Libertà di parola

“Non userò il vostro vocabolario per descrivere la mia vita.
Non farò decidere alle vostre parole il mio futuro.
I miei sogni non saranno i vostri desideri e i miei viaggi non mi lasceranno chiusa a credere che le vostre paure siano coraggio.

Le sociopatie non sottendono il genio ma contengono la miseria.

I miei amici saranno molto più numerosi di me e quasi tutti con opinioni diverse dalle mie.

Userò romanzi, drammi teatrali e poesie per creare il mio glossario, imparerò quante più lingue possibile per descrivere così almeno un pezzo del mio cuore e abbraccerò l’immenso, lontano dai vostri rifiuti a voi stessi.

Se vi dovesse capitare di ricordarvi di voi, abbiatene cura”

Disse.

E così, senza rancore, con una grande gioia nel cuore e libera, spense il computer e volò via.




Sport individuali e spirito di squadra

Come funziona la kick boxing e perché mi ha insegnato un anomalo concetto di gioco di squadra

La kick boxing è uno sport da combattimento individuale.

Nella kick sono fondamentali tre cose

  • tempismo

  • spazio

  • reattività

Nella kick boxing si combatte uno contro uno, nello spazio del tatami, senza uscire, prendendo meno punti possibile e facendone più che si può, parando e contrattaccando, giocando di anticipo e non cedendo mai al dolore.

Nella kick boxing lo scontro è 1 contro 1 ma ogni atleta sfida 5 avversari:

  • sé stesso,

  • l’altro combattente e

  • 3 arbitri che dovranno dichiarare il suo punto.

Nella kick boxing si prendono tante botte, prima, durante e dopo la gara.

Al di là se poi se ne esce campioni o meno, la kick boxing è una allegoria della vita.

Se vuoi vincere devi agire velocemente, nel momento giusto e nello spazio esatto.

Questo e molto altro è quello che insegnano tutti gli sport da combattimento e tutte le discipline marziali

ed è per questo che è importante praticare questo genere di attività.


La kick boxing poi ha anche un altro aspetto che mi piace molto ed è quello delle GARE A SQUADRE.

Nella gara a squadre ognuno combatte contro un avversario dell’altra squadra.

L’ordine viene deciso dalla squadra secondo varie strategie ed è segreto fino al momento in cui si sale sul tatami

questo vuol dire che non saprai chi è il tuo avversario finché non te lo trovi di fronte.

Ogni atleta combatte e accumula punti per la squadra.

Alla fine vince la squadra che ha fatto più punti in tutto.

Questo è quello che ho imparato dalla kick boxing:

La kick boxing è uno sport di squadra anomalo: ognuno gareggia per portare più punti alla squadra e per sostenere col proprio impegno il compagno più debole.

Ogni atleta sa che dovrà lavorare in un combattimento uno ad uno per vincere quell’incontro e per accumulare punti

ma anche per aiutare il compagno che non ne ha fatti abbastanza.

Nessuno può far finta di combattere,

nessuno si può imboscare

ognuno deve essere presente a sé stesso lì e in quel momento e deve rendere conto del proprio contributo alla squadra.

O si vince o si perde e ognuno ne è responsabile.

Si combatte da soli in un’ottica di vittoria comune

questo ho imparato dalla kick boxing.

Questo penso quando penso a un lavoro di squadra:

ognuno combatte il proprio incontro in un ottica di bene comune

ognuno cercherà di recuperare i punti persi dal compagno

ma non potrà combattere al posto suo.




I Rischi del 5G, cosa può fa paura agli Stati.

Poco fa, a Montecitorio si è svolto un incontro sul tema del 5G e dei rischi ad esso legati, è emerso che

Premesso che per la tutela della salute pubblica è dovere del Parlamento e del Governo Italiano considerare la protezione della salute della popolazione civile come essenziale ed inderogabile

Premesso che ai sensi della Convenzione di Lugano del 1993, sulla responsabilità civile per il danneggiamento risultante da attività lesive all’ambiente (Lugano, 26 Giugno 1993) si riterrà co-responsabile in solido qualunque amministrazione pubblica autorizzi attività lesive all’ambiente e alla popolazione esprimendosi in favore dell’installazione e dell’autorizzazione della Tecnologia 5G sul territorio comunale, derogando al principio di precauzione e quindi al principio di tutela della salute pubblica

Premesso infine che, ai sensi della Convenzione del Consiglio d’Europa sulla Protezione dell’Ambiente attraverso la Legge Penale (Convenzione di Strasburgo, 4 Novembre 1998) ogni comitato spontaneo contro il 5G sul territorio italiano potrà costituirsi in giudizio contro qualunque amministrazione che autorizzi tale tecnologia senza la prova indefettibile sulla sua innocuità per la salute della cittadinanza e del popolo italiano.

Invocando l’applicazione delle predette Convenzioni Internazionali e tutte le altri Convenzioni Internazionali sottoscritte e ratificate dall’Italia nel rispetto della Legge Internazionale.

Si esorta il Parlamento Italiano al rispetto delle pre-citate disposizioni normative internazionali per la tutela dell’incolumità della salute pubblica e si chiede che la presente comunicazione possa venire divulgata a tutti gli organi Parlamentari, Governativi ed Amministrativi sul territorio Nazionale.

Speriamo che questa riflessione contribuisca a evitare i rischi sull’essere umano legati alla tecnologia 5G.

 

 




Dialogo interiore tra un gesù e un giuda

La volontà della trasformazione – dialogo interiore tra un gesù e un giuda

Io sono Gesù.

Vivo nel futuro e ve lo porto.

Non voglio né nomi né appellativi perché si trasformeranno in lacci.

Quando lo farete, io me ne andrò.

Prendetevi quello che vi dò perché sono solo di passaggio.

Io sono Giuda

e sono mansueto.

Obbedisco e me ne pento.

Il mio più grande difetto, ciò che mi porterà alla morte, è che non reggo i sensi di colpa.

Non capisco che le mie azioni non hanno a che fare con ciò che sono ma con ciò che faccio.

Gesù ha cercato di spiegarmi questa cosa, io gli voglio bene ma non riesco a farla mia.

Lo seguo sperando che cambi qualcosa in me lui, perché io da solo non riesco.

Lui mi dice che per lui sono importante.

L’altra sera mi ha chiesto una cosa strana.

Mi ha detto che devo tradirlo, che devo permettergli di liberarsi dai lacci del suo nome e cambiarlo in Cristo.

Io non lo voglio… ma la mia volontà è labile, io non ho posizioni, se le avessi, le terrei anziché scappare…

“Giuda, se non mi tradisci, io non potrò mai essere il prossimo me stesso.

Qui c’è troppa gente che ha bisogno di questo me, mi chiama con quel nome e gli dice chi sono;

se resto così non potrò mai essere il mio prossimo me stesso”

“Signore, allontana da me questo calice, ma non sia fatta la mia ma la tua volontà”

——

Tutti noi ci siamo chiamati Gesù e tutti noi abbiamo bisogno di Giuda.

Gesù è la parte di noi che più ci piace, quella che piace agli altri, che viene riconosciuta e ha il suo valore nella vita quotidiana.

Gesù influenza anche la vita degli altri che, quindi, ci tengono che resti il più possibile.

Ma Gesù non è una persona intera, è solo uno stato di passaggio,

non può restare per sempre perché non è un sasso e, in cuor suo, lo sa.

Quando Gesù si rende conto che tutti ormai gli hanno dato un nome e un ruolo, capisce che è arrivato il momento di andare, perché lui è più grande di quel vestito che gli è stato dato.

Lo stato Gesù, deve quindi andar via e per far questo deve smettere di essere quello che è.

Deve tradirsi, slegarsi dalla folla e trovarsi solo.

Trasformare il suo ruolo da chi aiuta in chi viene aiutato.

Lo stato Gesù ha bisogno dello stato Giuda.

Dentro di noi ci sono lo stato Gesù, lo stato Giuda e l’aspirazione ad essere Cristo.

Per passare allo stato Cristo, quello nuovo, abbiamo bisogno di tradirci, trasfigurarci e morire allo stato precedente.

A volte siamo talmente innamorati di noi, del nostro modo di essere, del modo in cui ci vedono gli altri, che smettiamo di cercare di essere davvero noi stessi, di seguire il nostro mutamento, la nostra evoluzione.

Non lo facciamo perché pensiamo di essere una specie di esempio, perfetti e indispensabili, pensiamo di sapere tutto e ci piace essere cristallizzati così.

Ma l’evoluzione non vuole staticità.

Essere Gesù è solo una tappa, in quella dopo c’è Cristo.

E quando si sarà Cristo, ad un certo punto, si tornerà ad essere Gesù e avremo ancora bisogno di Giuda: dovremo ancora tradirci, disobbedire a noi stessi, consegnarci al giudizio, non essere compresi, scontrarci con leggi che non sono le nostre e ci sembra non abbiano senso…

E in tutto questo ci sarà Giuda… che ha trasformato il suo ruolo in una persona e non ha ancora capito questa cosa morendo a causa dei sensi di colpa.




Rispetto dell’Ecosistema e lineamenti di ecosofia

Ecosofia – Intervento di Chiara Sparacio all’interno della “Conferenza Internazionale Prevenzione Emergenze”: Protezione Nazionale Boschi e Foreste – Riduzione del Global Warming ROMA, 25 Ottobre 2019 ore 15.30  e MILANO, 26 Ottobre 2019 ore 15.30

(leggi qui il comunicato stampa dell’evento: Conferenza Internazionale Prevenzione Emergenze: Protezione Nazionale Boschi e Foreste Riduzione del Global Warming)

Parlare di Ecosofia all’interno di una conferenza che parla di prevenzione delle Emergenze ambientali vuol dire guardare lo stesso argomento da un punto di vista differente.

È un po’ come quando si guarda un giardino da tante prospettive differenti: alcuni lo guardano dall’interno, altri si affacciano dalla casa di fonte, altri ancora confrontano guardando altri giardini vicini.

Il mio intervento è una finestrella un po’ più distante, aperta da una casetta a Tavertet, vicino Barcellona, una casetta in mezzo ai boschi, molto difficile da raggiungere che non è neppure mia ma di un uomo di nome Raimundo Panikkar.

chiara sparacio

Raimundo Panikkar è stato un uomo dal “multiforme ingegno” classificato come pensatore, scrittore, filosofo, professore e tanto altro ancora… è morto nel 2010 e ha lasciato una vastissima bibliografia.

Anche se il rischio è quello di semplificare troppo, potremmo dire che ha sviluppato il suo pensiero nel rapporto generativo tra gli uomini, la Terra e il senso del divino.

A questo proposito ha coniato il termine Cosmotheandrico: κόσμος, θεός, ἀνδρός (kosmos, theos, andros).

Panikkar ha ipotizzato una sorta di triangolo di relazione, senza vertice principale né basi fisse che, per funzionare, richiede la piena collaborazione e il completo scambio tra i tre vertici.

Questo vuol dire che l’uomo, per essere veramente sé stesso e vivere bene con sé e con gli altri, ha bisogno anche della relazione con la terra e l’ambiente.

Viceversa: l’ecosistema per sopravvivere, ha bisogno dell’uomo e di essere riconosciuto non solo come flora, come oggetto, ma anche come fenomeno (da φαίνω – faino– : manifestazione).

Il rapporto tra l’uomo, la terra e il sovrasensibile altrimenti indicato come Divino e il presupposto fondamentale di questo articolo.chiara sparacio

Tra i cardini del pensiero di Raimundo Panikkar c’è quella che lui aveva chiamato EcoSofia, ovvero una riflessione profonda sull’ambiente.

Tra i cardini del pensiero di Raimundo Panikkar l’EcoSofia, ovvero una riflessione profonda sull’ambiente.

Eco-sofia è una parola di etimologia greca composta da Eco (in greco οἶκος) e sofia (in greco σοφία).

Sofia non è solo sapienza, come la traduciamo concettualmente in epoca moderna, in realtà questo è l’ultimo dei suoi significati, prima ci sono l’abilità, la scienza, il senno

Οἶκος (oikos), che troviamo come suffisso di numerosissime parole: eco-logia, eco-sistema, eco-sfera, contrariamente a quanto possa sembrare per via della usura scriteriata delle parole, non indica semplicisticamente l’ambiente esterno ma vuol dire casa, abitazione, dimora…

Andando ancora più a fondo, è un luogo sacro: tempio, curia, stanza per gli atleti… (ricordiamo che, presso i greci, l’atleta era considerato un semidio).

Ecco quindi che il termine οἶκος riacquista in questa prospettiva una importanza cruciale per l’esistenza umana: non è solo un ambiente che viene abitato in modo passivo e che può essere sfruttato indiscriminatamente ma è un ambiente attivo che influisce sulla persona, formandola, arricchendola e migliorandola.

Ricordiamoci che ciò che è sacro, se toccato, rende sacri.

Ecco quindi che, mentre siamo qui a parlare di problemi ecologici, quello che dobbiamo avere chiaro è che, quando si parla di ecologia, si tocca una sfera sacrale.

Attenzione: con sacro non intendiamo il dio.

La radice del latino “sacrum” è di etimologia incerta, probabilmente ha a che fare con la radice indo europea sac-, sak-, sag –  che ha a che fare con l’attaccamento, l’avvinghiamento… che poi abbiamo riferito alla divinità ma sappiamo bene che il concetto di divinità non è propriamente universale nei suoi dettagli.

Per cercare di essere un po’ più universali potremmo dire che il divino ha a che fare con una realtà superiore rispetto quella umana comune, ma non sappiamo esattamente dove sia geograficamente dislocata questa parte. 

Non stiamo parlando di religioni o spiritualità o di qualunque cosa possa apparirci come distante da noi e messa chissà dove ma di aspetti profondi dell’anima.

Eco-logia, dicevamo. 

Loghia ha che fare con il λόγος che tende a segnare la dimensione pratica dell’esperienza.

Logos non la semplice parola astratta, come si può pensare, ma la parola concreta, quella che crea: “in principio era il logos”

L’ecologia moderna, affronta i problemi dello sfruttamento della terra e si sforza di combatterli.

Ma non dobbiamo farci prendere né dalla foga delle parole né dalla foga delle idee.

Fare dell’attivismo ambientale oggi, con il vocabolario che abbiamo a disposizione ci fa correre il rischio di non capire bene cosa facciamo, di scappare dalla realtà che c’è dietro, di non scoprire l’origine del problema.

Abbiamo detto poco fa che Panikkar, nello sviluppo del suo pensiero ha creato una sorta di triangolo di relazione: uomo, natura, sovrasensibile.

Ecco: quando Raimundo Panikkar parla di ecosofia, sposta l’uomo dal vertice della gerarchia terrestre e lo pone sulla terra insegnandogli che non esiste un triangolo di gerarchia ma di relazione: 

“l’ecosofia adempie una funzione rivelatrice. Ci rivela che la terra – come noi stessi – è limitata, finita e che abbiamo con lei dei legami stretti, dei legami costitutivi e quindi reciproci. (cit.R. Panikkar)

Per sperimentare l’ecosofia, per avere coscienza della terra, dobbiamo prima avere coscienza di noi stessi.

Per capire la saggezza della terra dobbiamo prendere coscienza del nostro sé e scoprire che non è una cosa differente e separata da ciò che ci circonda: 

“una coltivazione di me stesso che non sia anche coltura della natura […] non è coltura dell’uomo”.  (cit.R. Panikkar)

Panikkar, occidentale per parte di madre spagnola e orientale per parte di padre indiano, amava osservare differenze e punti di contatto tra la cultura occidentale e la cultura orientale.

Egli sottolinea come la “cultura occidentale” esaspera una cultura della contrapposizione piuttosto che della mediazione e, in un certo senso, della contaminazione e dell’arricchimento.

Questo perché voler separare nettamente ogni cosa dall’altra, anche se condividono la stessa natura, comporta la tragica creazione di realtà separate e inconciliabili. 

La conseguenza inevitabile di questa impostazione culturale è stata ed è l’allontanamento dell’uomo dalla natura.

Quando l’uomo non si sente parte completante e complementare della natura, allora ne prende le distanze e genera un rapporto di passività o dominio.

È chiaro che una relazione di questo tipo causa disagio e il prezzo sono le calamità ecologiche: le piogge acide, l’inquinamento che oscura il cielo sottrae giorni di sole, i cedimenti del terreno, l’estinzione di molte specie animali e vegetali, le malattie del feto e le alterazioni genetiche.

Ma conferenze come quella a cui stiamo partecipando oggi, le parole che ci stiamo dicendo e stiamo ascoltando, tutte le mobilitazioni di questo tipo che stiamo vedendo agire in questi mesi, sono i segni di come l’uomo si sia accorto del ritorno del boomerang lanciato e voglia trovare una soluzione.

Pare che l’uomo stia capendo che, sempre come dice Panikkar, “l’uomo è terra, ma la terra è anche noi”.⁠5 

Alla luce di tutto questo, quindi l’ecosofia, diventa il dialogo con la terra.

Prima della cultura capitalistica (o, come usa dire Panikkar, prima della cultura monetocratica) il rapporto cosmotheandrico era chiarissimo: l’uomo si rivolgeva al dio tramite la natura, offrendo sacrifici. 

Questo accadeva perché la percezione che queste tre verità – la terra, il Dio e l’uomo – erano in completa relazione e partecipazione era vivissima.

Purtroppo la monetocrazia, l’idolatria del denaro, ha sbilanciato questo equilibrio.

L’ecosofia vuole ristabilire il rapporto triadico tra Dio, l’uomo e la natura e questo può avvenire solo dal nuovo ascolto di sé stessi e dall’accettazione del nuovo rapporto con la natura; nuovo non perché non è mai stato sperimentato dall’uomo (tutt’altro) ma perché non è stato ancora sperimentato dall’uomo moderno.

Il nostro atteggiamento deve essere quello del dialogo sincero che intercorre tra chi non intende prevaricare sull’altro ma cerca uno scambio reciproco e sincero: 

“se ascoltiamo, la terra stessa può rivelare […] la volontà di Dio riguardo al compito dell’uomo su questo pianeta. […] se non avviene un vero incontro religioso (religioso ovvero che crei un legame: religere) tra noi e la terra, finiremo per annichilire la vita sulla stessa terra”. (cit.R. Panikkar)

 

Sito dell’ente organizzatore: www.itpc-commission.org

Dichiarazione alberi patrimonio dell’umanità https://www.itpc-commission.org/dichiarazione-globale-alberi-patrimonio-dell-umanita/ firma anche tu




Studio, non chatto…

Quando la scuola ti toglie lo smartphone e ti restituisce te stesso.

A Palermo la prima scuola senza telefonino.

 

Tu hai il coraggio, uscendo da casa per fare una commissione veloce e accorgendoti di aver lasciato il telefono a casa, di non tornare a prenderlo?

E sei così impavido da non guardare il tuo telefono per tutto il tempo (primo e secondo tempo) di un film al cinema?

E come ti sentiresti se ti dicessero che per tutto il tempo che trascorri a lavoro, ore e ore, devi lasciare nel cassetto il tuo telefono?

Ci pensi mai alla tua vita senza la tua appendice telefonica?

Mentre osservi l’effetto che fanno su di te queste domande, pensa che a Palermo, all’Istituto Gonzaga, dall’inizio dell’anno scolastico, ogni giorno, qualche centinaio di ragazzi delle scuole medie inferiori e superiori lasciano il loro telefono in un mobile comune alle 8,00 del mattino e lo riprendono alla fine delle lezioni alle 15,00.

Detta così, se le prime righe di questo articolo ti hanno fatto rabbrividire, pensare a restare per 7 ore ogni giorno senza telefono, potrebbe farti paura.

La cosa che non ti aspetti (anche se una parte di te lo sa) è che, ad oggi, la vita di questi ragazzi, sembra velocemente migliorata.

Per sapere di più di questa scelta, ho incontrato il preside dell’Istituto Gonzaga padre Eraldo Cacchione S.J. (Societas Jesus).

Il preside, infatti, non è un vecchio disinformatizzato, ma un giovane gesuita che ha studiato la tecnologia, la usa e in questa vede una opportunità.

La decisione di allontanare la distrazione dello smartphone dalla quotidianità scolastica è nata da un processo iniziato lo scorso anno, quando le classi superiori del liceo hanno iniziato un percorso di formazione e informazione su come le chat e l’utilizzo dei telefonini influenzino la nostra vita e personalità fino, anche, ad essere pericolosi.

I ragazzi del Gonzaga hanno fatto più incontri di intere giornate con uno psicologo, con un esperto di social e con il questore.

Alla fine di questo percorso si sono impegnati anche nella codifica di un documento di auto-disciplinamento dell’utilizzo degli smartphone ma, allora, i tempi non erano ancora maturi per portare una svolta, una presa di posizione tanto forte da causare un cambiamento endogeno, ovvero  stimolato già da loro.

E così, forte dell’esperienze dell’anno precedente e di un lungo discernimento su questo tema, all’inizio di quest’anno scolastico, padre Eraldo si è confrontato col collegio dei docenti e, assieme, hanno deciso di prendere in custodia i telefoni degli studenti riponendoli in uno spazio dedicato e riconsegnandoli alla fine delle lezioni.

A questo punto, anche se è passato poco tempo, ci si aspetterebbe una sommossa di popolo: studenti lesi nei propri diritti che reclamano la propria libertà di comunicare ed essere connessi.

E invece niente.

Gli studenti sembrano quasi sollevati dalla responsabilità di dover essere sempre “altrove” anziché nel loro “qui e ora”.

Ripeto che si tratta di una azione attivata da poco tempo, è quindi prematuro qualunque discorso sui risultati ottenuti o formulazioni moral-socio-filosofiche di sorta.

In pieno spirito ignaziano (il paradigma pedagogico ignaziano infatti, dato un obiettivo di apprendimento, prevede dei periodi di valutazione e meditazione intermedia) questo “esperimento” prevederà dei momenti intermedi di valutazione e discernimento, alla fine dell’anno, quindi, potremo trarre le prime valutazioni più corpose.

Fatte queste dovute considerazioni, ecco però, intanto, quali sono i primi risultati che io stessa ho potuto notare raggiungendo padre Eraldo in istituto e attraversando i giardini e i viali del Gonzaga durante la pausa del pranzo e parlando con lui.

  • I ragazzi stanno eretti: non piegati sulla propria mano a guardare un altro mondo più o meno reale.
  • Hanno riscoperto il piacere dell’abbraccio: probabilmente, trovandosi con una “mano libera” e scoprendo di avere delle persone in carne e ossa accanto, sono più portati a portare il braccio sulla spalla del compagno e a camminare così.
  • Sono più attenti: nonostante la moderna abitudine di ognuno di noi di auto definirci ed esigerci multitasking, questa non è che una illusione; se facciamo le cose una per volta, se dedichiamo la nostra attenzione ad una situazione per volta, riusciremo ad ottenere migliori risultati con molta meno fatica e, infine, la qualità del nostro tempo, migliorerà.
  • Sono più sereni: il fatto di essere esentati dal rispondere agli amici, ai genitori, ai like di conosciuti e sconosciuti, li tranquillizza e permette loro di non subire sbalzi di umore e conseguente stress.

Approfitto di questa ultima considerazione per sottolineare un aspetto notabile.

Capita che siano gli stessi genitori a mantenere il contatto con i figli durante le ore di scuola, scambi di messaggi e telefonate sulle interrogazioni e sui compiti in classe, gesti di presenza che, alla fine, rischiano di rendere i figli meno responsabili e concentrati.

A onor di cronaca, il mio lungo incontro con padre Eraldo è stato molto più ricco di  quanto posso esprimere con queste 1000 parole, mi ha portato tanti stimoli, lucide formulazioni e rimandi a situazioni di cronaca.

Ci siamo lasciati con l’impegno di rivederci e, per parte mia, partecipare agli incontri di riflessione intermedi durante l’anno.

E chissà se, intanto, come ha ipotizzato p. Eraldo durante la nostra conversazione, la sospensione del telefono durante l’orario scolastico non diventi presto legge.

 




Controllo dell’obiettivo

ALT
PAUSA

fermati e guarda tutto quello che sei,
per un istante,
guarda dove sei arrivata,
dove tendi, dove vuoi arrivare.

Voltati e guarda la strada fatta e chiediti se è sempre stata coerente.

Dove è successo?
A quale punto la strada ha deviato?
quando è successo che quello che volevi tu, è diventato quello che volevano gli altri?

A quale chilometro hai sentito il bisogno di avere l’approvazione degli altri?

All’inizio non era così,
all’inizio avevi la tua mappa, il tuo piano e la tua dose di incognite che, però, eri sicura di saper controllare.

Adesso, se guardi il disegno di come doveva essere all’inizio e di come sei, le cose non quadrano: la strada ha deviato.

E allora?
Approfitta di questo istante per guardare cosa sei.
Cosa si aspettano le persone da te.
Quanto queste aspettative ti condizionano.

Sei libera e felice come ti aspettavi che saresti stata oggi, quando hai mosso il primo passo del tuo viaggio, oppure qualcosa non torna?
La strada ha deviato?

è un po’ come per quelle equazioni che facevi alle superiori: per avere il risultato corretto, dovevi fare perfettamente tutti i passaggi, se sbagliavi, dimenticavi, saltavi qualcosa, tutto andava a scatafascio.
E così tornavi indietro, ricontrollavi tutti i passaggi e ritentavi finché il risultato non combaciava con quello che ti aspettavi.

Anche oggi, alla fine, le regole importanti le hai imparate.
Gli errori che fai, non sono più quelli dell’ignoranza ma quelli della velocità, della disattenzione, dell’indolenza,

Adesso il risultato certo da controllare è la tua felicità.
Già che sei ferma e stai leggendo, chiediti se sei felice.
Se hai l’impressione che il risultato sia sbagliato, correggi il calcolo.




Conferenza Internazionale Prevenzione Emergenze: Protezione Nazionale Boschi e Foreste Riduzione del Global Warming

 

Conferenza Internazionale Prevenzione Emergenze: Protezione Nazionale Boschi e Foreste Riduzione del Global Warming

CON PATROCINIO DEL SENATO DELLA REPUBBLICA E DEL MINISTERO DELL’AMBIENTE

 

Il 25 e 26 Ottobre, rispettivamente a Roma e a Milano, si terranno le due giornate di studi della Conferenza Internazionale Prevenzione Emergenze: Protezione Nazionale Boschi e Foreste – Riduzione del Global Warming, promossa da IEMO (International Emergency Management Organization), in collaborazione con Accademia Costantiniana ONLUS e da Social Future Project Italia. La conferenza ospiterà relatori di rilevante spessore scientifico nel settore dell’Ambiente e del Clima.

 I lavori verranno aperti con la prefazione del Premio Nobel Werner Arber.

Scopo della Conferenza è dimostrare che la Direttiva Europea RED II ed il Testo Unico in materia di Foreste e Filiere forestali (TUFF) italiano vanno emendati, disincentivando ulteriori disboschi e restringendo immediatamente il termine “biomasse” ai soli residui e scarti legnosi pena l’incoerenza alla neutralità sulle emissioni di gas serra (carbon neutrality) che sia l’Italia sia gli altri Stati Europei si sono obbligati a raggiungere per cercare di prevenire il collasso climatico. Tagliare alberi per farne legname chippato o energia elettrica emette il 150% in più di C02 (Anidride Carbonica) nell’atmosfera rispetto al Carbon fossile; questo è il motivo per cui bruciare alberi contravviene ai Protocolli di Kyoto: perché le “biomasse legnose” non sono vere energie rinnovabili e, anzi, accelerano il collasso climatico e, non potendo venire rimpiazzate in tempo utile per scongiurare il collasso ambientale previsto da qui a pochi anni dagli scienziati dell’IPCC (Panel Intergovernativo sul Cambiamento Climatico delle Nazioni Unite).

In questa prospettiva, il taglio degli alberi è sicuramente da evitare, sia in ambito rurale sia urbano, in quanto gli sono gli unici difensori dell’ecosistema dal collasso globale. Anche le potature urbane vanno ripensate. Poco, infine, farebbe la riforestazione con nuove piantine, che impiegherebbero oltre 20 anni per sviluppare un’estensione fogliare sufficiente ad assorbire  quantità rilevanti di C02. Preservare  gli alberi esistenti, potenti assorbitori di CO2 é anche la soluzione pratica per  dare risposta alle richieste del movimento dei giovani dei “friday for future” di  Greta Thunberg. La conferenza è ad ingresso libero e prevede una larga partecipazione di oratori e di pubblico. Data la rilevanza dell’evento la stampa nazionale è invitata a partecipare numerosa, specialmente all’apertura dei lavori delle due sessioni, quando verranno fatte le prime dichiarazioni ufficiali supportate dai dati scientifici.

 

ULTERIORI PATROCINI  ISTITUZIONALI ESPRESSI ALLA CONFERENZA :

Senato della Repubblica  –   Ministero dell’Ambiente e della Tutela del Territorio e del Mare

Roma Capitale, Regione Lombardia, Regione Emilia Romagna, Regione Liguria, Regione Puglia, Regione Trentino Alto Adige, Città Metropolitana di Bologna, Città Metropolitana di Catania, Città Metropolitana di Genova, Città Metropolitana di Messina, Città Metropolitana di Palermo, Città Metropolitana di Torino, Città Metropolitana di Roma, Provincia dell’Aquila, Provincia di Barletta Andria- Trani, Provincia di Arezzo, Provincia di Belluno, Provincia di Bergamo, Provincia di Brescia, Provincia di Brindisi, Provincia di Caserta, Provincia di Ferrara, Provincia di Forlì-Cesena, Provincia di Imperia, Provincia di Lecce, Provincia di Livorno, Provincia di Parma, Provincia di Pavia, Provincia di Pesaro e Urbino, Provincia di Pescara, Provincia di Potenza, Provincia di Rimini Provincia di Rovigo, Provincia di Salerno, Provincia di Teramo, Provincia di Vercelli

 

Programma

PRIMA GIORNATA  e  CONFERENZA STAMPA – 25 Ottobre 2019 ore 15.30 –

Hotel dei Congressi – via William Shakespeare, 29 –Roma – EUR

 

Saluto delle Autorità

Dr. Alessandro Manini, Presidente IEMO – Allocuzione d’ingresso – Prevenzione Integrata Emergenze con Lettura del Messaggio di adesione del Premio Nobel Prof Werner Arber

Prof. Dott. Ugo Corrieri, Coordinatore di ISDE per l’Italia Centrale: le biomasse legnose non sono vere energie rinnovabili e il loro uso causa gravi effetti sulla salute – evidenze scientifiche e documentali

16,20 conferenza stampa

Ing. Sabine Becker (in video) e Prof. François Rouillay, Co-Fondateur de l’Université Francophone de l’Autonomie Alimentaire: Dall’Albero alla Foresta: L’Importanza dell’Ecosistema

Dr. Alessandro de Aldisio, Vicepresidente SFP Italia: le implicazioni del Cambiamento Climatico

Prof. Dott. Bartolomeo Schirone, Membro ISDE dell’Università degli Studi della Tuscia (Società Internazionale Medici per l’Ambiente): quanti boschi servono? Analisi dati tecnici e il perseguimento degli Obiettivi per lo Sviluppo Sostenibile

Dr. Leopoldo Rizzi, la gestione del territorio: risorse naturalistiche di sviluppo culturale 

Prof. Dott. Paolo Zavarella, Associazione Italiana di Medicina Forestale: La valorizzazione della biodiversità e la salute dell’uomo

Dott.ssa Chiara Sparacio, Cronista Betapress, Rispetto dell’Ecosistema e lineamenti di ecosofia. 

Dr. Arch. Mattero Sernesi: Progetti integrati come esempi di sostenibilità

Prof. Cav. Philip Bonn, Director-General, World of Hope International: Biodiversity Protection 

Dr. Alessandro Manini, Presidente IEMO – Closing remarks

 

SECONDA GIORNATA  e CONFERENZA STAMPA – 26 Ottobre ore 15.30 – Hotel Michelangelo Milano (di fianco Stazione Centrale )

 

Saluto delle Autorità

Dr. Alessandro Manini, Presidente IEMO – Allocuzione d’ingresso alla seconda giornata e Conferenza Stampa ai media presenti sulle tematiche affrontate nella sessione di Roma

Proiezione del Video “Burned” sugli effetti della deforestazione e cambiamento climatico

Dr. Alessandro de Aldisio, Vicepresidente SFP Italia: Le implicazioni del Cambiamento Climatico

Cav. Giulio Terzi, Segretario Generale IUIC: Le Convenzioni Internazionali di Protezione Ambientale 

Dott.ssa Carolina SalaLa prevenzione delle emergenze e la tutela dell’ aviofauna boschiva

Loris Chiovitto, Presidente MIPAD: esempi di sostenibilità

Dr.Arch. Mattero SernesiProgetti integrati come esempi di sostenibilità

Dott.ssa Bendetta Rosina: La riduzione del Global Warming, la tutela del patrimonio forestale primario e della qualità dell’aria

Dr. Alessandro Manini, Presidente IEMO – Closing remarks

 

 

 

UFFICIO STAMPA

DOTT.SSA MILENA SAIA

GRUPPO EDITORIALE CCEDITORE

BETAPRESS.IT

INFO@BETAPRESS.IT




Se lavoro pagami, altrimenti sei due volte disonesto…

Perché non riusciamo a farci pagare per il lavoro che abbiamo svolto?

Siamo a Palermo, ma questa è una storia che si ripete identica a Torino, a Milano, a Roma, a Napoli, a Bologna e per ogni città italiana potrei portarvi il nome di una persona che ha lo stesso problema.

Gente brava, in gamba, molto professionale, tendenzialmente con una pecca:

sono brave persone, di quelle che danno fiducia e che mettono il 100% di loro stessi in ciò che fanno.

In questi giorni su Facebook ho letto l’ennesimo post di un mio contatto che, dopo aver portato regolarmente a termine il suo lavoro, non riesce a farsi pagare dal suo committente.

La cosa paradossale ma comune è che chi non riesce a farsi pagare, nonostante il desiderio di sfogarsi e rivendicare l’ingiustizia subita, non rivela il nome del moroso e, sinceramente, ora che scrivo e inizio la mia riflessione, non so se dargli torto o ragione.

La Sicilia è una terra strana, in un modo o nell’altro noi tendiamo a non parlare anche se abbiamo ragione, è come se dentro di noi ci fosse una regola: non si accusa.

Ed è incredibile.

Una parte della nostra cultura non riesce a rivelare il nome di chi vuole estorcerci soldi non dovuti, un’altra parte non riesce a dire il nome di chi non vuol darci il dovuto.

La cosa surreale è che alla prima pratica, quella dell’estorsione, abbiamo dato un nome, ed è “pizzo”.

Alla seconda, quella della mora, non abbiamo ancora dato un nome, perché ancora non si dice, perché di fronte a un problema del genere, si deve stare zitti.

Come in quelle lingue in cui non esistono certe parole perché non sono nominabili, come in quelle culture in cui, per esempio, non esiste il corrispettivo di uxoricidio.

Non si parla, non si fanno nomi; perché potrebbero esserci delle ritorsioni, perché “certe cose non si fanno” (nel perfetto meccanismo per cui la vittima ha il sospetto di essere nel torto).

E infatti, in piena, assurda, coerenza con tutto questo, chi tace il nome è brava gente, gente per bene ed educata, con una forte etica, di quella che non dorme più per tutta la notte se, quando poggia la testa sul cuscino, si ricorda di non aver pagato il caffè al bar e che il giorno dopo, alle 6,00 del mattino, è davanti la saracinesca del bar con l’euro in mano mentre il barista lo guarda incredulo.

Chi invece pretende o non dà, ha tendenzialmente il profilo del malfattore, della persona marcia e profittatrice, sepolcri imbiancati con una vita sociale di ostentato benessere e una rete di amicizie che fanno la fila per stargli accanto e avvalorare il finto lustro.

Eppure, pensandoci questa sera, mi accorgo di una cosa sconcertante che, a prescindere da chi sia la parte lesa e la parte prevaricatrice, entrambe sono due aspetti della mentalità mafiosa: la vittima e il carnefice.

La prima è quella che subisce la mafia, la seconda, chi la pratica attivamente.

In sostanza, entrambi alimentano il meccanismo mafioso: senza l’uno, non ci sarebbe l’altro.

Senza chi tace, il malvivente non verrebbe nascosto.

E lo sappiamo bene in Sicilia, perché, ad un certo punto, quando i primi eroi hanno rotto il silenzio, lo hanno fatto per sempre e hanno insegnato a tutti che è normale parlare e hanno divelto il meccanismo.

Per molti aspetti, noi Siciliani, abbiamo imparato ad abbattere il tabù del silenzio e siamo stati bravi e siamo stati un esempio.

La mafia non ha a che fare con noi, c’è stato chi le ha dato un colpo mortale.

Ma la cultura radicata, presa da spirito di sopravvivenza, esce dalla porta e rientra dalla finestra.

Come nei miti, dalla ferita mortale di un demone schizza della materia marcia che si attacca agli esseri viventi e vuole infestarli.

Dalla mafia è schizzato via qualcosa che vuole corrompere in modo silente chi stava attorno: e questa è la mentalità mafiosa.

Non è stata una nostra scelta, si è trattato quasi di una circostanza, la mentalità mafiosa è rimasta un po’ attaccata ai nostri abiti perché eravamo lì, sul luogo ed è insidiosa, vuol esser seducente; mette gli abiti del comportamento comune e a volte ci vuole tempo per vederla.

La mentalità mafiosa ha uno scopo: desidera ristabilire l’equilibrio tra i genitori primordiali, la vittima e il carnefice.

Chi tace e chi prevarica.

Trova però un ostacolo: noi siamo contro la mentalità mafiosa e non intendiamo permetterle di germogliare.

In questo articolo ho parlato della mafia e della Sicilia perché noi siciliani siamo avvantaggiati, noi abbiamo avuto esperienza e per questo abbiamo una responsabilità in più nei confronti dei più deboli e inesperti.

Noi siciliani la mafia l’abbiamo vista e, per questo, sappiamo riconoscerla e così, quando vediamo questi atteggiamenti mafiosi abbiamo la fortuna di accorgercene prima di altri e abbiamo il dovere morale di avvisare tutti gli altri.

A volte abbiamo bisogno di un secondo in più per vederla, perché a volte siamo addormentati anche noi, siamo presi dall’uso comune; ma poi, ad un tratto, qualcosa non ci torna e realizziamo che nell’aria c’è puzza di mentalità mafiosa e lo dobbiamo dire chiaramente e a voce alta perché molti, chi non ha avuto la fortuna di nascere in Sicilia, non lo sanno: sentono un odore strano nell’aria, storcono il naso, si guardano tra loro ma non riconoscono la puzza, pensano che sia qualcosa di passeggero o che sia un odore naturale, qualcosa che però non ha a che fare con loro, e si sbagliano.

Noi invece lo riconosciamo e possiamo dire “è puzza di mafia”.

E quindi, tornando a bomba sull’articolo, il punto non è più chiedersi perché non veniamo pagati per il nostro lavoro, non è tanto il fatto di attivare una serie di soluzioni come farsi pagare prima, scrivere contratti su contratti, provare la bontà del lavoro svolto, firmare accordi e stipulare fidejussioni…

Non è scomodare la psicologia da social network e dire che, se non riusciamo ad avere i nostri soldi, è perché non pensiamo veramente di meritarli.

Il punto è che chi non paga il lavoro svolto è un mafioso.

Chi vuole sfruttare il lavoro di professionisti capaci, è un mafioso.

Chi nega il vero e spergiura la propria stessa parola, è un mafioso.

E bisogna dirlo, e bisogna fare i nomi, perché senza vittime, non esistono carnefici.

Chi non paga per il lavoro svolto è un mafioso, chi lo difende rallenta il progresso e disonora gli eroi.

 


Puoi leggere altri post di Chiara Sparacio su https://chiarasparacio.wordpress.com

 




Battere le streghe della nostra psiche

Come un Gattino con gli Occhi Azzurri e uno Stivaletto Bianco, può insegnarti ad essere più forte delle Streghe Cattive che incontri nella tua Vita

Gobbolino era un gatto tutto sbagliato.

Era nato gatto di strega ma aveva il manto nero macchiato da uno stivaletto bianco e gli occhi azzurri.

In più, aveva un grande desiderio: voleva essere gatto di casa.

Tutte queste anomalie costrinsero Gobbolino a scappare e andare alla ricerca di una casa che volesse accoglierlo.

Ma oggi non sono qui per raccontarvi l’intera storia di Gobbolino 

ma solo un episodio.

Solo l’episodio che mi è utile.

Quella volta Gobbolino aveva trovato adozione come gatto di una grande nave: la Mary Mood.

Arriva il giorno della partenza e la nave salpa alla volta di terre lontane.

Ad un certo punto il cielo si fa scuro e il mare si fa grosso.

La Mary Mood viene sballottata da una parte e dall’altra.

Le vele si strappano e, vicino l’albero maestro, tra i lampi e le nuvole scure, si vede agirarsi una strega.

La sagoma nera in groppa alla scopa vola e la megera canta senza sosta:

“la Mary Mood affonderà,

Con tutti i suoi uomini affonderà,

Nessuno più di salverà,

Perché la mary mood affonderà”.

Più canta più il cielo si fa nero.

Più vola e più il mare si fa grosso.

L’equipaggio recita le sue ultime preghiere.

Alla fine Gobbolino getta la maschera, decide di svelare il suo segreto e corre a fare quello che solo un gatto di strega può sapere.

Si arrampica sull’albero maestro fino al punto più vicino alla strega.

In equilibrio, scosso dalle onde, balza da una parte all’altra verso la strega e urla in modo che lei lo senta:

“BAZZECOLE!

BAZZECOLE!!!”

La strega sente la formula magica 

smette di cantare e si allontana sconfitta.

Il mare si calma e il cielo si apre.

La Mary Mood è salva.

Quanto a Gobbolino, nessun marinaio vuole un gatto di strega sulla propria nave così è di nuovo costretto a riprendere la sua ricerca disperata.

——————————-

Questa cosa si trova in varie culture.

La stregoneria devastante si annienta non credendoci.

Non è una formula magica oscura a salvare la Mary Mood e tutto il suo equipaggio.

È una parola semplice e ripetuta: “bazzecole!”

Lo stesso vale per noi.

Non c’è niente di oscuro in quello che ci capita,

non ci sono forze del male che tengano,

non ci sono sortilegi malvagi in grado di resistere al potente diniego.

Al non crederci.

Spesso ci lasciamo influenzare dalle maledizioni degli altri novelli stregoni:

“non ce la farai” diranno,

“non è affare per te”

“non sei buono”

Con tutti loro bisogna usare il segreto di Gobbolino.

Bisogna raggiungerli dove sono loro, guardarli in faccia e urlare loro fortissimo affinché tutti sentano: “BAZZECOLE! BAZZECOLE!!!”

E allora streghe e stregoni saranno annientati e scapperanno via senza poter più fare del male per quella volta.

Non si scappa davanti al maleficio

ma lo si affronta e gli si urla contro “BAZZECOLE!”

Non c’è forza che tenga contro il deciso diniego.