Data Protection Day 2021

 

Il 28 gennaio 2021, si è celebrata la 15ma Giornata della protezione dei dati personali – Data Protection Day.

Infatti, il 26 aprile 2006, il Comitato dei Ministri del Consiglio d’Europa ha deciso di lanciare una Giornata della protezione dei dati, da celebrare ogni anno il 28 gennaio.

La Convenzione 108 è stato il primo trattato internazionale vincolante sulla protezione dei dati e un modello per molti altri regolamenti sulla protezione dei dati.

Quest’anno, poi, si è celebrato anche il 40mo anniversario della apertura alla firma della Convenzione 108 del Consiglio d’Europa per la protezione delle persone rispetto al trattamento automatizzato dei dati personali.

Infatti, il 28 gennaio 1981 a Strasburgo veniva aperto il Trattato n. 108 (riferimento è ETS No.108) del Consiglio d’Europa alla firma degli Stati membri e all’adesione degli Stati non membri.

Il titolo del Trattato n. 108 è “Convenzione sulla protezione delle persone rispetto al trattamento automatizzato di dati a carattere personale”.

La Convenzione 108 (ETS n. 108) è entrata in vigore l’1 ottobre 1985 con 5 ratifiche. L’Italia l’ha firmata il 2 febbraio 1983 e ratificata il 29 marzo 1997, ma la data dell’entrata in vigore è l’1 luglio 1997.

Questa Convenzione rappresenta il primo strumento internazionale obbligatorio che ha per scopo la protezione delle persone contro l’uso abusivo del trattamento automatizzato dei dati di carattere personale, e che disciplina il flusso transfrontaliero dei dati.

Oltre alle garanzie previste per il trattamento automatizzato dei dati di carattere personale, la citata Convenzione 108 bandisce il trattamento dei dati «delicati» sull’origine razziale, sulle opinioni politiche, la salute, la religione, la vita sessuale, le condanne penali, in assenza, di garanzie previste dal diritto interno.

Il 18 maggio 2018, dopo 7 anni di intenso lavoro e negoziati, viene adottato dalla 128a sessione ministeriale del Comitato dei Ministri del Consiglio d’Europa, tenutasi a Elsinore, in Danimarca il Protocollo (CETS n. 223) che modifica la Convenzione 108.

Essa, quindi, viene rinnovata in una versione modernizzata denominata Convenzione 108+.

La Convezione 108+ si compone di complessivi 31 articoli ed entrerà in vigore con la ratificazione da tutte le Parti del Trattato STE 108, oppure l’11 Ottobre 2023, se a tale data ci saranno 38 parti del Protocollo.

Allo stato attuale risultano 10 ratifiche e 33 firme non seguite da ratifica. L’Italia l’ha firmata il 5 marzo 2019 e non ancora ratificata; San Marino l’ha firmata il 16 luglio 2019 e non ancora ratificata.

Il mese di maggio del 2018 ha visto anche l’applicazione del Regolamento UE 2016/679, meglio noto come GDPR (acronimo di General Data Protection Regulation), che costituisce la disciplina europea sulla protezione delle persone fisiche con riguardo al trattamento dei dati personali.

Al citato regolamento, per l’Italia, si aggiunge la disciplina del codice privacy (D.Lgs. 196/2003).

A chi forniamo i nostri dati personali e perché?

È necessario acquisire consapevolezza.

Il salto di qualità può essere fatto unicamente con una consapevolezza adeguata al tema che affrontiamo o che ci proponiamo di affrontare.

Quali sono le sfide da affrontare?

Tra le principali sfide, va menzionata certamente la pandemia da COVID-19, i quali effetti sono sotto gli occhi di tutti: questa, tuttavia, non è solo valutabile da un punto di vista medico e sanitario e presenta diverse questioni legate proprio alla protezione dei dati personali.

Da un lato, è innegabile che dall’inizio della pandemia ci sia stato un incremento esponenziale dell’uso delle tecnologie e delle risorse digitali disponibili, ma si è parlato poco dei rischi collegati alla privacy e alla protezione dei dati personali.

Dall’altro, il trattamento di grandi quantità di dati sulla salute delle persone fisiche va effettuato nel pieno rispetto della legislazione vigente e con l’adozione di tutte le opportune misure di sicurezza.

Inoltre, in questi ultimi tempi si parla molto di vaccini e il contesto internazionale si sta interrogando sulla liceità di soluzioni quali il vaccine passport o immunity passport.

Altra sfida è quella dell’Intelligenza Artificiale (AI).

La Commissione europea da tempo ha creato il gruppo di esperti denominato “AI High Level Group” e il CoE ha creato il Comitato ad hoc sulla Intelligenza Artificiale (CAHAI).

Inoltre, proprio il 28 gennaio il Consiglio d’Europa ha pubblicato le linee guida sul riconoscimento facciale, affermando la necessità di una regolamentazione rigorosa per prevenire le violazioni dei diritti umani.

Ulteriore sfida, come ho già detto in diverse occasioni e da ultimo nel mio libro, è quella relativa alle Neuroscienze.

In particolare, esiste un allarme legato all’impatto che le tecnologie adottate nell’ambito delle neuroscienze possono avere su protezione dei dati personali e privacy.

Si tratta di un aspetto che negli USA stanno osservando da tempo, ma – in ragione dell’approccio alla privacy di quel Paese – con risultati aderenti al loro impianto costituzionale.

Questi fenomeni vanno valutati attentamente; senza dubbio l’etica è un elemento fondamentale.

Il mio approccio, basato sul modello relazionale denominato DAPPREMO (acronimo di Data Protection and Privacy Relationships Model), potrebbe essere utile per approfondire questi aspetti.

Il tema delle neuroscienze in relazione all’impatto su protezione dei dati personali  e privacy, senza dubbio, potrebbe essere quello di maggiore importanza per i nostri tempi, tanto che – provocatoriamente – ho lanciato l’idea di una nuova categoria di diritti che ho definito “neuroprivacy rights”.

 

 

 

 

 

 

 

Nicola Fabiano

Privacy e azienda: la chimera della non applicabilità.

Cyber Psicologo e la privacy




MA DAI! IL ROCK E’ MORTO?

 

Premetto che le mie riflessioni non vogliono essere una accanita difesa (per dirla alla Jack Black di School of Rock) del dio del Rock… lui non ne ha sicuramente bisogno!

Non mi sognerei mai inoltre di criticare altre testate, perché non la pensano come il sottoscritto; tuttavia mi infastidisce alquanto la superficialità con cui alcuni noti giornalisti musicali (che non citerò per non offrire loro della visibilità gratuita) si cimentano in articoli senza capo né coda con a tema “La morte del Rock”.

Il lettore di BetaPress conosce bene la filosofia del nostro quotidiano online e sa che il compito dei suoi cronisti è quello di porre delle riflessioni libere, gli obiettivi sono quelli della proposizione analitica e dell’oggettività responsabile.

Invece nell’epoca in cui i Social generano quotidianamente tonnellate di “fuffa” mediatica condita da incompetenza, sentimentalismo ed illogicità, il compito della stampa specializzata dovrebbe essere quello di indirizzare i lettori verso concetti autentici e documentati. Purtroppo non è così!

Ma arrivo alla domanda: il Rock è morto?

Il Rock non è morto, ma con lealtà si può parlare certamente di declino. Il Rock è un “phylum” musicale composto da una miriade di sottocategorie (più di 70!), servirebbe un’attenta analisi per addentrarsi nel suo complesso “subphylum” e non basterebbero queste poche righe per raccontare tutte le evoluzioni ed i profondi mutamenti che ha subito negli utimi decenni.

Per più di 60 anni il Rock è stato una bandiera per intere generazioni di giovani che ha suscitato vere rivoluzioni politiche e sociali. E’ stato un mezzo potente di contestazione e denuncia e nel contempo un grido di amore, di bellezza, di verità.

Ma è negli ultimi 20 anni che si è consumato un radicale cambiamento nella società, che ha portato il Rock ad essere prerogativa quasi esclusiva degli appassionati, quasi tutti musicisti.

L’attrazione per il Pop, il Rap, il Trap, l’EDM ed altri generi più “digeribili” è evidente e va di pari passo con il mutamento dei tempi. La mia non vuole essere una critica ad altri generi diversi dal Rock, bensì una vera e propria denuncia contro la musica (in genere!) “usa e getta”, culmine della sporcizia (in termini artistici si intende!) in cui il “protagonista” vale più dell’artista e qualsiasi cane ululante, aiutato dalla tecnologia, può diventare (perfino!) un cantante.

Tutto il mercato musicale è diventato più veloce, più superficiale, la musica è smaltita in poco tempo e deve contenere messaggi commerciali più o meno palesi, il “product placement” infatti è diventato parte centrale ed integrante della musica dell’era moderna.

Il Rock invece è il genere musicale meno adatto a contenere messaggi pubblicitari di posizionamento di un prodotto e difficilmente si sposa con la comunicazione commerciale, a meno che non si tratti di grandi Artisti Planetari, che sono divenuti Brand Commerciali essi stessi.

Le imposizioni legate al business discografico, unite alla completa mancanza totale di valori (e qui metto in primo piano l’incapacità genitoriale della mia generazione), hanno contribuito enormemente a facilitare un forte individualismo ed una completa atarassia verso l’Arte da parte dei giovani, per cui il Rock, con la sua storia ed i suoi messaggi a volte complessi, non è più interessante.

Odio da anni l’estremo conservatorismo dei duri e puri del Rock tanto quanto odio, ed il lettore conosce bene la mia posizione in merito, l’intero apparato discografico che ha il grave torto di aver prodotto della musica scadente, attraendo grandi masse di giovani e favorendo il dileguarsi delle parole “Talento”, “Arte” e “Vocazione” e … “(…) lasciando alle generazioni future il vuoto di una musica techno rimanipolata al computer … ritmi ormai sintetizzati, canzoni che inneggiano la violenza e spazzatura sdolcinata slavata e smancerosa”, per citare il solenne monologo di Elwood Blues nel sequel dei Blues Brothers.

Uno dei fenomeni che ha contribuito al declino del Rock è quello che chiamo “artificial lung” e cioè “polmone artificiale”.

Le Majors sfruttano il più possibile artisti in età pensionabile o addirittura non più fra noi (Lemmy dei Motörhead ha venduto più dischi da morto che da vivo; n.d.a.), gente che a 80 anni è ancora sulla breccia ed è obbligata a pagliacciate tra live, studi di registrazione e promozione.

Questi gruppi storici stanno completamente oscurando le giovani rock band che, non avendo attenzione da parte delle Etichette Discografiche, finiscono per suonare cover degli stessi dinosauri del Rock, che oscurano le giovani bands. Insomma un loop destinato a durare fino all’infinito, o quanto meno fino a completa estinzione dei rocker triassici.

Ma per fortuna l’incapacità di produrre talenti emergenti da parte delle Majors non ha impedito al Rock di poter continuare ad esprimersi.

Ogni giorno infatti nascono band rock molto valide che produttori illuminati, quasi sempre legati ad Etichette Indipendenti, continuano a scovare in qualche garage e, rischiando in proprio, decidono di investire sui giovani talenti.

Questi sono i veri artefici del cambiamento!

L’augurio è che nascano e vengano scovati migliaia, milioni, centinaia di milioni di artisti (non solo rockers) a cui venga lasciata piena libertà creativa. Da tenere d’occhio sicuramente le seguenti band italiane che vi consiglio di ascoltare: DHARMA 108,  CASABLANCA ed i giovanissimi ENDLESS HARMONY della bravissima Pamela Pèrez (voce) con cui recentemente con la mia band, gli UEMMEPI, abbiamo avuto l’onore di dividere il palco.

Affinché emerga la creatività e la vera Musica, come la vera Arte, servono delle guide, degli educatori che pongano al centro il Bello della Musica perché il problema non è Rock sì e Trap no!

Senza testimoni ed appassionati educatori non ci sarà cultura e quindi chiarezza tra la contrapposizione di motivetti insulsi e degradanti legati al largo e veloce consumo e l’Arte vera.

Il grande Blu Lou (Marini) in una recente intervista mi disse: Non siamo più abituati ad accompagnare i giovani nell’ascolto dell’arte vera che apre la mente ed il cuore al bello! Se un giovane sapesse con quale violenza la macchina pubblicitaria delle “discografiche” manipola le coscienze… tornerebbe al Blues.

Lo stesso vale per il Rock.

 

 

 

 

 

 

 

 

 

 

 

PERTH




Fuga da whatsApp

Un messaggio sibillino di WhatsApp e un tweet di Elon Musk: et voilà, in tantissimi hanno deciso di passare a Signal, abbandonando la più famosa app di messaggistica.

Ma attenzione: è o non è una bufala?

WhatsApp negli scorsi giorni ha diramato un messaggio di avviso sull’aggiornamento privacy per il 2021.

Questo ha seminato il panico tra molti utenti, complice anche un tweet di Elon Musk che telegraficamente ha scritto: “Use Signal” (usate Signal).

La convinzione (vera o sbagliata?) di molti utenti è che Signal non richiederà un aggiornamento sulla privacy e nuovi termini entro l’8 febbraio, diversamente da quanto impone WhatsApp.

In tutta questa vicenda, anche WhatsApp ci ha messo del suo, va detto: il messaggio arrivato agli utenti era tutto fuorché chiaro e il team si è mosso davvero tardi per cercare di riparare all’errore.  Numerosi giornali, tra cui anche The Indipendent, hanno rassicurato che la nuova privacy WhatsApp 2021 non influirà in alcun modo sull’utilizzo dell’app in Italia e nel resto d’Europa.

Ma intanto continuano i download di Signal che, per inciso, lavorano con gli stessi standard di sicurezza e con la stessa crittografia end-to-end.

Di tutta questa confusione sta approfittando Signal, che in questi giorni sta registrando un boom di download, al punto che si stanno registrando numerosi ritardi sull’invio del codice di verifica.

A questo punto sia chiaro che ognuno è libero di usare l’app di messaggistica che preferisce, ma quello che è bene sottolineare è che alla base della situazione scoppiata negli scorsi giorni c’è disinformazione e strumentalizzazione.

Basta dire che, come ha precisato anche Facebook, che possiede WhatsApp, i protocolli di privacy a cui le due piattaforme devono attenersi sono gli stessi, essendo imposti dalla normativa europea.

Ma, giusto per capirci un po’ di più, incominciamo a documentarci ed andiamo a vedere cosa dicono gli esperti, per esempio, Luca Accomazzi, programmatore, divulgatore, insegnante, ma soprattutto esperto di  GDPR (General Data Protection Regulation). 

Ha letto e commentato il GDPR per la prima volta nel 2014.

(Luca Accomazzi, tanto per dirne una, ha messo le mani su un calcolatore (Apple) nel 1980. Ha insegnato informatica prima alle superiori e poi all’università tra il 1988 e il 2014. Su Internet dal 1992, da fine 1997 con la sua Accomazzi.net si dedica principalmente alla creazione di commerci elettronici sul web e, di recente, soprattutto a portare su Amazon le medio-grandi imprese italiane. Ha pubblicato circa trenta libri di divulgazione, principalmente per Feltrinelli ma il più recente con crowdfunding su Kickstarter).

Ecco quanto scrive su QUORA, Luca Accomazzi, rispondendo alle perplessità della gente comune, come me…

Perché Elon Musk ha proposto Signal come alternativa di WhatsApp? Cosa c’è dietro?

Non è una questione tecnica e neppure tanto di sicurezza (anche se Signal è più sicuro di WhatsApp e questo si dimostra facilmente: se io chiamo Pinco Pallo su Signal non lo sa nessuno tranne me e Pinco Pallo. Se lo chiamo con WhatsApp lo sa anche Mark Zuckerberg — e tutti quelli a cui Mark Zuckerberg lo dice).

È una questione di privacy.

Mark Zuckerberg ha comprato apposta WhatsApp e lo usa per profilarmi, scoprire chi sono i miei amici, quando li chiamo, per quanto li chiamo… Non cosa gli dico — questo no.

Quali sono le applicazioni per smartphone poco conosciute che usate giornalmente?

Il mondo è pieno di ingenui che per chattare usano WhatsApp (il programma che è stato usato per violare lo smartphone dell’uomo più ricco del mondo[1] ).

E anche di altrettanti ingenui che usano Telegram, una app sulla cui sicurezza gli esperti hanno forti dubbi da diversi anni[2].

In pochissimi invece per le chat e le chiamate in voce usiamo Signal, un programma sicuro e protetto al punto che che un sacco di governi di destra a cominciare dall’amministrazione Trump stanno facendo pressione per vietarne l’uso[3] .

 

[1] Guardian: Saudi prince’s account used to hack Jeff Bezos via WhatsApp

[2] https://pdfs.semanticscholar.org/93fe/3a5e70d64964e775ea77dcfaee218b8e62e1.pdf

[3] The broken record: Why Barr’s call against end-to-end encryption is nuts

 

Queste le FAQ.

“Ma senti, io sono una persona onesta e non ho segreti, perché devo preoccuparmi della sicurezza”.

Ah, va bene, se non hai mai scritto in vita tua un messaggio del tipo “stasera usciamo?” (il che informa gli svaligiatori di case che hanno campo libero), se tutte le volte che scrivi un messaggio ti fermi per cinque minuti a pensare come un malvivente potrebbe usarlo contro di te, non ho altre obiezioni.

“Ma sono una suora di clausura, non possiedo niente, non ho attività sessuale, mando un messaggio all’anno in chat per augurare buon santo natale di resurrezione a mio fratello”.

Usa Signal per farlo e sarà opera buona. Se anche i messaggi più innocenti viaggiano in Signal, il volume di messaggi Signal sarà così grande che delinquenti, ficcanaso e dittature troveranno impossibile trovare i segreti che vorrebbero violare in mezzo a questo mare di comunicazioni cifrate.

“Ma Accomazzi, tutte le mie amiche del club della canasta usano WhatsApp!”

Convincile a cambiare, visto che non costa niente. Ma qualcuno dovrà pur cominciare.

“Ma chi lo dice che è davvero sicuro?”

Lo fanno i migliori crittanalisti dell’accademia di tutto il mondo.

Ma siccome i loro discorsi sono estremamente tecnici e li capiscono solo quelli che ne masticano, fatti bastare questa citazione.

Usate Signal e qualsiasi cosa venga prodotta dalla casa Open Whisper Systems. — Edward Snowden.

Perché per vedere un sito si è obbligati ad accettare i cookies, se è in tutela della mia privacy, non dovrei deciderlo io?

Come dicono i poliziotti, tutte le volte che non capisci una cosa concentrati sul flusso dei soldi.

Ma innanzitutto diciamo che esiste una cosa chiamata “cookie tecnico” dalla normativa che è quello che mi permette di riconoscere un visitatore registrato.

Un ipotetico sito senza cookie tecnici è un sito dove non puoi fare login.

O, per dirla in altre parole, è un sito dove ogni volta che vuoi fare una operazione che lascia traccia (come mettere un prodotto in un carrello, o vedere cosa c’è in quel carrello) devi contestualmente rimettere username e password — il che sarebbe ovviamente scomodissimo.

Ma questi cookie non danno fastidio né destano preoccupazione.

Nel resto di questa risposta ci concentriamo invece sugli altri cookie, a volte chiamati “cookie di profilazione”.

Su tutto quello che paghi, ovviamente, decidi tu.

Quando entro sul sito di Amazon Prime Video per guardarmi un filmetto, una volta che mi sono autenticato come cliente pagante non ho nessun problema.

E ti garantisco che se entri come cliente pagante sul sito della mia azienda per commissionarmi una cosa qualsiasi non c’è mezzo cookie di profilazione.

Se però pensi ai sistemi informatici dove ottieni servizi ma non paghi quattrini (per esempio Facebook, Instagram, motore di ricerca Google, Google Docs, e mille altri…) allora devi renderti conto che, non essendo cliente pagante, tu sei invece merce.

Quei siti sono cibo per pesci — nessuno pensa che il pesce paghi il mangime che il pescatore butta in acqua per attirare le prede. E come un salmone vieni pescato, pesato, misurato e venduto a tranci.

L’avviso “stiamo per profilarti” è una pallida protezione che i legislatori europei hanno costretto gli autori del sito a mettere, per difendere un po’ l’elettore.

Siamo ancora, non averne dubbi, in tempi di Far West, dove gli sceriffi sono pochi e presidiano come meglio possono poche grandi città, ma ricchi possidenti, bandidos e ladri di bestiame la fanno da padrone quasi dappertutto.

Quell’avviso di cui ti lamenti dice “stiamo per vendere la tua anima ai pubblicitari, e non c’è nulla che tu possa fare per impedircelo, ma purtroppo l’Unione Europea ci obbliga ad offrirti di non venire pesato e misurato in ogni più minuscolo orifizio.

Ti offriamo dunque il sistema più scomodo possibile, il minimo per rientrare nel lecito, per farlo.

Se lo farai, a malincuore ti venderemo come pesce generico e non come esemplare della tua razza, sesso, età, dimensione eccetera”.

Non sei convinto? Guarda allora qui, dal primo gennaio 2021 Apple ha introdotto l’obbligo per gli autori di app di dichiarare se catturano i dati degli utenti, e se si quali; e cosa ne fanno.

 

Facebook sta litigando con Apple — hanno comprato a loro spese milioni di dollari di paginoni sui quotidiani per protestare contro l’iniziativa appena descritta[1] [2] — perché a far così si spaventano i pesci che poi non abboccano più. 

Oh, hanno usato parole diverse: “Apple è contro l’internet free (parola che in inglese significa anche “libera” ma stavolta nel contesto significa “gratis”).

E “i siti saranno costretti a introdurre forme di pagamento”!

Ma il senso è quello.

Note a piè di pagina

[1] Facebook criticizes Apple’s iOS privacy changes with full-page newspaper ads

[2] Facebook hits back at Apple with second critical newspaper ad

Lo so, l’articolo era lungo, ma la questione è spinosa, ed io per prima voglio essere consapevole di quello che faccio, e ve lo dico già, vi assicuro non finisce qui…

 

 




Prof, ha sentito cosa è successo?

Ha scioccato tutta Italia la morte della bambina che per prendere parte alla Black out challenge su Tik Tok si è legata una cintura alla gola, finendo per soffocarsi.

Una tristissima vicenda, con tragico epilogo, che ha messo in allarme tutti i genitori di adolescenti e preadolescenti sul pericolo che corre in rete.

Non è la prima volta che accade, e la Blackout Challenge è solo l’ultima pericolosa moda in circolo sui social.

Ma quello che mi ha scioccato, ancor più, è stato ascoltare la versione dei miei alunni, la “loro” versione della sfida, il loro giocare alla roulette russa ai tempi dei social.

Alcuni miei alunni preadolescenti mi sono sembrati persino estranei alla tragica morte della bambina di 10 anni di Palermo, come se quello successo a lei, non riguardasse loro, loro che partecipano alle stesse sfide o per lo meno, le seguono sui social.

“E’ una gara prof., vince chi resiste più a lungo, chi non molla, puoi farlo tu il video, ma è meglio se ti prende il tempo chi ti filma…”

E così ho scoperto che la famosa black out challenge”, virale su TikTok, è per alcuni di loro una “figata”.

Ma non solo, che ci sono altre sfide, a dir poco assurde, come quella di posizionarsi allineati in tre e saltare, quello in mezzo deve saltare mentre gli altri due gli fanno lo sgambetto, in contemporanea, falciandogli le gambe, e così quello in mezzo cade all’indietro di schiena, ma vince chi resta in piedi “è solo questione di coordinarsi…”

Sono senza parole.

Di chi è la colpa?!?

Dei social che sono l’incubo dei nostri giorni, perché inducono ragazzi e ragazze a fare cose idiote, per il solo scopo di prendersi una manciata di like?!?

Dei genitori, che hanno dato un cellulare a una bambina di dieci anni?!?

Della scuola, che non ha saputo educare all’uso di questi strumenti?!?

O magari, la colpa la daremo agli amici che hanno coinvolto la ragazza nella sfida?!?

Punteremo il dito su questo e su quello, e illustri psicologi televisivi lanceranno il loro armamentario di giudizi su una generazione ormai persa e senza valori, su famiglie ormai disperate o su insegnanti incapaci e demotivati.

Certo, i social contengono trappole, insidie, pericoli.

Sarebbe da ciechi non vederli.

Ma non ha neppure senso pensare di eliminarli tutti o di vietarli in blocco.

I ragazzi di quell’età li vedono come un paradiso da raggiungere a qualunque costo, creando profilo falsi, anzi si compiacciono di falsificare l’età e di postare foto trasgressive…

Per me, prima di proibire, sarebbe bello parlarci, magari, con i ragazzi e le ragazze di quell’età.

Ne verrebbero fuori cose molto interessanti.

A me capita di farlo tutti giorni.

E vi assicuro che più ci parlo e meno riesco a trovare un solo colpevole.

Ho capito che quando una bambina di dieci anni si stringe una cintura al collo non è colpa di TikToknon è colpa della famiglia, dei social, della scuola, degli amici

Non è colpa di nessuno, ma la responsabilità è di tutti.

Ho capito che i social non sono il male.

Che anzi, proprio in questo periodo, per molti sono stati una salvezza, un modo per darsi forza a vicenda, per tenere vivi i contatti.

Ho capito che il male comincia molto prima.

Il male è non essere visti, non essere ascoltati, non avere nessuno vicino che ti chiede come stai.
Il male è doversi fare del male per ottenere un minimo di attenzione e considerazione.
Il male è il vuoto che trovi fuori, nel mondo, quando provi a farti sentire.

Il male non è che bambini e adolescenti passino troppo tempo soli con un cellulare.
Il male è che passino troppo tempo da soli, punto.

I ragazzi non li salvi cancellando TikTok.
I ragazzi li salvi chiedendo loro, tutti i giorni: “Come stai?”.

E fermandoti lì tutto il tempo che serve per ascoltare davvero la loro risposta, anche se sei stanco e, tu per primo non ce la fai più…

E questo è il punto di vista dei minorenni più fragili della nostra epoca.

Poi, per il punto di vista dei genitori, per cercare di dare loro un supporto su come combattere i pericoli delle sfide iniziate per gioco, per noia o per ottenere visualizzazioni dai loro figli, ecco i consigli della Polizia Postale che tutti i genitori dovrebbero leggere:

  • Parlate ai ragazzi delle nuove sfide che girano in rete in modo che non ne subiscano il fascino se ne vengono al corrente da coetanei o sui social network;
    Assicuratevi che abbiano chiaro quali rischi si corrono a partecipare alle challenge online.

I ragazzi spesso si credono immortali e invincibili perché “nel fiore degli anni”: in realtà per una immaturità delle loro capacità di prevedere le conseguenze di ciò che fanno potrebbero valutare, come innocui comportamenti letali.


Alcune challenge espongono a rischi medici (assunzione di saponi, medicinali, sostanze di uso comune come cannella, sale, bicarbonato, etc), altre inducono a compiere azioni che possono produrre gravi ferimenti a sé o agli altri (selfie estremi, soffocamento autoindotto, sgambetti, salti su auto in corsa, distendersi sui binari, etc).

Monitorate la navigazione e l’uso delle app social, anche stabilendo un tempo massimo da trascorrere connessi.

  • Mostratevi curiosi verso ciò che tiene i ragazzi incollati agli smartphone: potrete capire meglio cosa li attrae e come guidarli nell’uso in modo da essere sempre al sicuro.
    Se trovate in rete video riguardanti sfide pericolose, se sui social compaiono inviti a partecipare a challenge, se i vostri figli ricevono da coetanei video riguardanti le sfide segnalateli subito a www.commissariatodips.it
    Tenetevi sempre aggiornati sui nuovi rischi in rete con gli ALERT che vengono pubblicati sul portale www.commissariatodips.it e sulle pagine Facebook Una Vita da Social e Commissariato di PS Online.

 

Così, prima di andare in giro a cercare di chi è la colpa, proviamo ad assumerci ciascuno la propria responsabilità, proviamo a fare rete per combattere, insieme, i pericoli della rete…

Io, almeno la penso così, parola di mamma, di insegnante e di referente cyberbullismo…

Fonte: Polizia Postale

 

 

 

 

 

 

 

 

 

 

 

 

 

 

 

 

Distanziamento A-sociale

 




NICK CAVE e la meraviglia della realtà.

 

Cosa fa di Nick Cave un artista, cioè una di quelle persone cadute “bel apposta” sulla terra e che “portano il Fuoco”, per dirla con il McCarty di The Road, che per un istante o per infiniti istanti riescono a scoprire il velo della quotidianità e che ci fanno scoprire “immagini che portano scritto: più in là” per dirla con il Montale di Maestrale?

Cosa fa di Nick Cave un artista, cioè una di quelle persone che con la loro sensibilità intuiscono e, spesso involontariamente, fanno intuire a noi ascoltatori il vero significato delle parole Amore e Morte, cioè tentano attraverso la loro arte di dare senso alla propria e nostra esistenza, di dare senso in definitiva alla realtà che ci circonda?

Da quando ascolto musica (molto) e faccio musica (poco) mi sono sempre approcciato all’arte (in senso lato, qualsiasi forma essa abbia) con un tipo di domanda che è fondamentalmente questa: ciò che ascolto/vedo/gusto mi fa andare “più in là”, mi fa porre queste domande, mi fa crescere la ricerca di senso?

La bellezza che fuoriesce da una canzone o da un dipinto o dal frame di un film mi pone questi interrogativi oppure ciò che sto ascoltando/vedendo/gustando è solo “intrattenimento”?

Di questo parlavo qualche giorno fa con mia figlia diciannovenne, in uno scontro e incontro epocale (perché siamo di “epoche geologicamente” differenti, evidentemente) in cui i nostri “epocalmente” diversi punti di vista si sono riconciliati solo nel constatare che la musica che amiamo ci dovrebbe far andare alla ricerca della meraviglia che c’è in questo mondo.

Pensavamo entrambi a quali compositori ed artisti fossero contigui a tal modo di sentire e la figura dinoccolata di Nick Cave mi si stagliava netta davanti agli occhi, per quella dimensione profetica che è resa evidente dal suo modo di esibirsi sul palco, da ciò che scrive e canta, soprattutto da come mi ha confortato nei periodi bui e portato lucidità di pensiero nei periodi lieti della mia vita, cioè, in definitiva, da come la sua arte mi sia stata ed è tuttora “vicina”.

Pensare a Nick Cave mi porta a riascoltare tutto il suo repertorio come ad una evoluzione che tende a Qualcosa, come ad un naturale crescendo del concept di canzone verso forme musicali diverse; alcune tematiche sono come fiumi sotterranei che risalgono in superficie ed alimentano perennemente la fonte.  

Come non pensare che già all’inizio della propria carriera con i Birthday Party e con le prime formazioni dei Bad Seeds il tema del bene e del male e della violenza insita nel cuore umano è stato un leit motiv che percorre molti sui testi. Uno dei pezzi più espliciti è The Mercy Seat, tratto dall’album Tender Pray del 1988, un brano capolavoro, attinto ancora nei concerti del nostro King Ink (soprannome di cui si è appropriato Nick dopo averci scritto una canzone).

Il brano narra degli ultimi istanti di vita di un condannato a morte tramite sedia elettrica – la mercy seat, la sedia della misericordia per l’appunto – e viene narrato in prima persona dal condannato attraverso un io narrante incalzante, soffocante, drammatico nel dibattersi tra bene e male, tra menzogna e verità, negli ultimi spasmi di vita.

La musica stessa è assillante: comincia con uno spoken word per poi passare alla ripetizione parossistica di quello che potrebbe essere il ritornello, il tutto ritmato da un rullante che scandisce una veloce marcetta militare.

La narrazione trova momenti topici e climaterici nelle immagini delle mani del condannato “La mia mano assassina si chiama M.A.L.E./ Porta una fascia nuziale che è B.E.N.E.” o nella descrizione della sua testa, in un crescendo da film noir, che par quasi d’essere accanto al condannato: “e credo la mia testa bruci […] / e credo la mia testa fumi […] / e credo la mia testa si stia sciogliendo […] / e credo la mia testa stia bollendo”.

Il tema dello scontro tra verità e menzogna emerge nel testo: all’inizio della canzone recita: “e comunque ho detto la verità/ e non ho paura di morire” mentre l’ultimo verso della canzone sembra molto diverso: “e comunque ho detto la verità/ ma ho paura di aver mentito”.

E’ quest’alternanza di chiaro e scuro, di divino e diabolico, di speranza e disperazione, di peccato e redenzione che rendono le teofanie di Cave così attaccate alla realtà, così credibili, quasi fossero dei vestiti fatti su misura per ciascuno di noi, dove Dio, o quello che intendiamo per concetto di divino, lo intra-vedi da una porticina piccola-piccola, ma che essendo aperta fa percepire la luce che proviene dall’interno.

D’altro canto due dei suoi scrittori preferiti – ce lo dice esplicitamente Nick nella rubrica online che dal 2018 tiene con i fans, The Red Hand Files – sono William Faulkner e Flannery O’Connor e le idee dei due autori sudisti al riguardo sono molto esemplificative.

Sentite la ragazza di Savannah cosa scrive nelle sue Lettere: “C’è qualcosa in noi, sia come narratori che come ascoltatori, che richiede l’atto di redenzione, al fine di offrire a chi cade la possibilità di risorgere» e poi ancora “In breve, leggendo ciò che scrivo, ho constatato che argomento della mia narrativa è l’azione della Grazia in un territorio tenuto in gran parte dal diavolo”.

Il premio Nobel Faulkner nel romanzo Requiem per una monaca fa dire ad uno dei personaggi: “La salvezza del mondo sta nella sofferenza dell’uomo“.  

Nell’ultimo suo lavoro Ghosteen, che giudico un capolavoro, uno di quei dischi che puoi annoverare già tra i migliori di questa decade appena iniziata, Cave va ad aprire un altro cassettino della sua arte, purtroppo schiuso da una ferita terribile, quale la morte del figlio quindicenne, con un registro musicale che è altro rispetto alle chitarre sferzanti e al post-punk degli inizi carriera, concedendo spazio alla creatività del fidato sodale Warren Ellis e ai suoi tappeti sonori.

Credo che quest’ultimo lavoro dimostri quanto la dicotomia di cui ho parlato sopra non abbia mai abbandonato il nostro aussie (e forse noi tutti?,) e che dall’interno di questo cassettino sia spuntata una consapevolezza non  nuova ma evidentemente fatta emergere paradossalmente dalla scomparsa del figlio e cioè che la vita, per quanto possa apparire arida e dura, va vissuta alla ricerca della bellezza, della meraviglia, facendo fruttare tutti i nostri talenti, da quelli che ci sembrano insignificanti a quelli più eclatanti.

Scrive nel primo dei suoi The Red Hand Files come risposta ad un fan: “Qual è il centro delle nostre vite? Nel caso di un artista (e magari è lo stesso per tutti) io direi che è quel senso di meraviglia. Le persone creative, di solito, hanno una propensione molto acuta per la meraviglia […]. Noi tutti abbiamo bisogno di fare un passo indietro verso la meraviglia”. 

Beh, caro Re Inkiostro, certamente l’arte di comunicarci questa meraviglia l’hai imparata molto bene!

 

RIGE




La miglior dittatura non vale una pessima democrazia…

… ma anche no direbbero oggi!

Ogni tanto il ruolo del direttore mi impone anche di essere impopolare, fastidioso e scomodo come lo sono sempre stati coloro che gridano il re è nudo.

Ebbene oggi il Re non solo è nudo ma anche senza pelle, e la cosa grave è che lo sa e non dice niente.

Ma la frase il re è nudo in realtà non era mai stata diretta al Re e nemmeno alla sua corte di parassiti e tagliagole che avevano tutto l’interesse a tacere, ma al popolo che vedeva la realtà ma temeva in cuor suo che ciò che si palesava ai propri occhi fosse vero, perché se così fosse stato tutto sarebbe stato più grave, quindi era più comodo fingere per avere la pancia piena e le strade tranquille.

Ma in ogni regno c’è sempre una piccola parte di popolo che ha l’animo del bambino e non riesce a temere la verità, anzi dei piccoli fanciulli che vedono la verità perché ancora non hanno quelle sovrastrutture, quei paraocchi dell’interesse del singolo che fanno vedere vestiti dove non ci sono.

Ed ecco che allora il Re è nudo, e questa è una di quelle frasi da punto di non ritorno, una volta detta tutto cambia, almeno in un mondo ideale.

Se questa vecchia favola la dovessimo adattare ai giorni nostri il finale cambierebbe, ed il povero bambino che vede il Re nudo  finirebbe in mano agli assistenti sociali, girando di famiglia in famiglia fino all’oblio ed all’imprinting sociale.

Oggi il Re ha la possibilità di controllare il suo popolo di “stolti” utilizzando metodi di stordimento sociale che azzerano la coscienza collettiva riportandola al sonnecchio immediato, troppe voci giungono all’orecchio del popolo sibilando false argomentazioni o urlando vecchi anatemi, nessuno è più così in grado di distinguere la verità dalla bugia da potersi opporre al re tiranno.

Ma la cosa ancora più grave è che non esiste più il Re, ma una serie di personaggi più o meno di basso livello, che strizzano il cervello del popolo ormai poco abituato a fermarsi a riflettere.

Nove mesi di pandemia totale, ondate su ondate, eppure si fanno le stesse cose.

Soldi buttati in quantità industriale, eppure siamo ancora sotto scacco.

Il Re è nudo, ma ancora c’è gente che dice si è nudo ma ha un ottimo portamento.

Viviamo bellamente in un paese che negli ultimi 50 anni ha perso la grande industria, la maggior parte dei marchi italiani, le eccellenze  artigianali di nicchia, l’agricoltura, il turismo, siamo ostaggio delle economie straniere, siamo sotto scacco per i fenomeni immigratori e politicamente gli italiani non si esprimono più da anni.

Eppure sonnecchiamo come se fosse una mattina di maggio.

Riflettiamo un attimo sul concetto di dittatura, facciamoci aiutare da Wikipedia: la scalata al potere di una dittatura è spesso favorita da situazioni di grave crisi economica (ad esempio in seguito a una guerra o a quella odierna), da difficoltà sociali (lotte di classe), dall’instabilità del regime esistente o dalla continuità con un preesistente regime dittatoriale.

Sul tema dell’instabilità del regime preesistente ritengo che l’Italia sia una campionessa.

Dalla sua nascita l’Italia democratica ha visto ben 66 governi, ovvero 1,13 governi ogni anno, nessun governo è mai durato 5 anni interi, il più duraturo fu quello di Berlusconi nel 2001, ben 3,8 anni.

Sul tema del disastro economico direi che nemmeno dobbiamo parlare, oggi più che mai le ombre di una desolazione totale si addensano sul nostro paese, spinte dalle crisi del 2008 e del 2011 da cui l’Italia non si è più ripresa.

Sul tema del disagio sociale basta leggere qualche notizia qua e là per vedere come la tenuta sociale del paese sia in grave crisi.

Insomma a ben vedere il nostro paese ha tutti i sintomi per covare una dittatura.

Il Totalitarismo ovvero la dittatura del controllo totale: è il tipo più moderno di regime dittatoriale.

Oltre alla repressione, all’ideologia e al capo si aggiunge la presenza del regime in ogni ambito.

Il concetto è sviluppato nelle Origini del Totalitarismo di Hannah Arendt.

Ritiene l’autrice che il totalitarismo necessiti di tre fattori per potersi sviluppare: una società industriale di massa (oggi c’è, per poter gestire le masse economiche in mano a pochi), la persistenza di un’arena mondiale divisa (oggi c’è, per poter spostare i centri di potere in modo indisturbato) e lo sviluppo della tecnologia moderna (oggi c’è, per poter influenzare le masse e controllarle).

Secondo la Arendt gli elementi distintivi del totalitarismo sono l’ideologia (vedi se non la pensate così siete negazionisti etc.)  e l’uso del terrore (vedi covid e dcpm, carestia e guerre mondiali).

Quindi potremmo essere di fronte ad una dittatura subdola, che si nasconde dietro il bene dei cittadini per privarli di diritti fondamentali, cosa che peraltro è in parte stigmatizzata anche dal fatto che al di là degli altisonanti principi, nei fatti questi diritti sono spesso disattesi, tanto che l’Italia è stata numerosissime volte condannata dalla Corte europea dei diritti dell’uomo (CEDU) proprio per violazione dei diritti fondamentali che la Costituzione dovrebbe garantire.

Raggiungendo il poco onorevole primato di Stato con il maggior numero di condanne tra tutti gli Stati dell’Unione europea, sborsando la Repubblica italiana anche somme considerevoli in favore dei privati ricorrenti, senza che ciò sia servito a porre rimedio alle persistenza di situazioni di violazione di diritti fondamentali dei cittadini italiani, tanto che i ricorsi (e le condanne) sono in continuo aumento.

Le più ricorrenti condanne sono per la spropositata lunghezza delle procedure giudiziarie (processi civili, processi penali, procedure fallimentari), lo stato delle carceri italiane (la CEDU le definisce luoghi di tortura per il sovraffollamento oltre ogni limite e le condizioni degli immobili), le violazioni del diritto di proprietà da parte di enti pubblici.

E sinora la CEDU non ha voluto occuparsi né dell’abuso della carcerazione preventiva sia in ordine alla dilatazione dei tempi sia in ordine al fatto che buona parte di chi l’ha subita viene poi riconosciuto innocente dagli stessi giudici, né dello spropositato uso delle intercettazioni telefoniche, né dei tempi biblici per ottenere atti o concessioni amministrative che all’estero richiedono pochi giorni, né dei lunghissimi tempi di prescrizione per reati penali od accertamenti fiscali e nemmeno sugli assurdi orpelli economici legati a tasse, multe, costi amministrativi.

Ma allora, 66 governi che si succedono a loro stessi, di cui gli ultimi manco votati da popolo, condanne a iosa per violazioni dei diritti civili, leggi inesistenti e dcpm invalidi, controllo sociale con strumenti di comunicazione di massa, inesistente classe politica, figure di potere che si muovono dietro fantocci, siamo già in una dittatura!!!

Altro che il Re è nudo, qui il Re nudo manco è RE.

 

 

 

 

 

 

 

 

 

 

 

 

Il primo bene di un popolo è la sua dignità

La sottomissione di Gregge




È nel sonno della pubblica coscienza che maturano le dittature.

Schedatura sanitaria o dittatura sanitaria? Questo è il problema?…

Il Fascicolo Sanitario Elettronico (FSE) è l’insieme dei dati e delle informazioni cliniche che costituiscono la storia sanitaria di ogni cittadino.

All’interno del Fascicolo si trovano documenti di tipo sanitario, amministrativo oltre alle prescrizioni mediche e farmaceutiche.

Ad oggi il FSE risulta attivo solo da una piccola percentuale della popolazione, il 20% circa, “tenuto conto che il FSE può essere attivato e alimentato solo a fronte del rilascio del consenso da parte dell’assistito” (articolo 12, comma 3-bis del DL n.179 del 2012).

Probabilmente proprio questo numero piccolissimo di persone ha spinto i legislatori a modificare la legge, e infatti, nel DL n. 34 del 19 maggio 2020 “Misure urgenti in materia di salute” (pubblicato in GU n. 128 del 19 maggio 2020) è stato abrogato il comma 3-bis e questo “comporta la possibilità di alimentazione del fascicolo personale anche in assenza del consenso”.

Il comma 3 bis infatti diceva: “il FSE può essere alimentato esclusivamente sulla base del consenso libero e informato da parte dell’assistito, il quale può decidere se e quali dati relativi alla propria salute non devono essere inseriti nel fascicolo medesimo

Quindi non serve più dare nessun consenso perché il FSE viene “alimentato” automaticamente!

In questi giorni sta girando la data dell’11 gennaio 2021 come scadenza per negare il consenso a questa schedatura sanitaria, ma va precisato che si potrà fare anche successivamente, la cosa importante è cercare di comprendere cosa stanno facendo.

Anche se neghiamo il consenso il Fascicolo Elettronico Sanitario (FSE) verrà alimentato automaticamente, perché la differenza sta nella visibilità o meno dei dati da parte del personale sanitario (MMG/PLS, medici specialisti, infermieri, ecc.).

Facendo apposita segnalazione (“Oscuramento e de-oscuramento dei dati e documenti”) si ha la possibilità di oscurare i dati e così facendo il FSE lo potremo consultare/scaricare solo noi o i medici curanti se lo necessitano in caso di emergenza (comunque i logs sono tracciati).

Ma anche facendo questo il ministero della salute e altri enti governativi potranno spulciare e usare i nostri dati (resi anonimi, dicono loro) per motivi di studio e ricerca!

Avete capito? A prescindere potranno sempre accedere ai nostri dati anche se li oscuriamo e anche se neghiamo il consenso.

E’ tutto nero su bianco nelle “Informazioni aggiuntive relative al FSE di Regione Lombardia”: “in caso di revoca del consenso alla consultazione, il FSE continuerà ad essere alimentato e consultato solo per fini di governo e ricerca”.

Quali fini governativi e di ricerca non c’è dato sapere!


Lo ribadisce anche il sito della Regione Liguria: “Come previsto dalla Legge 17 luglio 2020, n. 77 di conversione del D.L. n. 34 del 19.05.2020 c.d. Decreto Rilancio e a seguito dei chiarimenti forniti dall’Autorità Garante per la protezione dei dati personali desideriamo informarLa che a partire dal 19 maggio 2020, per istituire il Suo Fascicolo Sanitario Elettronico (FSE) non è più necessario che la S.V. conferisca un apposito consenso alla Regione”.

Confermano che in questa dittatura sanitaria è tutto automatico!

Il Suo consenso, invece, rimane necessario e può essere espresso anche ‘una tantum’ per rendere il Suo FSE accessibile/consultabile ai sanitari che dovessero prenderLa in cura nelle Aziende Sanitarie/Enti sanitari.
Le Regioni provvederanno ad alimentare automaticamente il FSE con i dati e i documenti relativi alle prestazioni sanitarie erogate a partire dal 19 maggio 2020 quale data di entrata in vigore del suddetto ‘Decreto Rilancio’ “.
Relativamente, invece, all’alimentazione dei dati e documenti inerenti alle prestazioni sanitarie erogate dal SSR e dal SSN antecedentemente alla data di entrata in vigore del Decreto Rilancio siano inseriti nel FSE seppur in forma ‘oscurata’ ovvero non visibile ai sanitari salvo espresso consenso dell’interessato, si provvederà automaticamente a meno che Lei non si opponga espressamente al loro riversamento nel Suo FSE entro e non oltre il prossimo 11 gennaio 2021.

La scadenza dell’11 gennaio 2021 si riferisce quindi al consenso di oscurare i dati sanitari antecedenti al 19 maggio 2020.


Proprio per quanto detto finora qualcuno suggerisce di fare attenzione a negare il consenso, perché una eventuale negazione potrebbe generare una sorta di lista di proscrizione, una specie di schedatura.

Ma è altresì vero che sanno benissimo tutto su di noi, visto che la privacy esiste solo sulla carta.

Sta comunque a noi scegliere se continuare ad alimentare o meno tale fascicolo con i nostri dati, perché non tutti sanno che ogni visita medica, terapia, operazione e ogni tampone eseguito o vaccino inoculato verrà registrato nel FSE.

Ovviamente tale fascicolo è solo l’anticamera dell’ID Global, cioè dell’Identità Digitale: un programma di identificazione elettronica che punta ad includere ogni persona sulla terra.

Una piattaforma in grado di registrare qualunque dato: dalla nascita, ai farmaci, alle vaccinazioni, ai dati biometrici, sanitari e finanziari.

Tutta la Vita umana registrata in maniera digitale!

 

Documenti utili da scaricare:

Oscuramento e de-oscuramento dei dati e documenti”, (documento scaricato dal sito della Regione Veneto)

Esercizio di diritti in maniera di protezione dei dati personali”, da inviare al Garante della Privacy

articoli di rifermento 1

articoli di riferimento 2

articoli di riferimento 3

 

 

 

 

 

 

 

 

 

 

 

 

I Conte non tornano… sapevamo già tutto dal 2006.

Cyber Psicologo e la privacy

 

 

 




Un inverno lungo un anno…

Crisi del settore turistico invernale con la questione impianti chiusi.

L’opinione di Enrico Camanni, Direttore della rivista “Dislivelli”.

In questi giorni è d’attualità la discussione impianti sciistici aperti oppure mondo alpino in crisi con perdite occupazionali, di reddito e non solo.

Migliaia di persone coinvolte a tutti i livelli.

Le località turistiche ossolane sono pienamente coinvolte in questa difficile e contraddittoria situazione.

Lo scenario sulle Alpi è molto variegato: niente sci in Francia e Germania.

L’Austria tentenna e propone uno sci con molte limitazioni.

La Svizzera, nonostante le grandi problematiche legate al Covid-19 che ha sul suo territorio, ha già aperto i suoi impianti curando il distanziamento, obbligando la mascherina anche su seggiovie e sciovie.

Qualche ospedale ha fatto sentire la propria voce: siamo già sotto pressione, con cure che sono state diradate nel tempo e non possiamo ricevere gli immancabili infortunati dalle piste.

Tutti hanno ragione, nessuno ha torto.

E allora di chi è la colpa?!?

O meglio quali sono le responsabilità di ciascuno?

Il Governo, le Regioni, gli operatori commerciali, i proprietari degli impianti di risalita sono tutti coinvolti nello stesso problema che esiste da prima del covid.

Ecco quello che pensa Enrico Camanni, il direttore della rivista ‘Dislivelli’ che ci propone una visione diversa del problema.

Riprendiamo le testuali parole prese dall’Editoriale

“NON FACCIAMO FINTA DI NIENTE” della rivista ‘Dislivelli’ del novembre 2020 scritto dal direttore Enrico Camanni.

Negli ultimi giorni di novembre, qua e là sulle Alpi, s’è celebrata la solita inquietante liturgia: cannoni che sparano neve finta sui versanti secchi, temperature altissime per via dell’inversione termica e bulldozer che sbancano e pareggiano i pendii, perché lo sci di oggi non tollera gobbe e inciampi.

Tutto ciò che inciampa va spianato e distrutto.

Sono molti anni che Dislivelli, senza acredine e senza pregiudizio, mette in dubbio le scelte unilaterali dell’industria dello sci di massa, sostenuta da ingenti finanziamenti pubblici (cioè dai soldi di quei pochi cittadini che sciano e di quei tanti che non sciano affatto),che come tutte le industrie dai piedi pesanti non è in grado di adattarsi ai cambiamenti (climatici, economici, estetici),ma cerca con insistenza, talvolta con violenza, di adattare il mondo alle sue esigenze di sviluppo illimitato.

Sono anni che esprimiamo pacatamente i nostri dubbi, però questo non è un anno come gli altri, perché mentre i cannoni sparavano neve finta per le improbabili vacanze dei privilegiati dello sci, gli ospedali erano costretti a rifiutare le cure ai malati “ordinari”, le scuole erano chiuse dalla prima media in su, il mondo della cultura e dello spettacolo era paralizzato dalla pandemia e buona parte della popolazione italiana si trovava senza lavoro, senza risarcimento e senza futuro.

Non pochi, schiacciati dai debiti.

In questa situazione, il grido di dolore delle lobby dello sci e del turismo di massa appare stonato e decisamente fuori misura, non tanto perché difende uno dei tanti comparti produttivi del paese (e, come tale, sarà probabilmente ristorato), quanto perché non immagina neanche lontanamente di sfruttare l’opportunità della crisi per ripensare l’offerta turistica invernale, che comprende molte possibilità trascurate come lo scialpinismo, il fondo, le ciaspole, i sentieri innevati e non.

Quanta gente cammina d’inverno sui versanti assolati!

Le voci autorevoli che abbiamo raccolto in questo numero concordano su un punto decisivo: non ha più senso l’equiparazione “sci di pista-montagna”, perché è un concetto ampiamente superato dalla realtà, frutto di un pensiero dominante che, in cambio di molto denaro, ha reso la montagna e la neve dei banali oggetti di consumo.

E quando la vetrina è vuota, sembra che intorno non ci sia più niente.

Invece c’è moltissimo: la neve, e intendiamo quella del cielo, il silenzio, l’ambiente naturale, il distanziamento naturale e intelligente, non quello forzato dalla pandemia.

Come scrive Michele Serra su “Repubblica”, «il messaggio che arriva in queste ore sulla “distruzione dell’economia alpina” se le piste di sci rimangono chiuse è un messaggio autolesionista. Cattiva pubblicità.

Riduce la montagna a una monocultura invadente e fragile: quella degli impianti di risalita».

Tornando alla pandemia, dunque, perché non ammettere che le crisi mondiali come l’infezione da Covid non sono disgrazie piovute dal cielo, ma sono piuttosto i detonatori di ciò che già prima non funzionava, o stava deragliando, e con la crisi scoppia, si frantuma. Utilizzando la metafora del re nudo, la crisi è quel colpo di vento che gli strappa l’ultimo abito di dosso.

In questo senso il dibattito di questi giorni sulla riapertura degli impianti dello sci ci sembra più che mai logoro e senza prospettiva, perché presuppone il fatto che dopo la tempesta non si veda l’ora di tornare come prima, senza un ripensamento ecologico, economico e anche etico, aggiungerei.

Invece potrebbe essere l’occasione epocale, è il caso di dirlo, per ripensare un sistema che il riscaldamento climatico e la crisi economica avevano già totalmente incrinato, anche se facevamo finta di niente.

Si sa da tempo che il re è nudo, sotto i 1800 metri di quota, ma si continua a investire e rilanciare in sbancamenti e nuovi impianti perché è molto più facile insistere sul vecchio sistema che riconvertirsi a un sistema innovativo, sostenibile e capace di futuro.

La differenza sta nella riflessione e nella progettazione, ed è proprio per riflettere, cioè per usare la crisi in senso creativo e costruttivo, che vi abbiamo proposto questa nuova prospettiva di lettura della questione impianti chiusi.

 

 

 

 

 

 

 

 

 

 

 

 

 

 

 

 

SCI, SCI, SCI…

Gli sci appesi al chiodo…

 




Gli sci appesi al chiodo…

La crisi del turismo invernale. L’opinione di Matteo Pellissier.

Meno 70% di fatturato, ovvero una perdita secca di quasi 8,5 miliardi di euro: è quanto rischia di perdere il mondo che ruota intorno al turismo invernale.

A causa della pandemia da Covid le cancellazioni sono tante, sia da turisti italiani che stranieri e un intero settore è in crisi.

Da novembre, In Valle d’Aosta, l’unica stazione sciistica operativa, aperta solo a sciatori professionisti a seguito delle restrizioni, è quella di Cervinia e negli ultimi mesi si registrano solo numeri in negativo per quanto riguarda l’arrivo di turisti italiani e stranieri.

Basti dire che in Piemonte, la Via Lattea, che comprende Sestriere, Sauze d’Oulx, Oulx, Sansicario, Cesana, Pragelato e Claviere, il comprensorio più grande della regione è ferma, con la chiusura di tutti gli impianti ed il blocco di tutte le attività legate al turismo invernale.

Sulle montagne piemontesi preoccupa già la quasi certa perdita della clientela straniera che è il 45% del fatturato della stagione invernale.

Come se non bastasse, da metà gennaio a fine febbraio i turisti sono prevalentemente esteri, dal Brasile alla Cina, dagli Stati Uniti alla Scandinavia, e sono il 70-80% della clientela.

Con la pandemia tutto questo flusso non ci sarà.

Eppure sembra che il governo si dimentichi di affrontare anche quest’emergenza, cioè la paralisi di un intero settore turistico invernale, preoccupato com’è ad inventare il gioco dei semafori, zona rossa, zona arancione, zona gialla…

Così, ci proviamo noi, redazione di betapress, a riprendere la questione.

L’occasione è la giornata della neve, prevista per il 20 gennaio.

La crisi del settore turistico invernale s’ innesta sulla paralisi del mondo sciistico, tanto più che la grave situazione di chiusura degli impianti, degli alberghi, e di tutte le attività connesse continua a protrarsi ad oltranza.

Basti pensare quanto è avvenuto anche in questi ultimi giorni di vacanze di Natale, in cui, ironia della sorte, ha nevicato come non mai, ma nessuno ha potuto godersela, sia la neve che l’attività sciistica, neppure chi ha una seconda casa in montagna, perché, siamo onesti, cosa ci vai a fare in montagna se è tutto chiuso e tutto fermo?!?

E per dare voce a degli esperti del settore, nonché rappresentanti di categoria, abbiamo avuto il piacere di intervistare Matteo Pellissier,25 anni, atleta italiano, maestro di sci, allenatore della Val d’Aosta.

Betapress- Buongiorno Maestro Pellissier, grazie per la disponibilità, che cosa possiamo raccontare di lei ai nostri lettori?

Pellissier- Sono Matteo Pellissier, nato e cresciuto a La Thuile, in Valle D’Aosta e, inutile dirlo, lo sci è sempre stata una mia grande passione.

Prima come atleta a livello italiano, poi come maestro di sci ed allenatore da 6 anni spostandomi in diverse stazione: da Pila a Valtournenche, fino allo scorso inverno quando sono tornato a La Thuile. 

 

Betapress- Dunque sempre e solo dedicato allo sci…

 

Pellissier- Lo sport ha sicuramente impegnato gran parte della mia vita ma, nello stesso tempo, nel 2015 mi sono diplomato all’ITPR di Aosta nel settore del turismo.

Poiché la stagione invernale comprende i mesi che vanno da dicembre ad aprile, durante il tempo restante, oltre a concedermi qualche viaggio, negli ultimi anni ho svolto la professione di Barman in Francia.

Professione per la quale, durante il tempo libero dettato dal Covid, ho preso anche una certificazione EBS. 

 

Betapress- Entriamo subito nel merito, crisi del settore turistico bloccato da marzo del 2020 con un singhiozzo di dcpm fino ad oggi.

Partiamo dal primo lockdown…

 

Pellissier- Le comunità montane e il settore turistico sciistico, nello specifico qui in Valle D’Aosta, a partire dall’8 marzo 2020 si sono viste chiudere progressivamente, impianti di risalita e a seguire servizi e strutture ricettive.

Con tale chiusura anticipata noi maestri, e di conseguenza tutto ciò che gravita intorno al turismo invernale, abbiamo perso 41 giorni effettivi di lavoro.

Tra questi il periodo di Carnevale e di Pasqua che, insieme a Natale, portano i maggior introiti per la scuola di sci ed i suoi collaboratori.

 

Betapress- Come avete fatto a resistere? Che aiuti ed incentivi avete avuto dal governo dall’inizio della pandemia?

Come sta andando questo secondo lockdown?

 

Pellissier- Sebbene il primo lockdown fossimo riusciti in qualche modo a farlo passare, anche grazie agli aiuti pervenuti dalla Regione (solo per i maestri di sci residenti) il secondo invece, che ha previsto l’apertura posticipata, ci ha fatto perdere il Natale.

 

Betapress- Perché la chiusura a Natale ha dato il colpo di grazia al mondo dello sci?

 

Pellissier- Se per molti il Natale rappresenta un felice momento di ferie da trascorrere sulla neve, per noi, del settore turistico invernale, è il periodo più significativo dell’anno.

Questo, non solo per l’afflusso di gente ma anche per costruire relazioni importanti con i nostri allievi e far sì che ritornino a condividere con noi la montagna e i suoi sport. 

 

Betapress- Impianti, alberghi, maestri, operatori del settore…

Quanti e quali sono i danni provocati dalla pandemia, ma non solo?

 

Pellissier- I danni arrecati alle famiglie che popolano la montagna, ai suoi professionisti e ai suoi imprenditori sono sicuramente molteplici.

Tra il primo ed il secondo lockdown abbiamo perso 4 mesi di lavoro, mesi decisivi ed importanti per la nostra economia, mesi in cui le spese ci sono state, ma non ci sono state le entrate.

Nello specifico noi maestri siamo una categoria poco considerata

(forse il nostro mestiere viene visto più come un hobby che come una reale fonte di sostentamento).

 

Betapress- Che incentivi avete avuto dal governo?

 

Pellissier- Nei mesi di marzo e aprile abbiamo avuto la possibilità di ricevere i 600 euro dell’INPS che, francamente, corrispondevano semplicemente ad un rimborso (per tenere aperto il cassetto previdenziale) di ciò che avremmo pagato in quei mesi pur essendo senza lavoro.

 

Betapress- Pazzesco! Come avete fatto a resistere?

 

Pellissier- A fronte di ciò la Regione Valle D’Aosta ci è venuta in aiuto garantendoci per i mesi di marzo, aprile e maggio 400 euro al mese.

Meglio che niente, ma di sicuro non ci si può vivere. 

 

Betapress- Durante l’estate, com’è andata?

 

Pellissier- Durante il periodo estivo, siamo in qualche modo riusciti a risollevarci, con le giuste misure di sicurezza, ma parliamo sempre di un mese e mezzo di lavoro, non di più.

Abbiamo riaperto le strutture ricettive, i bar ed i ristoranti; sono anche riprese le attività sportive di mountain bike e di sci (a terra e qualche giorno sulla neve). 

 

Betapress- Fino alla nuova paralisi attuale di tutto il settore con un danno irreversibile.

Che cosa si poteva fare ed invece non è stato fatto?

 

Pellissier- Credo che, per non andare incontro a questo disastro economico che ci sta colpendo, si poteva giocare di anticipo, sapendo fin dall’inizio che questa seconda ondata sarebbe arrivata. Avremmo potuto regioni e governo, trovare le giuste misure di sicurezza e il giusto equilibrio per preservare la salute dei cittadini e la stabilità economica di migliaia di famiglie e di giovani.

 

Betapress- Di cosa avete bisogno, adesso e subito?

 

Pellissier- Quello che mi viene da dire a gran voce è che qualcuno rappresenti in modo più assertivo la montagna e le sue categorie, abbiamo bisogno di ristori concreti e subito.

Necessitiamo che gli aiuti economici arrivino anche a noi.

Che gli incentivi siano studiati per noi come per tutte le altre categorie che, ad oggi, non sono ancora riuscite a riceve alcun aiuto. 

 

Pienamente, d’accordo, ma allora, ci diciamo noi di betapress, perché non sfruttare la crisi per ripensare l’offerta turistica invernale e forse affrontare il problema alla radice?

Perché, finalmente, capire che la montagna è sci, prima di tutto, ma non solo…

 

Ed allora, appuntamento al nostro prossimo articolo, con l’opinione di Enrico Camanni, Direttore della rivista “Dislivelli” che ci propone un’interessante lettura del mondo della montagna.

 

 

 

 

 

 

 

 

 

 

 

 

 

SCI, SCI, SCI…

Andrà tutto bene … parte terza

 




Le parole di Tim Crook sulla triste rivoluzione americana

Le rivoluzioni non sono nemiche dell’informazione.

Riportiamo in questo articolo la dichiarazione de prof. Tim Crook, presidente del Chartered Institute of Journalists (CIoJ) il più antico ordine dei giornalisti del mondo. 

La missione del CIoJ

Il Chartered Institute of Journalists, è il più antico organismo professionale di giornalisti al mondo e ha sede a Londra.

Ha membri in più di 30 paesi in tutto il mondo e  sostiene i principi dell’Istituto di giornalismo onesto, indipendente e apolitico.

È stato fondato come Associazione Nazionale dei Giornalisti nel 1884 e sei anni dopo è stato riconosciuto dalla Regina Vittoria nella sua Carta Reale, come organismo volto a proteggere e servire coloro che lavorano nel campo del giornalismo.

In questo momento storico delicato, davanti al panorama internazionale così surreale, per noi di Betapress, unica testata in Italia la cui redazione è in toto iscritta al CIoJ, è doveroso dare voce alla dichiarazione del nostro presidente professor Tim Crook che ha inviato a tutti i membri la seguente email.

La dichiarazione del presidente del CIoJ

Tim Crook Presidente CIoJ
Tim Crook Presidente CIoJ

Il Chartered Institute of Journalists condanna la violenza nei confronti di giornalisti e operatori dei media che coprono l’assalto al Congresso degli Stati Uniti da parte dei sostenitori di Donald Trump.

Il presidente dell’Istituto, il professor Tim Crook, ha dichiarato:

“I rivoltosi hanno inseguito giornalisti e distrutto attrezzature professionali per i media in scene spaventose condannate ampiamente come attacco e macchia alla democrazia.

Vogliamo lodare e rispettare il coraggio e la professionalità dei giornalisti che hanno riportato gli eventi a Washington DC e hanno consentito un dibattito aperto sulle implicazioni di quanto è accaduto”.

Le troupe dei media sono state costrette ad abbandonare l’area e fuggire mentre i manifestanti hanno fracassato le loro attrezzature.

 

Il professor Crook ha dichiarato:

“Trovo agghiacciante e terribile il filmato degli aggressori che fanno un cappio con il cavo di una telecamera e lo appendono a un albero”.

Questo fa parte di un modello spaventoso di attacchi e intimidazioni nei confronti di giornalisti che si occupano della politica statunitense e degli eventi pubblici negli ultimi tempi.

 

“Tutti i nostri membri sperano che questo finisca e gli Stati Uniti in futuro saranno un paese che rispetta la democrazia e il diritto dei giornalisti di riferire liberamente e in sicurezza”.

 

Betapress sposa l’etica del CIoJ

La linea editoriale di Betapress è sempre stata quella della ricerca della verità a prescindere dalla corrente politica che vuole governarla.

Abbiamo sempre agito nella perfetta etica giornalistica e questo è il motivo per il quale ci siamo trovati subito in linea con l’etica del Chartered Institute of Journalists.

Condividiamo pertanto le parole e allo stato d’animo del prof. Crook e diamo loro massima divulgazione parafrasando il suo messaggio

Tutti noi  speriamo che tutto questo finisca e tutti i paesi in futuro saranno in grado di rispettare la democrazia e il diritto dei giornalisti di riferire liberamente e in sicurezza

Grazie Presidente.

 

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