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Sta succedendo qualcosa nella Chiesa di Leone XIV

a proposito dell’omosessualità?

Possiamo per una volta aprire un articolo citando tre punti del Catechismo della Chiesa Cattolica?

Magari non tutti i lettori saranno contenti, però proviamoci e vedremo insieme quali sviluppi trarre dalla loro lettura.

Ecco il testo completo dei numeri 2357-2358-2359 del Catechismo che riguardano la condizione omosessuale:

2357
L’omosessualità designa le relazioni tra uomini o donne che provano un’attrazione sessuale esclusiva o predominante verso persone dello stesso sesso. Essa assume forme molto variate attraverso i secoli e le culture. La sua genesi psichica resta in gran parte inspiegabile. Basandosi sulla Sacra Scrittura, che presenta gli atti omosessuali come gravi depravazioni, la Tradizione ha sempre dichiarato che “gli atti di omosessualità sono intrinsecamente disordinati”. Essi sono contrari alla legge naturale. Precludono all’atto sessuale il dono della vita. Non sono il frutto di una vera complementarità affettiva e sessuale. Non possono essere approvati in nessun caso.

2358
Un numero considerevole di uomini e donne presenta tendenze omosessuali innate. Costoro non scelgono la loro condizione omosessuale; essa costituisce per la maggior parte di loro una prova. Perciò devono essere accolti con rispetto, compassione, delicatezza. Si eviterà, nei loro confronti, ogni marchio di ingiusta discriminazione. Queste persone sono chiamate a realizzare la volontà di Dio nella loro vita e, se sono cristiane, a unire al sacrificio della Croce del Signore le difficoltà che possono incontrare in conseguenza della loro condizione.

2359
Le persone omosessuali sono chiamate alla castità. Mediante le virtù della padronanza di sé, educatrici della libertà interiore, talvolta mediante il sostegno di un’amicizia disinteressata, della preghiera e della grazia sacramentale, possono e devono avvicinarsi, gradualmente e risolutamente, alla perfezione cristiana.

Perché siamo partiti dal Catechismo?

Fin qui la citazione, che è facilmente reperibile nel corposo volume del Catechismo della Chiesa cattolica, come pure nel sito internet vaticano (vatican.va) dove è possibile leggere e scaricare lo stesso testo. Ora vi chiederete: perché abbiamo fatto questa scelta?

La risposta è articolata. Ultimamente sono avvenuti alcuni fatti rilevanti per quanto riguarda sia la Chiesa universale, sia quella nazionale. Cominciamo da quella nazionale, esattamente dal quotidiano Avvenire edito dalla Conferenza Episcopale Italiana (CEI). Sul numero del 18 ottobre scorso è apparso un articolo a firma di Luciano Moia, lo specialista che da anni si occupa di temi familiari e di relazioni affettive, dal titolo: “Pellegrini Lgbt in San Pietro ‘Il nostro grazie alla Chiesa’”. La tesi di fondo dell’articolo è che, con il “passaggio della Porta Santa” di un gruppo di persone lesbiche, gay, trans e queer all’interno di associazioni e gruppi di genitori e religiosi che li assistono, sia iniziato un profondo cambiamento da parte della Chiesa nei loro confronti. Tra l’altro, pur non avendo avuto preventivamente un riconoscimento ufficiale nel programma giubilare (per intenderci, non c’è stato il “Giubileo degli omosessuali”, ndr), il fatto che non sia stato impedito ha indotto i partecipanti a ritenere che tale trasformazione sia nei fatti avvenuta o per lo meno che sia iniziata. Prova sarebbe anche la messa officiata per loro dal vice-presidente della CEI, mons. Francesco Savino, che nell’omelia ha detto tra l’altro: “…E’ l’ora di restituire dignità a tutti, soprattutto a chi è stata negata ….”, come se la Chiesa avesse una qualche “colpa” da farsi perdonare da parte degli omosessuali.

Nell’articolo si citano le voci della madre di un ragazzo “omoaffettivo” che dice di essere “tornata a casa col cuore colmo”. Oppure quella di un ex-marito che poi ha fatto “coming out”, cioè si è dichiarato gay,  e ora sarebbe divenuto “padre” (presumibilmente tramite la pratica della maternità surrogata, ndr) che oltre a rifiutare “l’accusa più dolorosa, di essere ‘contronatura’”, ha aggiunto: “Se Dio ci ha voluti così e ha scritto una storia meravigliosa anche sulle nostre fragilità, come potremmo mai considerarci sbagliati? Non lo siamo”. O ancora la madre di un figlio “con variante di genere ora adulto”, che ha dichiarato che il pellegrinaggio “non era un pride e non voleva esserlo. Non c’era orgoglio da ostentare, ma lode per l’amore di Dio che riceviamo …”.

L’articolo di Moia cita varie altre dichiarazion; ricorda che Papa Leone XIV ha recentemente ricevuto in udienza il gesuita padre James Martin, senza tuttavia illustrare cosa sia emerso. Martin è uno dei più strenui sostenitori della “normalizzazione” della omosessualità nella Chiesa, facendola passare da condizione di peccato a variante sessuale pienamente legittima e benedetta da Dio. Il giornalista di Avvenire conclude con la voce di suor Enrica Solmi, secondo la quale è giunta l’ora di “revisionare il Catechismo della Chiesa cattolica”, nella direzione di togliere la taccia negativa verso gli omosessuali nel segno della “accettazione reciproca”.

Cosa dice il Papa al riguardo?

La cosa buffa, se vogliamo, è che proprio mentre usciva l’articolo di Moia, Papa Leone interveniva nuovamente sul modello di matrimonio e di famiglia in un messaggio sulla santità dei coniugi Martin, genitori di Santa Teresa di Gesù Bambino. Nel testo il pontefice ribadiva che “in questi tempi difficili e confusi”, nei quali ai giovani vengono presentati “tanti modelli negativi di unioni, spesso passeggere, individualiste ed egoistiche, dai frutti amari e deludenti”, la famiglia composta da un uomo e una donna si conferma quella realtà di amore che – per Leone XIV – rappresenta il vero e unico modello di unione, voluto da Dio e che la Chiesa continua a proporre come buono. Quindi, di fatto una “bocciatura” solenne delle unioni Lgbtq, definite senza mezzi termini “negative”. Cioè, una riaffermazione della dottrina matrimoniale e morale di sempre, che da duemila anni la Chiesa annuncia e che molti faticano ancora ad accettare.

Siccome il prossimo 25 ottobre l’assemblea nazionale della Chiesa italiana sul Sinodo della Sinodalità sarà chiamata a votare un documento nel quale ci sarebbero delle aperture verso l’orientamento gay tra i credenti (cfr. l’articolo “Sinodo avvelenato, scelta di campo CEI: appoggiare i gay pride” a firma di Tommaso Scandroglio su “La Nuova Bussola Quotidiana”), sarà interessante seguire il dibattito sul tema. Vedremo se all’interno dell’episcopato e tra il laicato cattolico più impegnato prevarranno coloro che si rifanno alla linea più “aperturista” voluta dallo scomparso Papa Bergoglio, oppure se invece prevarrà la linea più “tradizionale” di Papa Leone.

Alcune domande di fondo

In conclusione vorremmo porre alcune domande di senso generale su questo tema così spinoso, attorno al quale ormai da un paio di  decenni si creano divisioni dentro e fuori la Chiesa, non solo in Italia ma a livello mondiale.

PRIMA DOMANDA – Siccome abbiamo visto che il Catechismo sottolinea il dovere di accoglienza verso gli omosessuali, ma rifiuta di avvalorare come “bene” una attività sessuale ritenuta un grave peccato, ha senso chiedere anche agli omosessuali l’impegno per la castità? Va considerato che, sul piano educativo, la castità è chiesta a tutti, dai giovani agli anziani. La dottrina morale suggerisce di non masturbarsi, di non accedere alla pornografia, di non avere rapporti prematrimoniali e di riservare solo all’interno del matrimonio, quindi una volta sposati, tutti gli atti sessuali che indicano la pienezza della donazione reciproca tra un uomo e una donna.

SECONDA DOMANDA – Visto che gli attivisti delle associazioni cattoliche pro-Lgbtq richiedono la modifica del Catechismo, facendo venir meno il concetto di “peccato” per l’attività sessuale di partners “omoaffettivi”, come amano dire, la stessa cosa sarebbe accettabile per i portatori di un’altra tendenza “affettiva”: ad esempio quella degli adulteri? Non è uno scherzo. Il sesto Comandamento parla chiaro già dal titolo:  “Non commettere adulterio” oppure anche “Non commettere atti impuri”, comprendendo in essi l’adulterio insieme a masturbazione, rapporti pre-matrimoniali, pornografia, pedofilia ecc.. Quindi la domanda è: perché soltanto gli Lgbtq dovrebbero ottenere questa “deroga”? Ricordiamo che Gesù disse all’adultera del Vangelo (Gv, 8,11): “… neanche io ti condanno. Va e non peccare più”.

TERZA DOMANDA – Il senso di essere “sbagliati”, “esclusi”, “contronatura” è sempre apparso l’aspetto più doloroso per le persone omo o transessuali, complesso al quale hanno poi risposto col “pride”, l’orgoglio di esibire la propria condizione, cercando di superare quello che avvertivano come stigma. La domanda è: vista la delicatezza del tema che è molto intimo, personale, legato all’autostima e alla capacità di integrare le proprie pulsioni sessuali nella costruzione di una personalità sicura e dialogante, non sarebbe forse meglio – almeno per i gay cattolici – agire di più a livello educativo, formativo e anche psicologico?

Sono tutte questioni che mettiamo sul tavolo di un dibattito che ormai ha raggiunto dimensioni e profondità notevoli, sia sul piano religioso/valoriale, sia a livello politico e culturale. Seguiremo gli sviluppi, che si annunciano molto interessanti.

Luigi Crimella

Già redattore di Agensir.it, agenzia stampa della Conferenza Episcopale Italiana (CEI)

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