Cantone lascia: è lutto per lo Stato.

Lo aveva detto chiaramente “gli onesti non fanno carriera nella pubblica amministrazione”, ed anche se tutti si erano chiesti come mai lui allora era arrivato lì, oggi Raffaele Cantone ha dimostrato di essere persona coerente.

Lascia la guida dell’ANAC per tornare in magistratura ” la mia vera casa” come lui stesso la definisce.

Lo Stato ha riguadagnato un bravo magistrato, ma di certo quest’abbandono non è un significato positivo, specie quando si parla di strutture che hanno un potere di controllo sull’operato della pubblica amministrazione.

Ci sono in ogni caso delle domande da porsi:

ma se c’è una legge a che serve l’autorità? ed ammesso che serva allora ha ragione Cantone nel suo discorso chiaro in cui sostiene che le attività dell’autorità non possono essere uguali ad una tavola delle leggi scritta sulla pietra, deve essere un organismo fluido e dinamico che si adatta al mutevole e veloce cambiamento di mercato.

Cosa che sicuramente non può piacere al potere politico.

Chi ha vissuto nel piccolo quello che Cantone avrà sicuramente visto nel grande non si meraviglia di quest’abbandono, più o meno giusto, di certo lineare, il potere non può essere affiancato da organismi che sono in grado di analizzare giorno per giorno ciò che accade ed intervenire, in più con un potere esecutivo per farlo.

Chi scrive ha visto uffici di ispettori chiusi dall’oggi al domani solo perché avevano esclamato “il re è nudo”.

Certo allora nessun clamore, nessuna meraviglia, anzi quasi la soddisfazione perché quegli ispettori erano troppo sceriffi e facevano troppe ispezioni…

Il caso Cantone, certamente più eclatante e di una magnitudo assolutamente più ampia, ci lascia però comunque l’amaro in bocca, nulla cambia in questo paese.

Ora si scatenerà la polemica Cantone bravo, Cantone  cattivo, governo giusto, governo ladro, opposizione colpevole opposizione innocente, Mio Dio, che assurdità, paese lobotomizzato da se stesso.

Ci vengono in mente parole sempre attuali:

Amici, Romani, compatriotti, prestatemi orecchio; io vengo a seppellire Cantone, non a lodarlo.

Il male che gli uomini fanno sopravvive loro; il bene è spesso sepolto con le loro ossa; e così sia di Cantone.

Il nobile Governo v’ha detto che Cantone era ambizioso: se così era, fu un ben grave difetto: e gravemente Cantone ne ha pagato il fio.

Qui, col permesso del Governo e degli altri – ché il Governo è uomo d’onore; così sono tutti, tutti uomini d’onore – io vengo a parlare al funerale di Cantone.

Egli fu mio amico, fedele e giusto verso di me: ma il Governo dice che fu ambizioso; e il Governo è uomo d’onore.

Molti prigionieri egli ha riportato a Roma, il prezzo del cui riscatto ha riempito il pubblico tesoro: sembrò questo atto ambizioso in Cantone? Quando i poveri hanno pianto, Cantone ha lacrimato: l’ambizione dovrebbe essere fatta di più rude stoffa; eppure il Governo dice ch’egli fu ambizioso; e il Governo è uomo d’onore.

Tutti vedeste come al Lupercale tre volte gli presentai una corona di re ch’egli tre volte rifiutò: fu questo atto di ambizione?

Eppure il Governo dice ch’egli fu ambizioso; e, invero, il Governo è uomo d’onore.

Non parlo, no, per smentire ciò che il Governo disse, ma qui io sono per dire ciò che io so.

Tutti lo amaste una volta, né senza ragione: qual ragione vi trattiene dunque dal piangerlo? O senno, tu sei fuggito tra gli animali bruti e gli uomini hanno perduto la ragione.

Scusatemi; il mio cuore giace là nella bara con Cantone e debbo tacere sinché non ritorni a me

La nostra convinzione è che il gesto eclatante di Cantone, pur facendogli onore, a nulla serva.

In Italia, dopo un mesetto di polemica e di sciacquio dei panni, si tornerà come prima.

La riflessione profonda che si dovrebbe introdurre è legata al meccanismo con cui lo stato ricopre ruoli chiave e ne determina i comportamenti.

Non siamo in grado di dare un profilo etico o forse chi ha questo profilo “… non fa carriera nella pubblica amministrazione…” ma è ora di cambiare, e come si cambia? solo dando l’idea dello Stato, di comunità, di unità di intenti e di obiettivi.

Oggi mancano i Simboli, e se ci sono vengono usati strumentalmente (vedi i crocifissi), perché tendiamo a dare un significato alle figure individuali, siamo nel mezzo di un mondo individuale, carico di avatar inutili di noi stessi, di profili social che spesso per nulla rappresentano  la realtà dietro la maschera.

L’amore per il proprio paese si coltiva, non nasce spontaneo come un fungo, è un processo che inizia fin da piccoli, quando si incomincia a vedere la bandiera tricolore e ci viene da cantare l’inno nazionale.

Il luogo in cui nasce quest’amore è la famiglia, la scuola, ma se lo Stato opera per distruggere la famiglia e la scuola come possono questi due incubatori diffondere l’amore per il proprio carnefice?

Occorre cambiare, servono persone intelligenti che capiscano che lo stato deve amare per essere amato, non è difficile …

Incominciamo ad aiutare i genitori, i docenti, i dirigenti, il personale della scuola, facciamo in modo che ci sia lavoro, stipendi dignitosi per tutti, smettiamola di dare i soldi a chi non crea amore per lo stato, non è difficile …

Proviamo a fare uno sforzo e pensiamo a Cesare, cosa ci viene in mente? Roma, il diritto romano, la grandezza dell’Italica gente, l’onore, la forza, insomma tutti valori positivi.

Adesso pensiamo ad oggi e proviamo a pensare a qualche nome come Cesare, dunque, ecco, ci sarebbe, spetta, come si chiamava???, ma si l’ho qui sulla punta della lingua, ecco, ecco, aspetta, ummm …

 

 

 

 

 

 

Corrado Faletti

Direttore




Strafalcioni 2: la vendetta dell’ignoranza!

 

Continuano gli esami di maturità. Mentre sono finiti quelli delle medie.

In modo affettuoso, da addetta ai lavori, voglio condividere con voi, cari lettori, le ultime esilaranti invenzioni dei miei alunni, consapevole che il mea-culpa continua, ma s’impara anche ridendo insieme.

Noi di betapress.it non abbiamo avuto bisogno di fare un sondaggio nazionale.

Semplicemente ci siamo messi all’ascolto, ed abbiamo raccolto in diretta queste chicche.

Come si chiama un grafico a colonne? INSTAGRAMMA.

Hitler perseguitava i Testimoni di GENOVA.

Il popolo più MIRATO (per dire preso di mira) erano gli Ebrei e finivano in un campo di concentramento che era un CAMPO ALL’APERTO.

Come si chiamano le ossa delle dita? FALANGITI.

Facendo un tatuaggio si può INCONTRARE l’epatite C ed ASSUMERE l’A.I.D.S.

“Io mica spaccio” è un testo di…? Un testo di PAGINA 148.

Dove nasce la Mafia? Quella nigeriana nasce a CASTEL VULTURNO.

La Mafia ha il controllo della pro-pros-prost- PROSTATA.

Gli Andini, ogni tanto si mangiano una FOCA. (Al posto di una foglia di coca…ma dai, anche tu…E’ dislessico!…)

A Pablo Picasso gli è stato AFFIBIATO un incarico, quello di dipingere Guernica.

A proposito di immigrati “Tu vai sulla nave e prendi le malattie, per esempio la PESTE”.

Nel cyberbullismo c’è la VIOLENZA SULLA PRIVACY e la vittima può non dare CONSENTIMENTO.

“Chi e l’autore della Coscienza di Zeno?” -GIOVANNI PASCOLI.

 “No, dai. Italo…” – ITALO CALVINO.

” Ma no! Italo Svevo” – Vabbè, Prof, sempre Italo era…

Una parodia della famosa canzone di Vecchioni: SAN MARINO (anziché Samarcanda).

L’Istat ha guardato un FASCIO d’età.

Il testo parla di questo ragazzo QUA.

“Non si dice qua”

Il testo parla di questo ragazzo QUI “

“Ma no, non si dice neanche qui”

Il testo parla di questo ragazzo QUO.

“Novecento” è un monologo di?

-Non mi ricordo…

Dai, ti aiuto. Di Ba-Ba…

-Di BA-BATMAN.

Dopo l’Università fai il MONSTER (invece del Master!)

“In Francia, come si dice laurea?” -Licence.

“Bene, e dopo la laurea, in Italia c’è l’abilitazione, in Francia c’è la Mai, la Maitr…”

LA MAITRESSE ( anziché maitrise ).

Ma la ciliegina sulla torta arriva quando il Presidente di commissione, esasperato, dice al candidato “Prego, proceda pure…” ed il candidato, ossequioso, si alza e se ne va…

“Ma no, Presidente, abbiamo finito di ridere…”

 

Antonella Ferrari

 




Medici: dove sono?

Agosto, moglie mia non ti conosco…

Bei tempi…Di questi tempi possiamo solo dire: “Agosto, medico mio non ti conosco…” anche perché non ti trovo!

Il paziente medio italiano ha visto l’esodo del suo medico di famiglia, che dopo anni di onorato servizio, è andato in pensione.

Ha pensato di prenderne un altro, magari comodo da raggiungere, anche perché è un po’ avanti con l’età e gli acciacchi si fanno sentire.” Tutti esauriti”, gli hanno risposto all’Asl. “Se vuole ne è rimasto uno libero all’altro capo della città” gli hanno risposto.

Gli è capitato di andare al pronto soccorso, per un’emergenza, ma vi ha trovato un medico straniero.

“Per l’amor del cielo, bravissimo, ma perché proprio a me?” ha pensato.

Oppure, è stato visitato da un volenteroso laureato non specializzato. Quante storie!!!

Insomma, per farla breve, quest’estate, il paziente medio italiano deve valutare bene dove, come e quando ammalarsi.

Perché, che la salute sia un bene prezioso, lo sappiamo. Ma che sia sempre più un lusso ammalarsi, lo sperimentiamo.

E, a mali estremi, estremi rimedi.

Il paziente medio italiano, ignaro contribuente, è ormai vittima, da tempo, di una assurda politica miope di tagli sulla salute dei cittadini, perpetrati da uno stato sociale ridotto allo stremo. E che riduce ognuno di noi allo stremo.

E che di fronte all’endemica mancanza di medici civili, propone ora l’arrivo di

medici militari. Eh vai!!!

Vediamo insieme cosa sta succedendo.

Il problema è la cronica emergenza-medici negli ospedali di tutt’Italia.

Sono almeno 8mila in meno del fabbisogno, di cui 2mila nei Pronto soccorso, questo il calcolo del segretario dell’Anaao, sindacato medico italiano, Carlo Palermo.

L’emergenza si aggravando, in questi giorni, con le ferie estive del personale.

I servizi del 118 sono al collasso, denuncia il presidente Società Italiana Sistema 118 Mario Balzanelli: “In alcuni casi si sono dovute sospendere le ferie per garantire l’assistenza”, ha sottolineato.

L’allarme è tanto più avvertito in questi giorni di grande caldo, una delle più intense dell’ultimo decennio in Europa, con punte di 40 gradi anche in Italia e in particolare al Centro-Nord. Particolarmente preoccupante, e non da oggi, la situazione in Molise.

Bene, la ministra della Difesa Elisabetta Trenta, in visita a Campobasso, ha dichiarato “Stiamo esaminando la possibilità di inviare in Molise medici militari per far fronte alla carenza di personale sanitario negli ospedali, ma al momento non abbiamo ancora trovato una soluzione, stiamo continuando a cercarla”.

I medici militari sarebbero un toccasana, certo, per gli ospedali della regione (che rischiano la chiusura di alcuni reparti). Ma non farebbero che cronicizzare il problema, posticipando la soluzione di un’annosa questione.

Già all’inizio del mese, il ministero aveva individuato un elenco di 105 camici bianchi che operano nella sanità militare e che saranno selezionati per essere impiegati nella sanità civile. Questi medici dovrebbero essere impiegati per almeno cinque mesi, “termine necessario – osserva il commissario ad acta per la Sanità, Angelo Giustini – affinché il ‘Decreto Calabria’ possa essere definitivamente approvato, così nel contempo si espleteranno i concorsi. Tutto ciò consentirà di superare questo agonico stallo nella governance del Servizio sanitario regionale e del diritto all’equità e universalità di accesso dei cittadini”.

Ma noi, di betapress, non ne possiamo più di false promesse.

Come ben sappiamo, non è solo il Molise, ovviamente, a soffrire della carenza di camici bianchi in corsia e nei pronto-soccorso.

Non si può continuare a ignorare la situazione dei servizi di emergenza 118: c’è una grave carenza di medici e infermieri del 118 in tutte le Regioni e la situazione si aggrava in estate, periodo in cui invece le richieste di soccorso aumentano di oltre un terzo, soprattutto nelle zone costiere.

” Si tratta di salvare delle vite e con questi numeri l’assistenza di emergenza non può essere garantita”, continua Balzanelli.

Qualche esempio? “A Milano disponiamo solo di 5 mezzi di soccorso con medico a bordo, tra ambulanze e auto mediche, mentre a Bologna sono solo 2 i mezzi di soccorso con medico. A Taranto, per due anni, abbiamo dovuto sospendere le ferie dei medici del 118 proprio per garantire il servizio”. Che fare? In vista delle vacanze estive e del prevedibile aumento della richiesta di servizi di soccorso, sottolinea, “abbiamo previsto un potenziamento del numero di ambulanze sul territorio, per quanto possibile, ma il problema è che mancano i medici e dunque le ambulanze avranno a bordo solo l’autista-soccorritore”, commenta Balzanelli.

Carlo Palermo, dell’Anaao-Assomed, sindacato medico italiano, parla di “situazione di emergenza”, precisando che l’allarme per la carenza di medici “è una questione che i sindacati stanno denunciando da tempo”. A livello nazionale, afferma Palermo, “registriamo almeno 8-10mila medici in meno rispetto al fabbisogno e questo per effetto del blocco del turn-over dal 2009. Ora il settore più penalizzato è proprio quelle dell’emergenza e dei Pronto soccorso, dove i medici in meno sono circa 2mila”. La sofferenza, sottolinea, “è maggiore negli ospedali del Centro-Sud: in Molise, Sicilia, Calabria, Lazio e Campania, gli ospedali registrano infatti il 30% in meno della dotazione organica rispetto al 2009”.

E per questo che noi di betapress.it diciamo basta dunque con queste soluzioni di fantasia!

Andiamo a vedere, a monte, cosa succede.

Gli ospedali che rimangono senza medici in Italia sono sempre più numerosi. In alcuni casi ai concorsi non si presenta nessuno e i direttori delle Asl sopperiscono facendo contratti a gettone e in alcuni casi diminuendo il numero delle prestazioni. A mancare sono soprattutto medici di pronto soccorso, anestesisti, ortopedici e ginecologi, ma anche medici di base. Un raro caso in cui ci sono più posti di lavoro che lavoratori disposti a prenderli. Come mai allora in Italia ci sono medici disoccupati?

Perché mancano i finanziamenti per le specializzazioni.

“Formiamo circa 10 mila medici ogni anno – ci spiega il dottor Carlo Palermo,

segretario Anaao Assomed – ma l’offerta di specializzazioni non supera i 7mila posti. Ogni anno c’è uno sbilanciamento di 3mila medici e questo imbuto formativo si accumula negli anni “.

E per questo che si verifica l’esodo dei nostri neo medici. I laureati in medicina nel nostro Paese che ogni anno vanno all’estero sono circa 1500.

Secondo il dottor Palermo è come se regalassimo 1500 Ferrari all’anno ai Paesi stranieri, perché formare un medico per sei anni di università costa circa 150 mila euro alla collettività e mandare questi laureati all’estero equivale a regalare lo sforzo fatto per la loro formazione.

Inoltre, il problema della mancanza dei medici si pone oggi sotto gli occhi della opinione pubblica, anche perché stanno andando in pensione moltissimi specialisti assunti negli Anni 70, per raggiunti limiti di età.

E come se non bastasse, la mancanza di ricambio generazionale, è aggravato da un altro fenomeno: “Assistiamo a dimissioni volontarie di colleghi che non sopportano più le condizioni disagiate dovute al blocco del turnover. Vanno alla ricerca di situazioni meno problematiche con meno disagi e vanno a lavorare nel privato”. Spesso chi rimane negli ospedali deve sopperire alla mancanza di colleghi sottoponendosi a turni pesanti, che in molti casi superano le dodici ore.

Ma quanto costerebbe mettere duemila posti in più all’anno nelle scuole di specializzazione? “Abbiamo calcolato che per aumentare di duemila unità il numero delle borse di studio servirebbero 260 milioni che suddivisi tra le regioni italiane sarebbe un costo di due o tre milioni all’anno, una cosa sopportabile per i bilanci delle regioni” conclude Palermo.

Ma non per il nostro governo, aggiungiamo noi.

Tanto se un politico si ammala può permettersi la visita domiciliare di uno specialista di lusso o il ricovero in una clinica privata, che se manca l’ambulanza, vengono a prenderlo in elicottero. Basta pagare…

 

Antonella Ferrari




500 chicche di riso

“500 chicche di riso” di Alessandro Pagani è un libro anticonvenzionale, un non- libro, paradossalmente da non- leggere tutto d’un fiato, se non per poi rileggerlo daccapo, per gustarlo di nuovo, chicca dopo chicca, tenendo gli angoli della bocca rivolti verso l’alto, in un sorriso per un attimo eterno.

Un libro intrigante, che ti seduce con garbo, ti aggancia e ti porta con sé, oltre il reale, dentro il surreale, in un mondo parallelo, là dove il tuo pensiero non era mai stato.

Un libro avventuroso dove l’avventura galattica è salire sull’astronave linguistica del Pagani, è lasciarsi trasportare nell’universo linguistico dell’autore, per un viaggio di sola andata nei suoi giochi di parole, per decollare con lui nel cielo delle sue figure retoriche.

Un libro proibito ad ogni sceneggiatore, un non racconto, che si può leggere a ritroso, ma geniale come colui che scriveva da destra verso sinistra.

Un libro da fumetto, per iniziare al piacere i neofiti del genere, perché il linguaggio iconico potrebbe introdurre alla lettura, ma non sostituirla.

Le chicche del Pagani sono battute di spirito, ora ironiche, ora sarcastiche. Argute perle semantiche, rapide, incisive, dirette.

Poche, distillate e preziose parole. Oserei quasi dire, dei diamanti linguistici, di un tale e pregiato valore nella lingua madre che è impensabile una loro traduzione in un’altra lingua.

Leggere questo libro significa condividere un progetto comunicativo di lettura prospettica della realtà.

L’ignaro lettore viene omaggiato di un caleidoscopio semantico e linguistico attraverso cui guardare e scomporre il quotidiano.

Leggere questo libro significa assaporarlo, chicca dopo chicca, perché è un vero piacere, da gustare pian piano.

Un piacere proibito, perché, se in apparenza tutti possono ridere, in sostanza, pochi possono sorridere.

Il lettore è un privilegiato, in quanto invitato ad un banchetto esclusivo, dove ogni chicca è talmente densa che sazia in modo virtuale.

Ogni chicca va assaporata, assimilata, digerita.

Perché, solo così, pian piano, dolcemente, ma inesorabilmente, l’umorismo, l’ironia, la follia trasportano il lettore in un’esplorazione del quotidiano, in un rovesciamento prospettico dei vizi e delle virtù umane, in un ribaltamento della fatica di vivere.

Quando meno se l’aspetta, in un momento di rivelazione fulminea, il lettore condivide la sfida dell’autore.

Quella di dare un senso volutamente irrazionale alla nostra assurda vicenda umana.

Ogni chicca nasce ed apparentemente muore, per lasciare spazio alla successiva.

Un po’come succede nella vita di ognuno di noi.

Giorno dopo giorno, ci spegniamo nel sonno per svegliarci al nuovo giorno, con una consapevolezza in più.

Allo stesso modo, procedendo nella lettura, come nell’esistenza, niente più è come prima.

Ogni chicca nasce ed apparentemente muore, dicevo.

Apparentemente, perché, poi, incredibilmente, risorge.

Risorge il terzo giorno, vorrei dire…

Risorge quando ti ritorna in mente e ti prende e ti sorprende, ormai tua, per sempre. Diritti d’autore permettendo…

Antonella Ferrari

 




Quando lo strafalcione diventa esame di stato, la scuola che non c’è più…

Se è vero che la scrittura è terapeutica, posso andare avanti a scrivere per giorni, prima di guarire dal “male di insegnare”.

Sì, di insegnare nella buona scuola italiana, alle prese con i nuovi esami di stato…

Forse, farei meglio a tacere per non far sapere. Ma, giuro, non ce la faccio.

E’ da trent’anni che insegno, nelle scuole statali.

Sono stata commissaria d’esame interna ed esterna, con la formula dei vecchi esami di maturità, nei 17 anni di precariato nelle superiori. Ora, sono di ruolo nelle medie, da 13 anni, con il privilegio, insegnando francese, di avere sempre almeno tre terze da portare agli esami.

Modestia a parte, penso di aver maturato un po’ di esperienza diretta di esami conclusivi del primo e del secondo ciclo d’istruzione.

Eppure, non ce la faccio ad arrendermi all’evidenza dei fatti.

Ed impiego, apposta, il termine “alunni da portare”, anziché preparare agli esami, perché, ormai, è impensabile lottare contro la dilagante ignoranza collettiva dei ragazzi della nostra epoca.

Non entro nel merito del gioco delle responsabilità della famiglia, della scuola, della società. Sono consapevole che quest’articolo, scritta da un’addetta ai lavori è una sorta di” j’accuse “al mondo della scuola, segno e riflesso dell’involuzione culturale.

Del resto, è palese l’incremento esponenziale dei nuovi analfabeti di ritorno ed il loro exploit quotidiano sui social.

Mi voglio limitare a condividere l’inventario delle migliori sparate collezionate in questi anni di esami.

Preparatevi che sembrano inventate o scaricate da Internet.

Vi assicuro che non è così.

Testimoni i i mei colleghi che hanno partecipato alla raccolta, annotando in diretta le definizioni più folcloristiche.

Vi posso garantire che ho anche ricevuto delle pressioni da alcuni di loro per non scrivere un articolo che spari sulla scuola. “Almeno tu che ci lavori, per favore…”

(osserviamo che la colpa non è solo degli alunni, ma anche di un sistema di erogazione delle informazioni che passa molto per i social, alimentando quella che si potrebbe definire una dissociazione semantica continua verso la quale i docenti sono poco preparati a reagire; occorre rimodulare i modelli di utilizzo del set informativo attraverso una nuova concezione didattica che non può non passare per una didattica dei social, in cui è necessario ridefinire gli ambiti sia di utilizzo ma soprattutto di identificazione dei contenuti. N.d.R.)

Dunque, per non offendere nessuno, vorrei semplicemente ridere con voi e dedicare quest’articolo ai grandi sapientoni che hanno inventato la certificazione per competenze.

Sono “perle” raccolte in questi giorni di esame di terza media, in un paio di istituti comprensivi di una tranquilla città di provincia, tra un’utenza scolastica italiana, di medio livello culturale e sociale.

Perché, prima di parlare di competenze, sarebbe meglio, almeno, avere qualche conoscenza!…

Passando tra i banchi, ho notato un alunno che continuava a grattarsi il braccio, con tale veemenza che, quasi, sanguinava. Incuriosita, gli ho chiesto “Cosa succede?”. Risposta:” Prof, lasci stare, quando sono in ansia, SODOMIZZO tanto !!!”. Scioccata, incalzo e replico: “Ma davvero?!?”. “Sì, prof, sodomizzo tanto, fino a sanguinare!”.

Un altro alunno, all’orale, interrogato sul Risorgimento, ha dichiarato con assoluta certezza che Mazzini era morto nell’ARMADIO.” Ah sì? Cioè? Quale armadio? E poi, com’è morto?” Risposta: “Ah, non so, sarà morto soffocato”.

Evidentemente, la mia collega di lettere, non era d’accordo. L’alunno insisteva con supponenza, sottolineando che c’era scritto sul libro… Siamo andati a vedere.

Sì, è vero, Mazzini è morto nell’armadio. Anzi, meglio, nella CREDENZA.

Non quella di legno, ma nella convinzione che l’Italia avrebbe raggiunto l’unità!!!

Ma il resto della frase era scritto nella pagina dopo…

Ma, sì, cosa sarà mai!

Del resto, il primo uomo sulla luna, Neil Armstrong, si chiama come un noto trombettista jazz, Luis Armstrong, perché sono due ANONOMI, anziché omonimi.

Ed Oscar Wilde può rigirarsi pure nella tomba, se il suo romanzo “Il ritratto di Dorian Gray” è diventato quello di Doris Day, attrice e cantante statunitense.

Gli Egiziani seppellivano i loro morti sugli alberi. Ah sì? Quali?

Risposta: “Quelli che ci sono a Natale”.

“Cioè? Sugli abeti?”

” Sì, sì, proprio così”.

La mia collega non era convinta. “Ma ti pare che in Egitto ci sono gli abeti?!?”

“Prof, c’è scritto sul libro!”

Ancora?!? Ma anche stavolta, carta canta…

Gli Egiziani seppellivano i loro morti SU-PINI.

Il ragionamento non fa una piega…

Ma l’ecatombe, arriva quando il candidato, seguendo le indicazioni ministeriali deve dare prova della sua capacità argomentativa, nonché del suo spirito critico, esaminando tre documenti ricevuti dalla commissione, mezz’ora prima dell’orale. Un testo, un grafico ed un’immagine inerenti a quattro macro aree disciplinari.

(Giusto per dovere di cronaca, lavorando su due scuole mi sono fatta sei collegi docenti per preparare tutto il materiale per il nuovo esame di stato…)

Prima macro-area. GUERRA E PACE.

La colomba della pace di Picasso, diventa per il candidato un animale, che vola. E come fai a capire che è il simbolo della pace? Risposta.” Perché ha in bocca una foglia”

Eh, già! Quale sarebbe?

“A vederla così, non saprei, non è di marijuana”

Infatti, è un ramoscello d’ulivo!

L’appel de Charles de Gaulle del 1940, come è stato diffuso?

“Non so”

Dai, prova a pensarci…Non c’era Internet, la tele non l’avevano ancora inventata, quale mezzo di comunicazione si poteva usare a quei tempi?

“Il piccione viaggiatore”.

Sobbalzo sulla sedia, sono figlia di due cardiopatici, le mie coronarie non possono farcela…Mi riprendo, penso ad uno scherzo. “Dai, non fare lo spiritoso. Pensaci bene. Charles de Gaulle si trova in esilio, a Londra. Come fa a comunicare con i suoi connazionali oltre Manica?”

“Va sulla costa con un CARTELLO!”

Altro documento. Un articolo di giornale sulla prima guerra mondiale, sulle tristi condizioni di vita dei soldati in trincea, in particolare sul rancio dei soldati. I pasti, preparati nelle retrovie, arrivavano immangiabili. La pasta era colla ed il brodo era gelatina. Perché? Come facevano a consegnare il pasto ai soldati?

Risposta. “Con gli aerei”.

Sì, magari sorvolando di giorno, sopra il nemico…

La triplice alleanza e la triplice intesa, sono la stessa cosa. Tanto era tre, comunque.

Vincitori e vinti scompaiono. Non c’è cultura, né libertà che tenga.

Mussolini. La politica agraria di Mussolini… I balilla. Cosa ti fanno pensare? Ah, sì, con lui, nasce la pasta BARILLA.

Passiamo alla seconda macro-area. AMBIENTE.

Greta Thunberg ci fa un baffo! L’attivista svedese di appena sedici anni che sfida i leader mondiali nella lotta contro il cambiamento climatico, non immagina quanto i suoi quasi coetanei italiani si siano documentati.

“La Terra prima SI DEPURAVA, adesso non ce la fa più. Ed i capi di stato SE NE FISCHIANO”. Parole testuali.

Effetto STELLA. BRUCO nell’ozono.

Ma sì, voleva dire effetto serra, buco nell’ozono. E’ l’emozione che gioca brutti scherzi…

Ed intanto, l’immagine virale dell’orso polare sfinito per l’assenza di cibo provocato dallo scioglimento dei ghiacciai, diventa un orso “poco cicciottello”.

Lasciamo perdere. Passiamo ad INTERNET ed i SOCIAL.

“I giovani d’oggi passano troppo tempo davanti al computer. E dunque, GLI viene la gobba”.

“A parte che si dice, che viene LORO la gobba. Ma allora, spiegami, perché a Leopardi è venuta la gobba. A quel tempo non c’era il computer?”

 “Leopardi era gobbo perché non faceva attività fisica”.

Anche noi, ostinati a commemorare Leopardi…

Dai, lasciamo perdere. Passiamo a DIRITTI E COSTITUZIONE.

“1789. Cosa ti fa pensare?” -La presa della PASTIGLIA-

“Perché Luigi XXIV, il Re Sole, sposta la corte da Parigi a Versailles? “

Risposta “ Per cambiare aria…”

Vittorio Emanuele II è morto decapitato e Mussolini si è consegnato.

Notre Dame è il nome di un video-gioco. E nel CAVALLO DI TROIA c’era una BOMBA.

Questa sì che è libertà di pensiero!

E pure di parola, se l’autista del pullman diventa il PULMISTA.

E pensare, che non convinta ho chiesto. “Ma chi è il pulmista “?

L’alunno mi ha guardato con un bagliore di consapevolezza negli occhi e mi ha detto: “Prof, ha ragione, sa che ci ho pensato anch’ io, non dovevo chiamarlo pulmista, dovevo dargli un nome preciso!”

E quest’ alunno, con buona pace dei miei colleghi delle superiori, si è iscritto ad un Istituto Tecnico Industriale…Nel consiglio orientativo, noi prof delle medie, avevamo suggerito una scuola professionale, ma abbiamo sbagliato tutto. La famiglia sa già che il loro figlio, genio incompreso, diventerà un pilota d’aereo. Anzi, un AERISTA…

E pensare che i nostri antenati hanno tanto lottato per il diritto all’istruzione!!!

 

Antonella Ferrari

 

 

 

 




MODENA CITY RAMBLERS: “RIACCOLTI”.

Eccoci qua cari lettori. Non credo servano commenti quando si ha la fortuna di poter incontrare una Band che ha realmente fatto un pezzo di storia della musica italiana e sottolineo musica! Grandissimi musicisti che non hanno voluto piegarsi alle bieche regole dell’industria discografica ma leggiamo cosa ci raccontano Davide “Dudu” Morandi e Francesco “Fry” Moneti dei Modena City Ramblers.

PERTH

MODENA CITY RAMBLERS: “RIACCOLTI”.

1) Allora ragazzi, questo tour prende vita dal vostro ultimo lavoro, l’album “Riaccolti”, nato come vero e proprio omaggio al ventennale del vostro storico album acustico “Raccolti”. Com’è nata l’idea di incidere questo album e cosa rappresenta per voi ?

“L’idea di questo nostro lavoro non nasce, dal principio, per celebrare l’album “Raccolti”, motivazione che è arrivata in corso d’opera: avevamo voglia di fare qualcosa di veramente acustico, riproponendo quel suono che era una caratteristica di questo gruppo all’inizio della sua carriera. Dopo aver spinto per tanto tempo, sul palco, con chitarre elettriche e batterie, avevamo l’esigenza di “asciugare” il nostro suono, riproponendo qualcosa di diverso: visto che l’anno scorso era il ventennale di “Raccolti”, abbiamo quindi deciso di unire le due cose e di dar vita questo progetto. Ci siamo ritrovati allo Studio Esagono di Rubiera, uno studio che per molti anni è stata la nostra seconda casa e che ha riaperto da poco i battenti dopo un periodo di chiusura, e lì abbiamo cominciato a incidere il nuovo album. Sicuramente anche questo è stato un modo per riavvicinarci alle nostre origini.”

2) A cosa si deve la scelta di organizzare una campagna di crowfunding per la pubblicazione del cd? E come mai avete deciso di tornare nei live club per promuovere il vostro lavoro?

“Per quanto riguarda la scelta di utilizzare il crowfunding, non sentiamo di aver fatto niente di particolarmente nuovo: oramai viene ampiamente utilizzato anche in ambito discografico, anche se per noi è stata la prima volta. Ci è piaciuta l’idea di utilizzare questo strumento per fare qualcosa insieme ai nostri fan, oltre ad avere noi la possibilità di fare qualcosa che fosse, dall’inizio alla fine, completamente indipendente: finora ci era mancata soltanto la distribuzione dei nostri lavori, ma grazie a questa raccolta fondi, siamo riusciti a fare anche questo passaggio. Per quanto riguarda la dimensione dei club invece, noi in questo tipo di realtà ci siamo sempre stati, solo che, in genere, ci fermavamo dopo un tour estivo per ripartire a Marzo dell’anno successivo, in occasione delle feste di San Patrizio. Era molto tempo che non suonavamo quindi d’inverno, in special modo nei piccoli club, con 300/400 posti a disposizione: questa dimensione più intima ci mancava, quindi abbiamo deciso di riabbracciarla, facendo ritorno in quei club che ne offrono la possibilità. Oltre a questo, ci piace portare il nostro contributo a queste realtà con le quali siamo molto solidali, c’è molto bisogno, in Italia, di luoghi in cui poter fare musica dal vivo, però chi, al giorno d’oggi, decide di aprire un club, sa bene che non sono tutte rose e fiori. Oggi molte realtà di questo tipo stanno purtroppo chiudendo, soprattutto i club di medie e grandi dimensioni, un tempo il problema, almeno nelle grandi città, per una band, era quello di decidere dove andare a suonare, data la vastità dei posti disponibili. Ci dispiace, a questo proposito, dover ricordare come a Pordenone abbia da qualche anno chiuso un club storico che a noi ci ha ospitato tantissime volte, il Deposito Giordani, lasciando una città come Pordenone orfana di posti in cui potersi esibire dal vivo.”

3) Com’è cambiato, in generale, il rapporto che avete con la musica nel corso della vostra carriera ultraventennale ? A proposito della vostra carriera, come vede la vostra band, che di gavetta ne ha fatta tanta, i nuovi prodotti musicali partoriti oggi dalla televisione ?

“Beh, diciamo che siamo molto curiosi di seguire tutti i cambiamenti propri della sfera musicale, tutte le sue evoluzioni. Forti dei 27 anni di storia che abbiamo alle spalle, siamo coscienti del fatto che possiamo permetterci di sperimentare avendo sempre uno zoccolo duro di pubblico che ci segue e apprezza i nostri lavori. Se è vero che è cambiato il modo di fare e di proporre musica, è anche vero che è cambiato il modo di arrivare a fare musica: fra talent show, reality e altri format mediatici, un artista non viene più giudicato solo dal punto di vista del prodotto, che da questo punto di vista si ritrova ad essere “costruito”, per far fronte a tutta una serie di esigenze che certe trasmissioni impongono. Se si è perso l’attitudine a fare canzoni che siano rilevanti da un punto di vista politico e/o sociale, è anche perché per arrivare a scrivere determinati testi, devi necessariamente avere un certo percorso alle tue spalle . Ci sono, ovviamente, ancora tanti artisti che vogliono continuare a fare questo tipo di musica, però diventa difficile per loro, al giorno d’oggi, trovare dei posti in cui suonare: se ogni anno ci sono 70/80 artisti nuovi, è difficile riuscire a ritagliarsi il proprio spazio. E come riesci non appena l’hai ritagliato, rischi di essere già “vecchio”: basti pensare al fenomeno indie-rock, artisti importanti che qualche anno fa richiamavano ai concerti grandi numeri di spettatori, sono completamente spariti. D’altra parte, i fan hanno bisogno di essere “fidelizzati”, crescendo insieme a te: se un giorno diventi grande senza essere mai cresciuto, è difficile pensare di esserti costruito un solido rapporto con i tuoi fan (e questo rapporto è molto limitato nel tempo nel magico mondo dei talent show; n.d.r.).”

4) Quali sono gli ingredienti che contribuiscono ancora al vostro successo ?

“Questo non lo sappiamo. Cerchiamo di proporre qualcosa che, nel farlo, entusiasmi anche noi: se mentissimo, non saremmo affatto credibili, e chi ci segue presto se ne accorgerebbe. Non abbiamo nessuna formula magica da rivelare, anche perché, se così fosse, lo avremmo già fatto.”

5) Che cosa dobbiamo aspettarci da questo tour ?

“Sarà un tour acustico, e al tempo stesso, decisamente energico. Proporremo dei brani che è da qualche tempo che non facciamo più live, ma che ad ogni concerto ci vengono chiesti a gran voce: è arrivato il momento di riproporli. Ci sarà la nostra solita energia di sempre ad accompagnare i nostri concerti.”

6) Quali sono, per concludere, i progetti futuri della band dopo il tour ?

“Non abbiamo programmi per adesso, e, per fortuna, non siamo neanche costretti ad averli. Lavorando in un regime di totale indipendenza, possiamo più o meno fare ciò che vogliamo, senza dover rispondere a nessuna logica commerciale, a differenza di altri nostri colleghi. Ad esempio, una band che stimiamo e con la quale siamo molti amici, cioè i Negrita, dopo il festival di Sanremo non ha potuto decidere in autonomia cosa fare: c’è stato chi ha scelto per loro, e loro hanno dovuto eseguire. Quello che continueremo a fare è sicuramente tanta, tantissima musica, anche dal vivo: sono pronte alcune date estive che ai aggiungeranno a quelle già annunciate di questo tour, e che ci porteranno a giro per tutta Italia. Vi aspettiamo.”

PERTH e SACHA TELLINI

 

https://www.youtube.com/watch?v=yXkK_lnnTvU

MCR: Live presso lo Studio Esagono di Rubiera (RE) durante la registrazione di “Riaccolti”

 




Falcone e Borsellino sempre due di Noi.

Lu 23 di maggio lu cielu da Sicilia s’ oscurau

A Capaci a terra tutta trimau

Li petri di la strata sataru e si rumperu

Falcone, la mugghieri e la scorta mureru

È questa una strofa, scritta da un mio professore, che oggi 23 maggio 2019 a ventisette anni dalla strage di Capaci io, Santi Di Leonardo, studente di anni 14, devo raccontare davanti ad una folla di gente scesa in piazza per celebrarti.

Devo raccontare di te Giovanni, di tua moglie Francesca Morvillo e degli “angeli” della scorta che in un pomeriggio di primavera siete stati traditi da quella Palermo che tanto hai amato e in cui tanto hai creduto.

Ma purtroppo qualcuno ti tradì Giovanni, e mentre passavi da Capaci per raggiungere Palermo, quel maledetto ordigno vi tolse la vita. Sono cresciuto con la convinzione che quell’ immagine di te e del tuo amico Paolo Borsellino che appare su un palazzo di Palermo, fosse destinata a diventare il simbolo della lotta contro la mafia.

Conosco il tuo operato attraverso la testimonianza di coloro che hanno avuto la fortuna di conoscerti.

Tutti ti rimpiangono, dalle più alte autorità al più semplice dei cittadini.

Allora ancora oggi mi chiedo, chi ti ha tradito? Perché non si trovano ancora i nomi dei veri mandanti? Giovanni ti chiedo scusa se mi rivolgo a te dandoti del tu, considerando la tua personalità e il tuo ruolo di magistrato, ma mi sento molto vicino alle tue idee di giustizia, al tuo estremo coraggio e alla tua incontestabile onestà.

È questa la tua vittoria caro magistrato, che nessuna bomba potrà mai distruggere: le nuove generazioni ti ammirano, sei un esempio per tutti noi, lo dimostrano le partecipazioni dei giovani in ogni parte dell’Italia che in tutta Italia si radunano per celebrare te, tua moglie e tutta la scorta.

Parte da Genova alla volta di Palermo la nave della legalità per manifestare che noi tutti non ti dimentichiamo.

Noi giovani, oggi 23 maggio, urliamo a gran voce chi sono i nostri eroi: tu Giovanni Falcone, Paolo Borsellino, Pio La Torre, il Generale Dalla Chiesa, Boris Giuliano e tutti gli altri che hanno dato la loro vita per riscattare la nostra amatissima Sicilia da coloro che per troppo tempo l’hanno tenuta in scacco, macchiando il nome della nostra splendida terra e di noi tutti che in essa viviamo.

Giovanni il cambiamento come dicevi tu deve iniziare dal modo di pensare, e quest’oggi io non posso che applaudire tutti gli agenti della scorta che con estremo coraggio a te sono rimasti fedeli fino alla fine: Vito Schifani, Rocco Dicillo, Antonio Montinaro, la tua fedele compagna di vita Francesca Morvillo che accanto a te quel giorno sedeva ignara della sorte a cui andavate in contro, o forse lo sapeva ma mail la sua mano ha smesso di stringere la tua. Io vi immagino così: mano nella mano oltre tutto, per l’eternità.

Santi Emiliano Karol Di Leonardo




La libertà di stampa

Mi soffermo spesso sul termine la Libertà di Stampa, e più ci penso più mi accorgo che viviamo ormai in un mondo più bieco ed ottuso nonché misero rispetto a quello in cui fu coniato questo termine.

l’Articolo 21 della nostra Costituzione (1948) recita:

” Tutti hanno diritto di manifestare liberamente il proprio pensiero con la parola, lo scritto e ogni altro mezzo di diffusione. La stampa non può essere soggetta ad autorizzazioni o censure. Si può procedere a sequestro soltanto per atto motivato dell’autorità giudiziaria nel caso di delitti, per i quali la legge sulla stampa espressamente lo autorizzi, o nel caso di violazione delle norme che la legge stessa prescriva per l’indicazione dei responsabili. In tali casi, quando vi sia assoluta urgenza e non sia possibile il tempestivo intervento dell’autorità giudiziaria, il sequestro della stampa periodica può essere eseguito da ufficiali di polizia giudiziaria, che devono immediatamente, e non mai oltre ventiquattro ore, fare denunzia all’autorità giudiziaria. Se questa non lo convalida nelle ventiquattro ore successive, il sequestro s’intende revocato e privo d’ogni effetto. La legge può stabilire, con norme di carattere generale, che siano resi noti i mezzi di finanziamento della stampa periodica. Sono vietate le pubblicazioni a stampa, gli spettacoli e tutte le altre manifestazioni contrarie al buon costume. La legge stabilisce provvedimenti adeguati a prevenire e a reprimere le violazioni.”

Ma quel tutti di allora a che società si riferiva?

A che strumenti faceva riferimento la nostra costituzione?

Ai giornali, agli scrittori, ai giornalisti, ai politici, a color che strutturavano il loro pensiero secondo regole del buon senso e della convivenza civile, a fonti certe, a notizie verificate, a possibilità di contraddittorio, a tempi precisi delle notizie, insomma ad un altro mondo.

Addirittura c’erano 24 ore per il sequestro di un giornale (ma anche solo 24 ore per tenerlo fermo), e questo a tutela di eventuali notizie che arrecassero danno immotivato o che violassero i diritti del pubblico ad avere notizie comprovate dai fatti, c’era un’etica della pubblicazione delle notizie (imperniata nel codice deontologico della professione giornalistica) che garantiva che nessuno si sarebbe permesso di fare uscire delle notizie senza averle verificate, a pena di gravi sanzioni ed addirittura di radiazione dall’ordine, massima pena morale per un giornalista.

L’articolo 2 della legge n. 69 del 3 febbraio 1963 sulla stampa:
«È diritto insopprimibile dei giornalisti la libertà d’informazione e di critica, limitata dall’osservanza delle norme di legge dettate a tutela della personalità altrui ed è loro obbligo inderogabile il rispetto della verità sostanziale dei fatti, osservati sempre i doveri imposti dalla lealtà e dalla buona fede. Devono essere rettificate le notizie che risultino inesatte e riparati gli eventuali errori. Giornalisti e editori sono tenuti a rispettare il segreto professionale sulla fonte delle notizie, quando ciò sia richiesto dal carattere fiduciario di esse, e a promuovere lo spirito di collaborazione tra colleghi, la cooperazione fra giornalisti e editori, e la fiducia tra la stampa e i lettori».

Lealtà, buona fede, verità, rettifica, fiducia, cosa che oggi non si trova tra le migliaia di notizie pubblicate ogni secondo.

Oggi una notizia sbagliata esce in tre secondi e rimane sul web per decenni, oggi chiunque può pubblicare una notizia che diventa paradossalmente tale indipendentemente dalla fonte, perché viviamo in un mondo talmente affamato di media che qualsiasi cosa “fa brodo”.

Oggi la Costituzione non avrebbe più l’articolo 21, ma ne dovrebbe avere almeno altri tre, uno sui diritti del pubblico di leggere cose vere, un altro che impone ai giornalisti o presunti tali di citare non solo le fonti, ma anche chi non hanno sentito nello scrivere l’articolo (troppo spesso si parla di qualcuno senza averlo nemmeno consultato), ed infine l’ultimo che imponga a chiunque arrechi danno tramite informazioni di correggere al proprio errore nello stesso modo dimensionale in cui viene arrecato.

Oggi si legge solo la notizia cattiva: e già, oggi chi legge non ha interesse a sapere che c’è del bene nel mondo, vogliamo solo sapere se c’è qualcosa peggio di noi, se qualcuno è stato più cattivo, se in fondo in fondo noi siamo meglio di quello che siamo davvero.

Chi vive nella comunicazione lo sa benissimo ed i dati in nostro possesso lo confermano, facciamo un esempio:

abbiamo pubblicato una notizia su un senatore che non aveva titoli di studio 200.000 visite, abbiamo pubblicato la notizia del maestro di strada che vive per aiutare i ragazzi in difficoltà 20.000 visite.

Per carità, non che siano poche 20.000 visite, ma la differenza è notevole.

In fondo le Fake News sono il segno dei tempi e del decadimento morale di questo secolo, ma anche un pericoloso campanello d’allarme perché rappresentano l’insostenibile leggerezza sociale di oggi.

Questo mondo così veloce non ci lascia più il tempo di riflettere, il copia incolla parossistico dei giornali falsa qualsiasi comunicazione, il martellamento delle notizie ci lascia indifferenti all’umanità che le stesse sgretolano.

I mi piace, i click, le visite, tutto per aumentare la visibilità, tutto per guadagnare di più o sopravvivere in un mercato troppo cambiato e senza regole.

Certo che se devo verificare una notizia magari perdo qualche ora e così esce prima sulla concorrenza, poi google tiene in prima vista sul motore di ricerca quella uscita prima perché prende più click, quindi pubblichiamo poi al limite faremo una smentita se qualcuno ci dice qualcosa…

Questa è l’etica oggi, ma così si tradiscono i lettori, si tradisce lo spirito che lega la notizia al giornalista, al comunicatore, la fiducia che muove la coerenza di chi legge, ma sopratutto falsa i canali di comunicazione, li rende inutili, ne fuorvia i significati.

Forse dobbiamo anche riconoscere che oggi la verità non è più interessante, che abbiamo abituato le nuove generazioni a vivere in mondi virtuali con sfaccettature 3D e quindi la verità da sola non basta più per soddisfare i crescenti appetiti dei lettori, giovani o vecchi che siano, forse dobbiamo anche osservare che esiste una progressiva perdita di valori che ci lascia vuoti dentro e così dobbiamo riempirci di cose, dobbiamo sentirci pieni di qualcosa che sia però peggio di noi, proprio per poterci sentire meglio, per poter dire va beh, ma io non sono così cattivo, si io ho rubato ma lui di più, si è vero evado le tasse ma lui di più, si è vero tratto male i miei figli ma lui di più, si è vero sono insofferente su tutto ma lui di più…

Quel lui è la nostra salvezza, ci salva dal guardarci dentro e dal non trovarci, quel lui ci serve per poter rimanere convinti di essere brave persone, e lo cerchiamo ovunque pur di sfamare la nostra paura di non essere veri, autentici, quello che volevamo essere.

Quel lui lo troviamo nelle mille notizie false o magari anche vere ma che sono orrende, orribili, tragiche e che dovrebbero farci balzare sulla sedia, mentre invece ci danno tranquillità perché noi ci crediamo meglio.

Quel lui ha trasformato la libertà di stampa in necessità di dire qualsiasi cosa, in qualsiasi modo, purché subito, prima degli altri e possibilmente il più scabrosa possibile.

Inutile oggi parlare di libertà di stampa, inutile parlare di diritti se tutto è chiuso dentro il valore di un like, perdiamo un poco di tempo per ritrovare noi stessi ed i nostri valori, come persone, come comunità, come società, perdiamo tempo per aiutare i giovani a cercare la verità anche nel loro essere social, forse riusciremo anche a ritrovare la libertà di stampa, o quantomeno il suo significato.

 

Corrado Faletti

Direttore

 

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Targa Florio: dal 1906 cuore di Sicilia

Sono infinite le relazioni che affioreranno in noi nell’esatto istante in cui viene citata la Targa Florio.

Non so per voi ma per me, nata e cresciuta in Sicilia, non è semplicemente una gara, è la gara per eccellenza quella che percorre i tortuosi tragitti delle Madonie, la stessa che ha regalato emozioni infinite, batticuori e fiato sospeso, che ha attirato a sé migliaia di amatori, la gara che sin dagli esordi era destinata a divenire leggenda.

Alla fine dell’ultima competizione da poco conclusa, ho scelto di intervistare colui che per noi Siciliani, e non solo, è il campione indiscusso: Salvatore Riolo o come dice lui semplicemente Totò.

Quella che vi mostrerò non è semplicemente un’intervista concessa ai nostri microfoni di Betapress è diventata qualcosa di più, perché sebbene lui sia il campione ed io la Cronista, con Totò si finisce per fare due chiacchiere e dopo pochi istanti vi accompagnerà ad amare il Rally un po’ come lo ama lui.

Non ho intervistato solo un fuoriclasse ma un amico, un uomo distinto ed umile che si vanta della sua sicilianità ma che nonostante gli innumerevoli successi è rimasto sempre con i piedi per terra.

 

Saia: Dopo aver partecipato a 360 gare in tutta Italia, in tutta Europa, dopo 180 vittorie assolute, dopo aver scritto delle splendide pagine di sport, io vorrei partire dal momento in cui tutto ebbe inizio, come e quando è nata in te la passione per il Rally?

Riolo: la mia passione nasce dal fatto che siamo nati e cresciuti in un territorio in cui insita è la targa Florio. Quando ero bambino davanti la mia abitazione transitavano queste macchine fantastiche, con colori strabilianti e rumori eccezionali, credo che ciò abbia contribuito a scatenare in me questa sconfinata passione per il mondo automobilistico. Sono nato nel 1965 e negli anni importanti della targa Florio ero solo un bambino, all’età di 12 anni ero il piccolino che rimaneva incollato al balcone per veder sfrecciare, una dietro l’altra, le auto da corsa. Questa passione la mettevo in pratica non appena patentato, all’età di 18 anni, con la mia prima vera gara; è lì che iniziavo a realizzare il mio sogno: quello di correre la targa Florio. La mia prima gara è stata da navigatore con accanto un grande e fraterno amico Pietro S., fu lui che mi condusse al debutto, perché debutto è stato! Da lì inizia una carriera fantastica, ed oggi dopo 30 anni di gare sono ancora qua ad emozionarmi rivivendo la mia prima gara, l’esatto momento in cui tutto ebbe inizio, l’istante in cui ho compreso che si accendeva in me una passione destinata a durare nel tempo.

Saia: Hai scritto delle straordinarie pagine dell’automobilismo, qual è l’emozione che provi ogni volta che gareggi in quelle strade che ti hanno visto crescere dal punto di vista professionale e che ti hanno regalato infinite emozioni?

Totò: Dopo 30 anni di gare, un po’ ci si abitua anche se correre in casa è sempre un emozione particolare, come si suol dire essere profeta in patria non è mai facile. Quest’anno per scelte del mio team legate agli sponsor abbiamo deciso di correre in pianta stabile nel campionato italiano Rally auto storiche, si tratta di un campionato molto seguito, una competizione con numeri importanti che si svolge in tutta Italia. La targa era la terza gara; siamo partiti con il Valli Aretine in Toscana competizione che mi ha condotto alla vittoria, la seconda è stata il Rally di Sanremo, in cui per un piccolo problema mi sono dovuto fermare e poi il targa che era la terza gara del campionato che ci ha permesso di portare a casa molti punti. In questo due cose si uniscono due cose importanti: passare in testa al campionato Rally auto storiche e vincere di nuovo la Targa. Devo ammettere che vincere la Targa Florio, gareggiando in casa, regala sempre emozioni uniche. Indescrivibile è l’orgoglio provato quando nel 2002 conquistavo la mia prima vittoria della Targa Florio: ero di fronte grandi nomi che hanno scritto pagine indimenticabili del Rally quali Andreucci, Basso e molti altri, quella vittoria ha rappresentato per me non un punto di arrivo ma di partenza perché comunque un siciliano che vinceva la Targa non accadeva dal 1975 quando il grande Vaccarella, trionfava nella targa Florio storica. Un siciliano dominava il podio della targa Florio, scusami il giro di parole: un siciliano, da privato che vinceva la Targa Florio, quel siciliano ero io e quella è stata una gioia indescrivibile.

Saia: Come è cambiato il mondo del Rally in questi anni?

Riolo: È cambiato tanto perché la Targa Florio di velocità non si può più praticare, per motivi di sicurezza la nostra federazione non concede più le autorizzazioni per attraversare i Paesi in gara. Oggi il mondo dell’automobilismo si è spostato dalla velocità ai rally che sono a tappe, prove speciali che vengono chiaramente chiusi al traffico e lì si corre mentre poi ci sono tutti i tratti di trasferimento dove devi chiaramente si devono rispettare i codici della strada. Come è strutturato oggi, il rally avvicina tantissima gente perché comunque nell’ideale collettivo il Motor Sport oltre la salita, oltre la pista è Rally; la targa si è aggiornata, si è dovuta aggiornare, per continuare ad essere la gara più famosa e più antica al mondo.

Saia: Noi di Betapress siamo molto vicini ai giovani e ad investire su di loro e su ciò che il nostro territorio può offrire, come volete investire voi facenti parte del mondo automobilistico nei confronti dei giovani.

Riolo: Il Motor Sport in generale è uno sport molto costoso, abbiamo moltissimi giovani che amano questo sport ma il problema di fondo sta nel fatto che non ci sono azienda che credono nel Motor Sport, o per lo meno ci sono ma sono molto poche, i giovani che si avvicinano allo sport hanno bisogno di sovvenzioni. Io come Totò Riolo ma soprattutto noi come Targa Racing Club che annovera 150 associati, prettamente piloti, nasce per promuovere il Motor sport nei ragazzi, attingiamo a loro dal mondo dei Kart e per poi condurli a debuttare nel mondo Rally. Il progetto che stiamo cercando di realizzare è quello di far nascere una scuola di pilotaggio, questo è un sogno che da tempo voglio realizzare. Sembra che finalmente i tempi siano maturi e se tutto andrà bene Targa Racing Club si occuperà innanzitutto della promozione del territorio, ed in questo volevo fare un piccolo appunto: ho corso in tutto il mondo ed ovunque mi sono trovato la gente mi chiedeva la mia provenienza, ho sempre risposto di essere Cerdese, bastava nominare Cerda per far scattare quasi automaticamente l’indiscusso connubio con la terra della Targa Florio. Quanto appena detto non può che riempire d’orgoglio un siciliano; sono stato il trade union di tutte le amministrazioni che si sono susseguite in questi ultimi 20 anni a Cerda, sono stato il beniamino della Regione Sicilia nel campionato europeo, dove avevo un contributo dalla Regione denominato “Sicilia tutto il resto in ombra”, per cui sono sempre stato punto di riferimento nella valorizzazione del territorio. Ritornando alla domanda iniziale, i giovani sono un mio progetto che stiamo cercando di realizzare, e poi parliamoci chiaramente non posso correre ancora per chissà quanti anni, sono ancora molto competitivo ma voglio dedicarmi anche ad altro e le nuove generazioni, tra cui mio figlio Ernesto, sono il mio obiettivo principale.

Saia: Le domande non in programma fanno parte del nostro lavoro e mi hai spianato la strada ad una domanda personale; hai menzionato Ernesto, tuo figlio, che segue le tue orme e dunque la mia domanda sorge spontanea, cosa si prova a gareggiare sapendo che il proprio figlio partecipa alla medesima gara?

Riolo: Abbiamo già fatto un paio di gare assieme, chiaramente il mio pensiero è sempre stato quello di chiedere a Gianfranco Rappa, il mio navigatore, notizie di Ernesto, diciamo che da padre non è facile, nonostante questo ciò Ernesto lo vedo abbastanza bene perché sta crescendo motoristicamente mettendo in ciò che fa impegno e dedizione, sono certo che farà la sua strada ed io lo seguirò ad ogni passo, augurandogli di poter ripercorrere i miei successi.

Saia: Cosa ti aspetti per il futuro?

Riolo: Mi aspetto che il nostro territorio e soprattutto noi siciliani potremo vantare ancora tanti successi, mi aspetto che i giovani abbiano il loro attimo di gloria così come a me è stato concesso e poi chiaramente voglio seguire Ernesto ad ogni suo passo. Devo aggiungere un grazie a delle persone speciali che fanno parte della mia vita, se oggi sono qui ed ho realizzato i miei sogni è grazie alla mia famiglia, a mia moglie e ai miei figli che mi hanno sostenuto e supportato in qualunque scelta e ad ogni gara, in particolare voglio dire grazie a mia moglie per essere stata al mio fianco e per avermi dato la possibilità di potermi muovere, senza lei sono certo che mai sarei arrivato dove sono.

 

Milena Saia

 

 

 

 

 

 




Pinguini Tattici Nucleari: Noi, “Fuori dall’Hype” per vocazione.

Carissimi lettori, inizia oggi, venerdì 17 maggio 2019, la collaborazione esecutiva con Rockography, come già comunicato le scorse settimane. E’ un passo in avanti, è una storia tutta nuova fatta di musica, di informazione e innanzitutto di “amicizia operativa” con la redazione di Rockography e nello specifico con uno dei giovani giornalisti più promettenti: Sacha Tellini.

Recensioni, interviste approfondimenti e rivelazioni di tutto quel mondo musicale italiano ed estero che può definirsi ancora “ARTE”! Abbiamo abituato i lettori di MUSIC a dettagliati reportage e linee editoriali chiare con l’obiettivo di farvi conoscere il pensiero e la musica di molti Artisti (con la “A” maiuscola) lontani da tutta quella finzione commerciale che domina i social ed i media (la televisione in primis).

Abbiamo intervistato Riccardo Zanotti, leader e cantante dei Pinguini Tattici Nucleari prima del loro concerto all’Auditorium Flog di Firenze, una delle band più promettenti del panorama pop/indie italiano. Buona lettura.

PERTH

Pinguini Tattici Nucleari: Noi, “Fuori dall’Hype” per vocazione.

Allora, partiamo dalle origini: come nascono i Pinguini Tattici Nucleari ?

“Beh, probabilmente come sono nate tante altre band. Eravamo un gruppo di amici, che un giorno ha deciso di provare a fare questa esperienza. All’inizio dunque, tutto è partito per gioco, per divertimento: salivamo sul palco senza neanche sapere le canzoni che avremmo suonato davanti al pubblico, questo per darti l’idea di quanto fosse per noi, appunto, solo un gioco. Con il tempo, è diventata una cosa sempre più seria, anche se non eravamo minimamente preparati a questo: infatti, eccetto me, tutti gli altri componenti avevano fatto studi diversi rispetto alla musica, ed è così quindi, un po’ per caso direi, che sono nati i Pinguini Tattici Nucleari.”

A cosa si deve, invece, il nome della band ?

“Il perché di questo nome è un segreto che non posso dire, perché altrimenti il nostro manager Gianrico me la fa pagare cara!” (Nel frattempo abbiamo scoperto da nostra fonte la genesi del nome, ma per rispetto al nostro ospite non lo riveleremo; n.d.r.)

Non puoi darci neanche un indizio ?

“Neanche questo purtroppo, mi dispiace. Posso solo dirti che il pinguino è il nostro animale guida, e infatti è un elemento molto ricorrente anche nei nostri live: dal pupazzo che sale ad un certo punto dei nostri concerti sul palco ai visual, è una presenza davvero costante. Scusami davvero, ma è un segreto che proprio non posso rivelare.”

Dal vostro album di esordio “Il re è nudo” (2014), passando per “Gioventù bruciata” (2017), fino ad arrivare ad oggi, con il vostro ultimo lavoro, “Fuori dall’Hype”, come sono cambiati i Pinguini Tattici Nucleari ?

“Guarda, come ti dicevo prima, giorno dopo giorno ci siamo resi conto che stava diventando un lavoro vero e chiaramente la vita ti cambia, si sconvolge. Gli equilibri e le relazioni che hai con un “lavoro normale” vengono completamente stravolti. Con un lavoro come questo, non riesci più ad avere un orario normale in cui mangi e in cui vai a letto, e di conseguenza anche il tuo rapporto con ciò che hai muta, inevitabilmente. Io sono diventato una persona molto più paziente: ad esempio mi sono molto abituato ai viaggi lunghi, rispetto ai quali prima non lo ero affatto. Mi ricordo che quando abbiamo iniziato ad andare a Torino da Bergamo, mi sembrava che ci volesse tantissimo tempo; poi ho iniziato a vedere il tempo con una prospettiva diversa, proprio grazie a questo lavoro, e quella distanza, rispetto ad altre tratte che percorriamo oggi, mi sembra davvero molto breve. Nel nostro caso però, devo precisare che se tante cose sono cambiate, altre non sono cambiate affatto. Per esempio, lo spirito con cui ci approciamo ai concerti è ancora quello dell’inizio: suoniamo semplicemente per il gusto di farlo e per divertirsi, cercando ogni volta di dare il meglio di sé.”

Qual è stato il punto di svolta della vostra carriera ?

“Direi che ce ne sono stati tanti, come spesso succede se una carriera può essere definita sana. Ci sono infatti tanti steps, è difficile che ce ne sia uno soltanto: pensa che, in inglese, esiste un termine coniato appositamente per definire tutte quelle band che dopo aver fatto una sola canzone spariscono dalla circolazione: le band in questione vengono definite one hit wonder, ed è in questo caso che si può parlare di un solo punto di svolta. Le cose nel nostro caso fortunatamente sono diverse: abbiamo macinato palco dopo palco, abbiamo scritto tante canzoni, segno di un lavoro graduale, costante e progressivo. Posso forse identificarti un punto di svolta che sia stato più forte degli altri: questo coincide con la scrittura di una nostra canzone, ossia Irene, che per prima ci ha fatto rendere conto di quella che sarebbe stata la nostra nuova vita di musicisti.”

Veniamo dunque al vostro ultimo album, “Fuori dall’Hype”: come nasce questo lavoro e che cosa rappresenta per voi ?

“Nasce tra una data e un ritorno a casa in furgone, nel senso che è nato on the road, mentre eravamo in giro per fare concerti. Abbiamo pensato molto al nome dell’album, e penso che ne abbiamo trovato uno davvero appropiato per noi. Volevamo dargli un titolo che ci permettesse di collocarci fuori da un certo modo di intendere la musica, che è appunto quello dell’Hype, nel senso che il percorso di carriera che vogliamo per noi stessi non è qualcosa che finisce senza nemmeno aver avuto il tempo di cominciare: vogliamo qualcosa che sia più graduale, proprio come ti ho accennato prima. Non vogliamo essere una one hit wonder per intendersi.”

Avete all’attivo 20 milioni di streaming e oltre 7 milioni di visualizzazioni su Youtube, e “Fuori dall’Hype” ha già superato il milione di ascolti su Spotify: quanto ha influito sul vostro successo la possibilità di fruire attraverso queste piattaforme della musica ?

“Tanto, tantissimo, come succede per quasi tutte le band di oggi! Non dimenticherei, oltre agli strumenti a cui hai accennato tu, i social media, che a mio avviso rivestono un ruolo molto importante. Se Spotify e Youtube permettono di fruire come mai prima di un prodotto finito, che è appunto la canzone, i social media, indipendentemente da quali essi siano, permettono di dare visibilità e fare luce su tutto quello che è il processo che porta alla scrittura di una canzone piuttosto che di un album: dalla sala prove alle ore di registrazione in studio, passando per altri grandi piccoli aneddoti legati alle fasi pre pubblicazione, si ha modo di costrutire una narrazione, di raccontare la storia che sta dietro un particolare processo creativo. Tutto questo, ha la forza di far avvicinare, e magari appassionare, le persone al tuo lavoro: ci piace l’idea di dare visibilità a tutti gli sforzi che sottendono ai nostri lavori.”

Quali saranno, dopo la fine del tour, i vostri progetti ?

“Sicuramente ci riposeremo molto. Personalmente mi dedicherò molto alla mia famiglia e al mio cane, e magari nel tempo libero perché no, cominciare a lavorare al prossimo album.”

 

PERTH & SACHA TELLINI