Neuroni Feriti: Il Bullismo Non Risparmia il Cervello
Il bullismo scolastico non è più una semplice “fase adolescenziale” o un innocuo scherzo tra compagni. Le evidenze neuroscientifiche più recenti lo descrivono come un trauma concreto, capace di scolpire le reti neurali e alterare il funzionamento cerebrale a lungo termine. Lo studio dell’Università di Turku (2025), riportato dall’AGI, ha utilizzato risonanza magnetica funzionale (fMRI) per osservare le risposte cerebrali di adolescenti e adulti esposti a simulazioni di bullismo. I risultati mostrano attivazioni simultanee in amigdala, corteccia cingolata anteriore (ACC), insula e corteccia prefrontale ventromediale (vmPFC), confermando che il cervello interpreta la violenza psicologica come una minaccia reale. Nel frattempo, alcune istituzioni continuano a classificare il bullismo come “problematiche marginali”: un dettaglio che il cervello delle vittime annota con la precisione di un archivista esigente.
La risposta cerebrale al bullismo non è solo strutturale: è anche chimica, e non stiamo parlando di esperimenti casalinghi. L’esposizione ripetuta provoca rilascio di cortisolo e glutammato, alterando la funzione sinaptica nelle aree limbiche e prefrontali. Nei casi più gravi, la plasticità neuronale stessa viene compromessa, incidendo su apprendimento, regolazione emotiva e gestione delle relazioni sociali. Eppure, nei report scolastici annuali, il bullismo rimane marginale. Si potrebbe quasi credere che i poster colorati e le giornate di sensibilizzazione abbiano la stessa efficacia biologica di un intervento clinico: il cervello, pur cortese, annota comunque la discrepanza.
Il cervello, fortunatamente, non è immutabile. La plasticità neuronale permette un certo recupero, soprattutto se le vittime ricevono interventi mirati e costanti. Mindfulness, terapia cognitivo-comportamentale e programmi di educazione socio-emotiva modulano l’attività dell’amigdala e della corteccia prefrontale, riducendo l’iperattivazione da stress. Peccato che tali programmi siano spesso sporadici, confinati a laboratori isolati o a giornate di sensibilizzazione: il cervello, pur indulgente, registra queste iniziative come tentativi simbolici, generosi quanto un cerotto sopra una frattura.
Le esperienze pregresse amplificano la risposta cerebrale: chi ha già subito aggressioni psicologiche mostra iperattivazioni nell’insula e nella corteccia prefrontale laterale ventrolaterale (vlPFC), come se il cervello custodisse ogni derisione in un archivio permanente pronto a ricordare anche il più piccolo sgarbo. Ogni scherno diventa un marchio neurosinaptico, trasformando il sistema nervoso in un allarme sempre attivo: la prossima volta che qualcuno propone una campagna simbolica come soluzione, il cervello probabilmente riderà… internamente, con discrezione scientifica.
Gli effetti non si limitano alle vittime dirette. Anche gli spettatori subiscono attivazioni nei circuiti della sofferenza sociale. Essere testimoni di bullismo non è neutro: il cervello registra ogni episodio, accumulando stress e rafforzando pattern neurali di ansia sociale. La prossima volta che un insegnante minimizza una derisione, il cervello delle vittime e degli spettatori farà notare, con precisione scientifica, quanto tale minimizzazione sia poco utile.
Di recente qualcosa si sta muovendo. Programmi di sensibilizzazione, laboratori di empatia e iniziative di educazione socio-emotiva iniziano a farsi strada nelle aule. Tuttavia, la frammentarietà e l’intermittenza lasciano vuoti cognitivi che il cervello delle vittime nota con fastidio. Il progresso esiste, ma è lento, e talvolta così modesto da sembrare quasi ironico: un cervello iperattivo dall’esperienza traumatica e istituzioni che si accontentano di poster colorati formano un contrasto difficile da ignorare, come un saggio silenzioso di logica tra chi si accontenta di slogan.
La neuroscienza offre strumenti concreti per valutare l’efficacia di questi interventi: monitorare l’attività dell’amigdala o la connettività tra corteccia prefrontale e limbica permette di capire se certi programmi riducono davvero lo stress. Sarebbe interessante vedere se le scuole dedicano altrettanta attenzione all’osservazione scientifica quanto alla cura estetica dei corridoi: il cervello, pur cortese, annota tutto, e non dimentica.
In sintesi, il bullismo scolastico non è un fastidio passeggero né una fase transitoria. È un evento neurobiologicamente significativo che attiva circuiti del dolore, altera neurotrasmettitori chiave e lascia tracce durature nella memoria e nella regolazione emotiva. I timidi segnali di progresso educativo non cancellano il fatto che, finché gli interventi resteranno sporadici o simbolici, il cervello continuerà a registrare, soffrire e memorizzare. Ignorare questa realtà significa, implicitamente, sottovalutare la scienza stessa e, volendo, la pazienza dei propri studenti.
Fonti (CSLC):
Paranko, B., Garandeau, C. F., Seppälä, K., Santavirta, S., & Nummenmaa, L. (2025). Exposure to bullying engages social distress circuits in the adolescent and adult brain. Journal of Neuroscience. https://doi.org/10.1523/JNEUROSCI.0738-25.2025
AGI. 2025. Come il cervello risponde al bullismo. AGI, 23 settembre 2025. https://www.agi.it/scienza/news/2025-09-23/come-cervello-risponde-a-bullismo-33280433/
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