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La politica estera di Mussolini andò evolvendosi da una fase iniziale di tentativo di integrazione nel sistema delle grandi potenze europee a una radicale ricerca di autonomia revisionista e, infine, ad un’alleanza con la Germania nazista.

La tensione centrale fu fra: il desiderio di essere riconosciuto come grande potenza “legittima” all’interno dell’ordine europeo (con possibili intese con Inghilterra e Francia), e la frustrazione e la percezione di isolamento che lo spinsero verso un revisionismo avventurista e l’asse con la Germania.

L’abbandono dell’ipotesi di un’alleanza con Inghilterra e Francia non fu un singolo atto isolato, ma un processo segnato da rotture e tradimenti percepiti: il momento in cui divenne irreversibile e “definitivo” coincide con il passaggio pubblico e politico verso una nuova focalizzazione strategica, incarnata nel consolidarsi della Roma-Berlino Axis nell’ottobre 1936.

Nei primi anni del regime Mussolini cercò una forma di riconoscimento internazionale che non lo isolasse.

La politica estera italiana oscillò fra revisionismo moderato (per es. rivendicazioni territoriali nei Balcani e nel bacino adriatico) e un tentativo di inserirsi nella “concertazione” europea.

L’Italia partecipò agli organismi internazionali post-Versailles, e Mussolini inaugurò un’immagine di “moderazione” dopo il biennio rivoluzionario europeo figura che, almeno pubblicamente, tendeva a non rompere con l’Inghilterra e la Francia.

Anche nei contatti diplomatici si cercava equilibrio: pur volendo espandersi, l’Italia non rompeva apertamente con le potenze occidentali, anzi talvolta cercava alleanze o intese (lo stesso referenziato in De Felice e Bosworth come una politica spesso ambigua, mista tra cooperazione e aspirazioni egemoniche). 

Nel tentativo di contenere la Germania nazista, nel marzo 1935 Italia, Francia e Gran Bretagna formarono lo “Stresa Front”, una dichiarazione di cooperazione e sostegno reciproco contro i progetti revisionisti tedeschi.

Formalmente, questo sembrava indicare che un’alleanza o almeno una comprensione con Inghilterra e Francia era ancora possibile.

Tuttavia, le tensioni latenti erano molte: la Germania era percepita da Mussolini come un possibile alleato tattico, mentre inglesi e francesi avevano sensibilità differenti verso le ambizioni italiane (soprattutto in Africa).

La conclusione dell’Anglo-German Naval Agreement nel giugno 1935, che riconosceva un riarmo navale tedesco (in misura limitata) al di fuori del sistema collettivo del Trattato di Versailles, fu percepita da Mussolini come un segnale della fragilità e incoerenza dell’Occidente.

Questo accordo indebolì l’unità del fronte anti-tedesco e suggeriva a Mussolini che l’Inghilterra fosse pronta a negoziare separatamente con Berlino, escludendo del tutto l’Italia dalla decisione strategica. 

L’invasione dell’Etiopia nell’ottobre 1935 fu il culmine dell’ambizione imperiale italiana e segnò un punto di rottura.

La risposta di Inghilterra e Francia fu ambivalente: da un lato si imposero sanzioni formali attraverso la Società delle Nazioni, dall’altro si cercò di “gestire” la crisi, con tentativi di compromessi (come il discusso piano Hoare-Laval alla fine del 1935, che propose una spartizione di fatto dell’Etiopia per placare l’Italia).

Il piano, però, fu pubblicamente rifiutato dall’opinione pubblica e fallì; Mussolini lo interpretò come un segno di debolezza ma anche di inaffidabilità e ipocrisia: l’Occidente non lo sosteneva apertamente ma allo stesso tempo non gli concedeva pienamente ciò che pretendeva, e addirittura tentava di trattare dietro le quinte.

Le sanzioni, e la combinazione di condanna pubblica con segrete ambiguità diplomatiche, alimentarono il senso di tradimento. 

Sintesi di questa fase:

  • L’accordo anglo-tedesco e la gestione ambigua della crisi etiope distrussero la fiducia reciproca.

  • Mussolini cominciò a vedere Inghilterra e Francia non come partner affidabili ma come attori che ne limitavano l’espansione, senza offrire contropartite reali e coerenti.

  • L’idea di una “alleanza” costruttiva andava sfumando, benché non ancora formalmente abbandonata: l’Italia cercava ancora spazi, ma la percezione di isolamento cresceva.

Il punto di rottura definitivo, nel senso politico e simbolico in cui Mussolini abbandonò l’idea di un’alleanza con Inghilterra e Francia per spostare l’asse strategico dell’Italia su un altro partner, si colloca nell’ottobre 1936 con la proclamazione pubblica dell’Asse Roma-Berlino.

Questo non fu solo una dichiarazione diplomatica: rappresentava un riposizionamento ideologico (almeno nella pratica) e strategico.

Da quel momento in poi, l’Italia iniziò ad allinearsi sempre più apertamente con la Germania su questioni europee e mediterranee, accettando un modello di cooperazione che era alternativo e spesso in contrapposizione agli interessi britannici e francesi. 

Quel momento sancì che Mussolini non sperava più in un’integrazione o intesa stabile con il blocco anglo-francese: la sua diplomazia era ora orientata verso un “cordone” autoritario europeizzato con la Germania, e ogni idea di un’alleanza paritaria con Francia e Inghilterra era subordinata (e rapidamente marginalizzata) rispetto all’asse italo-tedesco.

Dopo il 1936, la politica estera italiana accentuò la propria distanza da Francia e Inghilterra:

Il sostegno alla guerra civile spagnola (condivisione di interessi con la Germania e il sostegno a Franco) rafforzò l’isolamento e la collisione con le democrazie occidentali.

L’Italia firmò negli anni successivi accordi politici e ideologici in chiave anti-liberale e sempre più in sintonia con le politiche tedesche (tra cui collaborazioni anti-comintern e preparazione di patti difensivi).

Le politiche razziali e l’“italianizzazione” dell’alleanza con la Germania nel 1938 (leggi razziali, crescente sincronizzazione culturale e diplomatica) allontanarono ulteriormente qualsiasi residua base per una ripresa di fiducia con Francia e Inghilterra.

L’abbandono era ormai non solo strategico ma anche identitario: l’Italia si era incanalata in un’opposizione strutturale, in certa misura, all’ordine politico occidentale liberal-democratico.

Il comportamento di Mussolini in politica estera fu caratterizzato da un doppio binario: il desiderio iniziale di riconoscimento e cooperazione con le grandi potenze occidentali (Inghilterra e Francia) e la successiva disillusione/rottura che lo spinse verso scelte revisioniste e, infine, allineate con la Germania nazista.

Il momento in cui abbandonò definitivamente l’idea di un’alleanza con Inghilterra e Francia viene identificato con la svolta dell’ottobre 1936, sancita dalla proclamazione dell’Asse Roma-Berlino, che segnò un riposizionamento strategico inequivocabile dell’Italia verso un altro blocco, e in cui la possibilità di un’alleanza paritaria e credibile con Francia e Inghilterra cessò di essere perseguibile in termini reali.

Da quel momento, qualsiasi riavvicinamento fu marginale, strumentale o semplicemente impossibile nella logica politico-ideologica del regime.

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