lasciò alla giovane moglie le chiavi del palazzo con una sola raccomandazione: 

“puoi andare ovunque, ma non usare la piccola chiave d’oro”

“non ti preoccupare, non ti preoccupare”.

Appena Barbablù partì, arrivarono le due sorelle maggiori a far compagnia alla sposina.

Quando videro il mazzo di chiavi, la prima cosa che vollero fare fu cercare la porta che sarebbe stata aperta con la piccola chiave d’oro.

Passarono la giornata aprendo tutte le porte del palazzo, erano infinite come infinite sembravano le chiavi.

Alla fine, nel più profondo della cantina, trovarono l’ultima porta per l’ultima chiave.

La porta fu aperta, la verità svelata.

Dietro la piccola porta si nascondeva una stanza grondante di sangue dove stavano i cadaveri delle precedenti mogli.

Le sorelle urlarono di terrore e chiusero subito la porta 

ma la chiave cominciò a sanguinare fino a sporcare il vestito della sposa.

In quel mentre sentirono in lontananza tornare Barbablù.

Le sorelle corsero a rifugiarsi in camera e la sposa si cambiò d’abito chiudendo quello sporco nell’armadio.

Quando Barbablù tornò, chiese alla sposa le chiavi.

Vide che mancava la chiave d’oro e chiese spiegazioni alla moglie.

Non credendo alle sue parole guardò verso l’armadio, vide il sangue che scorreva e capì tutto.

Decise allora di far fare alla nuova sposa, la fine che avevano fatto le precedenti.

Le sorelle, per temporeggiare, pregarono perché la sposa si preparasse con preghiere alla morte, Barbablù acconsentì.

Intanto, arrivavano al palazzo i fratelli (chiamati per l’occasione) che irruppero nel palazzo, uccisero, Barbablù e liberarono la giovane sorella.

 

Il fatto è che Barbablù non è morto.

Barbablù è vivo e si aggira nelle nostre vite.

Barbablù è quella persona che incontriamo per il mondo e non ci convince.

Barbablù è bello, di successo, carismatico ma ha qualcosa che non ci convince: la barba blu; il segno di una antica infrazione delle regole, di una magia andata male, il segno di una antica corruzione, di una scelta di vita sbagliata.

La pietra miliare della sua perversione che la nostra ingenuità ci porta a non voler vedere perché abbagliata da altro, dal nostro sogno di stargli vicino.

Barbablù è un cattivo stregone, un cattivo mago, un cattivo maestro, un cattivo guru.

Barbablù è l’uomo (o donna) che riesce a fare breccia nel cuore dell’anima giovane e inesperta della vita che ne diventa preda.

La giovane sposa avrebbe fatto la fine delle precedenti spose se non fossero arrivate in suo aiuto le sorelle, l’intelletto maturo, che l’hanno spinta a chiedere, a fare domande, a usare la chiave d’oro e a scoprire la verità.

La verità, una volta scoperta, urla giustizia, non c’è più modo di tenerla nascosta e vuole una risposta.

C’è solo un modo per sconfiggere Barbablù: crescere e non permettergli di sopraffarci usando tutte le nostre armi, usando la traccia del nostro essere, la famiglia psichica.

———–

E così anche noi, 

se non vogliamo restare uccisi dai finti maestri,

impariamo a chiedere e ad aprire le porte nascoste.

Barbablù è l’orco e l’assassino,

è l’occasione, il tranello, 

è ciò che risucchierà la nostra anima e ci corromperà se non facciamo attenzione.

Facciamo attenzione,

non sottovalutiamo le barbe blu.

Tutto quello che è chiaro e non vediamo, è frutto della nostra illusione.

Non finiremo chiuse nella stanza segreta dell’oblio.




La vita nascosta di Javert

Javert era un uomo di legge

Egli aveva fatto della sua vita un perfetto paradigma di correttezza e giustizia,

Sapeva che esiste il giusto e il disonesto, sapeva distinguerlo chiaramente e si era schierato dalla parte del giusto.

La gente onesta amava Javert: egli impediva infatti ai ladri di rubare, agli assassini di uccidere e ai dissidenti di schierarsi contro il giusto stato.

I delinquenti odiavano e temevano Javert.

Javert era un uomo di legge.

Conosceva la legge dell’uomo e la legge di dio, non aveva altro codice.

Javert per tutta la vita ha inseguito un nemico: Jean Valjean.

Un uomo che un giorno, per fame, aveva rubato una mela ed era finito ai bagni penali.

Jean Valjean fuggì e Javert iniziò il suo inseguimento per punire il male.

Jean Valjean era un uomo buono che per fame aveva rubato, per coraggio aveva ucciso per amore aveva disatteso una promessa.

Egli portava nel cuore il peso di tutti i suoi errori e aveva dedicato la vita a porre rimedio facendo del bene.

L’inseguimento di Javert a Jean Valjean è durato tutta una vita.

Una sera Javert e Jean Valjean si trovano uno di fronte all’altro, senza scampo per nessuno dei due.

Allora Javert guarda Jean Valjean e capisce il motivo per il quale ha inseguito quell’uomo per tutta la vita; capisce che c’è qualcosa che va oltre la giustizia, capisce che oltre al bianco e al nero esiste il grigio e ne è sconvolto.

Javert fa la cosa giusta: lascia andare Jean Valjean ma non riesce a sopportare di aver lasciato scappare il nemico di quello parte di lui che non può vivere senza regole scritte dagli altri.

Javert soffre perché deve decidere in pochi minuti della sua identità.

Deve decidere se è un uomo di legge o un uomo di sentimento; se è un uomo che sa o un uomo che sente.

Sente di aver fatto la cosa giusto ma sa di aver fatto la cosa sbagliata.

Capisce allora di non essere adatto a questo mondo e risponde per l’ultima volta alla sua logica sociale.

E così Javert, sovrastato dal disagio, non capendo più cosa è giusto e cosa è sbagliato, si uccide.

[I Meserabili -Victor Hugo]


Javert spaventa e commuove.

Noi sono Javert tutte le volte che cerchiamo di distinguere il bene dal male, il logico dall’illogico, che vogliamo metterci al riparo in una società in cui le regole sono scritte da altri.

Tutte le volte che falliamo trovandoci davanti a una realtà impossibile da schematizzare.

Noi siamo Javert e sappiamo che le persone migliori sono i Jean Valjean, quelli che vivono, sbagliano e danno un senso eterno alla loro vita.




Tipi da social

In Italia il 73% della popolazione è presente on line e il 57% è attiva sui social.

Negli ultimi anni 34 milioni di persone hanno registrato un profilo on line e hanno iniziato a somigliargli.

In principio, forse, pensavamo tutti di fare in modo che il profilo creato ci somigliasse: abbiamo inserito i nostri dati e le nostre foto; dapprima con grande discrezione, poi, piano piano, non abbiamo resistito alla seduzione della possibilità di riscatto e abbiamo iniziato a voler somigliare al personaggio caricato.

I profili hanno iniziato a diventare un Avatar o, meglio un Avatara.

Avatara in sanscrito vuol dire “manifestazione”, “discesa sulla terra della divinità”, una sorta di “epifania divina”.

E così sui social abbiamo iniziato a pensare di poter esporre la nostra manifestazione divina, la parte migliore di noi: quella più bella, grazie ai filtri delle foto, quella più intelligente, grazie alle citazioni copiate e incollate on line, più influenti grazie all’auto-celebrazione.

Ma la simbologia delle divinità è alta e raffinata e non sempre facile da incarnare.

L’avatar, l’immagine, la maschera…

“Datemi una maschera e vi dirò la verità” scriveva Oscar Wilde ma questo avviene nello stato embrionale della vita social: quando l’utente muove i suoi primi passi e vive ancora un momento di pudore della personalità, quando pubblica poco e non ama condividere troppe foto, quando ancora il simbolo può trovare spazio. 

Poi, piano piano, prende dimestichezza col mezzo e viene colto dal desiderio della esposizione divina ma, inesperto del raffinato mondo simbolico delle divinità antiche, viene fatto prigioniero da un annichilente, semplice e schematico mondo delle maschere fisse delle fabulae atellanae.

In poco tempo il mondo dei social viene popolato da novelli 

Dossennus il parassita gobbo e scaltro che si atteggia a sapiente.

Pappus il vecchio babbeo lussurioso, rimbambito e avaro.

Maccus quello che “fa il cretino” e mangia di continuo.

Buccus quello con la “bocca grossa”, che parla a vanvera.

Ovviamente i nomi sono cambiati e anche (poco) le caratteristiche.

L’atellana Social moderna è popolata da

Il Guru.
Il Guru ha conquistato una propria notorietà on line, ha un più o meno folto gruppo di accoliti che leggono tutto e si dividono tra quelli che prendono a cuore i loro “insegnamenti” o quelli che le rifiutano nettamente.

Queste due fazioni popolano poi i social combattendo le loro crociate l’una contro l’altra.
La caratteristica principale dei Guru è che non seguono mai i consigli che dispensano.

Ci troviamo così davanti a esperti consulenti aziendali che non hanno aziende, maestri di vita con esistenze a pezzi, esperti di indipendenza finanziaria con buchi di bilancio imbarazzanti.

Però, a loro discolpa, si può dire che sono lì per insegnare, mica per essere coerenti…

Batman: 

Se si legge il suo profilo, si nota che c’è sempre qualcuno con cui è arrabbiato: lettori silenti che lo spiano e tramano contro la sua felicità, nemici invisibili dai quali deve difendersi, terribili ingiustizie subite.

Batman però ha sempre un avvocato dalla parte del manico e lo sguaina al momento opportuno.

Nonostante le tante prove della vita, ha fiducia nel fatto che sconfiggerà tutti grazie alla sua forza e al suo coraggio.

Forza Batman fagliela pagare a tutti!

Grandi prove per grandi uomini!

La Vrenzola

Espressione dialettale napoletana diventata di nota grazie anche ai video dei the jackal (vedi crediti a fine articolo).

Le vrenzole usano le bacheche di facebook per dare risposte pubbliche sulla propria vita privata.

Seguire i discorsi delle vrenzole non è facile perché non sempre si sa contro chi l’abbiano, ma in genere basta guardare tra i commenti dove con discrezione futurista è spiegato dove andare a cercare l’altra voce di questo romanzo epistolare moderno.

La vrenzola si differenziano da Batman perché questo sente il peso dell’essere un super eroe e sa che il suo destino è quello di combattere contro tutti i cattivi aspettando di incontrarli una notte a Gotham, la Vrenzola va dalle galline e le prendere a borsettate.

Seguire le vrenzole è come fare la settimana enigmistica: tiene allenata la mente.

Il Cronista

Con lo zelo e la professionalità dell’inviato di guerra, il cronista ci informa di tutti i suoi spostamenti e delle sue azioni.

Potrebbe cominciare postando il risveglio, poi la colazione, i bambini a scuola, il lavoro, la spesa, il cane, il gatto, il topo e l’elefante…

Di lui sai sempre tutto: quali sono le sue passioni, quale principessa della Disney è, qual è il record a Candy Crush… il suo sogno segreto (che fa di tutto per rendere vero) è avere un reality sulla propria vita privata che si sforza di far apparire perfetta ma vera: ogni tanto anche il cronista ha un problema ma lo supera con filosofia e coraggio. 

In un mondo così falso e incerto, sapere che il cronista pubblicherà ogni mattina la foto del suo caffè, è una certezza da non sottovalutare.

 

Quello intelligente.

Tra le tante certezze di facebook c’è lui: quello intelligente.

Non importa se abbia studiato all’istituto professionale e poi si sia dedicato ad una vita da impiegato al catasto. Tutto questo tempo libero gli ha permesso di informarsi di tutto e di tutti.

L’opinionista sa sempre quello di cui si parla e di cui è importante parlare: dalla trasmissione sul canale privato ai raffinati affari di alta politica.

Se ci fosse lui al potere tutto avrebbe senso.

Se non ci fosse lui on line, non conosceremmo le tendenze di opinione.

Lui ha pensieri profondi, visioni acute e ha sempre ragione anche quando … anzi no, soprattutto quando ha torto.

Tutti vorremmo essere lui.

 

Ma queste sono tutte immagini, piccoli frammenti, deviazioni dell’intero.

Sono riproduzioni semplicistiche alle quali affidiamo noi stessi per piacere di più a chissà chi.

Chissà chi per davvero, perché, in effetti proprio, non si capisce a chi piacciano questi stracci di personalità.

Però sono facili da gestire e per questo ci seducono, perché sui social pare più facile avere una personalità riduttiva e schematica che non cercare confusi la propria identità che potrebbe essere così grande che, da vicino, non riusciamo a metterla a fuoco.

 

Crediti

Fonte dati: grafici

Vrenzole:

video the jackal you tube  

fonte immagine: facebook

 




Delle buone passioni e delle nostre anime perfette

Io lo ricordo l’amore e ricordo che era esclusivo,

ricordo che era così ingombrante che ogni volta rendeva trasparenti tutte le altre cose.

L’amore è bruciante, l’amore consuma passione.

La passione è egoista e le sue regole sono orientamento ed energia incondizionate.

La passione è un’ossessione che brucia e consuma finché non ti cambia.

La passione può renderci migliori così come può renderci peggiori.

Ma non è colpa della passione: dipende da noi.

La biga va equilibrata dal cavallo della ragione.

Lasciamo che le passioni arricchiscano la nostra anima e badiamo che la ragione vegli affinché la strada sia quella giusta.

La passione è un’ossessione e lavora l’anima per un costante miglioramento o logorio.

Il tipo di lavoro che facciamo su noi stessi non migliora o peggiora il mondo direttamente, ma è la via per renderci “strumento”.

La passione orientata verso il bello migliora la nostra anima.

Lo studio di una fotografia, 

la ricerca su un argomento,

l’immersione dentro brani musicali,

la scoperta incessante del bello,

la sete di natura,

la fame di arte.

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Dovremmo impegnarci ad amare incondizionatamente ciò che ci avvicina alla bellezza 

ogni età ha le sue passioni 

ogni età ha l’obbligo di migliorarci in modo differente per avvicinarci il più possibile alla migliore idea che abbiamo di noi.

Che la passione per il bello forgi la nostra anima perfetta.




La bellezza salverà il mondo

È importante circondarci di bellezza?

La bellezza di un ambiente, può migliorare l’indole di un individuo?

“La bellezza salverà il mondo” faceva dire Dostoevskij al principe Myškin dalle pagine de L’Idiota.

Per qualche minuto, poniamoci il problema sollevato da questa chiosa.

La bellezza influisce su di noi? E come?

La bellezza ci migliora?

Qual è il rapporto di causa ed effetto tra ambiente e socialità?

Alziamo la posta: 

nei quartieri degradati c’è la malavita perché i quartieri sono degradati o viceversa: la malavita esiste perché prospera nel degrado?

Questa è la provocazione sollevata dal prof. Alessandro Bianchi, Rettore dell’Università Telematica Pegaso, nella sua prolusione all’evento Ri-Genera Tour.

Ri-genera è un ciclo di appuntamenti di formazione itineranti coordinato dal prof. Bianchi e dal prof. Mauro Minelli, presidente del Corso di Studi in Scienze Motorie della stessa Università.

Il tema del ciclo è stato il rapporto tra ambiente e salute.

Un ambiente bello, curato, civile, nel senso etimologico del termine, ovvero adatto al civis, al cittadino, un ambiente così fatto, può influire sulla buona condotta e sulla buona salute dell’individuo?

La responsabilità dell’urbanista, di chi architetta la sinfonia del nucleo abitativo, è forse quello di impattare così profondamente sull’anima umana da indirizzarne l’indole?

La responsabilità del nutrizionista è quello di e proteggere l’organismo dall’impatto dell’ambiente esterno preparandolo al meglio?

Forse sì.

Se è facile pensare che un ambiente salubre facilita il nostro benessere fisico, pensare che un ambiente bello e armonioso possa aiutare il nostro benessere sociale richiede uno sforzo in più.

Ma non perché non sia giusto e logico, ma perché non siamo abituati a pensarlo.

La bellezza salverà il mondo?

Forse sì, o, comunque, può essere usato come strumento impattante.

Allontaniamoci per un attimo dai contenuti fedeli della lezione e facciamo una riflessione parallela.

Nel 1969 il professor Philip Zimbardo fece un esperimento che dimostra la viralità dell’atto vandalico.

Prese due auto identiche e ne posteggiò una nel Bronx, quartiere povero e periferico, un’altra nella ricca e tranquilla Palo Alto.

Nella prima parte dell’esperimento, accadde quello che tutti ci aspettiamo possa accadere: dopo una settimana, la macchina posteggiata nel Bronx venne smantellata e depredata di ogni pezzo; la macchina posteggiata a Palo Alto restò intonsa.

La seconda parte dell’esperimento, portò ad un interessante stadio successivo.

I ricercatori ruppero un vetro della macchina posteggiata a Palo Alto; in poco tempo la stessa auto fu oggetto di furti e vandalismo che ridussero la vettura come la gemella del Bronx.

Ecco quindi che si nota che quando ci troviamo davanti a qualcosa già manomessa o sgradevole, una parte di noi si ritiene giustificata a portare avanti il disordine.

Quando una strada è piena di cartacce, ci sentiamo più giustificati a buttare anche noi un rifiuto fuori dal cestino rispetto a quando ci troviamo su una strada pulita.

Quando visitiamo città ordinate e pulite, ci sentiamo in dovere di essere ordinati e puliti a nostra volta.

Com’è bello l’animo umano che si adatta all’ambiente circostante e come è potente la vocazione di chi vuole e può, col suo operato, migliorare gli animi.




Lettera all’amico

In tutta sincerità non nutro grande stima per la Vita.

Certo le porto rispetto, quel rispetto che non mi fa mettere la mia volontà sopra la sua.

Ma di lei ci sono tanti aspetti che mi turbano.
Non mi piace, per esempio, il dolore che la pervade (non potremmo risparmiarcelo?), il fatto che debba finire (perché allora affannarsi tanto?), la sua apparente inutilità cosmica (chi siamo e che senso abbiamo al cospetto dell’universo?)…

Però non riesco a biasimarla del tutto.

Le riconosco infatti dei frequenti colpi di genio più che quotidiani.
Parlo di quello scorcio di panorama alzando lo sguardo che lascia incantati;
del colore del cielo che cambia sempre e ogni volta toglie il fiato facendoti partecipare all’infinito;
del volo di quell’insetto che all’improvviso ti fa dimenticare dell’insetto e sospende per aria anche te.

Cose come queste, che non sono le singole cose ma la eco dentro la nostra anima.
Quel colore, quel profumo, quel sapore, quel suono, quel tocco, quell’estasi muta fuori controllo.

E, tra queste, la sua perfezione, il suo incastrarsi perfetto,
Il suo farti dire agli altri proprio le parole di cui hai bisogno tu.

Quelle parole che tu solo sei in grado di dire perché proprio tu conosci quel dolore.

E allora amico mio non chiedermi mai scusa per la tua forza incompresa.
Non c’è fallimento nell’apparente non trovare pace.
Siamo persone assetate che non si accontentano e sanno che da qualche parte esiste la nostra fonte.
E anche se non dovessimo trovarla, sappiamo che moriremmo molto prima se non provassimo a cercarla.

Ascoltiamo gli altri, li guardiamo senza invidia,
ma ci chiediamo quando toccherà anche a noi quella fetta di normalità che tocca a tutti gli altri ma a noi no.

Quel matrimonio fatto per bene, quel figlio sano, quel lavoro sicuro, quel titolo rispettabile, quell’orgoglio dei genitori, quella casa ordinata, quello spicchio di stabilità…

Quello che ottengono tutti gli altri ma noi no.
Ed è così difficile spiegarne il perché a chi ce ne chiede conto.
Perché non c’è un vero motivo.
Appariamo come quelli che dicono “no” a tutto e che non vogliono accontentarsi ed essere felici.

Però noi lo sappiamo che, alla fine, che vogliamo essere felici è l’unica cosa che vogliamo e ci urla dentro come un babbuino impazzito.
Lo sappiamo che se non troviamo pace è perché stiamo scomodi
e ci muoveremo finché non troveremo il nostro posto
Ovunque sia.
In qualunque tempo sia.
Ma è così difficile spiegarlo.

Amico mio non c’è vergogna nel seguire le strade più lunghe e solitarie
Non sono poi cosi solitarie, è che stiamo tutti zitti e non ci accorgiamo dei vicini.

La nostra è una norma diversa, più difficile da accettare anche per noi, però ci porta verso la strada che ci avvicinerà di più a ciò che siamo.

Non potrò dirti di accontentarti e farti piacere ciò che hai.
Di abbracciare i sogni e le attese di semisconosciuti, di tenere il tuo tempo sugli orologi di altri, di voler vivere nello spazio troppo stretto per te.

Amico mio non scusarti per la tua forza incompresa.
Alla fine le nostre spiegazioni non interessano a chi ci pone queste domande.




30 pensieri offensivi per le donne

Ecco l’elenco delle cose che nella società in cui viviamo offendono l’esser donna.

Di seguito riportiamo un elenco in via di incremento che un campione di 250 donne intervistate hanno raccolto nel corso degli ultimi 3 mesi.

L’elenco qui riportato non è stato presentato in ordine di importanza ma in ordine di produzione.

Questo elenco sarà oggetto di approfondimento nel corso delle trasmissioni di Betapress.it a tutela del più debole.

 

Elenco

1) Il pensiero che si debba essere sempre l’amante di qualcuno per far strada;

2) Dover ascoltare e sopportare in silenzio battute allusive da parte di uomini in qualunque momento e in qualunque contesto;

3) Pensare che il proprio valore sia monetizzabile;

4) Non poter fare un figlio se non si ha un contratto a tempo indeterminato per paura di essere licenziate;

5) Aspettare di firmare un contratto a tempo indeterminato per far figli;

6) Compensare il proprio bisogno di affetto e approvazione con la svendita del proprio corpo;

7) Sentir dire come complimento “ragioni come un uomo”… come se, in certi casi, ci volesse tanto…

8) Percepire in un uomo la sincera invidia verso chi mercifica il corpo femminile;

9) Che la tv mostri la donna come un oggetto buona solo a ballare e dimenarsi;

10) Che l’immagine passata dai media sia quella di una donna uterina e dai nervi fragili;

11) Il fatto che ancora, si ritenga che una chiave di volta del marketing sia legata al sesso;

12) Che vengano sottovalutate dagli uomini la sindrome pre-; infra- e post- mestruale;

13) Non poter dichiarare la propria omosessualità senza che un uomo non esprima i propri sogni erotici;

14) Che si usi un nudo femminile anche per pubblicizzare una saponetta;

15) Che si usino  immagini femminili ammiccanti anche per pubblicizzare un formaggio;

16) Accettare e fare propri tabù sessuali legati al contesto familiare, religioso e culturale in cui si è cresciuti;

17) Sentir chiamare un uomo per nome cognome e titolo e la donna, di pari età, titolo e grado, “ragazza, signora. signorina” … quando va bene… quando va male:  per metonimia con una parte del proprio corpo o per similitudine con nomi di animali;

18) Gli uomini che devono a tutti costi mettere le mani addosso per toccare e palmare;

19) La violenza fisica e psicologica sulle donne;

20) La stupida competitività femminile;

21) Perdere la tenerezza umana per un modello di potere;

22) Fare del valore delle bellezza un valore esteriore, canonizzato e rigoroso piuttosto che una commistione di animo, modi e gesti;

23) Sentirsi nel torto quando si subiscono molestie e violenze;

24) Dovere apparire per poter essere;

25) Pensare di dover nascondere la propria intelligenza per poter trovare un uomo;

26) La frase “essere bella è un grande limite per la carriera”: chi dice così ritiene che la propria bellezza sia oltremodo superiore alla propria intelligenza;

27) L’idea che la sola priorità di tutte le donne debbano essere il matrimonio, i figli e il marito;

28) Quando ci si separa dal marito, pretendere gli alimenti anche se ci si potrebbe mantenere da sole;

29) Confondere la sensualità con la sessualità;

30) Pensare di dover essere simile ad un uomo per poter esser ritenuta uguale o migliore: non dobbiamo essere uguali ma complementari: ciò che una donna non fa, lo farà l’uomo e viceversa.

 




Dislessia: un modo diverso di vedere le cose…

In Italia nel 2017 se ne contavano quasi 2 milioni.

Per fortuna è un esercito numeroso perché non sarebbe stato facile combattere in pochi contro tanti preconcetti.

Sono i ribelli della scrittura, i sovversivi della sillabazione, i disobbedienti delle cifre, al secolo noti come ragazzi con caratteristiche di DSA (Disturbi Specifici dell’Apprendimento), sono i disgrafici, dislessici o discalculici.

Sono tanti ma rischiano di essere ancora di più i preconcetti sul loro conto:

  • Sono malati -> poverini
  • Sono dei geni -> sono incompresi
  • Sono pigri -> ci vogliono i ceffoni
  • Vanno aiutati -> poverini
  • Sono lenti -> poverini
  • Anche Einstein era dislessico -> sono tutti scienziati
  • Semplicemente non si impegnano abbastanza -> sono pigri
  • Adesso che esiste la malattia, sono tutti dislessici -> ci vogliono i ceffoni
  • Nelle prove orali sono più bravi che in quelle scritte -> poverini
  • Hanno la testa tra le nuvole -> sono pigri
  • Non potranno mai leggere -> poverini
  • Leggono ma non capiscono -> poverini
  • Confondono le lettere -> poverini
  • Confondono la destra con la sinistra -> poverini
  • Sono dislessici perché da bambini non giocavano abbastanza per terra -> colpa dei genitori

E avanti fino all’infinito.

A chiedere in giro a cosa viene da pensare quando si parla di dislessia, se ne sentono proprio di tutti i colori.

Quasi viene da pensare che questi ragazzi siano malati, eppure non ci sono i presupposti per definirli tali.

Questi piccoli eroi, ogni giorno, combattono delle guerre senza quartiere contro l’opinione comune e il diffuso “sotuttismo” (vogliamo togliere la possibilità di dire la propria anche a chi si occupa di tutt’altro?), contro madri ansiose, insegnanti superficiali, fratelli geniali, medici pressappochisti e scuole rigide.

Super eroi circondati da tante opinioni sulla dislessia ma poche su di loro.

Ovviamente quella che ho presentato non è l’unica realtà, ma è solo quella che mi disturba di più.

Di contro, naturalmente, esistono genitori pacificanti, insegnati competenti e professionali, fratelli che sono fratelli con i quali giocare e litigare e non poli di paragone, medici preparati e scuole all’avanguardia.

Esistono anche realtà di supporto molto belle ed è con una di queste che mi sono fermata a parlare.

Loro sono Alessandro Rocco, Paola Saba e Valentina Conte, sono i volti e le voci di W la Dislessia e io sono una fan del loro lavoro perché, a guardarli all’opera e a parlare con loro, sembrano felici e al posto giusto e queste, per me, sono qualità di valore.

Operano a Vicenza ma seguono ragazzi provenienti da tutta Italia.

All’interno della loro struttura, seguono ragazzi con riconosciuta dislessia insegnano loro tecniche di lettura e metodo di studio.

Secondo il loro metodo, non si parte dal problema ma dalle difficoltà dei ragazzi.

Se si va sul loro sito (il link tra i riferimenti) si legge che hanno seguito fino ad oggi 3756 ragazzi e formato attraverso i loro corsi 6034 genitori.

Mi spiegano Paola e Alessandro che il lavoro che fanno avviene su più livelli: si lavora coi ragazzi e coi genitori.

Spesso il primo incontro è con i genitori che li contattano perché sono preoccupanti per i loro figli ai quali o è stato diagnosticato una difficoltà di apprendimento; o accusano una difficoltà scolastica (spesso dovuta alla mancanza di un metodo di studi) più o meno circostanziale.

I ragazzi faranno una valutazione con Paola o Valentina mentre i genitori, che avranno portano tutte le documentazioni del caso, dovranno affrontare Alessandro che, di solito, un po’ li richiama all’ordine.

Spesso i genitori portano dai ragazzi di W la dislessia i propri figli per farli “curare” e alla fine può capitare che siano proprio i genitori i primi a dover cambiare certi atteggiamenti, abbattere certe ansie e farsi una sorta di esame di coscienza per le proprie pretese.

Non per cambiare la diagnosi specialistica ma per aiutare i propri figli a concentrarsi sui propri talenti.

Quello che cercano di fare i ragazzi di W la dislessia, è creare l’esigenza nelle persone di continuare ad avere voglia di imparare.

Per riassumere, i ragazzi, attraverso il gioco e la relazione (non facendo i compiti) valorizzano le loro doti compensando e mirando a colmare altre lacune; i genitori imparano a gestire la dislessia dei figli e, quando ci sono, la propria ansia o fragilità genitoriali.

W la dislessia entra anche nelle scuole grazie a giornate dedicate e a incontri specifici, un modo controintuitivo di affrontare delle realtà giovani (i DSA), numerosissime e che ancora   capita che non si sappia bene come prendere.

Ci auguriamo che venga un giorno in cui, come dicono Paola, Valentina e Alessandro, si decodifichi quella D dell’acronimo DSA non come Disturbi ma come Difficoltà perché “tuo figlio non è malato”.

Riferimenti

 

 

 

 

 

 

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Libri: 

? W la Dislessia – tuo figlio non è malato

W i Compiti – come dire definitivamente addio i pomeriggi di urla e litigi