Banca delle Marche: l’ex Direttore Generale Massimo Bianconi rinviato a giudizio

il GUP Paola Moscaroli ha rinviato a giudizio Massimo Bianconi con la compagnia dei due imprenditori Degennaro e Casale.

La motivazione risiede nel nuovo reato di corruzione fra privati, approvato grazie all’entrata in vigore della Legge 6 novembre 2012, n. 190, recante “disposizioni per la prevenzione e la repressione della corruzione e dell’illegalità nella pubblica amministrazione“, pubblicata sulla Gazzetta Ufficiale n. 265 del 13/11/2012, in vigore a partire dal 28/11/2012, in cui appunto è stato introdotto nel D. Lgs. 231/01 il reato di “corruzione tra privati“.

anche l’articolo del codice civile viene innovato:

  1. Art. 2635 c.c.,“corruzione tra privati”: “1. Salvo che il fatto costituisca più grave reato, gli amministratori, i direttori generali, i dirigenti preposti alla redazione dei documenti contabili societari, i sindaci e i liquidatori, che, a seguito della dazione o della promessa di denaro o altra utilità, per sé o per altri, compiono od omettono atti, in violazione degli obblighi inerenti al loro ufficio o degli obblighi di fedeltà, cagionando nocumento alla società, sono puniti con la reclusione da uno a tre anni. 2. Si applica la pena della reclusione fino a un anno e sei mesi se il fatto è commesso da chi è sottoposto alla direzione o alla vigilanza di uno dei soggetti indicati al primo comma. 3. Chi dà o promette denaro o altra utilità alle persone indicate nel primo e nel secondo comma è punito con le pene ivi previste. 4. Le pene stabilite nei commi precedenti sono raddoppiate se si tratta di società con titoli quotati in mercati regolamentati italiani o di altri Stati dell’Unione europea o diffusi tra il pubblico in misura rilevante ai sensi dell’articolo 116 del testo unico delle disposizioni in materia di intermediazione finanziaria, di cui al decreto legislativo 24 febbraio 1998, n. 58, e successive modificazioni. 5. Si procede a querela della persona offesa, salvo che dal fatto derivi una distorsione della concorrenza nella acquisizione di beni o servizi

la pena prevista è comunque da uno a tre anni, salvo aggravanti.

il via dei “lavori” è previsto per il 18 gennaio 2017.

 

LUPO MIGLIACCIO




Banca delle Marche: chi c’era e chi non c’era…

Banca delle Marche, alla fine ancora in difficoltà.

 

I dati odierni della banca non promettono nulla di buono. A tutti ora viene facile parlare della tragedia di banca delle marche e delle altre banche, tutti si sentono truffati e tutti sono indignati per quanto successo. Ed hanno tutti ragione, all’interno di questi istituti vi erano delle cupole che lavoravano esclusivamente per il profitto solo di alcune caste.

Ma nessuno ora ricorda che banca Etruria era considerata da sempre la banca della massoneria, che banca marche era la banca capofila nella scalata di Unipol e che il suo direttore generale era protetto da una delle più alte cariche dello stato (che lo ha salvato dai vari processi che aveva in corso per usura).

A Betapress  però risulta una storia che deve essere raccontata per vedere di capire anche come certe realtà godevano di protezioni anche sul territorio, in particolare dalle stesse fondazioni. Nel settembre 2007 da banca delle marche se ne vanno tre alti dirigenti, il capo della compliance, il direttore centrale organizzazione e sistemi informativi ed il dirigente dello sviluppo software. Nel 2007 il Direttore Centrale dell’organizzazione e dei sistemi informativi, corrado faletti, manda un memo a Bianconi che diceva esattamente

“PROMEMORIA INTERNO RISERVATO PERSONALE, Data: 8 maggio 2007, Oggetto: usura e composizione bilancio, Nel merito dell’oggetto sono dispiaciuto nel segnalare che sono state individuate più di 150 posizioni di imprese con tassi usura, alcune anche in procedura fallimentare. Le posizioni sono in essere alcune dal 2005 e consolidano purtroppo il reato di usura a lei imputabile. Si ritiene necessario intervenire immediatamente con una autodenuncia che potrebbe certamente ridurre l’entità del danno (abbiamo parere del servizio Compliance). I dati sono in apposito file excel e sono presenti nei sistemi informativi. Con l’occasione le segnalo che la valutazione dei crediti che la direzione preposta sta preparando non appare consona alle necessarie indicazioni del regime di Basilea. In particolare non sarebbero corretti i rischi esposti ed anche l’assorbimento di capitale rispetto al rischio stesso, falsando evidentemente il bilancio della banca. Vi sono inoltre posizioni sull’area di Roma che appaiono forzatamente concesse e, nonostante un’apparente percorso autorizzativo corretto, risultano spropositate rispetto al tema garanzie ed affidabilità, nonché accumulo di rischio (vedasi big A). Da ultimo le segnalo che sarebbe utile considerare di analizzare bene la gestione degli immobili in quanto presenta lacune e caratteristiche di eccessiva personalizzazione (con proposte di vendita del patrimonio immobiliare quantomeno poco ortodosse). Si ritiene fondamentale intervenire in merito con urgente sollecitudine. Si resta in attesa di sue decisioni in merito. Il presente memo visto il contenuto è stato inoltrato solo alla sua visione, e per riservatezza solo i responsabili del servizio compliance e del servizio sistemi distribuiti sono a conoscenza delle tematiche.”

Dopo un mese dal primo memo in cui chiaramente si preannunciava una sciagura, quindi in data giugno 2007, dopo aver visto che nulla veniva fatto a riguardo, lo stesso dirigente mandava copia del memo al presidente della banca, Costa, chiedendogli di intervenire. In data giungo 2007 a Piediripa il presidente costa convoca una riunione con corrado faletti, direttore centrale, stefano delibra capo della compliance, e roberto de duro, responsabile dello sviluppo software, con l’aiuto di un consulente esterno, Pierluigi Feliziani, amico di lunga data del presidente stesso. In questa riunione Costa apprende del significato dei contenuti del memo e delle preoccupazioni dei tre dirigenti.

Il presidente Costa organizza per fine luglio 2007 una cena con i tre più alti dirigenti della banca, Faletti, Giorgi, Vallesi, chiedendo a Faletti di organizzarla a casa sua in quanto vicina alla sede della banca.

Questa cena resterà nella memoria della banca come “la cena dei cannelloni”. Durante la cena il presidente dichiara di voler prendere degli avvocati per fare un esposto contro Bianconi, garantendo che la talpa che gli avrebbe dato i dati necessari era Faletti. Bianconi, che in quei giorni era in vacanza in Sardegna, venne avvisato del contenuto della stessa da Giorgi, e la cosa fu talmente insignificante che la mattina successiva, chissà con quale mezzo di trasporto prestato da quale amico (la cena sembra fini verso la mezzanotte), arriva in ufficio a jesi alle otto della mattina.

Da quel momento viene avviato un percorso di delegittimazione dei tre dirigenti che passa da trasferimenti ad attività di mobbing, fino alla inevitabile uscita degli stessi dirigenti.

Ovviamente della cosiddetta “cena dei cannelloni” erano tutti informati, anche dei contenuti della stessa, ma nessuno fece nulla, ne l’allora presidente della banca ma nemmeno le fondazioni, i consiglieri ed i revisori dei conti, i sindaci della banca. Tra ottobre e novembre 2007 casualmente i tre dirigenti furono “dimissionati“.

Il presidente costa nulla fa per salvare i tre dirigenti da Lui messi in situazione così drammatica. Da informazioni ricevute da Betapress sembra che lo stesso Costa, interrogato in merito, abbia detto che faletti gli aveva presentato dei dati che non erano validi. Peccato che poi la banca sia fallita proprio per i motivi che venivano rappresentati da quei dati.

Dai verbali del CDA relativi alle dimissioni di faletti sembra che lo stesso bianconi abbia detto che se ne andava una persona di altissimo valore ma che voleva tornare in Lombardia per motivi personali (faletti abita ancora nelle marche NdR).

Bianconi fece di tutto in seguito per rovinarne la reputazione dei tre dirigenti dicendo a tutto il mondo bancario che gli stessi erano stati cacciati da lui perché avevano fatto cose gravissime e lo avevano tradito.

Anche in tutto il territorio le fondazioni misero in atto un percorso di delegittimizzazione affinché bianconi risultasse un povero santo tradito.

Betapress sa per certo che in febbraio del 2008 uno dei più importanti consiglieri legato ai piccoli azionisti si era recato in gran segreto a Milano dove lavoravano faletti e de duro per cercare di capire cosa ci fosse veramente dietro alla loro uscita.

In quella riunione furono date le massime indicazioni al consigliere su quanto stava accadendo anche con una previsione di catastrofe economica entro una decina d’anni. Di questo incontro sembra che bianconi ne sia venuto a conoscenza, iniziando a minacciare il consigliere il consigliere, che, avendo forti interessi economici in ballo con bianconi, nulla fece.

Sembra chiaro quindi a Betapress che tutti sapevano già dal 2007 e che anche se qualcuno aveva cercato di opporsi al disastro che stava accadendo nessuno era poi andato a fondo della situazione.

È evidente che gli interessi personali dei vari personaggi erano più forti del bene del territorio. Ma come, diciamo noi, dopo un fatto del genere, ovvero che in un colpo solo vanno via tre alti dirigenti ed in particolare il capo della compliance, le fondazioni non avrebbero dovuto chiamare i tre e chiedere delucidazioni, o forse si sono limitate a chiedere a Bianconi se andava tutto bene????

E Costa, perché non ha fatto quello che diceva??? Forse che lo stipendio della banca era più importante della banca stessa????

Risulta a Betapress che i tre hanno anche aiutato durante la fase ispettiva dell’ultimo periodo e quando hanno potuto hanno fornito informazioni alla stampa. Insomma come sempre un miracolo italiano, chi denuncia è denunciato, e comunque la macchina del fango in questo paese è una delle poche cose che funziona perfettamente. Alcuni giornali (pochi) hanno ripreso questa notizia apparsa in precedenza l’anno scorso sui Blog, ma senza nessuna convinzione…. RITORNEREMO SULL’ARGOMENTO!!!

qualche giornale ha riportato la notizia...
qualche giornale ha riportato la notizia…

banca delle marche ed il fango sui dirigenti
banca delle marche ed il fango sui dirigenti

banche-da-sbarco bdm-carabinieri   https://www.youtube.com/watch?v=c_h-wDvZxx0




40.000 click per un video

Siamo oggi a fare quattro parole con il regista Roberto Vairano che ha girato un video musicale per Barbara Vagnini, esordiente nel mondo della musica POP, i cui video su Youtube in pochi mesi hanno superato le 40.000 visualizzazioni.

 

Ciao Roberto come nasce la tua passione per i video musicali?

Sono romano dal 1967, anno in cui vedo la luce per la prima volta e già da quell’anno ho visto il mondo attraverso una telecamera. I miei occhi hanno sempre “inquadrato” la realtà e visto il mondo come un grande palcoscenico pieno di interessanti scene da girare.

A cinque anni già usavo le dita incrociate a V V per vedere la realtà e tutto da quel momento è stato incentrato sulla fotografia.

Negli anni l’evolvere della tecnica e della tecnologia hanno mutato il modo di lavorare anche per la televisione, parliamo del passaggio dalla pellicola al digitale che ha fatto nascere tante società divenute poi fornitrici Rai, per la produzione e post-produzione dei programmi.

È qui che inizia la mia avventura lavorativa, da specializzato di ripresa a tecnico del suono, da organizzatore delle troupe ad ideatore di sigle e spot, oggi giunto alla regia di video musicali.

Una passione che viene dal piacere di ascoltare tutta la musica italiana e internazionale e dal mettersi in gioco.

Oggi essere una goccia in mezzo al mare è abbastanza usuale, ma il restare fermo a guardare non mi piace, preferisco fare, al meglio delle mie possibilità, indipendentemente dai mezzi tecnici ed economici, tentando di fare un prodotto comunque buono, godibile e poi chissà … l’arte non ha confini per nessuno e creare, è stimolo, è esser vivi, è vita

 

E’ il tuo primo lavoro come regista?

Si è il mio primo lavoro da regista per un video musicale, ma c’è tutta l’esperienza accumulata in tanti anni di collaborazione con programmi del calibro di Chi l’ha visto?, Samarcanda, La storia siamo noi, Linea Verde, Sereno Variabile, Telefono giallo, Duello, Storie maledette, Porta a Porta, Il divano in piazza.

Programmi che mi hanno dato modo di lavorare al fianco di importanti operatori e direttori della fotografia del panorama televisivo e del cinema: Piergiorgio Albertini, Bruno Di Virgilio, Riccardo Calamai figlio del primo operatore Rai e non per ultimi Sandro Grossi,  Nino Celeste, Paolo Maestrelli, Walter Ferrari, Maurizio Fulli, Stefano Bosco e l’elenco è ancora lungo, con loro tanti stupendi ricordi e tanta esperienza accumulata

 

La cosa più facile e quella più difficile durante le riprese?

Una persona non può far niente se non trova la collaborazione di tanta gente, con una buona suddivisione dei lavori e dei tempi, tante persone che hanno bisogno di essere guidate e dirette.

Ecco quindi il compito del regista, coordinare il tutto per far sì che il progetto riesca al meglio.

La difficoltà più grande è stato il tempo, cercare di non perdere tempo, perché lo stesso non ti basta mai.

Questo è stato l’handicap più insidioso, soprattutto quando fai un progetto da indipendente, anche se poi, uno dei punti di forza è proprio l’essere indipendenti, in quanto si è mossi dalla fede nel progetto, quindi le motivazioni sono maggiori.

 

Quanto tempo sono durate le riprese?

un paio di mesi.

Le riprese sono state effettuate nel mese di Luglio, c’era bisogno del sole, per registrare le immagini abbiamo scelto un luogo insolito, un luogo abbandonato da molto tempo, spazioso forse una fabbrica non me conosciamo la storia ne abbiamo parlato a lungo con Barbara prima di avventurarci lì dentro,  ma si cercava un luogo anche vicino al sentimento che la canzone vuole esprimere, il sole, infatti il sole c’è, per tutti, non fa distinzioni di razza lingua o religione, nessuno escluso,  una specie di inno alla vita, una canzone che vuole esprimere un augurio, che si ritrova nelle parole della canzone “ c’è un sole per te “.

È l’espressione di un sentimento di vicinanza rivolto a tutti nessuno escluso, come alle persone che hanno subito calamità naturali come il terremoto, in fondo il sole il simbolo di speranza, calore, Vita.

La cantate Barbara Vagnini è stata brava ad interpretare questa canzone con linearità senza essere troppo evidente, senza eccessi, al contrario, addirittura, accettando di non truccarsi, di avere non abiti di marca, di dare semplicità alla canzone con gusto senza esporsi, come la semplicità del quotidiano che viviamo senza dimenticare che dopo la tempesta torna sempre il sole.

 

Come mai la scelta di girare un video per un’esordiente, quindi senza budget?

La cosa più bella ed emozionante è quella di affiancare chi non ha molta esperienza come può essere un esordiente appunto,  affiancarlo con la mia professionalità per costruire un progetto da portare fino in fondo, consapevoli però che la musica oggi guarda, anzi ascolta, solo chi già è un po’ più in là, tipo chi ha già vinto talent show o  festival,  è una sfida, una scommessa,  che passa attraverso alle tante difficoltà che si incontrano quando sei al primo importante appuntamento, quando finalmente esci dal garage dove hai sempre suonato.

Io non sono nato per arrendermi davanti alle difficoltà, esattamente come quelle in cui si trova un esordiente, senza budget, senza un’etichetta discografica, che non potrà mai far ascoltare la propria musica, la propria creazione in nessuna radio; nessun giornale o rivista avrà attenzioni nei suoi riguardi,  facendo così,  neanche il pubblico può conoscere un esordiente, eppure basterebbe far fare un solo passaggio di queste canzoni alla radio per far conoscere al grande pubblico e far decidere a loro se dare un consenso favorevole o una bocciatura.

Penso che sia importante far scegliere al pubblico, ma la scelta nel mondo della musica viene fatta da altri al posto nostro, con una somministrazione quotidiana studiata a tavolino che non dà spazio a nessun povero esordiente.

Che peccato! E allora io voglio rompere il ghiaccio ed essere dalla parte di un esordiente, faccio il mio mestiere per dargli visibilità.

Voi da quale parte vi mettereste? Questo uno dei tanti motivi del perché collaborare con un’esordiente potete scriverlo con la e maiuscola? Ve ne sarei grato.

 

Collaborare con Barbara Vagnini come è stato?

Lei è una cantautrice, c’è un sole per te è un singolo che anticipa la creazione di un nuovo album che dovrebbe uscire nella prossima primavera, Lei è una persona solare dinamica, ha una grande passione per la musica  sa restare con i piedi per terra,  l’umiltà fa di lei una persona semplice capace di fermarsi a riflettere per trovare quel giusto equilibrio tra il cantare, interpretare muoversi sul palco o davanti a una telecamera, ha le idee chiare ed grintosa quanto serve, è una persona che non si risparmia quando lavora.

Quindi tutto il lavoro è stato fatto con armonia e spero che il risultato si veda.

 

Quali le figure che l’hanno ispirata per la creazione di questo video?

Che bella questa domanda, intanto a Barbara che comunque mi ha affidato questo lavoro e se sono riuscito a fare un qualcosa di positivo io debbo ringraziare un grandissimo della televisione, Piergiorgio Albertini, una persona che non è un personaggio pubblico perché è sempre stato come me,  da quest’altra parte, in quella nascosta, come si dice dietro la telecamera,  per me una persona davvero speciale,  che mi ha insegnato passo dopo passo, giorno dopo giorno, fotogramma per fotogramma, tutto quello che c’è da vivere e sapere di questo mestiere, a cui devo tantissimo, vero maestro di vita, visto che per ben oltre 25 anni siamo stati in giro per il mondo lavorando in tutti i tipi di situazioni in cui ci siamo trovati.

Una persona rigorosa e oggi so bene il perché, capisco perfettamente, ora è tutto più facile anche il difficile.

Poi se mi permettete vorrei fare dedicare questa mia prima regia a una persona per me speciale ad una donna, giornalista Rai, scomparsa a Cracovia il 29 luglio 2016 per un malore, Anna Maria Jacobbini, lo voglio fare con un sorriso, come i tanti che mi ha sempre regalato quando si lavorava insieme, Grazie Anna Maria sei stata un angelo e adesso lo sarai per sempre.

 

[youtube https://www.youtube.com/watch?v=S3oQRlQjl7s&w=640&h=360]

la cantante Barbara nel suo video c'è un sole per te
la cantante Barbara nel suo video c’è un sole per te

c'è un sole per te il video clip musicale di barbara
c’è un sole per te il video clip musicale di barbara

il regista roberto vairano
il regista roberto vairano

il concerto di barbara vagnini
il concerto di barbara vagnini

 

 

 




LA LEGGE DEL CONTENZIOSO: l’Italia che ci meritiamo… (corso, concorso, ricorso)

 

Sempre più frequentemente i dispositivi di legge cozzano con pesanti provvedimenti della giustizia amministrativa.

È di questi giorni la notizia che il TAR del Lazio con provvedimenti cautelari sta immettendo insegnanti abilitati di 2 fascia nelle blindatissime GaE (Graduatorie a Esaurimento) chiuse per decreto da quasi una decina di anni.

In definitiva il TAR contravvenendo al dettato normativo della 107/2015, la così detta legge de LA BUONA SCUOLA, apre ai docenti fuori dal piano di straordinario di assunzione la porta per il tanto ambito ruolo.

Anche sull’ammissione alle procedure concorsuali relative all’ultimo Concorso a Cattedra 2016, l’intervento del TAR del Lazio ha sparigliato non poco le carte del MIUR: un’intera categoria di docenti non abilitati appartenenti alle così dette materie di laboratorio (Insegnanti Tecnico Pratici), esclusi per legge dal Concorso, è stata ammessa alle prove con sentenze cautelari, costringendo il ministero a così dette “prove suppletive”.

In questa querelle tra giustizia amministrativa e Ministero, trovano terreno fertile gli studi legali di numerosi sindacati e associazioni che abbandonata la vendita delle tessere intravedono nel “ricorso” il nuovo Eldorado del found raising sindacale.

Il gioco è semplice: fatta la legge, venduto il ricorso.

Queste associazioni sindacali e di categoria, abbandonano il piano programmatico di lotta, sbianchettano il calendario delle agitazioni di piazza e laconicamente propongono liste di ricorsi come i trattamenti estetici in una SPA.

Naturalmente la speculazione sulla disperazione dei lavoratori, che aggrappati alle supplenze vivono alla giornata, fa il resto.

Trovate un docente precario che non abbia all’attivo almeno un ricorso!!!!

Quasi impossibile… e mentre si stracciano le tessere prontamente si firmano le deleghe.

Questa è in fondo l’Italia che ci meritiamo.

 

 

corso, concorso, ricorso le parole chiave per entrare nella scuola
corso, concorso, ricorso le parole chiave per entrare nella scuola




Dirigente Scolastico o Bersaglio da Tiro a segno?

Da tempo da queste pagine scriviamo riguardo alla scuola, valutandone i lati oscuri e negativi, sperando in un riscatto della sua classe lavoratrice, Dirigenti, Docenti, Personale ATA, ma anche famiglie e alunni, in molte occasioni abbiamo stigmatizzato il comportamento anomalo dei sindacati e del governo che sembra voler rendere complesso fino all’inverosimile un mondo che già per sua storia è in grave difficoltà.

Oggi riceviamo una lettera aperta che stanno sottoscrivendo la gran parte dei Dirigenti Scolastici di tutta Italia, in cui viene quantomeno confermato il momento difficile della scuola italiana, ma sopratutto le anomalie presenti nel sistema.

La Redazione di Betapress.it è solidale con il mondo della scuola e ne comprende le difficoltà, ne abbiamo ampiamente parlato, ma sopratutto restiamo stupiti e attoniti di fronte questa evidente incapacità nella gestione di questo mondo che viene oggi dimostrata dalle funzioni “ministeriali”.

Pubblichiamo integralmente la lettera ricevuta dal Comitato Dirigenti Scolastici Sicilia


La difficile situazione dei Dirigenti Scolastici: lettera aperta

Nel mondo dei dirigenti dello Stato italiano il dirigente scolastico assume un ruolo veramente particolare e paradossale: ha più responsabilità, ha la retribuzione più bassa, non ha garanzie e tutele e viene quotidianamente lasciato solo davanti alle emergenze.

La lettera potrebbe finire qui, perché nella prima frase c’è tutto il senso dello sgomento che assale chi svolge con professionalità e dedizione questo ruolo, che ha l’ulteriore strategica importanza di gestire la macchina che crea i nuovi cittadini.

Il Dirigente Scolastico oggi si trova davanti a situazioni non prevedibili, spesso non correttamente normate, ma sempre senza un adeguato supporto.

Il dirigente scolastico è a tutti gli effetti datore di lavoro, responsabile legale dell’istituzione scolastica che dirige, centro unico di spesa, stazione appaltante, responsabile organizzativo, interfaccia con l’utenza più di qualsiasi altro dirigente dello stato, e, come se non bastasse, è anche responsabile di qualsiasi atto amministrativo, segnalazione, base dati, pubblicazione che vengono realizzati nella sua struttura.

Ultimamente il Dirigente Scolastico viene utilizzato dalle sigle sindacali per attaccare le leggi dello Stato: se il sindacato vuole andare contro la legge 107, fa un bell’esposto ad un dirigente che l’ha applicata così può, per il tramite di questo, sollevare il caso.

Non stiamo parlando di ipotesi ma di realtà! È già successo ad un collega della Sicilia, a cui esprimiamo tutta la nostra solidarietà e vicinanza, e la cosa non può essere tollerata.

Non esiste che un servitore dello stato venga usato per poter attaccare lo Stato, soprattutto se a fare questa azione sono i sindacati, che in teoria dovrebbero tutelare lo stesso dirigente.

È come se noi aggredissimo il vigile che ci fa la multa per eccesso di velocità perché non siamo d’accordo con il fatto che su quella strada si debba andare a 40 all’ora!

Ed è anche un paradosso che si attacchi un lavoratore (eh si, il dirigente è un lavoratore) per andare contro il suo datore di lavoro.

Non si può permettere questo stato delle cose, e Noi Dirigenti Scolastici non lo permetteremo.

Soprattutto non lo può permettere lo Stato!! I luoghi del dialogo non possono passare attraverso il TAR e la denuncia a coloro che applicano le leggi, ma devono stare sui tavoli preposti, nel dialogo Stato sindacato.

Noi, come dirigenza della scuola, stigmatizziamo con forza la necessità di ritrovare equilibrio nel nostro ruolo, mitigando le responsabilità e rendendo più leggibili le incombenze che cadono sulle scuole.

Chiediamo solo di poter fare il nostro lavoro con serenità e chiarezza, nel bene delle famiglie e degli alunni, per creare davvero cittadini responsabili.

Per questo risultato siamo disposti ad una incessante lotta, sia mediatica che operativa, al fine di dimostrare che, spesso, le scuole vanno avanti perché i dirigenti si assumono responsabilità oltre il loro dovere: solo sul tema della sicurezza, ad esempio, i dirigenti dovrebbero chiudere metà delle scuole.

Responsabilità che spesso non sono nemmeno del dirigente, ma della provincia, del comune, che purtroppo, nella endemica motivazione della mancanza di fondi, lasciano cadere a pezzi le strutture, privandole delle necessarie manutenzioni e dei necessari interventi, obbligando così i dirigenti a fare interventi con fondi che dovrebbero essere dedicati ad altro.

Non parliamo poi della miriade di novità normative introdotte negli ultimi cinque anni, che hanno portato la scuola alla soglia della confusione amministrativa, obbligando i dirigenti ad una serie di interventi correttivi, spesso sostituendosi alle segreterie, per arginare le problematiche e l’ira delle famiglie e dei docenti.

Chiediamo un intervento urgente e l’apertura di un dialogo immediato con i dirigenti scolastici, affinché vengano rispettate le minime necessità di ordine funzionale e venga ridata dignità ad un ruolo importante e sempre più attuale.

A tal fine siamo pronti a qualsiasi forma di civile protesta.


 

Dirigenti Scolastici siamo con Voi, fatevi sentire!!

 

ricordate il vecchio gioco di spara all'orso? oggi è cambiato...
ricordate il vecchio gioco di spara all’orso? oggi è cambiato…

i dirigenti scolastici sono ormai bersagli da tiro a segno
i dirigenti scolastici sono ormai bersagli da tiro a segno




Bossetti: sarò un ignorantone ma non assassino

Bossetti Colpevole??

Certe volte l’accanimento ci porta simpatia verso le vittime, un po come anni fa quando la sinistra attaccò Berlusconi sul lato personale e lo fece vincere per ben due volte.

Oggi Bossetti sembra una vittima, quasi un innocente passante che si è trovato coinvolto.

Ma viene da chiedersi: come è possibile che pur essendo passato più volte con il furgone, essendoci i testimoni, il tutto venga fuori anni dopo?

e comunque, alla faccia della prova del DNA, che per essere valida deve essere ripetibile…

 

bossetti 1




Dove nessun uomo è mai giunto prima…

Se penso a com’era ieri, oggi siamo nel futuro.

Eppure io il futuro me lo immaginavo diverso.

Sui giornali si legge la notizia del primo turista nello spazio e il suo nome giapponese; mi guardo intorno e vedo dispositivi che ci connettono con persone in ogni parte del mondo e macchine che scrivono le nostre parole sotto dettatura.

Per quanto ci siamo abituati subito a tutto questo, possiamo dire che il futuro di oggi è davvero stupefacente.

Eppure io, il futuro me lo immaginavo diverso.

Sì, è vero: oggi voliamo, respiriamo sott’acqua, proiettiamo le nostre fantasie sugli schermi rendendole reali… attendo ancora il teletrasporto anche se ci sono situazioni olografiche che riproducono davanti a noi in dimensioni reali le persone richieste.

Ma non mi basta… io immaginavo altro…

La colpa è dei film che guardavo da bambina.

La colpa è del modo in cui tutto mi sembrava plausibile.

Erano i tempi di star Trek, che guardavo la mattina quando non andavo a scuola e restavo a letto a far passare la febbre.

Guardavo e aspettavo.

Di recente, nell’età delle stagioni televisive a disposizione su Netflix, io e il mio fidanzato abbiamo preso l’abitudine di guardare la sera, stagioni di vecchi telefilm.

Abbiamo iniziato con Star Trek e, vista l’infinita quantità di stagioni, ci accompagnerà anche nella nostra vecchiaia.

Ma il punto è che io il futuro me lo immaginavo proprio come quello di Star Trek.

Non parlo nello specifico delle navi spaziali e del lavoro nella flotta stellare (ah come mi sarebbe piaciuto!) e neppure del ponte ologrammi (tanto figo ma che porta solo rogne) e neanche del teletrasporto (che aspetto con un prossimo iPhone)… io parlo delle tante specie differenti all’interno della sala mensa.

Gente proveniente da ogni pianeta che lavora assieme sull’Enterprise, combatte e si incontra, che fa nuove alleanze e che esplora spazi sempre più lontani.

Il mio futuro era sconfinato.

Il futuro per me era quello: conoscere e convivere in piena integrazione universale con altre specie (non inteso come etnia o razza ma come estrazione umana).

Mi aspettavo che da grande sarei stata circondata da persone diverse da me e che ognuno avrebbe mostrato chiaramente la propria originalità (intesa nel doppio senso di origine e di peculiarità) e pensavo negli anni della mia crescita di prepararmi a questo.

Mi sembrava tutto così plausibile…

E invece no.

Ho capito che non era così un giorno che ero “fuori città” per lavoro.

Prima di rinchiudermi in hotel e impallidirmi alla luce del neon, mi ero fermata a pranzare in una piazza affollata in una zona di uffici.

Ero di buon umore perché avevo sete di guardare le persone attorno a me e immaginarne le vite.

Ho scelto un posto che mi permettesse di guardarmi bene intorno, mi sono seduta e ho ordinato.

Mentre aspettavo il mio pranzo ho cominciato a guardarmi attorno.

E ho sentito un crack, come di una corteccia dentro di me.

Ho provato un senso di grande disagio vedendo che erano tutti uguali.

Tutti gli uomini erano uguali, tutte le donne erano uguali.

C’erano di ogni specie un paio di versioni diverse ma sempre omologati.

Tutti gli uomini sembravano alti con l’abito coordinato e tutti le donne magre con borse firmate e un po’ di tacco; anche i bassi sembravano un po’ più alti eppure non sembrava puntassero al cielo.

Altri uomini avevano un abbigliamento più casual con maglia fuori dai jeans e scarpe comode che accompagnavano una postura rilassata, certe donne professavano l’anticonformismo nei capelli arruffati e i vestiti colorati non abbinati tra loro.

Al di là dei vestiti, però, si vedeva che facevano parte tutti della stessa specie… a prescindere dal colore della pelle e dall’accento.

E anche io ero come loro, omologata a loro.

E mi sono sentita incredibilmente sola perché attorno a me c’erano solo persone a cui somigliavo e in quella collettività mi sentivo sparire.

Quel fine settimana sono stata molto triste, perché avevo scoperto che nel mio futuro di quel momento, a pranzo non era possibile incontrare Klingon, Vulcaniani, Romulani o Ferenghi e, in più, come “terreste” non ero neppure troppo distinta.

…Peccato…

Tornando a casa, nel consueto appuntamento serale, mi ha molto colpito una specie di nome Borg.

I Borg sono una Collettività, ovvero sono un sistema composto da parti chiamate droni, una sorta di persone senza un pensiero personale ma che opera e si muove in funzione dell’insieme; i droni operano in comunione e accordo, senza alcun tipo di conflitto.

I Borg, ovviamente avendo tutti le stesse idee e le stesse esigenze, sono potentissimi: è quasi impossibile sconfiggerli e quando l’Enterprise li ha incrociati, la migliore soluzione si è sempre rivelata l’allontanamento strategico.

Il Borg tipo, quando incontra qualunque organismo diverso da sé dice: “Noi siamo Borg, voi sarete assimilati, la resistenza è inutile” (We Are the Borg. You Will be Assimilated. Resistance is futile”) e poi lo assimilano ovvero lo trasformano in Borg acquisendo, a favore della Collettività, tutte le conoscenze di quella specie.

E così, grazie a tutta questa esperienza assimilata, i Borg sono potentissimi e il loro obiettivo finale è la Perfezione.

Non verrebbe neppure da dire che sono cattivi, sono una Collettività e, in quanto tale, è difficile stabilirne la moralità: la morale ha a che fare col bene di uno e col male di un altro, in un viaggio per il miglioramento collettivo, il bene ultimo, che è nobilissimo, è il solo che conta.

I Borg sono quelli che certi filosofi contemporanei chiamerebbero “la specie” intendendo una collettività che opera e agisce all’interno dell’organismo epocale.

I Borg, quando per una serie di motivi si trovano ad essere tirati fuori dalla Collettività, soffrono tantissimo trovandosi a dover pensare a loro stessi come individuo.

Eppure, dopo che provano l’Individualità, ne restano in qualche modo diabolicamente sedotti.

L’individuo ai loro occhi è completamente smarrito: deve innanzitutto trovarsi un nome, accettare di essere un IO e non un NOI, scoprire di avere desideri differenti da quelli della Collettività, dover formulare pensieri propri e, quel che è peggio, si trova a confrontarsi con la contingenza della morte… cosa impensabile all’interno della collettività dove, se un drone smette di funzionare, le esperienze restano comunque nella collettività.

Ogni aspetto di questa specie offre spunti di riflessione e i Borg si rivelano un Simbolo potentissimo, laddove chiamiamo simbolo quel “piccolo” e “limitato” che si rivela universale, il granello di sabbia che rivela l’universo mondo.

Gli autori di Star Trek hanno tutta la mia stima e ammirazione, tra loro, vorrei poter avere ogni sera a cena chi ha inventato il personaggio dei Borg per poter parlare bevendo del buon vino rosso di come questa specie abbia tanto a che fare con noi e con la crescita spirituale e umana.

Noi che ci sentiamo al sicuro solo nelle collettività di un team di lavoro o di un gruppo Facebook, che siamo un unico organismo senza rendercene conto, che non vediamo la morte e, quando la contempliamo, ci spaventa, che non abbiamo idee difformi da quella dei nostri leader spirituali e miriamo a una perfezione senza contraddittorio; noi che cerchiamo la verità che ci dà un organismo fantastico più grande di noi e del quale ci fidiamo (chiamiamolo internet, tv, società, bibbia, corano…)

Noi che sentiamo che, se saremo tutti uniti, saremo invincibili e che ignoriamo e mettiamo a tacere le scomodità della nostra anima perché ogni giorno che passa il pensarla in modo diverso ci sempre inconcepibile.

Noi adesso siamo Borg e siamo stati assimilati, la nostra resistenza è stata inutile.

Ma se ne esce.

Quando incontriamo degli individui, possiamo essere salvati.

In genere sono gli umani che hanno questo desiderio tirare fuori l’Uno.

Non ci piacerà, ma l’ebrezza di sceglierci un nome che sia nostro e non dato da chissà chi, sarà così seducente che di nuovo, con grandissima difficoltà, confusione e paradossi, cercheremo la nostra perfezione che è da tutt’altra parte anche se non sappiamo neppure com’è fatta e in che consiste… e, nell’attesa di capire, si può andare in sala mensa a bere qualcosa con Klingon, Vulcaniani, Romulani o Ferenghi.

 


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Quinta ristampa per il libro di Max Gentile

LIBERO DI RINASCERE di Max Gentile, edito dalla Currenti Calamo Editore, è arrivato alla quinta ristampa in poco più di un anno. Ci aveva piacevolmente sorpresi, un anno fa, Max Gentile quando lo abbiamo intervistato.

La sua storia, quella di un poliziotto diventato coach, aveva dell’incredibile, ma era talmente vera nel suo essere paradossale che ci abbiamo creduto.

Ci abbiamo visto giusto, noi di betapress quando lo abbiamo seguito nel tour di serate di presentazione del libro nelle maggiori città italiane, lo scorso autunno.

La prima serata, il 9 ottobre di un anno fa, nella sua Genova, aveva subito registrato il tutto esaurito, ed era stata caratterizzata da una particolare presenza di imprenditori e di liberi professionisti, sempre più attratti dalla P.N.L, ma non solo.

Perché, Max Gentile è un coach “sui generis”, che si qualifica come formatore personale, prima che professionale. Questa è la sua specificità, che fa la differenza!

LIBERO DI RINASCERE, che l’autore ha continuato a promuovere con le serate di incontro con il pubblico, (costituito da seguaci fedelissimi, primi testimoni del suo talento, ma anche da nuovi adepti, incuriositi dalla sua proposta), ha confermato le doti umane e professionali di Max, e si è rivelato un vero successo editoriale.

Perché, non è quello che dice, ma quello che fa Max, che crea la differenza!

Prima di tutto perché non insegna quello che sa, ma trasmette quello che vive. Chi lo segue da parecchi anni, sa bene che, con un’enorme coerenza di vita umana e di credibilità professionale, Max applica su sé stesso la regola del RADICARSI ED AMARSI.

Lui per primo, ha scavato dentro di sé, per trovare la propria identità, per difendere la propria integrità, per creare e prendere la propria direzione esistenziale.

Poi perché, da poliziotto o da allenatore, Max crede che il vero successo è amare sé stessi e mettersi al servizio degli altri.

Così, nel suo libro e nelle sue lezioni, ci insegna a smetterla di dare la colpa agli altri, a liberarci dalle paure, ad eliminare dalla vita i vampiri d’energia, a scollarci di dosso la “rimandite”.

Ci invita a riflettere sul rischio più grande, che non è quello di morire, ma quello di non vivere, o meglio di vivere al di sotto delle proprie possibilità.

Quattro grandi paure, la paura della libertà, dell’abbandono, del giudizio, dell’approvazione ci bloccano e rappresentano una gabbia, da cui Max c’insegna ad uscire, per poi affrontare la paura più grande che non è il fallimento, ma il SUCCESSO.

Sì, Max Gentile, ci porta sull’orlo della sfida più coraggiosa, quella di riuscire a dare il meglio di sé, di esprimere tutto quel potenziale che abbiamo dentro e che, paradossalmente, all’inizio temiamo.

Ed allora, sempre secondo il nostro intuito sulle novità del mondo del coaching, vi anticipiamo un evento straordinario che avrà luogo a Milano il 28 ed il 29 settembre presso il Novotel Milano Nord Ca’Granda: il MENTAL FORUM di NEUROSCIENZE ED IPNOSI.

Questo primo ed affascinante congresso italiano con la partecipazione di quindici relatori internazionali, provenienti da sei paesi esteri propone l’incredibile sinergia e complementarietà tra le neuroscienze e l’ipnosi.

I migliori esperti nel campo dell’Ipnosi, Neuroscienze, Comunicazione, Emozioni, Apprendimento, Morfofisiognomica, Memoria, Benessere si alterneranno in un week end di informazione, dibattiti, conferenze e workshop dall’avvincente titolo

TUTTI MERITANO DI POTER ACCEDERE ALLA CONOSCENZA. Noi ci crediamo!

Ideatrice ed organizzatrice dell’evento è PAOLA GRASSI.

Ricercatrice, Coach professionista, Counselor ad Indirizzo Olistico, Filosofa e Scrittrice, Ipnotista, ha creato l’Associazione Italiana Ipnosi, di cui è Presidente e fondatrice insieme a Ester Patricia Ceresa e Vincenzo D’Amato.

E’ l’ideatrice e l’organizzatrice anche di Accademia Summit Festival (evento annuale no profit), a cui l’anno scorso era stato invitato anche Max Gentile, nonché Owner & Founder di Accademia Italiana di Coaching Integrato, community per la quale è Academy Master Trainer nei corsi di coaching e crescita personale.
La sua mente creativa produce in continuazione nuove idee che poi trasforma con successo in realtà.

Pensiamoci, se vogliamo continuare il viaggio alla scoperta della nostra rinascita e alla massima espressione del nostro potenziale mentale.

Noi di betapress ci saremo, ci metteremo in gioco per primi! …

Antonella Ferrari

 




Sacro o profano?

Esiste un mondo sacro dell’arte ed un mondo profano della moda?

O, viceversa, arte e moda sono entrambe segno e simbolo di un tempo, sacro e profano al contempo?

E quando, paradossalmente la moda diventa sacra e l’arte diventa profana, nel senso di accessibile al pubblico?

La sfida sinestetica di fusione tra arte e moda e di sublimazione dei loro linguaggi iconografici, è stata accolta, e noi di betapress, vi anticipiamo, sarà vinta, in un evento artistico di avanguardia, ideato da Sara Mano ed organizzato in collaborazione con Silvia Mascheretti, presso la pinacoteca Carrara di Bergamo, inaugurato venerdì prossimo, 13 settembre, alle ore 18.30.

ARTE di MODA “GIARDINI di SETA” VITTORIO ACCONERO per GUCCI è il titolo della mostra dei prestigiosi foulards esposti nei locali della Carrara dal 14 settembre al 21 ottobre p.v.

La mostra è il primo evento di BE-STILE, un nuovo format dedicato allo “STILE” che avrà come luogo prediletto la storica ACCADEMIA CARRARA di Bergamo e vedrà la sua prima edizione nell’autunno 2019.

 

Il logo BE-STILE acronimo di “BERGAMO STILE”, ma anche di “ESSERE STILE”, vuole essere un laboratorio di riferimento per proposte e progetti che possano favorire il dialogo fra la città e il mondo della Moda, dell’Arte e del Design.

 Il tema centrale dell’edizione 2019, è la mostra “Giardini di seta” Vittorio Acconero per Gucci che, presenta una collezione di foulard originali di un ventennio di storia italiana, fra i quali il celebre Flora, uno dei trade-marks della Maison Gucci.

 Si tratta di una mostra di grande freschezza e godibilità, rappresentativa di un periodo storico fra i più rilevanti per il design e la moda italiani, che, nell’immaginario collettivo, promuovono un’idea vincente di STILE italiano.

L’esposizione accosta in un dialogo artistico 10 foulard con 10 opere della collezione permanente, attraverso visite guidate tematiche che legano il mondo della Moda dei Foulard di Gucci a quello dell’Arte della collezione permanente della Accademia Carrara creando un sodalizio fra Arte e Moda e fra i differenti modi di “essere STILE”. 

 In tutto sono 35 i foulards originali disegnati per la maison fiorentina da Vittorio Accornero, uno dei protagonisti dell’illustrazione italiana del Novecento.

Ma, in Arte di Moda, grazie alla consulenza storico-artistica di Martina Colombi e Sara Mano, 10 preziosi foulards, alcuni dei quali mai esposti, vengono accostati ad altrettanti capolavori dell’Accademia Carrara.

Nasce così, e questa è la novità, un dialogo iconografico che lega Arte e Moda. Il mondo sottomarino dei Coralli (1968) affianca i gioielli di Ritratto di bambina di casa Redetti (1579 circa) di Giovan Battista Moroni.

L’intreccio di foglie, bacche e rampicanti e gelsomino di Fiori invernali (anni ̓70) si ritrova nella Sacra Famiglia con Santa Caterina d’Alessandria (1533) di Lorenzo Lotto. Il paesaggio collinare, popolato da alberi e arbusti e dominato sullo sfondo da architetture turrite, accomuna Padiglione (1960-1965) e Orfeo ed Euridice (1510 circa) di Tiziano.

Un percorso esclusivo tra Arte e Moda, tra design e pittura a confronto.

Sete disegnate ed opere artistiche incantano il visitatore in un gioco seduttivo in cui i linguaggi si fondono. L’iconico Flora, creato nel 1966 per Grace Kelly e caratterizzato da 9 bouquet di fiori tra cui campeggiano farfalle e libellule è accostato alla fragilità della bellezza di Vaso di fiori con anello e pietre preziose (1612) di Jan Brueghel il vecchio.

Epoche e scenari accompagnano il pubblico in un viaggio attraverso l’arte presente nella moda, ma anche attraverso la moda presente nell’arte.

L’evoluzione artistica di Accornero continua e conferma gli omaggi dello stilista alla storia dell’arte, ed ora i suoi foulards equivalgono a degli oggetti d’arte, esposti in un tempio sacro della pittura come la pinacoteca Carrara.

Il tempo riconosce il talento…

E la città di Bergamo riconosce il valore del progetto.

Il progetto è infatti realizzato grazie al patrocinio di Comune di Bergamo, con il contributo di Regione Lombardia, il sostegno di Visit Bergamo e ATB e la sponsorizzazione di Blue Meta, Clay Paky con Art Centric Lighting, CreaConcreteDesign, Credipass, Grifal con 4 Portoni, Pedrali, Bracca e Valcalepio, aziende di prestigio del territorio bergamasco.

 

Antonella Ferrari

 




Impresa sì, ma umanamente…

Team building e licenziamento 

i valori umani dell’imprenditrice Elisabetta Ruffino.

Le coincidenze sono degli avvenimenti che accadono normalmente ma che regolarmente ci lasciano senza parole.

Il termine coincidenza deriva dal latino “cumincidere” ovvero cadere insieme.

E così avviene che degli avvenimenti apparentemente separati e distanti cadono insieme davanti ai nostri occhi e lasciano un segno profondo nelle nostre vite.

Sono cose che ci stupiscono ma che, a conti fatti, sono perfettamente normali, comuni.

Sappiamo che accadono ma ci piace sempre fermarci a guardarle stupiti, un po’ come facciamo davanti ai fenomeni naturali: li guardiamo ammirati ma sappiamo che non c’è nulla di magico dietro, solo natura.

Bellissima, perfetta natura.

“Caso”, “fato”, “coincidenze”, “sincronie”, “ananke” … sono tutti termini filosofici e letterari che raccontano lo stupore di vedere l’armonia degli avvenimenti e la constatazione lucida della perfezione della realtà.

Personalmente a me le coincidenze piacciono, le aspetto proprio per guardare dove mi porteranno e a che punto arriveranno.

Le aspetto pronta e fiduciosa come Benjamin Franklin aspettava i fulmini col suo aquilone.

Questo articolo parla di un incontro casuale e di quello che mi ha insegnato.

Scrivo di questo insegnamento perché credo che possa essere uno spunto di riflessione, un esempio interessante e una boccata di buona speranza per chi legge.

Voglio raccontare questa storia perché porta in sé delle tracce, qualcosa che può riecheggiare nelle orecchie di chi legge e dare una prospettiva in più.

Chi cerca risposte, la maggior parte delle volte le trova per caso, spesso nelle parole che avrebbero dovuto avere tutto un altro contesto, a volte in un articolo.

Ma andiamo alla storia che voglio presentare.

È una storia che parla di persone che hanno delle aziende e che, attraverso questo strumento, lasciano un segno nella vita di altre persone.

Le riflessioni che riporterò non sono fantasticherie ma riflessioni concrete che hanno riscontro in circostanze effettive ed è questo il motivo della loro eccezionalità.

Mi piace osservare la vita umana e professionale di chi “costruisce lavoro”, scrutarne la realtà e cercare di guardare oltre, perché spesso parla di persone straordinarie.

In una società ideale, l’imprenditore ha una responsabilità sociale importante: deve migliorare la propria vita, quella dei propri dipendenti e quella dei propri utenti finali, i cosiddetti clienti.

La sfera del lavoro, dell’impiego, nell’economia del tempo e dello spazio, interessa una fetta della nostra vita molto grossa e “chi vuol fare la differenza” è chiamato a muoversi anche all’interno di questo campo.

Esistono persone che la pensano così e a me piace andare ad osservarle.

Lei si chiama Elisabetta Ruffino e siamo diventate amiche per caso.

Lei di Torino, io di Palermo, per qualche anno ci siamo incontrate per caso in giro per l’Italia, ci salutavamo da lontano ma niente di ché.

Era sempre così: lei arrivava e io andavo via.

Poi un giorno, per caso e senza un motivo, le ho mandato tramite un amico un biglietto con dei saluti, lei non lo sapeva e il giorno prima di riceverlo, senza un motivo, mi ha chiamata chiedendomi di incontrarci vicino Lugano pochi giorni dopo.

Così, per una serie di coincidenze, abbiamo iniziato a lavorare assieme.

Prima di allora non sapevo molto di lei, la conoscevo come “quella che faceva leggere ai suoi dipendenti i libri motivazionali prima di farli cominciare a lavorare”.

Lei non so come mi vedesse.

Elisabetta Ruffino, assieme a Paolo Pollacino il suo socio e complemento umano e professionale, si occupano di esami dei componenti per il settore dell’automotive.

Detta in parole più semplici, Motivexlab, la loro azienda, si occupa di fare dei test di sicurezza ai componenti dei macchinari in modo da evitare e prevenire eventuali malfunzionamenti pericolosi per l’utente finale e per l’azienda produttrice.

L’ulteriore particolarità di Motivexlab rispetto alle altre aziende dello stesso settore, è la velocità: gli esami richiesti vengono infatti consegnati entro 24 ore contro i giorni o le settimane richieste da altri.

Però quando ho iniziato a conoscere Elisabetta non si parlava di automotive, non lavoravamo neppure per una azienda italiana.

Lei era in un periodo di pausa e di ricerca di nuove sfide, io seguendo il filo della sua telefonata e mi ero fatta portare via dal mio vecchio lavoro e così, dalla Sicilia, ero andata a respirare un po’ di quell’aria alpina che, si diceva, facesse tanto bene.

Lavorare con Elisabetta è stata per me una delle tante cose belle della mia vita.

In termini concreti potrei dire che da Elisabetta, durante quei giorni, ho imparato come gestire uno staff, come prendermene cura, come interessarmi alle persone, come fare le riunioni, come delegare, come fare in modo che le persone diano sempre il meglio e seguano le loro vere vocazioni…

In termini concettuali ho imparato la fiducia, la stima, il tempo dedicato e la comunicazione, la voglia di fare andare le cose per il meglio, il piacere di godere di quello che ho attorno.

Non esiste miglior insegnamento dell’esempio.

E anche di questo che parliamo quando ci sentiamo: “team bulding e licenziamento”.

Due argomenti apparentemente in contrasto tra loro che in lei diventano la caratura umana e l’esempio imprenditoriale.

Senza ipocrisie, senza sotterfugi, senza bugie.

Una volta le ho chiesto: “come devo fare che tenere unita una squadra di persone che devono lavorare assieme?”

“Devi fidarti di loro, stimarle, dirglielo e pensarlo veramente”.

E, devo dire, che ha funzionato, perché quello che mi diceva aveva senso:

quando accettiamo le persone per quello che sono e ne vediamo il vero valore al di là delle nostre fantasticherie ed aspettative, capiamo che per fare un buon lavoro non dobbiamo cambiare chi ci sta attorno ma cambiare la nostra prospettiva.

Ovviamente può capitare che le persone non ci piacciano, ci facciano antipatia perché, magari, ci ricordano il compagno antipatico delle elementari, ma questo non ha a che fare con il lavoro che svolge quella persona ma con noi.

È questo il dovere del Leader: guardare le persone e vederle come tali, non come quello che noi vorremmo che fossero.

Tutti quanti vorremmo un nostro clone a fare le cose al posto nostro, ma non abbiamo a che fare con automi bensì con persone che, spesso, sono spaventate dai nostri atteggiamenti e dalla nostra insicura aggressività e, per questo, non eseguono un lavoro nel migliore dei modi.

Quando invece diamo fiducia alla persona e glielo diciamo, quella non solo si sentirà più sicura ma avrà voglia di dimostrarci che la nostra fiducia è ben riposta.

Forse il punto di vista di Elisabetta sembrerà un po’ troppo filosofico ma quando si ha a che fare con le persone, è importante uscire dagli schemi meccanici e guardare gli aspetti umani.

Ma entriamo un po’ più nello specifico, qualcos’altro che possa essere riprodotto anche all’interno dello staff di persone con le quali interagiamo normalmente.

Il presupposto fondamentale è che le persone, per lavorare bene, devono stare bene.

Quindi, in ingresso, dobbiamo considerare che, se quella persona ci piace e desideriamo che lavori con noi, deve essere pagata, deve avere delle sicurezze e un piano di crescita all’interno dell’azienda e non deve pensare di star subendo delle ingiustizie.

Sappiamo benissimo che, al di là delle belle parole dette da tanti, questo non è affatto un presupposto scontato.

Una volta definita questa base andiamo a vedere come Elisabetta si occupa di gestire il fattore umano all’interno dell’azienda e costruire così di una squadra.

Lei lo sa (e si comporta di conseguenza) che le persone che lavorano sono fondamentali per il buon esito dell’azienda.

Lei sa (anche se spesso le dispiace) che le persone non sono automi programmabili da lei, che ognuno ha il proprio carattere e le proprie vite.

Più persone lavorano all’interno dell’azienda, più saranno i caratteri diversi, in conflitto e le possibili antipatie.

Questa è una cosa da evitare e può essere fatto con la condivisione di un obiettivo.

La prima cosa che trasmette è che non bisogna temere se “l’ultimo arrivato” viene ad imparare il “tuo lavoro” perché chi apparentemente ti toglie lavoro, ti da al possibilità di crescere, di fare altro.

La paura che prende tutti quando arriva qualcuno a fare il nostro lavoro che rischiamo diventare inutili ma non vediamo che con più tempo a disposizione possiamo dedicarci ad incarichi e percorsi molto più gratificanti.

Dobbiamo accettare, per crescere, che tutti sanno fare il nostro lavoro meglio di noi.

È un concetto difficile da accettare ma è la strada per poter fare sempre meglio.

Team building è anche questo: permettere all’altra persona di farci crescere.

Spiega sempre Elisabetta e probabilmente è la strada giusta se Motivexlab, viene definita dai giornali la “piccola Google”.

Un’altra delle cose che hanno reso famosa l’azienda è il fatto che al suo interno ci sia una piccola palestra a disposizione dei dipendenti.

Il fatto di poter fare dell’attività fisica, oltre a tutti i vantaggi noti (abbassamento dello stress, aumento del benessere fisico, produzione di serotonina, ovvero del buon umore, la crescita dello spirito di squadra…), porta un altro vantaggio più sottile profondo e umano: improvvisamente il luogo di lavoro non è più il posto in cui il dipendente si sente “spremuto” per poter portare soldi al “datore di lavoro sfruttatore”, ma diventa il luogo in cui il tuo datore di lavoro ti permette di stare bene per poter dare il meglio di te.

E l’attiva età fisica non è l’unica delle attenzioni legate al benessere.

Mens sana in corpore sano scriveva Giovenale e, infatti, oltre a fare attività fisica, in azienda, si legge pure.

Ogni mattina, a Torino, prima di iniziare a lavorare, viene fatta una riunione alla quale partecipano tutti i dipendenti dell’azienda, si condividono successi e obiettivi, si pianifica la giornata lavorativa e si leggono dei brani di libri utili per indicare l’obiettivo comune del gruppo.

Da un po’ di tempo, c’è da dire, il momento della lettura del mattino ha assunto una conformazione vagamente campanilistica: in azienda si legge “Tutto e Subito” di Elisabetta Ruffino e Paolo Pollacino, è la storia di Motivexlab, di come è nata e come ha fatto a diventare quello che è.

Una squadra, per essere tale, ha bisogno di condividere uno scopo e questo non può essere solamente un valore economico o un oggetto.

L’obiettivo è quello di “salvare il mondo” come diciamo ogni tanto, scherzando ma non troppo, con Elisabetta.

L’obiettivo è cambiare la vita delle persone, cambiarla in meglio e ogni volta che uno dei suoi dipendenti lavora, pensa a questo: fare qualcosa di buono per sé e per gli altri.

Per Elisabetta e Paolo, fare impresa oggi in Italia vuol dire cambiare la vita a un piccolo numero di persone che entrano in contatto con loro e ne escono più simili a loro stesse.

E il licenziamento?

Il licenziamento, non ci si pensa mai, ha a che fare con l’identità della persona.

L’identità più profonda, quella che ha a che fare con le proprie ambizioni personali e con i propri desideri.

Spesso con Elisabetta ci siamo trovate a parlare di questo argomento.

Licenziare una persona è, per il tipo di imprenditori come lei e Paolo, un momento difficile e di crisi umana.

E così il momento in cui si capisce che una persona all’interno dell’azienda non è al suo posto, si affronta il problema e si guarda l’aspetto umano.

Sì perché, alla fine il punto è proprio questo.

Non si parla di lavoratori universalmente capaci o incapaci, ma si persone che sono al proprio posto o meno in quel ruolo o in quell’azienda.

Spesso ci troviamo a fare lavori che in realtà non ci piacciono, che non hanno a che fare con noi, li facciamo solo per accontentare mamma e papà, i coniugi e gli amici.

Spesso accettiamo un lavoro solo per la busta paga.

Ma tutti questi non sono ragioni valide per il nostro Essere, per la nostra Identità.

Un lavoro che non vogliamo fare ci logora e non viene bene come dovrebbe.

Ogni giorno diventa pesante e vedere i colleghi una tortura.

Ogni notte è insonne perché vediamo i nostri sogni allontanarsi.

Ovviamente alle persone arriva solo l’ultima parte: un lavoratore che non svolge bene il suo incarico oppure un lavoro odioso e annichilente.

In realtà c’è un aspetto umano molto più profondo.

E l’aspetto umano della filosofia aziendale e professionale di Motivexlab è l’attenzione per la persona prima che per l’incarico che ricopre.

In tanti fanno questa riflessione, di Elisabetta e Paolo a me piace che loro lo fanno per davvero.

Il momento del licenziamento non è un momento di fallimento del datore di lavoro e dell’impiegato.

Il momento del licenziamento è un momento di scoperta della propria vocazione per il dipendente e di sostegno per l’azienda.

Tante volte Elisabetta mi ha raccontato storie belle di dipendenti andati via per inserire un ipotetico sogno e poi tornare in azienda (dove vengono riaccolti a braccia aperte), di dipendenti che vanno via perché desiderano mettersi in proprio o seguire altri sogni, oppure di ex dipendenti aiutati da loro a reinvestirsi in altre aziende.

Storie belle di una Italia che fa impresa in modo bello, umano, storie che ci dicono che esistono aziende in cui è bello lavorare e persone che pensano ancora che è bello  (anche se difficilissimo) lavorare in squadra.

Apparentemente sembrano poche ma mi riservo di raccontare altre belle storie come questa.

Storie che raccontano di aziende che non annichiliscono ma arricchiscono.

Esempi veri di una speranza ben riposta.

 


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Riferimenti.

È possibile avere ulteriori informazioni su Elisabetta Ruffino e Paolo Pollacino a questi link

www.motivexlab.com

https://www.amazon.it/Tutto-subito-Paolo-Pollacino/dp/B071S6RKZC