Madre, figlio tardo-adolescente e costellazioni familiari post-divorzio: un’analisi pedagogica della separazione, della presenza materna e delle dinamiche di gelosia
la tardo-adolescenza come soglia educativa e antropologica
Tra i 19 e i 20 anni la crescita non coincide con un “approdo” ma con una riorganizzazione: il soggetto è legalmente adulto, e tuttavia permane in una fase che la letteratura psicopedagogica descrive come tardo-adolescenza o “adultezza emergente”, caratterizzata da instabilità, esplorazione identitaria, oscillazione tra dipendenza e autonomia, sperimentazione affettiva e progettuale.
Questo quadro, ampiamente tematizzato sul versante psicosociale, è particolarmente sensibile alle condizioni relazionali e sistemiche del nucleo familiare, soprattutto quando la famiglia è attraversata da eventi di rottura (separazione, divorzio, riformulazione delle alleanze) e da asimmetrie di presenza genitoriale.
In tale contesto, il rapporto madre figlio può divenire sede di una tensione strutturale: la madre, spesso investita della funzione di cura quotidiana, rischia di prolungare modelli educativi protettivi che in precedenza risultavano funzionali, ma che ora si rivelano inadeguati al compito evolutivo principale della fase, cioè la separazione psicologica e la costruzione di un’identità autonoma responsabile.
D’altra parte, l’assenza paterna specie se vissuta come menefreghismo non si limita a essere una “mancanza” ma produce uno sbilanciamento di funzioni simboliche e regolative, accentuando le probabilità di una diade madre figlio chiusa, fusionale o conflittuale.
A complicare ulteriormente, nelle famiglie ricomposte può intervenire la presenza di un nuovo compagno della madre, che innesca nel figlio forme di gelosia talvolta percepite come “irrazionali” ma, a una lettura pedagogico-sistemica, interpretabili come segnali e sintomi di processi più profondi: paura della sostituzione, minaccia ai confini, riattivazione del trauma relazionale dell’abbandono paterno, confusione di ruoli e di lealtà.
Scopo di questo articolo è delineare un quadro interpretativo integrato psicosociale, pedagogico e sistemico che consenta di leggere tali dinamiche non in termini colpevolizzanti, ma in termini di funzioni, significati e compiti evolutivi; e di proporre linee di intervento educativo coerenti con la necessità di promuovere autonomia, competenza affettiva e capacità di progettazione del giovane adulto.
identità, separazione e sistemi familiari
Erikson e la costruzione dell’identità
Il paradigma eriksoniano, pur nato in un’epoca diversa, resta euristicamente potente: l’adolescenza e la prima età adulta sono il tempo della tensione tra identità e confusione di ruolo, e la qualità degli attaccamenti e del riconoscimento ricevuto influisce sulla possibilità di elaborare una continuità del Sé.
La soglia 19 20 anni non chiude questa tensione: spesso la prolunga e la raffina, soprattutto in società in cui studio, lavoro e autonomia abitativa si spostano in avanti.
Blos e la “seconda individuazione”
Con Blos, l’adolescenza è interpretabile come una “seconda individuazione”: il soggetto deve recidere (psicologicamente) le dipendenze infantili per diventare autore della propria traiettoria.
Questo processo non è un tradimento della famiglia, ma un suo riassetto: l’affetto non diminuisce, si trasforma; la dipendenza non sparisce, si ridefinisce in reciprocità adulta.
Bowen: differenziazione del Sé e triangolazioni
La prospettiva sistemica di Bowen è particolarmente utile nei contesti post-divorzio: la famiglia è un sistema di interdipendenze; quando cresce l’ansia, aumentano le triangolazioni (alleanze a due contro un terzo), i processi di fusion e cut-off (taglio emotivo), e si indebolisce la “differenziazione del Sé”, cioè la capacità del soggetto di mantenere autonomia emotiva senza rompere il legame.
Una madre iper-presente e un padre assente costituiscono un terreno favorevole alla triangolazione: il figlio può diventare (esplicitamente o implicitamente) il “partner emotivo” della madre, oppure il “giudice” delle colpe paterne, oppure la “prova vivente” del fallimento coniugale.
In tutti questi casi, il compito evolutivo del figlio viene caricato di funzioni che non gli competono.
Winnicott: holding, spazio transizionale e rischio di intrusività
Winnicott permette un’altra distinzione cruciale: la cura buona (holding) è quella che sostiene senza invadere, e che consente al soggetto di sperimentare un “spazio transizionale” in cui provare sé stesso nel mondo. Nella tardo-adolescenza, il buon holding non si dà come presenza costante, ma come affidabilità: il giovane sa che l’adulto c’è, ma non occupa il suo posto.
La madre “chioccia” nella tardo-adolescenza: dalla protezione all’intrusione
Una madre molto presente non è necessariamente una madre “sbagliata”: spesso è una madre che risponde a una storia familiare segnata dalla precarietà, dal dolore o dalla responsabilità unilaterale.
Tuttavia, nel passaggio ai 19 20 anni, il modello protettivo rischia di slittare in intrusività.
I segnali tipici di questo slittamento includono:
- anticipazione costante dei bisogni (fare al posto del figlio ciò che potrebbe fare da solo);
- iper-monitoraggio (controllo di orari, frequentazioni, comunicazioni digitali);
- mediazione permanente (risolvere conflitti che il figlio dovrebbe imparare a gestire);
- regolazione emotiva sostitutiva (il figlio “sta bene” perché la madre lo stabilizza, non perché costruisce autoregolazione).
Sul piano pedagogico, l’intrusività produce una conseguenza paradossale: riducendo l’ansia materna nell’immediato, aumenta l’insicurezza del figlio nel medio periodo, perché lo priva dell’esperienza fondamentale di poter fronteggiare problemi, sbagliare, riparare.
Ne deriva una dipendenza che può assumere forma docile (passività, rinuncia decisionale) oppure oppositiva (conflitti, menzogne, fuga). Entrambe sono modalità difensive rispetto a un confine percepito come non negoziabile.
Il padre assente: non solo mancanza, ma frattura di riconoscimento e funzione regolativa
Quando il padre divorziato è assente “ai limiti del menefreghismo”, l’impatto è duplice.
- Ferita narcisistica e di riconoscimento: il figlio può interiorizzare, anche senza formularlo, l’idea di non meritare attenzione. Questo si traduce in vulnerabilità all’approvazione esterna, paura del rifiuto, ricerca di conferme o specularmente cinismo relazionale.
- Indebolimento del “terzo”: nel sistema familiare, una figura terza aiuta a separare senza spezzare. Se il terzo manca, la diade madre figlio tende a intensificarsi e a diventare luogo di compensazione: la madre compensa l’assenza con maggiore presenza; il figlio compensa la perdita con controllo sul legame rimasto.
Dal punto di vista educativo, l’assenza paterna può alimentare due copioni:
- adultizzazione precoce (il figlio “si sente uomo” perché deve tenere insieme cose, proteggere la madre, gestire tensioni);
- infantilizzazione prolungata (il figlio resta “bambino” perché la madre non riesce a lasciarlo andare e perché mancano propulsori esterni affidabili).
ma in entrambi i casi il padre assente potrebbe beneficiare di una minore rabbia del figlio nei suoi confronti in quanto la stessa tende a sfogarsi verso il genitore presente, idealmente identificato come il colpevole principale del disagio del giovane.
Identità sessuale e affettiva: non la “questione” in sé, ma il contesto relazionale che la rende simbolicamente pesante
La formazione dell’identità sessuale e affettiva a 19/20 anni che può includere esplorazione, ridefinizioni, non linearità richiede un ambiente che garantisca:
- sicurezza (non sarò punito emotivamente o moralmente per ciò che scopro di me);
- tempo (posso non definirmi subito);
- riservatezza (posso scegliere quando e come condividere);
- riconoscimento (non sono ridotto a un’etichetta né a una prestazione).
In un sistema madre iper-presente / padre assente, questa esplorazione può complicarsi: il figlio teme l’invasione materna e al contempo teme l’abbandono; teme di perdere l’unico legame stabile; teme di “ferire” la madre o di destabilizzarla.
L’identità, allora, non è solo ricerca personale: diventa regolazione della famiglia. La difficoltà non sta nell’identità, ma nel fatto che il giovane la vive dentro un dispositivo di lealtà e responsabilità improprie.
Il nuovo compagno della madre e la gelosia del figlio: lettura pedagogico-sistemica di una “irrazionalità”
La gelosia del figlio verso il compagno della madre, specie quando appare sproporzionata, viene spesso letta moralisticamente (“sei immaturo”, “sei possessivo”, “devi farti da parte”).
Un approccio pedagogico più solido, invece, parte dal presupposto che l’emozione è un dato, e che il compito educativo è trasformare l’emozione in pensiero, parola e confine.
La gelosia come paura di sostituzione
Se il padre è assente, il figlio può vivere il nuovo partner come conferma che “gli uomini se ne vanno”: la presenza di un altro uomo non cura la ferita, può riattivarla.
La gelosia, allora, è difesa dall’idea di essere rimpiazzabile: “Se lei ha lui, io che posto ho?”.
Gelosia e confusione dei ruoli: la parentificazione
Se, negli anni, il figlio è diventato un sostegno emotivo per la madre (anche solo implicitamente), l’ingresso del partner interrompe un equilibrio: il figlio perde un ruolo centrale.
Ciò non significa che il figlio desideri la madre in senso erotico; significa che ha interiorizzato una funzione di “garante” affettivo della madre.
In psicopedagogia della famiglia, questo può essere letto come esito di una parentificazione o di un legame eccessivamente diadico.
La gelosia è, in questa chiave, reazione alla perdita di una funzione identitaria.
Lealtà e conflitti: il figlio tra madre e padre assente
Un’altra radice è la lealtà: il figlio può percepire il nuovo partner come “tradimento” del padre, anche se il padre è colpevolmente distante.
In realtà, qui il punto è la difficoltà a integrare sentimenti contraddittori: rabbia verso il padre e desiderio di un padre; giudizio sul padre e bisogno di appartenenza paterna. Il nuovo partner diventa bersaglio di un conflitto che non trova luogo simbolico di elaborazione.
Confini domestici: territorio e invasione
Infine, la casa: per un giovane che non è ancora autonomo, la casa è ancora base identitaria.
L’ingresso del compagno può essere vissuto come invasione del proprio “territorio”. Se la madre è “chioccia”, la casa era anche luogo di protezione ma con effetti di controllo; ora diventa luogo di competizione e ridefinizione di gerarchie.
autonomia, competenza emotiva, traiettorie sociali
L’intreccio madre iper-presente / padre assente / compagno della madre / gelosia del figlio può produrre alcuni esiti frequenti:
- ritardo dell’autonomia funzionale: gestione economica, organizzativa, decisionale;
- oscillazioni affettive: tra bisogno di fusione e paura dell’intimità;
- difficoltà di progettazione: studi, lavoro, migrazione abitativa rimandati o vissuti come colpa;
- rischio di cut-off: tagli emotivi improvvisi con la madre, spesso preceduti da lunga ambivalenza;
- doppie vite: evitamento del conflitto attraverso segretezza relazionale (amicizie, partner, orientamento, comportamenti);
- iper-controllo o passività: due polarità dello stesso problema (mancata differenziazione).
Questi esiti non sono “patologie” automatiche: sono possibilità che aumentano di probabilità quando il sistema familiare non riesce ad accompagnare il passaggio dalla dipendenza alla reciprocità adulta.
Linee di intervento pedagogico: dal controllo alla fiducia, dalla diade al sistema, dalla reazione alla rinegoziazione
Compito della madre: trasformare la cura in accompagnamento
Tre mosse educative decisive:
- delega reale (compiti, scadenze, decisioni appartengono al figlio);
- disciplina della soglia (essere presenti senza invadere: “sono qui se mi chiedi”);
- linguaggio non ricattatorio (evitare narrazioni di sacrificio come valuta morale).
Compito del figlio: apprendere differenziazione e responsabilità
Educativamente, il figlio va sostenuto nel passare da “reazione” a “posizione”:
- trasformare la gelosia in parola: “Ho paura di perdere il mio posto” invece di agire controllo o aggressività;
- riconoscere il bisogno legittimo senza trasformarlo in diritto di possesso;
- costruire una micro-autonomia progressiva (finanze, spazi, tempi, reti sociali).
Compito del sistema: creare “terzi” e confini chiari con il nuovo partner
Quando entra un compagno della madre, servono confini:
- il partner non deve sostituire il padre né competere con il figlio;
- deve essere definito il suo ruolo (ospite, convivente, figura adulta di riferimento?) con gradualità;
- devono essere preservati spazi esclusivi madre figlio (tempi di relazione non “colonizzati” dalla nuova coppia) per evitare vissuti di rimpiazzo;
- devono essere preservati spazi esclusivi del figlio (privacy, autonomia domestica, regole condivise).
Ricostruzione della pluralità adulta
Se il padre è assente, è utile pedagogicamente e socialmente introdurre figure adulte significative (mentor, tutor universitario, educatore, famiglia allargata).
Non è un surrogato sentimentale, ma un correttivo sistemico: aiuta a ridurre la pressione sulla diade madre figlio e a creare modelli relazionali alternativi.
Spazi di mediazione e supporto
In diversi casi è opportuno un intervento strutturato:
- consulenza educativa/familiare per rinegoziare ruoli e confini;
- mediazione familiare se il conflitto è alto e il figlio è triangolato;
- supporto psicologico per il figlio quando la gelosia o la ferita di abbandono diventano disfunzionali (ansia, depressione, agiti).
educare alla separazione senza perdere il legame
Nella tardo-adolescenza la famiglia è chiamata a un compito sottile: mantenere il legame riducendo il controllo; offrire supporto riducendo l’intrusione; accettare il cambiamento senza drammatizzarlo come perdita.
L’iper-presenza materna e l’assenza paterna non sono semplicemente caratteristiche individuali: sono forze sistemiche che, se non rielaborate, rischiano di imprigionare il giovane in una dipendenza conflittuale o in un’autonomia “reattiva”.
L’ingresso di un nuovo compagno della madre rende evidente ciò che già era in corso: la necessità di confini, di terzi, di parole.
La gelosia del figlio, allora, non va ridotta a capriccio: è spesso il linguaggio emotivo di un sistema che sta cambiando e di un giovane che teme di essere rimpiazzato proprio mentre prova a diventare se stesso.
L’educazione, in questa fase, non consiste nel “tagliare” il cordone, ma nel trasformarlo in un filo di fiducia: abbastanza resistente da sostenere, abbastanza elastico da lasciare andare.
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