“NE UCCIDEVA PIÙ LA PENNA CHE LA SPADA”: UN LIBRO PER RISVEGLIARE LE COSCIENZE E DIFENDERE IL GIORNALISMO COME ULTIMO BALUARDO CONTRO QUALUNQUISMO E COERCIZIONE POLITICA

COMUNICATO STAMPA ED INTERVISTA ALL’AUTORE CORRADO FALETTI
“NE UCCIDEVA PIÙ LA PENNA CHE LA SPADA”: UN LIBRO PER RISVEGLIARE LE COSCIENZE E DIFENDERE IL GIORNALISMO COME ULTIMO BALUARDO CONTRO QUALUNQUISMO E COERCIZIONE POLITICA
Esce oggi il libro “Ne uccideva più la penna che la spada”, un’opera forte e incisiva che intende scuotere profondamente le coscienze dei lettori, riportando al centro del dibattito pubblico il ruolo fondamentale del giornalismo libero e indipendente.
In un tempo dominato dalla superficialità delle informazioni veicolate dai social media e dall’aggressività crescente delle pressioni politiche, questo libro rappresenta una vera e propria chiamata alle armi civili, ricordando che il giornalismo autentico resta uno degli ultimi argini contro il dilagante qualunquismo e contro ogni forma di coercizione politica che oggi minaccia il nostro Paese.
Attraverso una riflessione lucida e profonda, il libro denuncia la crisi etica e professionale in cui versa il giornalismo moderno e propone con forza una rinascita della responsabilità civica, della serietà e della verità nella comunicazione pubblica. Un appello a tutti i cittadini affinché comprendano l’urgenza di sostenere e difendere la stampa libera, pilastro indispensabile per il mantenimento della democrazia e della libertà individuale e collettiva.
“Ne uccideva più la penna che la spada” non è soltanto un libro, è un manifesto per la rinascita culturale e civile del nostro Paese, una lettura imprescindibile per chi crede ancora nel valore inestimabile della parola come antidoto contro la banalizzazione e l’oppressione.
intervista a Corrado Faletti, autore di Ne uccideva più la penna che la spada! una denuncia e un appello per un giornalismo libero
Domanda: Professore Faletti, il suo libro ha suscitato molto interesse per il suo approccio critico verso il giornalismo contemporaneo. Può spiegarci quali sono, secondo lei, le principali cause della crisi che attraversa oggi la professione giornalistica?
Risposta: Il libro nasce da una profonda riflessione sulla decadenza del ruolo del giornalista, una crisi che ha radici strutturali ed economiche ma anche culturali. Oggi il giornalismo è sotto una pressione enorme, in gran parte dovuta al passaggio da un modello economico basato sulla carta stampata e sulla pubblicità tradizionale a un modello digitale dominato dagli algoritmi, dai click e dal sensazionalismo. Questa rivoluzione ha spezzato i ritmi lenti e accurati della verifica, obbligando i giornalisti a rincorrere l’attenzione immediata del pubblico, spesso a discapito dell’etica, della deontologia e della profondità informativa.
Domanda: Nel libro parla molto del progetto Betapress, testata da lei diretta che si definisce libera da pubblicità e finanziamenti esterni. Qual è stato il prezzo di questa indipendenza?
Risposta: Betapress rappresenta un caso emblematico di resistenza culturale e giornalistica. Siamo nati e cresciuti con l’idea di un’informazione libera da qualsiasi condizionamento economico o politico, senza sponsor, senza finanziamenti pubblici o privati. Ma questa scelta, pur essendo eticamente irrinunciabile, ha avuto un costo altissimo, soprattutto personale. Nel mio caso, dopo alcune inchieste scomode, in particolare sulla gestione del ministero dell’Istruzione, sono stato vittima di una vera e propria persecuzione sul lavoro, con un mobbing durato anni e ben, dicasi ben, due licenziamenti, uno avvenuto quando ero in malattia per stress da lavoro correlato, diagnosi certificata, e l’altro quando non ero già più dipendente. Assurdo direte voi, ma per paura che tornassi, quindi che un giudice vedesse l’assurdità del primo licenziamento, mi hanno licenziato un’altra volta anche se non ero più, da ormai tre mesi, un dipendente. Pensate lo stupore che ho avuto quando ho ricevuto via PEC il secondo decreto di licenziamento, oltretutto con decorrenza immediata, ed io non ero più, già da tre mesi, dipendente della PA. Ma tutto questo rientra nella persecuzione che ho subito per due anni a causa delle attività di inchiesta di Betapress.
Questa è la dimostrazione plastica di come il potere cerchi di tacitare chi osa raccontare la verità senza compromessi.
Domanda: Quindi il suo libro denuncia anche una forma di pressione politica diretta sulla stampa indipendente?
Risposta: Esattamente. Il libro descrive un quadro inquietante in cui il potere governativo, attraverso canali istituzionali e indiretti, tenta di comprimere la libertà di informazione. Non solo con censura esplicita o limitazioni legislative, ma anche con strategie di esclusione, intimidazione e isolamento delle testate indipendenti. Nel mio caso, il fatto che la mia testata abbia messo in luce false comunicazioni e scorrettezze ha innescato una rappresaglia sistematica che ha coinvolto anche il mio ruolo professionale pubblico. È un esempio di come la libertà di stampa venga minacciata non solo nei salotti buoni dell’informazione mainstream, ma anche nelle realtà meno visibili, ma altrettanto essenziali, come le piccole testate indipendenti.
Domanda: Nel testo lei parla anche di un “giornalismo pedagogico”. Può spiegare in cosa consiste questa proposta?
Risposta: Il giornalismo pedagogico è un’idea di giornalismo che va oltre la mera informazione. Non si tratta solo di raccontare i fatti, ma di educare il lettore, di fornire strumenti di lettura critica, di distinguere tra fatti e opinioni, di combattere la disinformazione e la propaganda. In tempi in cui il giornalismo rischia di diventare mera propaganda, è fondamentale recuperare una funzione educativa, di responsabilità civile. Ogni parola ha un peso, può educare o diseducare, e il giornalista deve riassumere la sua funzione in quella di mediatore culturale, educatore e vigile custode della democrazia.
Domanda: Come valuta l’atteggiamento degli ordini professionali dei giornalisti in relazione a queste pressioni e alla crisi del giornalismo?
Risposta: Sfortunatamente, come ho avuto modo di sperimentare personalmente, gli ordini dei giornalisti spesso si mostrano distanti o poco incisivi di fronte a situazioni di intimidazione e pressione politica. Nel mio caso, nonostante l’ascolto e qualche parola di sostegno, non c’è stato alcun intervento concreto. Questo silenzio istituzionale è molto preoccupante perché lascia i giornalisti esposti, senza protezione, rafforzando così la censura e l’autocensura. L’ordine dovrebbe essere un presidio forte e attivo, soprattutto in tempi così difficili, ma spesso preferisce evitare scontri troppo duri.
Domanda: Qual è il messaggio principale che vuole lasciare ai lettori con questo libro?
Risposta: Il messaggio è un appello accorato per la difesa della libertà di stampa come pilastro della democrazia. Senza un’informazione libera, senza giornalisti indipendenti e senza pluralismo, la democrazia stessa rischia di morire. Voglio che chi legge capisca che la libertà di parola è oggi più fragile che mai e che bisogna impegnarsi, come cittadini e come professionisti, per difenderla. Il libro non offre soluzioni facili, ma pone domande fondamentali e invita a una scelta quotidiana: stare dalla parte della verità, anche quando è scomoda, e restare fedeli alla missione educativa e sociale del giornalismo.
Domanda: ma perché acquistare questo libro?
Risposta: Un lettore dovrebbe acquistare “Ne uccideva più la penna che la spada!” per una serie di motivi profondi e di grande rilevanza, che vanno ben oltre la semplice lettura di un testo giornalistico o critico. Questo libro si configura infatti come un’opera fondamentale per comprendere le dinamiche complesse che oggi minacciano la libertà di stampa, la qualità dell’informazione e, più in generale, la salute stessa della democrazia.
In primo luogo, il libro offre una testimonianza diretta e, MI SI PERMETTA, autorevole sull’esperienza concreta di chi ha vissuto in prima persona le pressioni, le intimidazioni e le difficoltà di fare giornalismo indipendente in un contesto sempre più ostile. Non mi limito a un’analisi teorica: racconto con coraggio il mio percorso alla guida di Betapress, una testata libera da pubblicità e condizionamenti, e la conseguente repressione personale e professionale subita. Questa narrazione rende il testo non solo un documento critico ma anche una storia umana di resistenza, che può ispirare chi crede nella libertà di parola.
In secondo luogo, il libro rappresenta una denuncia esplicita e approfondita delle trasformazioni dirompenti nel mondo dell’informazione, causate da modelli economici tossici, dall’egemonia digitale e dalla progressiva perdita di ruolo dei giornalisti come garanti della verità e dell’etica. Il lettore troverà in queste pagine una decostruzione puntuale delle ragioni per cui il giornalismo contemporaneo rischia di perdere la sua funzione sociale, tra precarizzazione del lavoro, clickbait, propaganda e censura mascherata.
In terzo luogo, il volume propone una visione innovativa e necessaria: il giornalismo pedagogico. Non si tratta solo di criticare, ma di indicare una via nuova, che riconduce il giornalismo alla sua funzione originaria di educazione civica e culturale. Il libro insegna al lettore a sviluppare un approccio critico alle notizie, a distinguere tra fatti e opinioni, a smascherare la manipolazione e a comprendere l’importanza di un’informazione rigorosa e responsabile. È quindi un manuale di sopravvivenza intellettuale in un’epoca di sovraccarico informativo e post-verità.
Infine, il libro è un appello alla partecipazione e alla responsabilità collettiva. In un momento storico in cui la democrazia appare fragile e la libertà di stampa sotto attacco, “Ne uccideva più la penna che la spada!” invita ogni cittadino a riflettere sul proprio ruolo, a non essere passivo spettatore ma attore consapevole nella difesa della verità e della giustizia. Acquistarlo significa dunque scegliere di informarsi in modo consapevole, di sostenere la libertà di espressione e di contribuire a un dibattito pubblico più sano e trasparente.
In sintesi, il lettore dovrebbe comprare questo libro perché:
- Offre una testimonianza autentica e coinvolgente di chi lotta per un giornalismo libero e indipendente;
- Fornisce un’analisi critica e aggiornata delle trasformazioni e delle minacce che pesano sulla stampa e sulla democrazia;
- Propone una prospettiva educativa che può migliorare la capacità critica del pubblico;
- Stimola una presa di coscienza civica indispensabile in tempi di crisi democratica.
Acquistare “Ne uccideva più la penna che la spada!” significa quindi fare una scelta di impegno intellettuale e morale, per non lasciarsi sopraffare dall’indifferenza o dalla disinformazione, ma per essere parte attiva nella costruzione di un futuro più libero e giusto.
per chi fosse interessato il libro è disponibile su Amazon
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