il buio oltre la siepe

Nel suo famoso romanzo Harper Lee collega il problema del razzismo all’ignoranza, alla paura generata dall’ignoto, dal buio, dall’ignoranza appunto (nel senso di non conoscenza).

Si teme quello che non si conosce:

“Quasi tutte le persone sono simpatiche quando si riescono a capire.” è un adagio del libro per darci un messaggio di chiarezza, la conoscenza toglie le paure, la conoscenza unisce, la conoscenza illumina il cammino di qualsiasi uomo.

Nella traduzione italiana del titolo si è proprio forzato il concetto, evidenziando come i due bambini protagonisti del volume temessero tutto ciò che c’era oltre la siepe di confine della loro casa, perché appunto non sapevano cosa c’era, oltre la siepe.

Il titolo originale invece to Kill a Mockingbird , che letteralmente significa uccidere un uccellino (tordo americano), voleva indicare l’inutile violenza sugli indifesi, ma a nostro avviso il titolo italiano rispecchia meglio la pesante eredità che il libro ci lascia.

La conoscenza è la chiave di volta per unire i popoli e le generazioni.

La conoscenza è il patrimonio vero di un popolo, la sua unica arma di difesa in un mondo ormai saturo di non verità, di apparenza ma sopratutto di urlatori.

Come costruire e preservare questo patrimonio?

Come renderlo immortale?

Come farne un centro di convivenza civile?

Molto semplice, con una scuola efficace.

Proprio quello che il nostro paese continua a non fare!!

E persevera, gravemente colpevole, verso un baratro che è sempre più vicino.

Inutile affondare il coltello nella piaga dicendo che siamo all’ultimo posto o quasi in tutte le classifiche mondiali, della scuola, della digitalizzazione, della banda larga, dei laureati…

Inutile perché lo sappiamo benissimo.

E così succede che una scuola che non genera conoscenza, e quindi non aiuta il paese ad essere paese, non serve.

Si trasforma tristemente in un grosso centro di babysitteraggio altamente qualificato perché tutte le TATE sono laureate.

Anche le ultime indicazioni sulla ripartenza di settembre dimostrano chiaramente la paura della non conoscenza, infatti sono talmente ed incredibilmente aliene che non si capisce come siano state scritte.

Gli alunni che stanno fermi immobili nei banchi mantenendo le distanze come i soldatini di piombo, edifici che dovrebbero avere aule di 100 metri quadri, il mondo del distopico.

Il Paese però continua perdere nella battaglia di crescita mondiale, rimane indietro arranca sempre di più.

Cosa fare?

Di sicuro sarebbe il caso di smetterla di usare la burocrazia parlando di scuola; sarebbe anche utile mandare tutte e persone che parlano di scuola a lavorare nelle scuole, forse potrebbero parlare con causae cognitio, e quindi smetterla di fare robe inutili quando non dannose.

Sarebbe anche utile rivedere la rete di servizio del MIUR (oggi MI) per evitare che questa sovrastruttura sia come oggi è, dannosa ed inutile.

Sarebbe anche utile alzare lo stipendio al personale scuola tutto, chiedendogli in cambio la massima professionalità possibile,

sarebbe anche utile rivedere gli organi collegiali delle scuole ad oggi veramente inutili ed inutilizzati,

sarebbe anche utile rafforzare le competenze delle segreterie per non lasciare le scuole in mano a fornitori disonesti o quantomeno troppo orientati esclusivamente al loro guadagno,

sarebbe anche utile dare un obiettivo ai nostri ragazzi, sarebbe anche utile riempire di valore i titoli che diamo ai ragazzi, dalla maturità alla laurea, che oggi servono poco o a nulla,

sarebbe utile parlare della scuola del futuro che non può essere meetchatroomteams o dad on line, ma deve contenere un percorso pedagogico, deve essere modulare nei contenuti, deve approcciare certamente le nuove tecnologie ma non essere guidata da esse,

sarebbe anche utile che il mondo scuola smettesse di votare degli incompetenti ogni volta.

Come il buio oltre la siepe ci ha aiutato a capire che l’ignoto ci divide e crea forme di razzismo da quello classico a quello mentale, così oggi dobbiamo capire che la nostra società ed il nostro paese potranno salvarsi solo conoscendo, imparando, educando.

Smettiamo di distruggere la scuola, ci facciamo solo del male, cerchiamo di tarare meglio il nostro futuro, cerchiamo di affidare il futuro della scuola a chi veramente è in grado di sapere di cosa parla.

Vent’anni di incapaci sono troppi da reggere per un paese come il nostro, siamo al limite, cerchiamo di mirare meglio i nostri interventi e ricordiamoci che il Ciclope non chiudeva mai gli occhi quando prendeva la mira.

 

 

 

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CORRADO FALETTI

DIRETTORE RESPONSABILE

 

sdidatticamente parlando e non solo

Lo scollamento




“Il buio dietro il sole”: Franz Schubert

 

Stavo guardando ed ascoltando un breve video in cui Luca Ciammarughi veniva intervistato a Piano City Milano, quando mi è preso questo impulso di scrivere.

Luca ha, così, in tutta serenità e semplicità, dall’alto della sua disparata conoscenza musicale – schubertiana in particolare – espresso alcuni concetti e visioni che hanno perfettamente incontrato le stesse mie impressioni.

Impressioni e ipote­si che mi sono fatto a suo tempo, quando il mio percorso di studi musicali mi ha portato ad avvicinarmi “seriamente” alla figura di Schubert, affrontando la sua Sonata in La minore D784.

 

Non conosco molto della vita di Franz Schubert.

Senza vergogna aggiungo anche che credo di ricordare molto poco, e che quanto so è quel che si può trovare nei più comuni libri di storia della musica o affini.

Quel che ricordo sono bagliori isolati, concetti sparsi che, probabilmente, nel mio inconscio hanno un loro senso, seppur tratteggiato.

“Maestrino”, ricordo: un vezzeggiativo di cui tanti anni fa mi disse un mio maestro di pianoforte.

A quanto pare, così era spesso velatamente – ma neanche troppo – sbeffeggiato Schubert da certi suoi contemporanei: in un’epoca in cui il fantasma beethoveniano imperava ancora profondamente sul mondo musicale.

Ricordo di aver letto della “gavetta” di voce bianca di Schubert, della sua voce apprezzatissima e del suo amore per la vocalità, la quale, guarda caso, ha ispirato un numero a quattro cifre di lieder.

Ricordo che morì giovane, ahimè; ma come Mozart, lasciando a noi posteri una produzione disparata di musica di grandissima importanza.

 

Fino a una decina di anni fa del repertorio schubertiano – se si escludono le composizioni pianistiche arcinote come i due cicli di Impromptus, i Moments musicaux, la Wanderer-Phantasie, la Sonata D960 e i brani per duo a 4 mani come le Marce militari, la celebre Fantasia in Fa minore e il Divertimento all’ungherese – conoscevo più che altro la musica cameristica.

I quartetti d’archi primi su tutti, i cui i più noti Der Tod und das Madchen (La morte e la fanciulla) e Rosamunde non sono che due ovvi esempi.

Ma anche l’ultimo, pazzesco e meraviglioso, Quartetto in Sol maggiore D887 che, non mi si chieda il motivo, mi riporta spesso alle sfumature del Sestetto per archi n.2 Op.36 di Johannes Brahms (altro compositore di cui amo probabilmente più il lascito cameristico che di altro genere), specialmente nei momenti in cui il tono popolareggiante emerge più spiccatamente.

Conoscevo i due trii con pianoforte, opere monumentali dense e ricche di aspetti interessanti; l’incredibile Quintetto in Do maggiore, sempre per archi, e il ciclo liederistico Winterreise, un vero e proprio viaggio – appunto – non solo nel freddo dell’inverno, ma fuori dal tempo e dal corpo.

Ignoravo quasi tutte le sonate.

Ignoravo le sinfonie e ancor di più la musica sacra.

Ignoravo perché riconoscevo una mia personale fatica a entrare in vero contatto con l’autore, unita all’esiguità delle occasioni nelle quale poterlo ascoltare.

Come dicevo, è stato l’incontro-scontro con la Sonata in La minore D784 a dipanare alcune nebbie e avvicinarmi con un’altra disposizione d’animo alla figura poliedrica e alquanto misteriosa di Schubert.

La D784 non lo rese uno dei compositori più vicini al mio sentire, tantomeno mi fece innamorare perdutamente di tutto quel che ignoravo.

Ma, indubbiamente, creò uno spazio in più; mi diede un’ulteriore ricchezza che a sua volta mi regalò molto.

 

D’impatto potrei dire che Schubert, ben più di altri – per i quali sarebbe forse più ovvio o prevedibile dirlo – è un compositore con un non-so-ché di “inquietante”.

Anche quando ci propone una melodia dolce e pacifica, dalla fisionomia chiara, o un tema delicato e tranquillo, trasmette allo stesso tempo qualcosa di ombroso e sfuggente.

Non riferendo unicamente alla sonata della quale ho accennato, ma più in generale a tutta la sua musica.

Un po’ come Schumann, che di Chopin una volta disse “cannoni sotto i fiori”, di Schubert si potrebbe dire “il buio dietro il sole”: come un’ambigua smorfia di tensione che cerca di rannicchiarsi dietro un sorriso bonario, o una sorta di freddo alito dietro l’orecchio nel pieno di un momento di pace.

 

Mi torna alla mente una frase della cantante Björk: “la musica non è questione di stile, ma di sincerità”.

La musica schubertiana è non poco ambivalente: tanto schietta ed eloquente da un lato quanto metaforica ed “equivoca”, diciamo, dall’altro.

La rassegnazione che percepisco quando ascolto, ad esempio, l’apertura della Sonata D960 è qualcosa che non riesco ad ignorare: questo tema così morbido, semplice e pulito, mi restituisce anche un senso di accettazione “passiva”, di arresa, di abbandono a un triste destino forse già annunciato.

Schubert è capace di evocare, con lo stesso motivo, luoghi molto reali e terreni quanto piani molto più elevati e lontani.

La prima volta che ascoltai in disco la Sonata in La minore, interpretata dall’immenso Radu Lupu, rimasi sconvolto, nel primo movimento, dalla ripresa del secondo tema: quell’aura di semplicità popolare che lo rivestiva nell’esposizione si trasforma in qualcosa di ultraterreno, sognante ed elevato al suo richiamo, in La maggiore.

Questo canto rinasce estremamente timido, e dal punto più intimo dell’io; quasi di controvoglia, come se Schubert volesse tenerselo per sé ma si rendesse conto che ormai l’ha scritto e l’ha portato nel piano reale, e lo osservasse, da lontano, andare per la sua strada.

E’ quasi una preghiera, detta con unimi e semplici proprie parole, innocente come un bambino arrossato da un velo di vergogna.

 

E di nuovo nella D784 ho percepito un aspetto della musica di Schubert, aspetto che anche altri hanno sottolineato: il suo “camerismo”, se così si può dire, la vicinanza con la scrittura per quartetto d’archi o con quella dei lieder.

Spesso al limite della trascrizione.

Tale aspetto pone non di rado parecchi problemi e punti interrogativi con la tastiera, in quanto non sempre è possibile evocare pienamente certe sonorità con il pianoforte.

Diversi passi di questa sonata hanno immediatamente richiamato a me sonorità d’arco – lo stesso motivo iniziale, così essenziale e legato, enunciato con le mani all’ottava, ne è chiaro esempio – o anche di fiati e di voci.

Soltanto il finale può essere considerato un po’ più pianistico, seppure non manchino tessiture adatte a un possibile trio o a una linea di canto con accompagnamento.

 

Un’altra cosa di cui mi sono accorto, è che la musica pianistica di Schubert non cerca facili virtuosismi, non ama gli effetti strumentali fini a loro stessi, non ha del “biedermeier”.

In un contesto musicale come il primo romanticismo, dove i grandi dominatori della tastiera solcano gli orizzonti (e i palchi dei teatri, o i tappeti dei salotti più in voga), lui percorre e traccia una strada tutta sua, coraggiosamente.

Non ama le parafrasi, gli studi da concerto, le cascate di note vaporose e le scritture “di bravura”.

Trova il suo nutrimento in un terreno in cui l’eloquio narrativo è il fattore predominante.

Schubert si fa cantastorie di situazioni salottiere e di ritiri al limite dell’ascetico.

E’ qui che sento – almeno personalmente – quella sua profonda radice del canto, quella sua voce bianca.

E’ qui che mi accorgo dell’agilità melodica e della disinvoltura costruttiva e discorsiva di Schubert.

Cose che, un po’ più avanti, adotterà il già citato Brahms, il quale ripudierà i funambolismi dei lisztiani (al limite dell’addormentarsi ascoltandoli) e cercherà, nel riappropriarsi di forme più classiche e convenzionali o in un rievocato rigore contrappuntistico, i punti di forza della sua poetica musicale.

Così pare essere Schubert, che fra terra e cielo, inquietudine e riposo, rarefattezza e intensità, rinuncia a tutto ciò che sembra non essergli necessario, curandosi invece di portare avanti l’essenza, l’anima indispensabile della musica.

 

 

 

 

 

 

 

 

 

 

 

Andrea Rocchi




Scuola: numeri e sciocchezze

La stupidità è il motore del mondo.

I politici, gli uomini di marketing, i religiosi, i personaggi dello spettacolo, campano tutti, chi più chi meno, sulla stupidità umana.

(Luciano De Crescenzo)

Cadono le braccia nel leggere il documento partorito dal Comitato tecnico scientifico sulla scuola, Miur permettendo perché ormai viene da chiedersi se il MIUR sa cosa è la scuola.

Metà del testo ci informa su dati statistici e numerici che conoscevamo già.

L’altra metà è un articolato invito a lavarsi le mani e a tenere le distanze.

Non c’è alcun respiro futuro su cosa la scuola potrà essere, da settembre, dopo questa lunga claustrofobia.

Speravamo di più da dotti, medici e sapienti, ma non c’è stato nulla da fare.

Gli edifici scolastici di più recente costruzione sono 21mila.

Per recente, si intende edificati dal 1976 in poi, quasi cinquantanni, 23.800 invece sono stati tirati su tra il 1946 e il 1975.

Altri 3.800, infine, stanno in piedi dal 1920.

Siamo proprio sicuri che distanziamento sociale, ridefinizione della numerosità delle classi, differenziazione dell’inizio delle lezioni, rimodulazioni/riduzioni orarie, uso degli spazi esterni, distanziamento di due metri in palestra, e ci fermiamo qui, sia tutto possibile in scuole così vecchie, in moltissimi casi?

Qualcuno del Comitato tecnico scientifico ci ha messo piede (con i dovuti accorgimenti, non sia mai) nelle scuole di cui si parla?

Il tempo c’era, non solo per mettere insieme le carte.

I ragazzi devono stare a distanza di un metro e si parla di 4 metri quadrati per alunno.

Ma qualcuno si è preso la briga di moltiplicare i 4 m. per ogni alunno che frequenta e di verificare che metratura dovrebbero aver le scuole?!?

E se lo spazio, come è evidente, non c’è, che si fa?

Si usano i banchi con doppio posto mettendocene uno, ma a quel punto si deve ridurre la numerosità della classe di un terzo.

E dove i ragazzi stavano già stretti, come la mettiamo?

Si moltiplicano le sezioni, si ricomincia con classi da quindici, per cui, magari alle superiori, dove avevano iniziato in 25, dal prossimo anno si farà la seconda ginnasio A1 e A2?

E poi, come si riuscirà a rispettare l’indicazione del Cts quando dice che “nella prospettiva della riapertura delle attività didattiche in presenza la modalità a distanza potrà rappresentare un momento integrativo e non sostitutivo, diversamente applicato e commisurato alle fasce di età degli studenti”. 

Un modo per dire tutto e non dire niente, perché se è integrativo, non potrà essere prevalente, come sta accadendo ora.

Ma tornando un passo indietro: ai presidi che in questo momento stanno formando le classi prime, alle medie come alle superiori, qualcuno ha dato indicazioni dal ministero di viale Trastevere?

Perché si può dire come un mantra di voler eliminare le classi pollaio, ma se non si fa una legge i dirigenti scolastici devono attenersi a quella che c’è.

Per quanto dividono al fine di formare le classi?

Per 15, per 10, per 20 o per 25/28 come sono stati costretti a fare ormai da quasi vent’anni?

Quando la scuola ricomincerà, dal primo settembre (poi si vedrà regione per regione), i docenti dovranno occuparsi del recupero dei ragazzi con il debito e leggersi i Pai (Piani di apprendimento individuale) richiesti dalla ministra Azzolina per moltiplicare la burocrazia cartacea della scuola (Bes, Dsa, Pdp. Pei…).

E, nello stesso tempo, dovranno avviare, si presume, l’anno scolastico per le loro classi.

Il come, quanti a distanza, quanti in presenza, quante classi?

Boh. Quel che si capisce bene dal rapporto è che tutto dovrà essere pulito e continuamente ripulito: sanificazione, mani pulite, mascherine (che a questo punto qualche ragazzo se la terrà anche a distanza).

Dispenser sì, termoscanner no (farsi misurare la temperatura all’ingresso non è obbligatorio, come non sono obbligatorie le mascherine fino a sei anni di età se si va a scuola).

Quanto al rispetto della 626, siamo a posto?

Sa qualcosa il Cts?

Hanno chiesto al ministero se tutte le scuole sono a posto con i precedenti criteri di sicurezza e quante invece aprono ancora in deroga?

Quanti lavori di ristrutturazione sono stati appaltati, quanti iniziati, quanti ancora a livello progettuale?

Per tutto quello che di avveniristico si deve fare nella scuola futura viene da immaginare che, con la spinta del governo, finalmente risolto a decidere cosa sia prioritario o cosa no (la scuola è frequentata tra docenti e studenti da quasi 8 milioni e mezzo di persone), ci sia un brulicare di attività, di cantieri, di confronti in corso, che da questo momento in poi non si parli d’altro e non si faccia altro che quel che possa darci una certezza a settembre.

Ma, per caso voi vedete qualcosa in giro?

Se sì, ditecelo, dateci un segnale di speranza. 

Infine.

Si parla (ma anche qui siamo ancora alla chiacchiera da bar) di ore di lezione ridotte a quaranta minuti.

E’così? Sarà così?

I professori hanno un contratto di 18 ore.

Togliendo 20’ ogni ora rimarrebbero 360’ da recuperare dunque altre 6 ore da svolgere.

Avranno altre classi, quindi, un aggravio di consigli di classe, ricevimento genitori e quant’altro?

Qualcuno al Miur si sta occupando degli effetti della didattica a distanza (perché passato il momento del “quanto è bello stare a casa”, ci sono ricadute fisiche e mentali di cui tener conto, e questo vale per tutte le categorie in smart working, naturalmente).

Ci vorrà una normativa anche qui o facciamo un eterno stato di eccezione?

Adesso ci dovrà essere un documento della task force del ministero.

Qualcosa è già trapelato e non siamo molto lontani da quanto ha scritto il Cts.

Ma avere fiducia non costa niente…

 

 

 

 

 

 

 

 

 

 

 

 

sdidatticamente parlando e non solo

 

Rosolino Cicero: la DAD non è di sistema…

 

 




DAD: conta ancora il fattore umano

dad

Finalmente, siamo arrivati alla fine di un rocambolesco anno scolastico.

L’emergenza Covid 19 ha imposto lezioni a distanza, verifiche on line ed esami finali di terza media ridotti ad un percorso inderdisciplinare caricato su una piattaforma digitale e presentato dietro uno schermo.

E come accaduto per la didattica, anche gli esami hanno risentito dei problemi dovuti alla difficoltà, per molti studenti, di accedere alla rete e di usare con regolarità il pc

Problemi di connessione e scarsità di strumenti, anche perché, magari l’unico computer di casa serviva al fratello liceale o ai genitori in smart-working.

Problemi di relazione, perché, a volte, è stato perfino impossibile interfacciarsi, seppur attraverso uno schermo, con docenti e compagni di classe.

Qualcuno di loro, proprio per questi motivi, ha anche rischiato di non poter sostenere il proprio esame di terza media.

Come un’alunna, la cui storia è diventata emblematica.

Emblematica del disagio di tanti alunni penalizzati dalla Dad, ma anche emblematica della responsabilità e della professionalità di tanti docenti che hanno fatto, di tutto e di più, per contenere e fronteggiare questo problema.

Come redazione di betapress, abbiamo intervistato il prof. FERNANDO BONESSIO, un professore di educazione fisica, ormai prossimo alla pensione.

Questo docente romano, più precisamente delle scuole medie dell’I.C. Poggiali-Spizzichino, è diventato protagonista, suo malgrado, come lui stesso ha dichiarato, di un coraggioso intervento per salvare l’esame di una sua alunna.

Alunna extracomunitaria disagiata che non riusciva ad accedere alla piattaforma per sostenere a distanza la presentazione dell’elaborato.

Betapress- Buongiorno, prof. Bonessio, innanzi tutto ci racconti cosa è successo…

Bonessio- Ieri, una 14enne originaria dell’Ecuador che frequenta l’ultimo anno delle medie all’istituto Poggiali-Spizzichino della Garbatella, doveva discutere l’elaborato finale.

Betapress- Per i nostri lettori, spieghiamo bene in cosa consiste quest’anno affrontare gli esami di terza media…

Bonessio- Come migliaia di alunni di tutta Italia, per la prima volta nella storia scolastica italiana, quest’ alunna doveva discutere l’elaborato finale on line.

Praticamente doveva presentare, dietro uno schermo, una tesina che raccordava diverse materie scolastiche, tesina imposta, come ultima prova dal ministero dell’Istruzione, per svolgere gli esami nelle scuole di I grado ai tempi del coronavirus. 

Betapress- Com’è andata? Ci sono stati problemi?

Bonessio-  Fin dal mattino, la mia alunna, che era in casa da sola poiché il padre era andato al lavoro, non riusciva a connettersi con la propria classe e con la commissione.

Betapress- Mi scusi, e la madre?

Bonessio- La ragazzina è arrivata due anni fa in Italia, solo con il padre, che fa il badante, e la madre è rimasta in Ecuador.

Purtroppo, sono sempre più frequenti dei casi simili in un contesto sociale come il nostro, con una forte presenza di alunni extra-comunitari.

Betapress- Ed allora, cosa è successo?

Bonessio- Nonostante tentativi su tentativi che sono durati l’intera giornata, la ragazza non è riuscita ad accedere alla piattaforma usata dalla scuola.

Betapress- Dunque, cosa avete fatto?

Bonessio– La commissione ha iniziato a ragionare su come permettere alla ragazzina di svolgere la prova, ma non se ne veniva a capo, anche il tentativo di cambiare piattaforma si è rivelato inadeguato, il problema era proprio la connessione insufficiente.

Betapress- Allora?

Bonessio– Quando, raggiunta telefonicamente dalla mia collega di musica, ho sentito che la mia alunna stava per crollare in una crisi di pianto, ho deciso di fare quello che normalmente si dovrebbe fare…

 Betapress- Cioè?

BonessioMettersi dalla parte degli alunni e garantire il loro diritto all’ istruzione, in questo caso il loro sacrosanto diritto a sostenere l’esame, anche ai tempi del Coronavirus.

Così, ho preso in mano la situazione: mi sono alzato, ho tirato fuori dallo zaino le chiavi della macchina e con la mia collega di musica da Garbatella sono arrivato al quartiere di San Giorgio ad Acilia.

Betapress- Perché così lontano?

Bonessio– Perché la ragazza abita in questo quartiere periferico verso Ostia, ma il padre l’aveva iscritta da noi, alla Garbatella, in quanto più comodo e vicino al suo posto di lavoro.

Betapress- Ed i suoi colleghi come hanno reagito alla sua iniziativa?

BonessioNon hanno avuto modo di dissentire, perché, scherzosamente, ma non troppo, li ho minacciati di denunciarli tutti per interruzione di pubblico servizio, nel caso in cui avessero abbandonato il collegamento on line.

Betapress- Dunque?

Bonessio– Ho citofonato alla nostra alunna che è scesa di casa e dal bar con il mio cellulare, connesso con la commissione d’esame, ha potuto discutere il suo elaborato. 

Una storia a lieto fine che tuttavia dimostra i limiti e le difficoltà che migliaia di docenti e alunni hanno dovuto affrontare in questi mesi di didattica a distanza. 

Allora, abbiamo voluto saper qualcosa di più, su questa benedetta, maledetta DAD…

Betapress- Ci dica sinceramente, prof. Bonessio, alla luce anche di questa storia, com’è andata la Dad?

BonessioLa Dad ha incrementato i cronici problemi dell’universo scuola, primo tra tutti la mancanza di formazione e di aggiornamento dei docenti.

E poi le enormi differenze nelle condizioni socio- economico- culturali degli alunni.

Betapress- Alla vigilia della pensione, dopo 43 anni di servizio, cosa non sopporta più della scuola dei nostri giorni?

Bonessio- La burocrazia. Pensi che, proprio per riprendere quanto ho appena raccontato, la commissione aveva anche suggerito di provare ad usare un’altra piattaforma, ma qualche docente si è opposto per motivi puramente burocratici.

Betapress- Cioè?

BonessioSecondo alcuni docenti, avremmo dovuto aspettare il beneplacito del Dirigente Scolastico, perché, se la classe aveva scelto fin dall’inizio della didattica a distanza una piattaforma, su quella bisognava svolgere l’esame…

Ma, io dico, l’alunna al telefono con la mia collega di musica, stava per piangere, e noi per un cavillo burocratico, dovevamo restare immobili?!?,

Mi sono detto, se l’alunna non viene da noi, andiamo noi da lei!

Ed allora, noi di betapress, diciamo “Averne di professori così!”

 

Perché, diciamola tutta:

In questi mesi di emergenza dovuta alla pandemia del coronavirus con le scuole chiuse e la didattica che è proseguita da remoto, l’impegno degli insegnanti e anche dei ragazzi, è stato enorme, ma molti insegnanti non hanno compreso come la didattica a distanza abbia sì, un valore formativo, ma non valutativo.

C’è una differenza sostanziale, perché il docente deve distribuire a tutti gli stessi apprendimenti e solo a quel punto valutare se i ragazzi hanno recepito oppure no.

Ma come in questo caso, come garantire questa consequenzialità quando le lezioni stesse non possono svolgersi con regolarità oppure non tutti gli studenti possono parteciparvi? 

Chiudiamo ancora con la testimonianza del prof. Bonessio, il “professore missionario” della nostra storia:

«C’è un tema anche di risorse – aggiunge il professore di educazione fisica – perché il non poter accedere alla rete, a una connessione, può nascondere a volte anche gravi problemi economici di molte famiglie.

Nel caso della mia alunna, ho capito che andarle incontro fisicamente, era l’unico modo per aiutarla».

Non potendo andare a scuola, la scuola è andata da lei.

Ma allora, perché quelli del Miur non riuscendo a risolvere i problemi della scuola italiana, non la smettono di partorire soluzioni burocratiche lontane anni luce dalla nostra vera realtà sociale?

Realtà sociale fatta di differenze economiche, problemi strutturali e deficit sistemici della nostra scuola…

Non ci stancheremo mai di dirlo, una vera riforma scolastica, deve partire dal basso, da un report come quello che vi abbiamo raccontato…

 

  

 

 

 

 

 

 

 

Riaprire la Scuola

La DAD non è sistema?

 




DADOUT: burnout telematico

 

Era previsto che, a partire dal 5 marzo 2020, i docenti fossero soggetti ad una fase di stress senza precedenti, ma la realtà supera la fantasia.  

La chiusura tempestiva delle scuole, l’introduzione della didattica a distanza (che ha trovato molti impreparati), le ordinanze ministeriali a singhiozzo, il disagio delle famiglie, la mancanza di strumenti e supporti adeguati, la gestione della privacy, i problemi della valutazione…

Tutti questi fattori hanno creato un cocktail di stress notevole per il personale scolastico, con un generale incremento del BURNOUT a tutti i livelli, tra dirigenti, personale amministrativo, ma soprattutto docenti.

Gli addetti ai lavori del mondo scuola, volendo e dovendo risolvere tutti questi problemi (e molti altri ancora) a tempi record, hanno dovuto gestire e smaltire un pressing continuo.

Di giorno con giorno, a presidi, vicepresidi e prof. sono state richieste conoscenze allargate, competenze aumentate, abilità raggiunte, che, non solo non erano previste prima del Covid 19, ma si sono diversificate e durante tutto il lockdown.

Così, nel corso di tutta la DAD, è stato frequente il problema della gestione dei tempi/lavoro con il risultato che, soprattutto gli insegnanti, si sono ritrovati a lavorare ad orario continuato (non dico 24 ore su 24 e 7 giorni su 7, ma quasi!) non riuscendo a staccare mai la spina.

Poi, c’è stato il continuo adeguarsi agli eventi, ma soprattutto alle circolari ministeriali.

E qui bisogna considerare il fare e disfare del MIUR che, a suon di ordinanze, ha inventariato tutte le soluzioni possibili, per poi contraddirsi, da solo, nei fatti, testimoniando la stessa non applicabilità delle soluzioni proposte.

Infine, in questi ultimi giorni di salti mortali per gli esami imminenti, chi la scuola la vive con coscienza e professionalità, non sa come comportarsi tra scrutini virtuali ed esami raffazzonati.

Perché, anche qui, tra varie notizie divulgate e diverse soluzioni adottate, uno non sa più come comportarsi con gli studenti e come definire le valutazioni.

Secondo quanto emerge nei vari gruppi social, possiamo evincere una serie di situazioni critiche che hanno accentuato non poco lo stato di salute degli insegnanti e stanno esplodendo in questo gran finale dell’anno scolastico.

Il generale malessere psico-fisico è derivato dal fronteggiare l’uso di strumenti nuovi, quindi la preparazione di materiale didattico utilizzabile nella didattica a distanza.

Diversi docenti si sono sottoposti a troppe ore di attività davanti al PC (per produrre materiale, fare lezioni e correggere verifiche) lamentando problemi alla vista e dolori alla schiena.

Altri hanno dovuto studiare nuove strategie didattiche, aggiornarsi, cercare in rete strumenti nuovi per risolvere i vari problemi, sostenendo a proprie spese formazione e connessione.

Alcuni hanno dovuto fronteggiare in casa lo stress da coronavirus, vivendo in famiglia la malattia e la morte dei propri cari.

Altri docenti, con figli in età scolare, hanno dovuto seguire i figli e contendersi con loro il computer, quindi lavorare il doppio e produrre di meno.

Da non dimenticare, per alcuni docenti, l’uso di strumenti tecnologici in modo inadeguato, anche per via dell’improvvisazione che li ha visti impreparati, quindi l’enorme dispendio di tempo ed energie.

 

Costante è stata la mancanza di momenti di relax, uscite, svago, passeggiate ed ogni altra attività che consentisse di rilassare la mente.

I ritmi infernali cui spesso i docenti sono stati sottoposti dai dirigenti che più volte hanno cambiato strategie e piattaforme hanno poi completato il quadro generale.

I docenti sono allo stremo delle forze, perché non solo devono affrontare nuove modalità didattiche e relazionali, ma il contesto in cui agiscono è evoluto da emergenza sanitaria a emergenza sociale
E proprio adesso che ci si aspettava un periodo di riposo estivo per recuperare le energie, ecco che arriva l’ultima ordinanza ministeriale, apocalittica, su come ritornare a scuola a settembre.

E qui, altro lavoro preparatorio ed organizzativo prima, e gestionale dopo, con evidenti problemi di responsabilità, oggettiva e soggettiva, per vigilare e monitorare…

Ma, di questo, ve ne parleremo la prossima puntata…

 

 

 

 

 

 

 

 

 

Rosolino Cicero: la DAD non è di sistema…

sdidatticamente parlando e non solo

Sdidatticamente parlando… ovviamente a distanza.

 




Pessimismo: il fil rouge tra graffitismo e vandalismo

 

Assistiamo in questi giorni ad atti vandalici nei confronti di statue come ad esempio quelle di Cristoforo Colombo a Richmond e a Minneapolis che sono state abbattute e a Boston e a Miami che sono state danneggiate.

Le proteste negli Stati Uniti sono sempre più intese anche in seguito alla morte di George Floyd, l’uomo afroamericano ucciso a Minneapolis.

A macchia d’olio, come il Covid-19, si diffonde la distruzione.

A Bristol viene gettata in mare la statua del filantropo Edward Colston.

A Londra la statua di Winston Churchill e a Milano quella di Indro Montanelli sono state imbrattate.

Si distrugge forse per costruire?

Ma gli atti vandalici sono l’unica modalità per ricominciare?

Ci troviamo di fronte ad una pandemia che sta contagiando le statue di tutto il  mondo.

La distruzione potrebbe essere simbolo di un grave sofferenza sia fisica che psichica che sta colpendo l’umanità.

Osserviamo il declino di un mondo in conflitto dove l’unica modalità per rinascere è la fine di tutto o di una parte del tutto.

Il fenomeno al quale stiamo assistendo è manifestazione di un’aggressività e di un malessere che si  esprimono attraverso atti distruttivi eterocentrati.

È risaputo che, anche nell’arte, il fenomeno della distruzione è rilevante e in questo  caso espressione di un’aggressività e di un malessere autocentrati e specchio del disagio sociale.

Ne è esempio l’artista Banksy che ha distrutto, tramite un meccanismo inserito nella cornice, la sua opera “Girl with balloon” durante la vendita della stessa alla casa d’asta Sotheby’s.

L’opera distrutta dell’artista di Bristol, ribattezzata “Love is in the bin”, è rinata con questo clamoroso gesto in nuova forma.

Banksy quando realizza i graffiti per cui è noto, oltre a non farsi riconoscere, deve  anche badare a non farsi catturare dalle forze dell’ordine.

Impiega così la maggior parte del suo tempo a ritagliare sagome che poi utilizza solo per pochi minuti quando  dipinge con spray acrilico i muri dei palazzi.

L’atto vandalico in questo caso diviene opera d’arte perché è legittimato dalla società in quanto prodotto artistico.

Naturalmente, se Banksy venisse scoperto, rischierebbe l’arresto come è successo ad artisti come Haring.

Ci chiediamo se il graffito nella sua forma illegale, cioè quando non si hanno i permessi per realizzarlo e quindi danneggia una proprietà, sia espressione di una  denuncia sociale ove prevale un atteggiamento pessimistico nei confronti della società.

Banksy mette in atto un tentativo di rivoluzione contro ciò che è vissuto come ingiusto e riconosce la sofferenza dell’uomo passando da un processo introspettivo  caratterizzato dal pessimismo ad una ribellione, proponendo una forma d’arte peculiare.

Ma distruggere una statua è forse espressione di un vissuto pessimistico dove il  vandalismo prevale come ritorno ad una modalità primitiva di risolvere i conflitti? 

Distruggere le statue di personaggi del passato può servire per ricostruire?

Sono questi gli interrogativi che ci poniamo.

Possiamo sostenere che il fil rouge che unisce coloro i quali compiono un atto vandalico su delle statue a coloro che realizzano un graffito sui muri sia l’atteggiamento pessimistico nei confronti della società.

Tutto ciò ci riporta alla poetica di Leopardi dove prevale il tema centrale della condizione umana. Scrive Leopardi nello Zibaldone:

“La ragione è nemica d’ogni grandezza; la ragione è nemica della natura; la natura è grande, la ragione è piccola”.

Ed è così che Leopardi elabora il concetto di “pessimismo storico”.

Troppo progresso ha permesso alla ragione di prevalere sulla natura e la visione del  mondo che ne consegue è pessimistica.

La fragilità dell’uomo che vive un malessere senza precedenti è esplicativa di ciò che sta succedendo in questo momento.

Ma la visione del mondo di Leopardi segue un mutamento e il pessimismo si addolcisce nella speranza di un recupero della lealtà e  dell’equilibrio.

Solo questi valori possono permettere un recupero della solidarietà umana.

 

 




Vicepresidi forse una tutela in più…

Riconoscimento sindacale per Ancodis Palermo

ANCODIS: il futuro dei Collaboratori dei DS e delle figure di sistema

verso l’orizzonte sindacale.

Durante il lockdown, nella scuola, c’è chi ha lavorato, non solo di più, ma anche meglio.

Per esempio, i vicepresidi, o meglio i Collaboratori dei Dirigenti Scolastici.

Mai come in questi ultimi tempi, i vicepresidi hanno dato prova del loro ruolo fondante di ogni istituto scolastico, chiamati ad assumere incarichi pressanti, sul piano dell’organizzazione dei servizi, del funzionamento didattico, della sicurezza e della prevenzione in tutti gli ambienti scolastici.

Da tre anni, esiste ANCODIS, l’Associazione Nazionale dei Collaboratori dei Ds.

Nei mesi scorsi, l’ANCODIS ha svolto un importante questionario tra i suoi iscritti.

La raccolta dati serve per definire una nuova identità degli iscritti, ma anche per focalizzarsi sugli obiettivi e sulle proposte che l’Associazione si troverà a definire a tre anni dalla sua costituzione.

A tale proposito, come redazione di betapress, abbiamo intervistato il prof. ROSOLINO CICERO, Presidente dell’ANCODIS Palermo.

BETAPRESS– Buongiorno, prof. Rosolino, cominciamo dal definire che cos’è l’Ancodis…

CICERO– L’Ancodis è la realtà rappresentativa dei Collaboratori dei DS che assumono incarichi sul piano dell’organizzazione dei servizi, del funzionamento didattico, della sicurezza e della prevenzione in tutti gli ambienti scolastici.

BETAPRESS– Chi sono gli iscritti?

CICERO– Oggi Ancodis, tra i suoi iscritti, rappresenta per oltre il 50% i Collaboratori noti come “Vicepresidi”, e con percentuali variabili i cosiddetti Secondi Collaboratori, i Responsabili di plesso ed i Collaboratori dei DS in genere.

BETAPRESS– Sono docenti con una certa esperienza alle spalle, immagino…

CICEROL’83% ha un’anzianità di servizio di oltre 15 anni, circa il 10% compresa tra i 10 ed i 15 anni e poco meno del 7% una anzianità minore di 10 anni.

BETAPRESS– C’è spazio anche per nuove figure professionali dell’universo scolastico?

CICEROAncodis ha chiesto agli iscritti di pronunciarsi sull’apertura alle FF.SS, agli Animatori digitali, ai RSPP se docenti, ai Coordinatori per l’inclusione, ai Coordinatori di dipartimento riscontrando un significativo assenso: dal prossimo anno scolastico, dunque, l’adesione sarà possibile anche a queste figure.

BETAPRESS– Quali sono gli obiettivi dell’Ancodis?

CICERO– Per quanto riguarda gli obiettivi, dopo i primi tre anni dedicati alla costituzione della comunità dei Collaboratori, la priorità sarà data alla costruzione di una governance scolastica nella quale chi vuol farne parte deve avere una specifica formazione in gestione, direzione, coordinamento didattico, prevenzione e sicurezza di sistemi complessi come una scuola.

BETAPRESS– Ma questa governance scolastica avrà anche un’identità normativa?

CICERO– Certamente!

Ancodis propone l’istituzione di un nuovo documento associato al PTOF – il Piano Organizzativo e Gestionale (POG) – nel quale il DS determina per un triennio gli obiettivi per il funzionamento dell’Istituzione ed individua anche le figure di sistema secondo i principi di efficienza ed efficacia in un clima collaborativo ed aggregante.

BETAPRESS– Perché è così importante il ruolo del vicepreside?

CICERO– Nel moderno organigramma scolastico è ineludibile – anche per colmare un ventennale vulnus giuridico – l’istituzione di una figura denominata “Collaboratore principale” che in caso di assenza o impedimento del DS lo sostituisca a tutti gli effetti ad esclusione degli atti di natura contrattuale, negoziale, nelle relazioni sindacali.

BETAPRESS– Ma come è possibile conciliare l’attività d’insegnamento con l’incarico di vicepreside?

CICERO– Per tale figura occorre prevedere il distacco dall’attività di docenza con la razionalizzazione dei posti per il potenziamento dell’offerta formativa ai sensi dell’art. 1 comma 14 punto 2 lett. b della Legge 107/2015. 

BETAPRESS– Prof. Cicero, ci parli di questa nuova proposta avanzata dall’Ancodis…

CICERO– In merito alle proposte, è arrivato il tempo di determinare nel prossimo CCNL il riconoscimento contrattuale dei Collaboratori e delle figure di sistema in una nuova area (i QUADRI ai sensi del comma 1 art. 2 Legge 190/1985) con specifico profilo professionale, attività lavorativa ed orario di servizio, trattamento economico, carriera; tra essi si individui il Collaboratore principale con formale riconoscimento per la sostituzione del DS assente (ai sensi del vigente contratto Area Dirigenza scolastica) o per la collaborazione al DS reggente e – se delegato – per la presidenza nella Commissione di esami.

BETAPRESS– Quali sono i requisiti per questa figura professionale?

CICEROPer l’accesso all’area si propone di prevedere un’anzianità di servizio di almeno tre anni e l’obbligo di frequenza ad un percorso annuale di formazione e di specializzazione, anche universitaria, su temi relativi ai modelli organizzativi e gestionali nella PA, al diritto del lavoro, alla gestione delle risorse umane, seguito da un tirocinio conclusivo di un anno.

BETAPRESS– L’ Ancodis si propone anche di diventare un’organizzazione sindacale

CICERO– Esattamente!

Oltre l’80% degli iscritti ha deciso di far evolvere l’Associazione in una O.S. che rappresenti e tuteli la professionalità dei Collaboratori dei DS e delle figure di sistema con la possibilità di confederarsi con altre OO.SS. ma restandone autonoma.

BETAPRESS– Quanti sono indicativamente i docenti che svolgono il ruolo di vicepreside?

CICERO– Nel sistema scolastico italiano sono almeno 80000 i docenti coinvolti nel ruolo di collaboratori dei D.S.

Essi rappresentano una componente essenziale per l’organizzazione ed il funzionamento didattico di una autonoma Istituzione scolastica.

Ecco dunque le proposte concrete che Ancodis sottopone ai suoi interlocutori e le scelte che aprono nuove strade, a partire da quella sindacale.

Noi, come redazione di betapress non possiamo che divulgare questa importante novità del sistema scolastico italiano, sottolineando che, ancora una volta, la città protagonista è PALERMO.

 

 

 

 

 

 

 

 

 

 

 

 

ANCODIS: alla ricerca del vicepreside perduto…

Presidi e Vicepresidi: Tutti in “ferie” per protesta!!

Dirigenti Scolastici, Vicepresidi, DSGA, ATA, Collaboratori scolastici, eroi incompresi




CONCORSO DSGA, COME SEMPRE UNA VERGOGNA ASSURDA!!!!

Scrivere questo articolo è difficile perché dovrò cercare di non usare parolacce che invece sarebbero necessarie a iosa.

Il concorso per il ruolo di DSGA è stato bandito nel 2018 e solo ora sta arrivando malamente alle conclusioni.

Malamente perché era già partito vergognosamente.

Il ministero dell’istruzione università e ricerca ( si lo so che adesso è stato diviso in due, ma la cosa non cambia nella stupidità e nella vergogna delle azioni intraprese), ha tenuto delle persone a svolgere il ruolo di dsga (i vecchi segretari delle scuole ora direttori dei servizi generali ed amministrativi, dsga appunto) anche per più di dieci, anni senza riconoscergli il ruolo; ovvero questi poveretti di anno in anno venivano nominati su posto vacante ed incaricati di svolgere il ruolo senza, ovviamente, l’adeguamento di stipendio e senza una sicurezza sul loro futuro.

Ad un certo punto il MIUR si è reso conto che rischiava la paralisi delle scuole visto che i DSGA andavano via via in pensione e non venivano più sostituiti, ed ha quindi avviato il concorso per il ruolo di DSGA, ma attenzione attenzione, non ha assolutamente considerato chi il ruolo lo svolgeva  già da anni!!!

Questi DSGA veri e reali, ma non formali, sono stati trattati dal MIUR come pezze da piedi, usati e poi gettati, non considerati e usati alla stregua di un qualsiasi schiavo che per anni ha svolto il ruolo, ma che alla fine  viene abbandonato con un calcio in quel posto e nemmeno con un grazie buttato lì.

Il MIUR ha bandito un concorso senza neppure pensare che se queste persone da anni stavano svolgendo il ruolo forse meritavano di essere confermati nel ruolo stesso, senza subire l’umiliazione di un concorso pubblico pesante e difficile (ma anche molto assurdo nella sua composizione), da intraprendere con sulle spalle una scuola intera (infatti chi svolgeva il ruolo da “precario” comunque aveva da fare il suo pesantissimo lavoro).

Non dimentichiamo che il lavoro da DSGA all’interno delle scuole, se fatto bene, è pesantissimo, complicatissimo e senza grandi supporti.

Ma nemmeno a questi, oltraggioso ed assurdo, il MIUR ha riconosciuto, che ne so, un punteggio in ingresso, un concorso riservato, un qualche modo per tenere persone con una competenza che nella scuola si costruisce solo con anni di lavoro; nulla, buttiamo via dedizione, competenza, lealtà, ma sopratutto stato bipolare, per dieci anni li nomini dsga gli fai fare il lavoro, li sfrutti e poi li butti via il giorno dopo.

MA CHE VERGOGNA INAUDITA.

Ancora più vergognoso che nessun sindacato abbia fatto nulla ma si sia solo arricchito con i corsi di preparazione al concorso.

Quindi tutti questi nostri leali dipendenti dello stato sono stati presi a pesci in faccia, e va bene, hanno dovuto fare il concorso senza un minimo di riconoscimento, ma attenzione un concorso che era aperto a tutti, quindi tutti questi si sono trovati al fianco giovani neolaureati con magari un sacco di tempo per prepararsi, o talmente freschi di studio che riuscivano ad affrontare le prove con meno difficoltà.

Ora a parte questa situazione che è vergognosa, veniamo al concorso.

La Lombardia ha esposto i risultati delle prove scritte dopo le prove preselettive:

su 102.000 domande pervenuto per 2004 posti in tutta Italia, la Lombardia è riuscita a far accedere all’orale 207 candidati per 451 posti, quindi all’orale sono arrivati il 50% dei necessari per coprire i posti.

Ma che minchia fate????????????? (e qui mi è scappata la parolina ma era impossibile non dirla)

 

ma fate invece una graduatoria da cui attingete per i posti vacanti e poi per le sostituzioni…

E poi sembra che qualcuno sia riuscito a comprare le domande dello scritto… ma dai!!!!

Ed ancora a far capire che c’è del marcio in Danimarca, oggi l’USR Lombardia ha incitato tutti i candidati a non mandare gli accessi agli atti, che ieri sono arrivati in quantità industriale, via PEC ma solo tramite posta ordinaria, in netto sfregio agli articoli del Codice dell’Amministrazione digitale, e solo con il modello che dicono loro e solo con le modalità che dicono loro!!!!

MA CHI INCITA A VIOLARE LA LEGGE NON COMMETTE REATO???????

Ma stiamo scherzando!!!!!!

Ma la fatica di tutti i candidati alle prove, sia che fossero DSGA facenti funzione o semplici nuovi aspiranti nessuno la considera?????

Le griglie di valutazione erano troppo “libere” ( se hai scritto troppo ti “seghiamo”, era PER ESEMPIO un valore della griglia), ma qui dobbiamo richiedere un intervento forte degli organismi inquirenti, basta con questi concorsi, i primi che non li sanno fare sono chi li organizza.

VERGOGNA, VERGOGNA,VERGOGNA.

 

QUESTO E’ SOLO IL PRIMO ARTICOLO DI UNA SERIE, NON CI FERMEREMO QUI, BETAPRESS Andrà AVANTI ED APPROFONDIREMO IL PIU’ POSSIBILE QUESTA VERGOGNOSA STORIA, COME ANCHE IL CONCORSO 2017, CHIUNQUE VOGLIA CONTATTARCI O SEGNALARCI QUALCOSA O DIRE LA SUA SCRIVA A

INFO@BETAPRESS.IT

 

 

 

 

 

 

 

 

 

 

 

Concorso DSGA: note di malcostume italiano

 




Lo scollamento

Si parla con la gente, noi giornalisti, e si ascoltano molte cose, e magari le si capiscono, certo se si ascolta.

Ma noi giornalisti siamo una razza particolare, ormai siamo diventati preda dei click e dei clack, dei social e delle visualizzazioni.

Tanti anni fa quando collaboravo con le redazioni di giornali, quelli di una volta, quelli che gli articoli li dovevi scrivere entro le ventuno perché poi si andava in stampa, quelli che un articolo lo valutavi se per strada la gente si fermava e lo commentava, o se ti arrivavano le lettere pro o contro, oggi un articolo vale per le sue visualizzazioni, ovvero se te lo leggono.

E va bene ce ne faremo una ragione, ma questo ha cambiato la faccia del giornalismo, quantomeno lo ha trasformato in una orrenda meretrice che volge la sua attenzione a ben altri valori che quelli della verità, della coerenza o, utopia delle utopie, della giustizia.

Se fa notizia, se arrivano click, bene è da pubblicare, altrimenti chissene…

Proprio per questo motivo, il dio soldo, i giornali non sono più tali da tempo.

Correndo dietro alla velocità richiesta dai nuovi strumenti di oggi abbiamo perso il valore che un giornalista vero può dare alla notizia, la credibilità.

Siamo infatti nel mondo delle fake news, dove solo facendo il giornalista vero puoi combatterle.

Ma dovresti perdere tempo su una notizia, verificarla, aspettare i risultati di certe indagini, sentire più fonti… impossibile, se perdi il momento perdi la notizia e quindi i click clack.

Quindi oggi anche le notizie più importanti vengono buttate in pasto alla folla senza nulla, così, alla spera in dio.

Questo ha generato lo scollamento, una nuova forma sociale di dissociazione del cittadino che qualsiasi cosa legge o sente scuote la testa e dice “tutte cazzate, tutte fake news, ma questi qui dove vivono”.

Visto che i giornali, le tv ed internet sono diventati gli strilloni dei politici, il fenomeno dello scollamento è diventato seriale.

Il paese è da una parte, chi lo deve raccontare da un’altra, chi lo deve governare è in viaggio per chissà dove.

Scollamento triplo con avvitamento seriale inarrestabile.

Lo scollamento crea un grave elemento, nasconde la verità, nasconde quello che succede.

In realtà lo scollamento ha anche una grande componente involontaria legata ad un altro fenomeno dei giorni nostri, ovvero al fenomeno del commentatore laureato.

Eh già, ormai chiunque si sente opinionista, editorialista, tutti scrivono i quartini di prima pagina, basta scrivere tre fesserie sul Facebook di turno ed ecco nato il commentatore laureato, unico detentore della verità, certo di questo fatto perché ha pubblicato un qualcosa su un qualcosa.

Se non fosse tragico ci sarebbe da morir dal ridere.

Eppure la gente vera, quella che deve pagare le bollette e le tasse, quella che deve dar da mangiare ai propri figli, quella gente lì lo sa dove sta il paese reale, quella gente lì è ben consapevole di cosa sta succedendo.

E sono proprio loro che quando leggono scuotono la testa si incazzano e poi corrono a lavorare per non essere lasciati a casa, sempre più con delle scuse stupide, sempre più stringendo i denti ed accettando quattro lire, ops, euro pur di far mangiare i propri figli.

Eppure una volta i giornalisti ascoltavano la gente e riportavano quello che diceva, ma non dei trafiletti per far passare una linea o l’altra, ma il pensiero della gente, quello vero.

Lo scollamento usato ad hoc, per far pensare che le cose stiano in un certo modo, furbi!

Ho visto di recente una serie di filmati dove alcuni imprenditori si alzavano all’inno di Mameli, ahahahah nessuna delle loro aziende aveva più la sede legale in Italia.

“Ma che cxxxo ti alzi ci prendi per il cxlo” questo avranno detto tutti gli italiani che hanno visto il filmato, questo avranno riportato tutti i giornali, però io non ho visto nulla di tutto questo.

Scollamento.

Ma forse anche questo mio articolo è inutile, perché forse a quegli italiani che non basta lo stipendio è venuta la rassegnazione del cristiano al colosseo, forse speriamo troppo in un miracolo.

Io no, io sono per difendere il paese anche dallo scollamento; come posso fare? forse anche scrivendo questi articoli, facendo in modo che almeno su queste pagine venga detto cosa pensa le gente, sperando che ai politici interessi ancora qualcosa, visto che ormai hanno trovato il modo di fregarsene anche del nostro voto, dato che in modo sempre più colluso tra le funzioni del potere si eleggono quasi da soli.

Ma io mi ricordo di quando ero piccolo ed annusavo la colla, mi piaceva, perché mi piaceva pensare che tutto si può sistemare, magari anche solo con un poco di coccoina .

 

 

 

 

 

 

 

 

 

 

 

 

L’indipendenza di Stampa

 




EZIO BOSSO, UNO DEI MODS: Intervista a Oskar degli Statuto.

[youtube https://www.youtube.com/watch?v=JteNID-yuMc?feature=oembed&w=640&h=360]

 

«Un grande musicista, il più grande compositore contemporaneo!» Così Oscar Giammarinaro (Oskar) degli Statuto ha definito l’amico Xico alias Ezio Bosso (rappresentati entrambi nella foto di testa, esclusiva per Betapress).

Ezio ha iniziato la sua carriera da musicista nella band Mod più famosa d’Italia, appunto gli Statuto, diventati celebri per il grande pubblico quando parteciparono al Festival di Sanremo nel 1992 con il pezzo Abbiamo vinto il festival di Sanremo, (Ghetto, Piera e Qui non c’è il mare sono, a mio avviso, altri capolavori di Zighidà)

https://it.wikipedia.org/wiki/Zighidà 

(terzo album della band torinese; n.d.a.).

La British Invasion degli anni sessanta aveva fatto conoscere in Italia la musica Beat e Ska ed anche la cultura Mod.

Uno dei Mods è stato un successo tutto “italiano” degli anni sessanta di Ricky Shayne, un 45 giri che ho consumato quando avevo poco più di 7 anni e che mi ha da sempre incuriosito.

Uno dei Mods è anche quel che pensa Oskar di Xico.

Ho letto molte cose su Ezio Bosso, ma non sempre mi hanno trovato d’accordo, anche perché pochi hanno compreso la grandezza umana di una persona che ha vissuto il reale in modo vero, fino alla fine!

Noi di Betapress, per comprendere chi era Ezio Bosso, abbiamo voluto chiedere un aiuto ad Oskar.

PERTH: Antonella Ferrari (Caporedattore di BetaPress) ha scritto di Ezio Bosso non appena ci è giunta la notizia della sua tragica scomparsa

Il mondo della musica, e non solo, piange Ezio Bosso

 

Nel suo pezzo Antonella ha cercato di fotografare la vita di uno dei più grandi talenti della musica italiana e non solo.

Chiedo a te, che sei uno dei suoi cari amici, com’è nata e cos’ha voluto dire per te quest’amicizia nata intorno alla Piazza (Statuto; n.d.a.)?

OSKAR: Ci siamo conosciuti nel 1985 quando ha iniziato a frequentare la scuola media annessa al Conservatorio G. Verdi di Torino, era stato inserito nella stessa classe di contrabbasso.

Lui era più giovane di me e rimase subito affascinato dal mio modo di vestire, dalla musica che ascoltavo, dalla mia Lambretta e dai miei racconti delle nostre avventure con gli altri Mods, di lì a poco iniziò a frequentare Piazza Statuto Mod con tutti noi.

Quando nel 1987 decisi che non volevo più suonare il basso, ma solo cantare negli Statuto, lui si propose immediatamente come bassista e suonò con noi per circa due anni.

Era talmente creativo, che le sue tante note erano perfino esagerate per le nostre canzoni e quando bisticciò con il nostro maestro, smise di suonare anche con noi e andò a studiare all’estero.

Siamo però rimasti sempre in contatto, quando era a Torino veniva regolarmente da noi in Piazza al sabato pomeriggio e ci siamo sempre sentiti, fino all’ultimo dei suoi giorni.

PERTH: «…era uno di noi, uno dei Mods» hai detto in più occasioni, «ha legittimato i mods», ed ancora «uno nasce Mod, lo capisce… e ci rimane per sempre» ci racconti qualche aneddoto che possa chiarire ai lettori come è nata in te ed anche in Ezio la coscienza di essere un Mod?

OSKAR: Mod non si nasce ma si scopre di esserlo.

Sia io che lui l’abbiamo scoperto appassionandoci all’abbigliamento italiano anni ’60 e all’amore per la musica afroamericana e giamaicana.

A Xico piaceva e suonava molto bene anche il jazz e il termine “Mods”, deriva proprio dal termine “Modernists” che era usato per i primi ragazzi inglesi che ascoltavano questo genere a fine anni ’50.

PERTH: In un tempo in cui la mercificazione “usa e getta” generata da “Reality” e “Talent” produce progetti musicali sterili e poco “artistici” tu esci con il tuo primo lavoro da solista, Sentimenti Travolgenti,

https://music.youtube.com/playlist?list=OLAK5uy_mio4DRIWNyYpd0WIGvBfLtYd34QsxHWcY

parlando di Eleganza.

Non trovi che la raffinatezza compositiva sia oggi fuori dal coro?

Cos’era l’Eleganza per Ezio?

OSKAR: La “raffinatezza” delle composizioni di Xico va decisamente oltre qualsiasi classificazione materiale.

Basta ascoltare le sue “12 stanze” ad esempio, per capire con quanta semplicità ed eleganza riusciva a esprimere sequenze di note leggere e avvolgenti, trasmettendo forti emozioni e vera sensazione di eleganza sonora melodico-armonica.

Più che “fuori dal coro”, lo definisco “straordinario” e “unico”, oggettivamente il più Grande compositore contemporaneo.

PERTH: Ezio ha fatto sua una frase di Antoine de Saint-Exupéry: «L’essenziale è invisibile agli occhi».

Pensi che l’esplosione di creatività e questa certezza degli ultimi anni sia conseguenza della sua malattia?

OSKAR: E’ sempre stato molto talentuoso e creativo, già nelle nostre “canzonette” trovava riff e giri di basso pazzeschi.

La malattia l’ha fatto crescere come uomo, l’ha reso infinitamente saggio, paziente e tenace.

Ha saputo tirare fuori tutta la sua eccezionale creatività grazie anche al tanto studio di composizione, direzione, pianoforte e (perché no?) anche storia, negli ultimi 20/25 anni.

Ormai era diventato un riferimento fondamentale non solo per i musicisti, ma per la cultura in generale.

PERTH: In un’intervista a Fanpage.it Ezio diceva «Dal mondo della musica classica ho subito tanti schiaffoni, ingiustizie, insulti, come quello che esistevo solo perché avevo una malattia (…)» sono rimasto impietrito quando ho letto la sua intervista.

Te ne ha mai parlato?

OSKAR: Certo e posso confermarlo.

In Italia (e solo in Italia!) tanti “professorini” provetti della musica classica sbalordivano ascoltando le sue sinfonie oppure a sentirlo suonare il pianoforte (strumento che lui ha studiato soltanto negli ultimi anni della sua carriera, quando, tra l’altro, stava già cominciando a mancargli la funzionalità delle dita) e quindi pativano e lo invidiavano a tutto tondo e vergognosamente.

Ma lui ha sempre saputo rider loro in faccia, perché il pubblico, tutto il grande pubblico d’ogni parte del mondo, lo adorava.

PERTH: «Se uno è capace di fare le domande trova le risposte… in quello che accade» una concretezza che guarda al mistero di quel che c’è dietro alle cose, l’importante è cercare la bellezza, la giustizia la verità.

Ezio era un “cercatore”?

OSKAR: Xico era contro ogni pregiudizio, anche “positivo”, come piaceva dire a lui.

Conseguentemente, non fermarsi a regole e soluzioni statiche, implica cercare e ricercare, inventare e creare.

Quando ha dovuto smettere di suonare il contrabbasso, Xico si è trasformato in pianista, diventando un concertista e tenendo recital sold-out in tutta Italia.

Lui ha sempre cercato e, soprattutto, trovato una risposta a ogni questione gli si ponesse, anche le questioni più atroci, come la sua malattia.

Era più che un “cercatore”, direi un “trovatore” (ovviamente niente a che fare con i celebri compositori francesi dell’undicesimo secolo…).

PERTH: Hai detto spesso che Ezio non si lamentava mai della sua condizione, anzi, era un amante della vita.

In una delle ultime telefonate ti ha perfino confortato in merito al periodo che stiamo tuottora vivendo di emergenza Coronavirus.

Qual era la sua forza? Come era possibile tutto ciò, tu che lo conoscevi bene?

OSKAR:  Credo che il suo amore per la Musica e per la gente gli abbia dato la forza per trasformare in forza e serenità la forte sofferenza procuratagli dalla tremenda malattia.

In tanti anni mi ha sempre parlato di futuro, di prospettive avanti nel tempo, senza contemplare mai un giorno in cui lui non ci fosse stato più.

Un’energia soprannaturale e non lo dico faziosamente.

PERTH: La sindaca di Torino ha proposto di intitolare un luogo della città alla memoria di Ezio Bosso e a mio modesto parere credo debba essere molto vicina alla Piazza Statuto.

Cosa ne pensi?

OSKAR: Abbiamo raccolto più di 16.000 firme per questa causa, anche la sua famiglia è d’accordo, speriamo di essere ascoltati.

PERTH: Sono stato affascinato da queste due frasi di Ezio:

«Perché è questo quello che fa la musica: dilata il tempo della felicità. La bellezza ci rende felici e il miracolo della musica è il miracolo della bellezza»

e ancora: «…la vera domanda non è “cos’è la musica per me?”, ma “cosa posso fare io per la musica?”».

Da un lato la “bellezza” di cui non parla più nessuno e dall’altro “mettersi al servizio” che è un tabù.

Da amico di Ezio e da artista cosa ne pensi?

OSKAR: Per lui ogni musicista è parte della Musica  e appartiene al pubblico e non viceversa.

Con la partecipazione generale di chi suona e chi ascolta, si ottiene la “bellezza” della Musica… anzi, la bellezza in assoluto.

PERTH: Un’ultima domanda Oskar, ci racconti de La musica magica?

OSKAR: Adesso è ancora presto…

PERTH: Allora ci dobbiamo rivedere assolutamente! Grazie Oskar!

Vi lascio all’ascolto di uno dei capolavori di Xico.

 

 

https://www.youtube.com/watch?v=AHe6AzhRa3o

 

 

Perth

in testa una fortografia inedita concessa da Oskar a Betapress

 

 

 

 

 

 

 

 

Intesta di articolo una fotografia inedita ed esclusiva concessa da Oskar a Betapress, degli Statuto, Ezio Bosso è il secondo da sinistra ed Oskar è il terzo da sinistra.

 

GIANKA: LA FORMA DELL’AMORE

KARMA – INTERVISTA AD ANDREA “CONTE” BACCHINI

 

UN THE CON SKARDY: la musica del cuore.