Mes o Italexit inutili senza un Nuovo Contratto Sociale

La primavera sta passando via avvolta  nella distrazione e come ogni anno arriverà l’estate.

La gente torna nelle strade, nei negozi e nei ristoranti deserti per mesi.

Il tempo del corona-virus non è finito ma la normalità cerca disperatamente di recuperare un posto nelle nostre vite.

Un giorno si troveranno le parole per raccontare i mesi trascorsi tra paure ed incertezze.

Un giorno si riusciranno a spiegare meglio i limiti dello sviluppo sostenibile e la fragilità del pianeta e del consorzio umano.

Un giorno, ma non ora.

È troppo presto.

I contagi diminuiscono ed i reparti di rianimazione per la prima volta tornano a liberare qualche posto letto.

Eppure il virus è ancora tra noi, ci accompagna nelle nostre attività e frequenta probabilmente i nostri amici ed i nostri spazi di lavoro.

La scoperta di un vaccino risolverebbe parte dei problemi ma i protocolli di ricerca in Cina, Europa e Stati Uniti  non sono ancora in grado di presentare risultati definitivi.

La Pandemia ha soffiato via ogni certezza, attribuito poteri inediti alle classi di governo e messo in evidenza le criticità della politica e dei modelli di produzione e distribuzione della ricchezza in Italia e nel resto del mondo.

Il distacco, il “decoupling” tra paese reale e lo Stato dei pieni poteri è enorme e rischia di esplodere generando conflitti sociali profondi e permanenti.

La tempesta virale, infatti, ha colpito un mondo già alle prese con il rischio della recessione globale.

Il rallentamento dell’economia cinese con i suoi effetti di contagio globale  ha dominato l’agenda economica per tutto il 2019 pre covid.

Il blocco economico imposto dall’isolamento sociale per contrastare la diffusione del Virus si è abbattuto su una trama economica già indebolita con il risultato che molte attività produttive e commerciali non riapriranno le porte a lavoratori e clienti.

Il Fondo Monetario Internazionale è cauto e non sembra essere molto generoso con le previsioni macro economiche.

Gli economisti si limitano ad evocare il rischio evidente di un rallentamento di un 3% per l’economia globale ed un 9% per il nostro paese, con una ripresa incerta per il 2021 (Fonte FMI).

Il Word Economic Forum è andato oltre stimando un ribasso del pil mondiale del 20% ed il conseguente impatto sulle condizioni di vita nell’intero pianeta.

Il risultato è agghiacciante: la recessione mondiale potrebbe produrre oltre 500 milioni di nuove persone in condizioni di estrema  povertà.

 

Una previsione che, stando ai timori diffusi dalla Caritas, non risparmierà l’Italia.

Un immagine sbiadita che non sembra intimorire la politica italiana e neanche quella comunitaria che vivono in una realtà concettuale dominata da antichi totem e tabù.

Una tela di penelope riversa su sé stessa.

Del resto non potrebbe essere altrimenti se dopo mesi di isolamento sociale, migliaia di morti e fasce di popolazione alle prese con l’emergenza della povertà,  non sono ancora arrivate misure di sostegno economico concrete.

La situazione in ambito comunitario non sembra meno contraddittoria.

Il confronto, infatti, ha preso la direzione di un dibattito che vede l’Europa divisa non tanto sulla necessità di sostenere le comunità locali ma sulla declinazione giuridica degli interventi di supporto.

Si discute di Mes con o senza condizioni, di prestiti assistiti da garanzie o aiuti a fondo perduto, dimenticando che dietro sintassi e sostantivi c’è il dramma della sofferenza.

La paura ed il rischio della morte e della miseria non spaventano le “elites” di comando.

Il nemico pubblico diventa il timore evocato dalla ipotesi di parziale redistribuzione della ricchezza tra i paesi e le classi sociali della vecchia Europa.

I principi di unità e solidarietà alla base della mutualizzazione del debito non sono sufficienti a fare breccia nel cuore dei paesi rigoristi del blocco nordico e non c’è più molto tempo, ormai.

L’Unione europea, infatti, dovrà  finalizzare le misure già annunciate (Sure, Mes prestiti Bei e Recovery Fund)  in tempo utile con le ultime riunioni calendarizzate prima della lunga pausa estiva (18 e 19 giugno).

Sorge il dubbio che il termine del primo luglio, per la fase attuativa degli interventi delineati, potrebbe finire per non essere adeguato se si vorrà estendere il dibattito sui regolamenti attuativi e che il Recovery Fund potrebbe restare fuori dall’agenda delle prossime riunioni della Commissione essendo ancorato al bilancio pluriennale europeo per il quale  gli accordi tra gli stati membri e le regole di fiscalità comune sono ancora in alto mare.

In ambito domestico lo scenario politico si ripete e convive, con estrema disinvoltura, tra gli annunci trionfalistici delle conferenze stampa e l’inadeguatezza degli stimoli economici realizzati.

Il decreto “Rilancio” che il governo in carica ha adottato per sostenere il paese non aiuterà le imprese e le famiglie come sperato.

Ancora una volta il buon senso svela l’altra faccia della frattura tra paese reale e legale: quella della verità sommersa nei contenuti dell’informazione.

La percezione è che il nemico contro il quale misurarsi ogni giorno non sia più il Covid-19 ma la superficialità delle classi politiche al comando ferme alla gestione dei privilegi e dei maggiori poteri acquisiti nella fase dell’emergenza e più interessate alla forma che alla sostanza.

Una realtà che dovrebbe scuotere la coscienza popolare ed imporre un limite alla pazienza ed alla rassegnazione.

Le soluzioni per riappropriarsi dei sogni e alimentare la speranza di un futuro migliore ci obbligano ad una riflessione di ampio respiro.

La realtà economica e sociale post pandemica non sarà più quella di prima.

Un modello di crescita e di progresso sostenibile dovrà guardare ad un “Nuovo Contratto sociale” che ponga le premesse per una democrazia aggiornata alle sfide in atto ed ai ritmi della società digitale.

All’ordine del giorno dovranno porsi i principi di una nuova identità collettiva che riformi gli schemi ed i contenuti della rappresentanza istituzionale, della scuola, del lavoro, degli istituti di fiscalità ,

degli incentivi all’iniziativa economica, della lotta alle nuove povertà e alle moderne forme di criminalità.

I cardini portanti di un Contratto Sociale post covid dovranno trovare il migliore equilibrio tra una nuova carta dei diritti e dei doveri ed uno slancio altruista e solidale che valorizzi la promozione della “persona” in un pianeta sempre più digitale e connesso

In questa direzione occorre  dare vita ad “governo di solidarietà nazionale” che si occupi dell’emergenza e delle riforme indispensabili senza svendere i sogni e le speranze degli italiani.

Non abbiamo bisogno di inventarci nulla: sarà sufficiente recuperare la nostra storia ed i nostri valori.

 

 

 

 

 

 

 

 

Fabio Delibra

 

 

Pandemia Finanziaria, cui prodest?

Piano Marshall oggi più che mai!!

 




Il mondo della musica, e non solo, piange Ezio Bosso

«La musica è per tutti perché annulla la grammatica delle lingue e ne forma una valida per ognuno di noi».

Parola di Ezio Bosso

Ezio Bosso è morto a 48 anni.

Il direttore d’orchestra, compositore e pianista torinese aveva una malattia neurodegenerativa da anni, ma, nonostante ciò, era riuscito a diventare uno dei nomi più noti del panorama musicale italiano.

Pianista per caso, come amava dire lui stesso durante le interviste, il compositore aveva trovato la popolarità quando, nel 2016, fu invitato da Carlo Conti come ospite d’onore al Festival di Sanremo.

Sul palco dell’Ariston Bosso aveva eseguito “Following a Bird”, composizione contenuta nell’album “The 12th Room”, che era uscito qualche mese prima, senza enormi clamori, ma che era finito in classifica, subito dopo l’esibizione, e da quel momento, il suo nome e la sua arte sono diventate note al grande pubblico che ha continuato a seguirlo negli anni a venire.

La famiglia del musicista ha rilasciato una nota ufficiale che spiega che la morte è avvenuta “a causa del degenerare delle patologie che lo affliggevano da anni.

Sia i familiari che la sua famiglia professionale chiedono a tutti il massimo rispetto per la sua privacy in questo momento sommamente personale e intimo:

l’unico modo per ricordarlo è, come sempre è stato e come sempre ha ribadito il Maestro, amare e proteggere il grande repertorio classico a cui ha dedicato tutta la sua esistenza e le cui sorti in questo momento così difficile sono state in cima ai suoi pensieri fino all’ultimo.

In un’intervista a Fanpage.it il musicista aveva dichiarato come sul palco andasse senza spartiti: “Sul palco sono senza spartito, faccio tutto a memoria.

Quando dirigo è come se avessi tutti i suoni scritto, primi e secondi violini, violoncelli, bassi, flauti, oboi, clarinetti, fagotti, corni, trombe, tromboni, percussioni, io li ho davanti, per me è un contatto visivo, dirigere con gli occhi, con i sorrisi, mando anche baci quando qualcuno ha fatto bene”

ha raccontato a Saverio Tommasi che lo ha incontrato subito dopo un concerto in memoria di Claudio Abbado.

In quella stessa intervista Bosso ha parlato anche delle difficoltà di essere accettato nel mondo della Classica e dei pregiudizi che lo hanno seguito:

“Dal mondo della musica classica ho subito tanti schiaffoni, ingiustizie, insulti, come quello che esistevo solo perché avevo una malattia:

è evidente, non è che posso negarlo, quindi è ovvio che la prima reazione porta alla rabbia, l’altra è quella di guardarmi le ruote… infatti ho messo delle ruote bellissime.

È stata una vita basata sul lottare, sul pregiudizio. Fin da bambino ho lottato col fatto che un povero non può fare il direttore d’orchestra, perché il figlio di un operaio deve fare l’operaio, così è stato detto a mio padre”.

Enzo Bosso conviveva dal 2011 con una malattia neurodegenerativa che gli è diagnosticata dopo l’intervento per un cancro al cervello, sempre nello stesso anno.

Da principio la patologia è stata identificata come la SLA, sclerosi laterale amiotrofica, malattia in cui i sintomi, episodi di atrofia muscolare, si trasformano in pochi anni nella compromissione totale delle funzioni vitali, ma poco importa sapere il nome della sua patologia che l’ha portato alla morte.

“L’essenziale è invisibile agli occhi”, ed il GRANDE MAESTRO ce l’ha dimostrato, regalandoci, con la sua esistenza a 360°, un esempio immane di coraggio e di dignità nell’affrontare le avversità della vita.

“Non so se sono felice ma tengo stretti i momenti di felicità, li vivo fino in fondo, fino alle lacrime, così come accettare i momenti di buio, sono una persona normale.

La mia filosofia è legarmi di più ai momenti felici perché quelli, poi, ti serviranno da maniglia per tirarti su, quando sei nel letto e non riesci ad alzarti”.

Nel settembre del 2019, in occasione della 83esima Fiera del Levante di Bari, Bosso ammise di non poter più suonare esortando tutti a non chiedergli più di farlo.

“Se mi volete bene, smettete di chiedermi di mettermi al pianoforte e suonare. Non sapete la sofferenza che mi provoca questo, perché non posso, ho due dita che non rispondono più bene e non posso dare alla musica abbastanza.

E quando saprò di non riuscire più a gestire un’orchestra, smetterò anche di dirigere”. 

L’ultimo lavoro di Ezio Bosso è stato “Grazie Claudio”, un omaggio a Claudio Abbado.

E’ stato proprio Bosso, infatti, a dirigere il concerto evento di Mozart14 per i cinque anni dalla scomparsa di Claudio Abbado.

Il direttore d’orchestra infatti ha chiamato a raccolta cinquanta musicisti delle migliori orchestre di tutto il mondo per unirsi all’European Union Youth Orchestra e agli amici della Europa Philharmonic Orchestra fondata da lui stesso, per ricordare uno degli artisti italiani più prestigiosi al mondo.

Noi di betapress vogliamo ricordare Ezio Bosso con le parole di cordoglio del Presidente della Regione Puglia Michele Emiliano.

Il maestro Bosso era stato infatti ospite, lo scorso 15 settembre, di un grande appuntamento con il pubblico pugliese organizzato dalla Regione Puglia in Fiera del Levante.

“Ciao Ezio, uomo speciale, artista straordinario, amante della vita, dell’arte e della musica. Ho avuto la fortuna di conoscerti e di condividere con te momenti straordinari di empatia, di bellezza e di amicizia.

In queste ore ricordo con emozione la sala gremita di gente alla Fiera del Levante dove tu parlasti di musica, arte e talento.

Con la tua bacchetta hai saputo superare tutti i confini e gli steccati materiali e immateriali. Amavi ripetere che la magia che avete voi musicisti è quella ‘di stare nel tempo, di dilatare il tempo.

Per questo avevi scelto la musica, che consideravi una sorta di carezza inaspettata capace di cambiare in meglio il corso delle cose.

Perché è questo quello che fa la musica: dilata il tempo della felicità. La bellezza ci rende felici e il miracolo della musica è il miracolo della bellezza.

E’ questo l’insegnamento più importante che ci lasci in dono: la bellezza ha a che fare con la singolarità straordinaria e irripetibile di ciascun essere umano”.

Ci permettiamo di aggiungere che con Ezio Bosso il mondo della cultura perde una figura straordinaria.

Non solo un artista di rara sensibilità, ma un uomo che, durante la sua purtroppo breve vita, ha trasmesso i valori universali del dialogo e dell’incontro fra persone e culture.

Un uomo che non soltanto con la musica ha comunicato un grande impegno umano e sociale, il valore educativo delle arti.

Del suo sorriso sentiremo tutti la mancanza.

Lo vogliamo ricordare con due sue frasi:

“La disabilità è negli occhi di chi guarda, perché il talento è talento e le persone sono persone, con le ruote o senza” e

“La musica ci ricorda anche questo, prendersi cura, avere rispetto, far star bene, non confondere la quotidianità con l’eternità, i nostri piccoli poteri con l’assoluto”

Ciao, Ezio, ora voli per sempre, proprio Tu che ci hai insegnato a volare…

 

 

 

 

 

 

 

 

 

 

 

ALEX DE ROSSO: ROCK IS NOT DEAD!

UN THE CON SKARDY: la musica del cuore.

 




Museo virtuale o museo reale?

Nel clima di reclusione forzata che ha investito il nostro paese in seguito al diffondersi del Covid-19, abbiamo assistito al verificarsi di tendenze sostitutive al tradizionale stile di vita cui eravamo abituati.

La cosiddetta digitalizzazione dei servizi e dei prodotti ha repentinamente cambiato  le abitudini permettendo anche a chi non l’aveva mai fatto di immergersi nella realtà  virtuale per compiere viaggi e approdare poi alla visita dei musei dove, in una dimensione quasi onirica, inizia il viaggio tra le opere d’arte gelosamente custodite.

Le situazioni di crisi modificano le abitudini comportamentali e anche i più impreparati si sforzano di apprendere i rudimenti di internet per poter affrontare viaggi virtuali. Chi non conosceva le più prestigiose opere d’arte si può avvicinare con cautela a rimirarle.

Ma dobbiamo chiederci in che cosa si diversifica un’emozione esperita mentre osservi un qualcosa dal vivo rispetto ad un oggetto che immagini possa vivere e lo vedi filtrato da uno schermo.

L’oggetto virtuale è freddo, il tuo sguardo lo ammira ma non ne nota quei giochi di luce che lo esaltano nella sua eleganza artistica dal vivo.

Chi ha visitato solo i musei oggi disponibili virtualmente, a differenza di chi li ha visitati dal vivo, non potrà esprimere il vissuto di emozioni fissate in quei momenti  di estasi in cui la visita reale permetteva allo sguardo di perdersi nell’opera.

Basta andare su internet ed ecco che si apre la maschera delle disponibilità.

Un’offerta sicuramente appetibile: Pinacoteca di Brera, Galleria degli  Uffizi, Musei Vaticani e molti altri ancora. E poi possiamo trasferirci anche all’estero: Museo Archeologico di Atene, Prado, Louvre, British Museum, Metropolitan Museum, Heremitage, National Gallery of Art. Certamente l’essere in quarantena favorisce il desiderio di evasione e stacco da una realtà percepita come angosciante.

Dalla prigionia imposta dal  Covid-19 si può evadere e iniziare il nostro viaggio forse più concentrati che in una normale visita da turisti. Prevale nell’approccio digitale al museo un reale desiderio di  apprendere; si tratta di una scelta che aumenterà il bagaglio culturale del nostro  turista on line.

Ci chiediamo quanto venga però frustrato il desiderio di ammirazione  e contemplazione dal vivo.

Se ripensiamo alle teorie delle neuroscienze e prendiamo  come riferimento gli studi di Gallese, che ha ipotizzato che lo stesso meccanismo  dell’empatia che favorisce la sinergia con l’altro sta alla base del nostro provare un’emozione guardando dal vivo un’opera d’arte, possiamo ritenere che questo processo sia falsato nel guardare tramite lo schermo di un computer.

Le visite al museo online sono efficaci nel momento in cui permettono al soggetto di poter promuovere un apprendimento preparatorio al contatto reale con l’opera d’arte. Mi avvicino all’ambiente, seleziono prima ciò che sarà rilevante da vedere, approfondisco le mie conoscenze a tal punto che potrò arrivare a vedere l’opera d’arte arricchito da un bagaglio di informazioni che mi faranno fruire della bellezza di quel prodotto artistico.

Si possono forse verificare emozioni intense in un luogo non reale come quello della visita al  museo online?

Di fronte ad un quadro di  Fontana, per fare un esempio, Gallese afferma che “I neuroni si attivano come se dovessero squarciare la tela”; possiamo dunque ipotizzare che emozioni di tale portata si possano sperimentare solo in una visita reale.

Fortunatamente la decisione di riaprire i musei, rispettando le norme di sicurezza della distanza sociale, potrà permettere a molti visitatori online di potere affrontare l’emozione dal vivo nel contemplare l’opera d’arte.

 




ALEX DE ROSSO: ROCK IS NOT DEAD!

 

Moltissime cose vorrei chiedere ad un amico come Alex De Rosso e non tutte riguardano la musica, mi sono ripromesso però di farlo di fronte ad una birra ghiacciata.

Alex è uno degli artisti che con la sua musica ha incantato fin da giovanissimo la mia città, Padova, per poi volare sempre più in alto fino ad arrivare a calcare i palchi di molti Paesi d’Europa, degli States e del Canada.

Ho raggiunto Alex e gli ho posto alcune domande alle quali ha risposto con piacere.

PERTH: Ciao Spillo, voglio partire subito in quarta: i nostri lettori hanno imparato a conoscere bene cosa noi di Betapress intendiamo per Musica, quella con la “M” maiuscola. La differenza infatti tra il meccanismo competitivo e sterile delle performances canore degli “artisti da Talent” e la libera creatività dei cantautori e compositori è la stessa che c’è tra chi concorre ed è disposto a qualsiasi cosa per aver successo e chi scrive e fa Musica per far battere il cuore. Che ne pensi?

ALEX: Ahahahha ecco! Iniziamo con i soprannomi! Considero la Musica una forma d’arte, e quindi libera da competizioni… purtroppo il messaggio che ormai da tempo sta passando è quello che chi canta o suona meglio (tecnicamente) vince. Ad ogni modo c’è sempre stato chi fa le cose per farsi notare e chi le fa perché non riesce a farne a meno… nulla di sbagliato in ogni caso, solo due modalità diverse. Per quanto riguarda il “successo”, per me coincide con la possibilità di vivere facendo quello che mi piace con meno compromessi possibile.

PERTH: Sei un punto di riferimento per l’Hard Rock in Italia e ti sei fatto conoscere anche in molti Paesi del mondo. Secondo te… Rock is dead?

ALEX: Sicuramente come fenomeno di massa “Rock is dead”. Dovremmo ormai avere capito che tutto gira intorno al “$”, e quindi altre cose hanno molto più appeal da questo punto di vista. Resta una cosa per vecchi nostalgici come noi ahahahah! Fredde analisi a parte, c’è ancora un sentimento sincero che resta vivo in molte persone, ma mancano le occasioni per tenerlo in buona salute.

PERTH: In una recente video diretta on line hai parlato di produzioni e di nuove tecnologie negli studi di registrazione, focalizzandoti sulla differenza tra evoluzione e regressione nella qualità dei progetti discografici, dicendo che non si può oggi delineare con chiarezza il percorso che sta nel mezzo tra un punto iniziale A ed un punto finale B. Puoi chiarire meglio?

ALEX: Intendevo dire che ormai da diversi anni la tecnologia per effettuare e gestire una registrazione musicale, anche complessa, è facile da ottenere e quindi una vasta platea di musicisti ne può trarre vantaggio. La preparazione e l’esperienza per farlo secondo certi standard è però tutta un’altra cosa… ma è dura l’educazione in un ambiente dove tutti sanno fare tutto!

PERTH: Ci auguriamo tutti che i giovani diventino il perno di una società meno malata di quella in cui viviamo e mi riferisco innanzitutto al periodo drammatico di clausura forzata, ma anche agli attuali sistemi politico, economico, giuridico e sociale. Pensi che l’Arte e nello specifico la Musica possano in qualche modo sostenere una trasformazione indispensabile per il necessario cambiamento?

ALEX: Può funzionare solo se il sistema politico, economico, giuridico e sociale, sostengono a loro volta la cultura e l’arte. Certo che chi ha avuto la fortuna (e la bravura) di aver raggiunto ottimi livelli di presenza e di sopravvivenza continuerà ad andare avanti… ma gli altri come faranno? I nuovi artisti dovranno per forza sgomitare nei talent? Io spero di no.

PERTH: Parliamo di musica… suonata! Non ti nascondo che sei stato maestro per molti di noi e tra i chitarristi più amati in assoluto dal sottoscritto. Ci racconti quale strumentazione utilizzi in studio e nei live e quale importanza rivestono i set up nel tuo modo di esprimerti come chitarrista?

ALEX: Sostanzialmente la strumentazione che uso dal vivo e in studio è la stessa. Le variazioni sono in funzione della band con la quale suono live e del progetto che sto producendo in studio. Tutte le chitarre elettriche che uso nelle varie situazioni sono ESP, marchio del quale sono endorser da più di vent’anni. Per quanto riguarda amplificatori e cavi uso FROG, marchio italiano relativamente giovane, ma con produzione di altissima qualità. Anche le corde DOGAL che monto su tutte le chitarre sono un prodotto italiano di eccellenza. Inutile dire che anche per me, come per tutti i musicisti, è di fondamentale importanza usare strumenti e accessori di alta qualità che rispettino i propri gusti ed esigenze per sonorità, comodità, e affidabilità.

PERTH: Hai più volte detto che «fare musica non è per tutti» e «che un sacco di gente pensa che basti farsi vedere sui social per dire di essere bravo». Cosa deve avere secondo te un artista per poter essere indiscutibilmente riconosciuto come tale e come riuscire a coniugare scelta passionale e scelta commerciale?

ALEX: Cercherò di rispondere evitando di essere polemico a riguardo dell’argomento social… È difficile valutare cosa è giusto e cosa sbagliato, come lo è altrettanto valutare la bravura di un musicista. Direi che è la storia di ognuno di noi a parlare a chi ci guarda, e ovviamente il proprio gusto personale. Fare musica non è per tutti come anche fare vino non è per tutti, come anche fare il cuoco non è per tutti, e via così per tutte le arti professioni… uno dei punti deboli dei social è che permettono a tutti di essere qualsiasi cosa.

PERTH: Ho avuto l’onore di intervistare Andrea “Conte” Bacchini chitarrista dei Karma (vedi Betapress aprile 2018; n.d.a.), ed in quell’occasione mi consegnò questa riflessione: «Ultimamente ho una certa avversione per la chitarra. Un po’ devo dire che mi sento tradito. Le ho dedicato fin da giovane praticamente tutto (…). La musica è per me passione e la passione la puoi mettere in una cosa che hai scritto e che ti rappresenta, una sfera artistica e creativa che è un investimento emotivo per cui vale la pena suonare». Ti senti tradito anche tu dalla chitarra?

ALEX: Devo dire di essere in parte d’accordo con queste affermazioni, ma non mi sento per nulla tradito dalla chitarra o dalla musica più generale. Semplicemente non mi è mai piaciuto l’ambiente musicale, specialmente quello italiano, fondamentalmente perché ho trovato poche persone a pensarla veramente come me a proposito dei vari aspetti professionali della musica. Il mio rapporto con la chitarra è sicuramente cambiato negli anni… dal quasi fisico e morboso dei primi anni, fino ad arrivare a considerarla un semplice strumento per poter creare musica nelle diverse situazioni. E il divertimento è sempre tanto!

PERTH: Molti anni or sono (sigh!) venivo a sentire i concerti dei “tuoi” Dark Lord con la compagnia di amici che, pur non amando il Rock come il sottoscritto, erano entusiasti di vedere musica live. Pensi che si possa tornare a divertirci in modo genuino come ai Concerti di qualche tempo fa, oppure pensi che la cultura musicale abbia subito un profondo ed irreversibile mutamento?

ALEX: Questa sarà la mia risposta più breve: penso proprio di no! Anche a causa di tutto quello che è cambiato nel mondo della musica, compresa la troppa offerta a scopo commerciale.

PERTH: Poche voci “fuori dal coro” indicano le enormi differenze tra educazione musicale in Italia e negli USA. Per non parlare della differenza abissale tra le produzioni artistiche. Qual è la tua opinione?

ALEX: La differenza di background musicale è forse la causa principale di queste differenze specialmente nella musica Rock. In Italia la musica Rock non fa parte della nostra cultura di base, mentre negli USA ovviamente sì. Per quanto riguarda le produzioni artistiche vale lo stesso principio, considerando che qui da noi è molto difficile che un musicista venga valorizzato e riconosciuto. Quasi sempre abbiamo a che fare con cantanti che hanno una band, più che con una vera “Band”.

PERTH: Ripercorrendo la tua lunga carriera, in cui si evincono da un lato le esperienze compositive e dall’altro le celebri collaborazioni con il gotha mondiale della musica Hard Rock (http://www.alexderosso.com/bio), arriviamo a Lions & Lambs. Ascoltando le 10 tracks dell’album, peraltro farcite di collaborazioni di primo livello assoluto, si capisce come questo lavoro sia un documento della maturità artistica di Alex De Rosso. Ci racconti la genesi del disco?

ALEX: È una produzione che è arrivata dopo un lungo periodo passato a suonare, a scrivere e a produrre per altri artisti e progetti. Avevo semplicemente voglia finalmente di affrontare una produzione di alto livello anche coinvolgendo altri artisti fenomenali, con i quali avevo maturato negli ultimi anni un ottimo rapporto personale. Ho affrontato una preproduzione abbastanza impegnativa per essere sicuro che tutto funzionasse al meglio, pensando anche all’abbinamento stilistico musicale tra brano e special guest. Successivamente ho spedito le mie proposte a tutti e con grande soddisfazione ho ricevuto risposte entusiastiche da tutti gli invitati. Il resto lo trovate nel cd!

PERTH: C’è questa frase della bellissima seconda track, Resistance, di Lions & Lambs che mi ha colpito molto: I’m flying away / you’ll hit the ground / Anyone there / showing resistance / can’t get higher / not surrendering now. E’ una domanda di compimento artistico o una premonizione del periodo attuale?

ALEX: Devo fare una premessa: il mio rapporto con i testi delle canzoni non è poi così intimo… non mi sento un poeta. In questo caso è presente una scena di classiche difficoltà della vita e della nostra capacità di affrontare le avversità e di essere resilienti. Meglio non arrendersi insomma!

PERTH: Grazie Alex! Ci vediamo presto.

 

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PERTH

 

COMPAGNI DI VIAGGIO: OMAR PEDRINI

JON BON JOVI: I LUSTRI(NI) DELL’HAIR METAL




Arte: cura o espressione della follia?

Un tema spesso dibattuto è quello concernente il rapporto tra arte e follia ma l’arte può divenire anche cura nelle situazioni di disagio psicologico. Ci chiediamo come sia possibile che un qualcosa di distruttivo possa al tempo stesso  ricostruire.

Ci troviamo di fronte ad un’antitesi nei confronti della quale diviene difficile sostenere l’una tesi piuttosto che l’altra. Tutti abbiamo sentito parlare della follia che si esprime nei capolavori dell’arte.

Pensiamo ad esempio a Van Gogh con “Autoritratto con orecchio bendato”, a Munch con “L’urlo”, a Goya con “Il sonno della ragione genera mostri” e solo per citare alcuni  artisti noti anche ai meno esperti nel campo.

Molti artisti famosi hanno avuto  momenti di disagio psichico più o meno grave e spesso tale malessere ha accompagnato le loro produzioni più prestigiose.

Come affermava Freud “L’arte costituisce un regno intermedio tra la realtà che frustra i desideri e il mondo della fantasia che li appaga, un dominio per cui sono rimaste per così dire vive le aspirazioni all’onnipotenza dell’umanità primitiva”.

Per Freud l’artista è dunque un soggetto che si distoglie dalla realtà per trovare una via di realizzazione nel mondo della fantasia, che si traduce però in una nuova realtà di cose interpretabili come preziose raffigurazioni del reale.

Se l’artista dunque spesso manifesta disturbi nevrotici o psicotici vale anche l’accezione che nel soggetto sofferente e spesso definito folle, anche se non ha mai  esercitato l’arte, possano essere presenti alte potenzialità in questa area.

Possiamo ritenere che l’arte scaturisca da tensioni emozionali di sofferenza quali la paura, la solitudine, la rabbia ed altro.

Lo stesso Aristotele affermava che “Gli uomini  eccezionali in filosofia, politica, poesia o arte sono manifestatamente malinconici e alcuni al punto da essere considerati matti a causa degli umori biliari”.

È proprio riconoscendo le potenzialità dell’arte che molti psichiatri, psicologi e psicoterapeuti hanno intravisto nell’arteterapia uno strumento utile per la riabilitazione dei loro pazienti.

L’arteterapia permette infatti al soggetto disfunzionale di entrare in contatto con il suo mondo emozionale e favorisce la comunicazione, che è spesso bloccata, attraverso un altro canale che è quello espressivo.

L’arteterapia può essere attivata sia a livello individuale che di gruppo e, per quanto  concerne il ricreare un sentimento sociale spesso smarrito dal paziente, è  preferibile quest’ultima forma.

La cura dei pazienti psichiatrici non può più privilegiare solo la  farmacologica e la psicoterapia ma deve valorizzare anche la possibilità di  applicazione di cure che rientrano nell’espressività quali la pittura, il teatro, la danza.

Possiamo dunque riflettere sulle enormi potenzialità dell’arte e un riconoscimento particolare alla diffusione di questo nuovo strumento di cura va a Margaret Naumburg, psicoanalista freudiana che introduce in America l’arteterapia, e a Edith Kramer, artista e docente austriaca che la applica sul campo con i bambini e gli adolescenti portatori di disagio psichico.

Perché è importante l’arteterapia nella cura?

L’arteterapia ha una valenza di tipo  educativo nel senso che aiuta il  soggetto a manifestare il suo vissuto di sofferenza.

Educare quindi come “tirare fuori”, tirare fuori dal tunnel ciò che impedisce di vivere serenamente la propria quotidianità.

 

 




Sport: investimenti non elemosina.

Se un giorno incontraste per la strada il Dott. Larry Page e vi dicesse che per due mesi ha dovuto tenere chiuso le sue attività ed ora ha delle difficoltà economiche, vi verrebbe in mente di dargli qualche monetina?

Probabilmente no, nessuno gli darebbe l’elemosina.

Elemosina, citando il dizionario Treccani, “Quello che si dà alle persone bisognose, secondo il precetto cristiano della carità”

Non lo farebbero nemmeno i religiosi più osservanti, non certo per mancanza di fede o disprezzo verso quell’uomo, nessuno metterebbe in dubbio lo stato di bisogno ma per il semplice motivo che, essendo Larry Page tra gli uomini più ricchi del mondo, alcune monetine sarebbero assolutamente ininfluenti rispetto alle perdite che potrebbero aver avuto le sue attività e, con tutta probabilità, sarebbe lui stesso a declinare l’offerta, dicendo che potrebbero aiutare di più altre persone. 

Lui e Google non avrebbero bisogno di qualche monetina per riprendere la corsa ma investimenti, progetti e finanziamenti di tutt’altra portata.

Non augureremmo mai una situazione del genere a Google ed al Dott. Page, ma questo è esattamente successo allo Sport nel nostro Paese ed il paragone non è casuale; l’americano è l’ottavo uomo più ricco del mondo e l’Italia è l’ottava potenza sportiva mondiale. 

Sentir parlare, almeno si leggesse qualcosa di scritto, di aiuti con importi tra i 200mln, 400mln, 600mln in piccola parte a fondo perduto ed in gran parte come finanziamento è molto simile ad un elemosina, con la differenza che quella almeno non devi darla indietro. 

Utilizzando stime anche volutamente contrarie alla tesi di chi scrive, prendendo il massimo prospettato € 600.000.000 e dividendolo per una stima, sicuramente troppo bassa, del numero di società sportive in Italia (130.000) non farebbero nemmeno 5000 Euro a società.

Quei soldi ne prolungherebbero l’agonia di qualche giorno, salvo poi doverli restituire.

Collaboratori sportivi che non ricevono un bonus di €600 da settimane, che non ricevono stipendi da mesi, non si sa ancora se riprenderanno alcuni campionati a partire dalla serie A di calcio che muove e consente di vivere lavorando, a tante persone, non solo i 22 in campo.

DPCM che trattano con poca attenzione le peculiarità delle diverse discipline e, nessuna proroga per esempio per i pagamenti delle utenze dei centri sportivi – forzatamente fermi – e, altro esempio, per i contributi del calcio femminile – tre anni volano via in fretta – . 

Non è questo il momento di imparare a conoscere il mondo dello Sport ma di imparare dal mondo dello Sport utilizzando progettualità, investimenti e finanziamenti congrui, un po’ come per la storiella di Page e Google.

Bene la legge Olimpica.

Dobbiamo Investire nell’impiantistica sportiva, nell’educazione fisica/motoria nelle scuole, nella formazione, nei dirigenti, nei grandi eventi e sostenere economicamente, ma davvero, le società che hanno progetti seri per il futuro.

Ora è il momento di farlo, prima che sia troppo tardi, magari rivedendo quella riforma/rivoluzione dello Sport partita e mai finita a dimostrazione che di questi tempi i ritmi della Politica, non coincidono con quelli di chi, ogni giorno scende in campo, lavora, si allena e vince, facendo grande il nostro Paese nel mondo.

 

 




Bentornata a casa??

Silvia Romano è viva ed è stata liberata.

 E gli italiani come reagiscono?

Sollevo, gioia, stupore la reazione di alcuni.

Perplessità, smarrimento, incredulità quella di altri.

Rabbia, odio, xenofobia, sessismo quella di altri ancora.

E la reazione suscitata non c’entra con il credo politico, l’identità sessuale o il potere economico di chi la prova.

E’ un brivido che ci scorre lungo la schiena quando la vediamo.

“E’ lei, è viva, ce l’ha fatta!”

“Ma com’è vestita? Ma cosa dice? Ma cosa le hanno fatto?”

Fino a ”Non è possibile! Ma chi abbiamo liberato e perché?”

E così succede che Silvia non abbia nemmeno finito di scendere la scaletta dell’aereo che da Mogadiscio l’ha riportata in Italia, che centinaia di benpensanti (ma altrettanto mal scriventi) si scatenino già sui social con illazioni e offese di ogni tipo. 

Perché? Per la sua immagine killer, così stridente da quella a cui eravamo abituati.

Avevamo in mente una ragazza in canottiera, abbronzata e sorridente, con in braccio un bimbo africano, ed invece, ci siamo trovati di fronte una donna coperta, quasi irriconoscibile, se non fosse stato per il sorriso, e, per alcuni, persino il sorriso è sembrato provocatorio.

Certo, per molti, è bastato vedere lo jilbab, quel lungo velo, verde come il colore dell’Islam, a incorniciarle il viso e a coprirle il corpo, perché Silvia Romano, da eroina si trasformasse in traditrice.

O quantomeno “ingrata”, proprio come oggi l’ha bollata la prima pagina del Giornale: 

“Islamica e felice, Silvia l’ingrata” ha titolato il quotidiano diretto da Alessandro Sallusti, mentre Libero non è stato da meno gridando: “Abbiamo liberato un’islamica”.

Già perché in queste ore, in cui l’hashtag Silvia Romano continua a imperversare, c’è un fatto che è chiaro ed evidente e cioè che Silvia Romano ha smesso di essere una persona, una cittadina italiana con tutti i suoi sacrosanti diritti, per diventare un simbolo da agitare nell’incessante guerra razzista e sessista che purtroppo non conosce tregua.

Neanche il tempo di festeggiarla, di accoglierla nella sua città che altri due hashtag, quello di Aisha, il suo nome islamico, e quello di Silvia Romano incinta, sono entrati in circolo, nel catalogo infinito dell’odio da tastiera.

Che cosa si rimprovera alla giovane cooperante milanese che era in Kenya, lei specializzata in psicologia infantile, per aiutare i bambini orfani e che è stata rapita e tenuta prigioniera per oltre 18 mesi? 

 

Di sicuro il sorriso: nel conformismo ipocrita imperante, un ostaggio deve essere a pezzi, deve farsi vedere distrutto, possibilmente in lacrime.

E poi la conversione all’Islam, la religione più odiata, oltre che la seconda più praticata nel mondo.

Un affronto per molti italiani che confondono le frange dell’estremismo islamico con la stragrande maggioranza dei musulmani e che, evidentemente, non ricordano che la nostra Costituzione, quella di un Paese laico, prescrive la libertà di culto.

Per cui ognuno di noi è libero di professarsi cattolico, buddista, ateo o musulmano senza che questo debba diventare materia di dibattito o, ancor peggio, di scandalo per chiunque altro.

 

Inoltre, dulcis in fundo, Silvia è una donna.

Una donna forte, come lei stessa ha ricordato nelle prime parole che ha pronunciato dopo la liberazione.

E, si sa, niente è più insopportabile per molti sessisti che da giorni si sbizzarriscono in truci doppi sensi ed illazioni offensive, da quella secondo la quale Silvia sia incinta a quella che la vuole vittima della sindrome di Stoccolma. Ma, credetemi, il linguaggio utilizzato è ben altro.

Perché, si sa, il salto da esperto in virologia a quello in psicologia, nel magico mondo dei social, lo si può fare in un attimo, a stretto giro di tweet.

Va detto però che sono tanti, tantissimi i giornalisti ed i commentatori che in queste ore stanno cercando di spegnere questa ignobile polemica. 

Andrea Purgatori, ad esempio, scrive: “Se il problema è il vestito, occupatevi di quelli in nero col braccio alzato. Se il problema è il riscatto, la prossima volta vi scambiamo volentieri. Se il problema c’è l’avete nella testa, andate da uno bravo. E fate presto”.

Myrta Merlino interviene così: “Mi sfugge il senso del dibattito su #SilviaRomano, diventata Aisha. Se avessimo saputo prima della sua conversione all’#Islam, non avremmo dovuto salvarla?!?”. 

Tranchant come sempre Selvaggia Lucarelli: “Si è convertita all’Islam, non dice mezza parola d’odio, sorride anziché piangere. È una donna. Non glielo perdoneranno mai”.

Nell’attesa che gli odiatori trovino un altro osso da spolpare, ci sentiamo di dare un consiglio a Silvia Romano, quello cioè di stare alla larga dalla Rete.

I traumi di un sequestro sono lunghi e difficili da superare.

Ma quelli del cyber-bullismo non sono da meno. 

In quanto alla conversione, resta un fatto intimo, di estrema importanza, per ogni persona.

Un percorso che doloroso o liberatorio che sia, va rispettato, comunque. Sempre.

 

 

 

 

 

 

 

 

 

 

 

 

 

Tipi da social

 




Il parking che lucra sul lockdown

Il parking che lucra sul lockdown

Brutta storia di sciacallaggio dell’easy parking Malpensa in tempo di lockdown.

Un po’ ci spiace a raccontare questa storia ma in redazione abbiamo deciso di dar voce alle ingiustizie subite in periodo di covid-19.

Ci stavamo abituando a storie di solidarietà e di eroismo legati al covid, storie di spirito di nazione e di fratellanza mondiale e ci stava anche piacendo.

Insomma, nella mente di molti, questa positività rappresentava la parte bella e orgogliosa di questo periodo difficile.

Ma non tutti hanno respirato e condiviso quest’aria.

Sciacalli e sciacallaggi non sono mancati in questo periodo difficile: un esempio eclatante sono stati  i prezzi da taglieggio di mascherine e antibatterico.

La fase due

Speravamo di esserci lasciati questi episodi alle spalle e guardavamo con fiducia alla ripresa soprattutto ora che la fase 2 fa intravedere uno spiraglio di ripresa.

Per molte persone Fase due ha significato anche la possibilità di ritorno a casa.

Tornare a casa dopo un periodo così lungo comporta il dover affrontare molti dei pensieri che ci hanno accompagnati nei giorni precedenti:

chissà come sarà rivedere le persone care e chissà chi rivedrò,

chissà se a casa è tutto a posto,

speriamo che non siano scoppiati tubi o simili,

speriamo di ritrovare la macchina…

A proposito della macchina, la fase uno ha congelato molti viaggiatori in un periodo di transito.

Tornare a casa vuol dire anche recuperare la propria automobile al garage.

La sgradevole storia di A.S. e del parking aeroportuale che ha speculato sul lock-down

In questo articolo raccontiamo la storia di A.S., una donna che il 24 febbraio è partita dall’aeroporto di Milano Malpensa e sarebbe dovuta rientrare il 26 febbraio.

Come avviene normalmente a chi viaggia, la signora ha lasciato l’auto nel parking vicino l’aeroporto.

La prima tariffa concordata era di 14 euro per 3 giorni di parcheggio come riportato anche dall’immagine.

Il talloncino di prenotazione dei 3 giorni ipotizzati della signora A.S:
Il talloncino di prenotazione dei 3 giorni ipotizzati della signora A.S.

Erano ancora i tempi in cui viaggiavamo e pensavamo di avere pieno potere sui nostri progetti.

Poi è arrivata l’emergenza Covid-19 e A.S., come tanti, ha dovuto rimandare il ritorno.

In seguito all’emergenza, la signora è rimasta in contatto con il parking che, solidale con la situazione, annunciava che i giorni successivi al 26 febbraio, sarebbero stati calcolati come da normale preventivo da sito.

Il cambio di carte in tavola

Da una proiezione del 6 maggio (giorno successivo a questo accordo) il totale dei 70 giorni ammontavano a 163 euro.

Screenshot della proiezione del 5 maggio

Quando oggi siamo andati, a nostra volta a fare una proiezione della tariffa per 70 giorni, per magia il risultato era differente: veniva applicata la tariffa di 10 euro al giorno.

Screenshot di proiezione di prenotazione per 71 giorni fatta il 13 maggio

L’inversione di rotta e la richiesta di riscatto.

Poi però è successo qualcosa: il giorno successivo alla telefonata rassicurante, il parking invia una email alla signora A.S. comunicando che la tariffa sarebbe stata di 10 euro al giorno.

La signora si è trovata a dover pagare un riscatto (perché per queste cifre e a queste condizioni, di riscatto si parla) di 750 euro indispensabile alla vittima per tornare a casa.
Che dire?
Per dovere di confronto, prima di pubblicare questo articolo, abbiamo provato a contattare Easyparking Malpensa per sentire la loro versione dei fatti.

Chi ha risposto al telefono, dopo aver sentito il motivo della nostra telefonata, ha detto che, essendo chiusi, nessuno poteva rispondere alle nostre domande.

Segnalazione atti di sciacallaggio.

Se qualcun altro dei “clienti” dell’easy parking malpensa o di altri servizi simili ha vissuto una esperienza di sciacallaggio somigliante a quella di A.S., non esiti a contattare la redazione di Betapress all’indirizzo info@betapress.it dove accoglieremo e daremo voce alle loro storie di ingiustizia.

 




Luci ed ombre sul nuovo assetto della storia

Nella riunione dell’eurogruppo, durata appena tre ore, il problema dell’adesione al Mes, che pure aveva rappresentato un fardello ai lavori della Commissione europea negli ultimi mesi, si è risolto agevolmente.

L’oggetto della discordia, il Mes, ha diviso l’europa tra paesi del blocco nordico, fautori della frugalità e del rigore dei conti pubblici, da quelli dell’area mediterranea, alle prese con la recessione economica già da prima che la pandemia divampasse.

Eppure il Meccanismo Europeo di Stabilità ha rappresentato un principio, un articolato normativo, una Linea Gotica, per e della Germania, più che una reale misura di sostegno per i paesi aderenti in difficoltà.

Dopo la riunione di ieri, infatti, grazie al Mes, sarà operativa una nuova linea di credito disponibile dal 1° giugno che potrà essere utilizzata per le spese sanitarie dirette ed indirette a concorrenza del 2% del Prodotto interno lordo.

Per il nostro paese la manovra non dovrebbe superare i 36 miliardi di euro.

Una cifra inadeguata alle esigenze sanitarie del paese.

Perché tanta importanza, allora, a questo strumento il cui dibattito in sede comunitaria era stato inizialmente calendarizzato per il mese di luglio e poi  anticipato bruscamente a fine gennaio scorso e, cioè, al palesarsi dei primi sintomi del Covid 19 in Italia?

Non è facile capirci molto anche perché il gergo della maggioranza  e dei capi di Stato e di Governo dell’Unione è sempre stato smussato dai consulenti della comunicazione per i quali tra verità reali e presunte spesso non c’è soluzione di continuità.

Il regolamento 473/2013 relativo alle “disposizioni comuni per il monitoraggio e la valutazione dei documenti programmatici di bilancio e per la correzione dei disavanzi eccessivi negli Stati membri della zona euro

si occupa della complessa vicenda richiamando nell’articolo 1 che il trattato sul funzionamento dell’Unione europea prevede che gli Stati membri considerino le loro politiche economiche una questione di interesse comune, che le loro politiche di bilancio siano guidate dalla necessità di finanze pubbliche sane che non rischino di compromettere il buon funzionamento dell’Unione economica e monetaria.

L’articolo 1 è già di per sé esaustivo.

I principi richiamati non sono la solidarietà e la promozione sociale economica ed umana dei cittadini soprattutto in contesti di gravi crisi asimmetriche, come qualcuno avrebbe pensato, ma l’equilibrio dei conti pubblici, costi quel che costi.

E’ tuttavia la lettura del regolamento 472/2013, al titolo

sul rafforzamento della sorveglianza economica e di bilancio degli Stati Membri nella zona euro che si trovino o rischino di trovarsi in gravi difficoltà per quanto riguarda la loro stabilità finanziaria” che ci permette una visione più chiara di cosa stia accadendo.

Nel dettato normativo, in sostanza, si attribuisce alla Commissione (art 2) la facoltà di sottoporre a sorveglianza rafforzata uno Stato membro che si trovi o rischi di trovarsi in gravi difficoltà per quanto riguarda la sua stabilità finanziaria.

Il rafforzamento della sorveglianza economica scatta per i paesi che abbiano accettato di beneficiare di assistenza finanziaria a titolo precauzionale da uno o più stati membri o terzi, dal Mes …

o da altre istituzioni finanziarie, come il Fondo Monetario Internazionale, l’FMI (art 3).

Nei casi più gravi il Consiglio, a maggioranza qualificata su proposta della Commissione, puo’ raccomandare misure correttive precauzionali o predisporre un progetto di aggiustamento macroeconomico  che avrà come obiettivi:

la riduzione del debito pubblico, il contenimento di pensioni e salari e la riforma dello Stato (art. 7).

Lo Stato membro soggetto al richiamato programma di aggiustamento macroeconomico che non avesse la capacità amministrativa di guidare la transizione verso gli equilibri di bilancio potrebbe essere assistito da personale tecnico messo a disposizione dalle istituzioni europee (art 8).

La lettura dei regolamenti citati dissipa ogni dubbio.

Attraverso il Mes, che è un “trigger”, un tecnicismo giuridico, non una vera e propria misura di sostegno economico, l’Unione monetaria può imporre politiche economiche rigoriste ai paesi che abbiano fatto richiesta di misure di sostegno fino a limitarne la sovranità economica e politica.

Il paese aderente, una volta richiesto l’intervento del Meccanismo europeo di stabilità, si vedrà costretto a siglare un’accordo di intesa

(MOU Memorandum of understanding) con la Commissione europea, la Bce ed il Fondo Monetario Internazionale (Troika) che daranno via al monitoraggio ed alla probabile imposizione di politiche economiche come previsto dai trattati e dai regolamenti citati.

Il caso della Grecia durante la crisi del 2010 ci torna in mente in modo prepotente.

Il programma di aggiustamento macroeconomico messo in opera dalla Troika ha prodotto, in quella occasione, tagli verticali a salari e pensioni, nuove forme di imposizione fiscale e tagliato il debito pubblico di oltre il 50%.

La cattiva notizia è che non esiste un “Mes light”.

Non esistono condizionalità attenuate a meno che non si metta mano alla modifica dei regolamenti richiamati.

Coloro che sostengono il contrario sono come quel banchiere che nel prendere le firme sulla pratica di mutuo al momento di presentare  le clausole di garanzia ed i provvedimenti in caso di morosità ci dicesse di non preoccuparci perché tanto la banca non li userà…!

Il tentativo del Commissario Gentiloni di presentare il Mes come un’iniziativa diretta al finanziamento delle spese sanitarie la cui condizionalità opererà soltanto su l’uso coerente dei fondi, non è credibile e fa il coro con le dichiarazioni dei numerosi politici e dirigenti  che nelle prossime ore cercheranno di presentare agli italiani come vittoria quella che invece è, e resterà, una sconfitta.

Né convinceranno le prese di distanza che anime della maggioranza di governo in italia porranno in essere, con lo scopo di rendere meno pesanti le ricadute di consenso delle politiche sostenute.

Del resto il paese è duramente colpito e le proiezioni su prodotto interno lordo, deficit, reddito ed occupazione non potranno che confermare l’impoverimento del nostro tessuto sociale ed economico.

Le misure di sostegno promesse dal Consiglio europeo, una volta accettato il Mes,  riposano, inoltre, sul bilancio dell’Unione 2021/2027 e prevedono finanziamenti importanti per l’economia comunitaria da spalmare in più esercizi ma senza un’unione fiscale:

lo scontro sulla mutualizzazione del debito dei paesi più in difficoltà non si risolverà facilmente e la parola d’ordine continuerà a rimare con rigore, tagli alla spesa, tasse patrimoniali e riduzione del debito pubblico esistente.

La Germania ha fatto del Mes la sua Linea Gotica, la linea difensiva fortificata lunga oltre 300 chilometri costruita dai soldati tedeschi nell’Italia centro settentrionale alla fine della seconda guerra mondiale con il fine di proteggere la madre patria germanica da una ipotetica controffensiva.

Linee fortificate di ieri fatte di montagne e costruzioni che rivivono oggi nelle parole, nelle normative e negli  atti di indirizzo politico ma la sostanza non cambia.

Sullo sfondo rimangono le macerie di un continente  europeo ancora alla ricerca di una propria identità.

In questi mesi, le riunioni delle assemblee decisionali dell’Unione sono state accompagnate, spesso precedute, da eventi negativi annunciati o temuti:

downgrade del debito pubblico

revisioni al ribasso delle stime economiche

sentenze avverse da parte di tribunali costituzionali ad interventi di sostegno economico già assunti da anni

(i.e. Quantitative Easing).

Campanelli d’allarme che ai malpensanti possono richiamare echi di complottismo ed ai miti  semplici casualità.

Non sorprenda, tuttavia ad entrambi, che la società Moody’s abbia lasciato inalterato il merito creditizio del paese nella riunione, anch’essa svoltasi nella giornata di ieri.

Non si dispiaceranno i miti lettori, se alle coincidenze, i maligni, dai quali ci  dissociamo, ne aggiungeranno un’altra: una data.

Quella dell’8 maggio.

Il Mes è adottato da ieri, 8 maggio 2020 e consegna alla Germania un primato sugli altri paesi.

Settantacinque anni fa un’altro 8 maggio regalava al mondo una speranza di pace: la resa senza condizioni della Germania nazista alle truppe alleate.

Fatti che s’inseguono quasi per caso e che parlano più di mille parole.

Se gli eventi conservano un’anima, se un filo lega i corsi storici, dovremo ricordare, a questo punto, che dopo la capitolazione della Germania

nazista e la fine della guerra, il Mondo dei “giusti” avvio’ un percorso di pacificazione che ebbe inizio con un Processo:

quello di Norimberga.

 

 

 

 

 

 

 

 

 

 

 

 

Piano Marshall oggi più che mai!!

Pandemia Finanziaria, cui prodest?

 




La creatività come compensazione positiva nei momenti di crisi

In un momento di crisi dovuto allo sconvolgimento creato da un virus aggressivo che può non lasciare scampo a chi non rispetta le regole, diviene sempre più impellente la ricerca di una strategia per gestire i vissuti di criticità che accompagnano le persone.

Il termine crisi è legato ai nostri spazi vitali che possono essere compromessi proprio dall’arrivo di un qualcosa che separa.

“Crisi” tradotto dal greco κρίσις indica proprio la separazione che implica anche una scelta.

La crisi inizialmente è vissuta con disagio perché collegata ad una situazione di malessere.

Sono in crisi perché ho perso degli affetti, sono in crisi perché non lavoro, sono in crisi perché ho fatto investimenti  sbagliati.

Una crisi non risolta può sviluppare effetti di grave disagio psichico ma nel  momento in cui si supera ci troviamo di fronte alla rinascita.

La crisi diviene quindi tappa di un processo evolutivo perché è un momento decisivo per attivare il cambiamento.

Nel termine essere in crisi è proprio insito il senso di mutamento e di trasformazione che permette di passare da un’accezione negativa ad una positiva.

La crisi è dunque qualcosa di perturbante che entra nell’esistenza di una persona producendo effetti più o meno gravi, si tratta di un turbamento profondo spesso anche della collettività e della società.

La crisi può altresì riguardare specifici  settori e si parla infatti di crisi dei valori, crisi dell’arte, crisi della letteratura e più in generale crisi esistenziale.

Entrare in crisi significa anche porre termine ad una situazione problematica e avviare un processo di risoluzione che passa attraverso  strategie di problem solving.

Oggi il virus ha creato l’improvviso passaggio da una situazione di  discreto benessere economico ad uno stato di depressione economica che crea nell’uomo stati emotivi quali la paura, l’inquietudine, l’ansia e l’angoscia nei casi più gravi.

La negata libertà di proiettarsi attraverso una progettualità nel futuro ci paralizza. La crisi può però rappresentare anche un’opportunità in quanto strumento necessario ed efficace per promuovere un cambiamento.

Albert Einstein nel suo testo “Il mondo come lo vedo io” dedica molte riflessioni al tema della crisi e la vede come occasione necessaria per il cambiamento. Si ritiene infatti che la creatività sia più  attiva  nei momenti di  elevata difficoltà.

Come afferma Einstein: “La crisi è la più grande benedizione per le persone e le nazioni, perché la crisi porta progressi. La creatività nasce dall’angoscia come il giorno nasce dalla notte oscura. È nella crisi che sorgono l’inventiva, le scoperte e le grandi strategie. Chi supera la crisi supera se stesso senza essere superato”.

In quest’ottica l’attività creativa può essere considerata life skills, indispensabile per un buon equilibrio psicofisico e per un positivo adattamento all’ambiente.

Per life skills si intendono tutte le abilità di carattere cognitivo, emotivo, sociale che supportano le persone  nel  fare fronte in maniera efficace ed utile ai bisogni ed alle sfide della vita di tutti i giorni.

La creatività viene dunque oggi riconosciuta come un’abilità cognitiva, che può servire alla persona per cambiare il suo punto di vista su una certa situazione e per trovare dunque soluzioni creative ai problemi che gli si  presentano nella vita.

Reagire alla distruzione causata dal Covid-19 significa promuovere un cambiamento dove il processo creativo assume un ruolo di primo piano.

Si tratta di reinventarsi in nuovi ruoli spesso trascurati o sconosciuti.

La “sindrome della capanna” che ci ha accomunato in questi  mesi ci ha permesso di esprimere la nostra creatività in ambiti diversi quali: l’arte culinaria, la pittura, la scultura, il gioco, la scrittura, il  collezionismo e tanto altro.

Non solo i giovani già predisposti in quanto nativi  digitali ma anche gli anziani hanno scoperto che è possibile socializzare creando  eventi con l’aiuto della tecnologia.

L’incontro con l’altro diviene in quest’ottica un processo creativo che ci permette di visitare l’amico e il parente con un semplice collegamento telematico.

L’abbraccio è virtuale ma nel nostro immaginario, se vogliamo, ne possiamo sentire il  calore.

 

 

 

 

 

 

 

 

 

 

Sperimentiamo! Dirigente Professori ed alunni per scrivere in modo creativo.