Canto notturno dell’allievo silente

Io so che il mio maestro è un uomo ma non per questo aspetterò i suoi sbagli.

So che potrà sbagliare ma se accadrà non lo giudicherò per questo.

Io so che il mio maestro sbaglia ma so anche

che perfino il suo errore per me sarà un insegnamento.

Io so che il mio maestro è un uomo ma io sarò comunque il suo allievo.

Non mi interessa se sbagli, se esageri, se ti arrabbi, se sei superficiale con me,

Quello che mi dai tu è quello che nessun altro può darmi.

Probabilmente sono in cento migliori di te,

Più bravi, più gentili, piu colti, più onesti, più sinceri

Ma tu sei quello che riesce a parlarmi.

Il mio compagno ha scelto un altro maestro pensando che siate allo stesso livello

ma non vede dove sta la differenza.

Il mio compagno mi dice di aprire gli occhi,

ma la stanza dello studente ha spazio solo per lui e per il maestro.

“Il più stolto tra gli uomini non pretende altro maestro che Gesù Cristo” ha detto Gurdjieff

Ed è così logico che stento a capire perché non è chiaro anche agli altri.

È così vero che quando qualcuno afferma il contrario, taccio.

Il mio maestro è migliore di me ed è fatto in modo tale che io posso capirlo

Ma solo se voglio imparare.




Il tempo del pensiero e il tempo della lettura

Domanda per i Lettori Seriali
Gente che legge di tutto e la notte non dorme per continuare a pensare.
Domanda per capire se esiste o no la Solitudine

Chissà se capita a molti che quando leggiamo un libro non è tanto il tempo trascorso a leggere quanto quello impiegato per capirlo.

Alla lettura di una parola, di una frase, di un capitolo,
Seguono ore di riflessione su quei concetti,
su quella sfumature
su quelle passioni.

Sono verità svelate che impiegano ore per venire a galla;
sono bugie palesate che chiedono anni per essere accettate.

Quegli stimoli che ci colgono come un fulmine mentre leggiamo,
sono un mondo che si apre, una risma che squaderna.

Quella scossa di pochi decimi di secondo
si palesa in interi pomeriggi di pensieri.

Pezzi di puzzle che combaciano o si separano,
fili logici che si spezzano e si generano;
pensieri
di un istante che, per essere spiegati solo un poco, hanno bisogno di mille parole.
Quelle io mi chiedo.

Quello che mi chiedo,
tra tutti quelli che macinano pagine su pagine,
articoli su articoli e
libri su libri…

C’è qualcun altro come noi che a mezza pagina letta fa seguire sessanta minuti di riflessione?




Orgoglio e pregiudizio a teatro

Orgoglio e pregiudizio, non aspettatevi quello che avete visto finora

È un adattamento teatrale bello, veloce e divertente quello di Orgoglio e Pregiudizio realizzato da Antonio Piccolo con la regia di Arturo Cirillo.

Non è mai facile prendere un testo così famoso e così rappresentato e dargli una personalità propria e caratteristica.

Parliamo di un’opera che dal 1940 ad oggi ha avuto 15 versioni cinematografiche e, solo in lingua italiana, 23 traduzioni.

Tutti conosciamo il sig. e la sig.ra Bennet e le figlie Jane ed Elisabeth e ci siamo fatti una idea ben precisa di Charlotte, Collins, Bingley e Dancy, chi per conoscenza diretta sui libri o al cinema o chi per sentito dire nei numerosi richiami.

La cosa bella di assistere a questo spettacolo è conoscerli di nuovo sotto nuove vesti.

Fare una versione teatrale (la prima italiana) di Orgoglio e Pregiudizio è una azione audace e, in questo caso, l’audacia è stata premiata.

Il risultato è stato uno spettacolo con personaggi dalle personalità definite e trasparenti che non sono caduti negli stereotipi che a torto o ragione hanno finora plasmato la disposizione del pubblico.

Sono tutti giovani i personaggi di questa rappresentazione, giovani dentro e fuori, giovani nelle emozioni e nei rapporti tra loro, giovani come sono davvero nel romanzo e come sarebbero oggi.

Lo spettacolo aveva debuttato in prima nazionale al Mercadante il 4 luglio per il Napoli Teatro Festival con una produzione del Teatro Stabile di Napoli, Teatro Nazionale e Marche Teatro.

Adesso è tornato a Napoli all’inizio della tournée invernale che seguirà il seguente calendario

Orgoglio e pregiudizio in tournée

Pavia, Teatro Fraschini, 6 – 8 marzo 2020

Brescia, Teatro Sociale, 12 – 15 marzo 2020

Torino, Teatro Carignano, 17 – 22 marzo 2020

Genova, Teatro Duse, 25 – 29 marzo 2020

Reggio Emilia, Teatro Ariosto, 31 marzo – 1 aprile 2020

Udine, Teatro Giovanni da Udine, 2 – 4 aprile 2020

La Spezia, Teatro Civico, 7 – 8 aprile 2020

Consigliamo a chi può, di non perdersi lo spettacolo.

Lo spettacolo è consigliato sia agli appassionati del teatro, sia a chi desidera passare una serata gradevole e diversa.

Durata

La rappresentazione dura 1,45 minuti senza intervallo ma non si sente mai la narrazione e talmente incalzano e la regia talmente agile che non si sente la necessità di prendersi una pausa.

Il cast

Gli attori sono tutti all’altezza della compagnia e dello spettacolo, danzano e cantano sulla scena al ritmo di mambo sulle musiche originali Francesco De Melis

Arturo Cirillo, interpreta Bennet e Lady Catherine De Bourgh non ha bisogno di confermare la sua bravura e la sua professionalità: attore di valore riconosciuto e regista armonioso e scaltro.

Valentina Picello, regala al personaggio di Elizabeth un carattere nuovo, reale, concerto conferendole la personalità che la Austen certamente avrebbe approvato.

Sara Putignano dona convincente una dolce freschezza a Jane.

Riccardo Buffonini è Fitzwilliam Darcy in una versione caratteriale giovane, credibile e accattivante.
L’eccellente Alessandra De Santis è la simpaticissima sig.ra Bennet.

Rosario Giglio ci presenta un Collins divertente, simpatico e ammiccante.

Giacomo Vigentini, ovvero  Charles Bingley e Reynolds riesce a dare un carattere attivo al suo personaggio.
Giulia Trippetta passa dalla sciocca Charlotte alla intrigante Caroline senza problemi dando carattere e credibilità ai due personaggi

Le luci di Camilla Piccioni hanno giocato e valorizzare le scene di Dario Gessati che ha pensato per le scene a 4 specchi – finestra mobili e fortemente scenografici nella loro semplicità che ben soddisfano le esigenze di regia 

Gianluca Falaschi con i suoi costumi ha ben sottolineato i caratteri dei personaggi.

in scena

Lo spettacolo sarà in scena al Teatro Mercadante di Napoli

dal 19 febbraio al 1 marzo

Info e Orari su www. teatrostabilenapoli.it

Biglietteria: tel. 081.5513396




Il valore del compagno

È diventato di moda dire che “tutti sono utili e nessuno è indispensabile”.

Ai dati dei fatti per la cosa non è così.

 

Esistono le persone indispensabili e sono i tuoi compagni.

i “cum panibus”, “quelli con cui dividi il pane”

quelli con cui dividi il cibo.

All’interno di un gruppo di lavoro, di una squadra, nessuno è sostituibile.

Quando la squadra è buona, la perdita di un solo elemento porta squilibrio.

è vero: poi ci si adatta, si cerca un sostituto; se si è bravi, si troverà una soluzione ma si troverà un nuovo equilibrio, non quello di prima.

Le persone valide non sono pedine sostituibili.

I componenti della squadra sono persone indispensabili senza le quali nulla sarà più lo stesso.

Così, se sei un imprenditore che invita la squadra dei suoi collaboratori ad andare a cercare qualcosa di meglio se, dopo tanti sacrifici reciproci, non piace più il lavoro, non pensare che quando quella persona sarà andata via le cose miglioreranno.

Se stai in una squadra, tieniti stretto il tuo collega perché è quello che ti ha sempre sostenuto e salvato e che tu hai sempre coperto e protetto; se andrà via, ti mancherà un sostegno che poteva darti solo lui.

Se sei parte di un meccanismo e vuoi mollare perché ti senti inutile, sappi che se cederai, tutta la macchina potrà risentirne.

Nessuno è completamente sostituibile.

Ognuno è indispensabile.

 




Lettera allo sconosciuto che è dentro di noi

Ci sono cose nella nostra vita che ci fanno paura.

Cambiamenti dalle conseguenze che ci sembrano compromettenti,

decisioni apparentemente devastanti,

scelte radicali.

Tutte cose che hanno a che fare col cambiamento e che, spesso,

proprio in quanto tali, ci fanno paura e vergogna.

Sono cose che, se avvengono, parlano nella nostra mente con parole come “fallimento”, “tradimento” o “sconfitta”.

Sono lutti, perdite, viaggi.

Eppure una parte di noi sa che in quella direzione, per quanto la strada sia schifosa, c’è la libertà.

Che se accettassimo quella rinuncia, quel distacco, la nostra vita migliorerebbe.

Centro, avremmo agli occhi di molti, incluso i nostri, fallito, ma la nostra vita, con uno sforzo in più, migliorerebbe.

E la cosa buffa è che sarebbe pure la strada più semplice e a volte proprio per questo non la prendiamo:

“Cosa direbbero gli altri?

Cosa direi io di me?

Che non ci ho provato fino all’ultimo?!”

E così non prendiamo mai la decisione, aspettiamo che il tempo passi, che le cose passino ma il problema è sempre lì.

E allora aspettiamo che sia la vita a risolverlo, o qualcun altro.

Per una separazione aspettiamo che l’altro faccia un passo falso, prenda una decisione o, addirittura, muoia.

Per una cura aspettiamo che la malattia passi da sé o che si manifesti a pieno.

Per una decisione aspettiamo che la vita se ne dimentichi o che agisca lei.

Ma la vita non dimentica e, alla fine, ciò che è ineluttabile accade.

Prima o dopo,

accade.

Anche se è brutto, anche se abbiamo lottato con tutte le nostre forze per non farlo accadere

(sì perché il nostro primo istinto è sempre la conservazione, per quanto terribile possa essere)

alle fine accade.

Ed è doloroso.

E poi per uscire fuori, ci vuole forza, bisogna reagire proprio in quel momento perché non c’è più possibilità di procrastinazione.

E si affronta la realtà.

E quella è la parte più difficile, quella in cui dobbiamo essere coraggiosi per forza anche se non volevamo esserlo.

Fino a quel momento ci eravamo mossi nell’illusione che le cose sarebbero cambiate.

Ma poi è arrivata la realtà e ci siamo dovuti risvegliare.

Solo che alla fine si scopre che la realtà non è poi così male.

Svegliarsi è stata dura ma poi alla fine ci si trova una propria posizione.

Perché in fondo, per quanto non ci possa piacere e ci possa portare dolore, alla fine, la vita è bella e, soprattutto, assecondandola, riserva un sacco di sorprese.


Con questa riflessione non mi aspetto che chi è indeciso se prendere una decisione o meno, si dia una smossa.

Chi vuole prendere una decisione lo fa e basta e non ha bisogno di parole di incoraggiamento.

Con questa riflessione voglio solo dire alle persone a cui la vita è piombata addosso che tutto andrà bene,

di dare spazio al dolore ma non troppo, di non preoccuparsi, di sorridere perché alla fine la vita è bella e riserva un sacco di sorprese inimmaginabili.




Sereni è, Sereni sarà, ma si rasserenerà?

Sciopero, Istituto Sereni, si torna a scuola!!!

Oggi, 10 febbraio 2020, riprenderanno le lezioni i circa 200 studenti dell’Istiituto Agrario Emilio Sereni di Roma,

I ragazzi hanno iniziato lo sciopero mercoledì 5 febbraio.

Uno sciopero breve si direbbe, ma proprio questo ci fa capire la serietà dei suoi partecipanti, il livello di insostenibilità raggiunto e lo stato di necessità che li ha spinti a indire lo sciopero.

È stato uno sciopero bianco: i ragazzi sono comunque andati a scuola e hanno marcato presenza.

Non hanno creato disagio, non hanno apportato danni alla struttura, non sono stati in alcun modo violenti o coercitivi.

L’unica cosa di diverso che hanno fatto rispetto al solito, è stato riunirsi in aula magna e aspettare che le loro richieste venissero ascoltate.

Hanno un problema molto grosso i ragazzi del Sereni: sono abbandonati dal loro Dirigente Scolastico, Patrizia Marini, che, manco a farlo apposta, ha già attirato l’attenzione della nostra redazione quando era DS del l’Istituto Agrario Garibaldi (vedi articolo in calce).

Il Dirigente Scolastico non si fa vedere in succursale dal 6 dicembre. Non si è presentata neppure quella volta che è scoppiato un incendio in istituto: del materiale informatico abbandonato in un sottoscala davanti l’entrata di un laboratorio ha preso fuoco misteriosamente e un bidello è rimasto intossicato.

L’assenza del Dirigente Scolastico

Il motivo per cui la Preside Marini è andata in istituto, è stata una cerimonia di premiazione: gli studenti della succursale Bufalotta del Sereni hanno vinto il concorso indetto dal III Municipio di Roma, per la notte bianca.

Il premio consisteva nella somma di 5.000 euro che i ragazzi volevano devolvere in lavori per la  loro serra, che necessita urgentemente di manutenzione e per sostenere le spese di gestione delle loro attività.

I soldi sono stati incassati, dovevano essere utilizzati entro il 31 dicembre ma, in questo momento, non ne abbiamo ancora trovato traccia e la serra, che necessita, conti alla mano, di una spesa di circa 600 euro, è ancora da sistemare.

L’auto-tassazione

Per quanto riguarda invece le spese di gestione delle attività, queste aprono un altro capitolo dolente.

La scuola ha bisogno di tanto: ha bisogno di animali, di manutenzione, di materiali, di carburanti… la rappresentante dei genitori, per portare sollievo a questo stato di totale abbandono ha proposto la soluzione estrema: l’auto-tassazione da parte dei genitori.

Ed è così

Se oggi al Sereni – Bufalotta ci sono le capre, è merito dei genitori, se c’è il vigneto, è merito dei genitori, se ci sono i pali per far crescere il vigneto, è merito della generosità dei genitori degli alunni.

Ma non è tutto: se c’è il gasolio per il trattore, è merito dei docenti, che si autotassano anch’essi con qualche euro a settimana.

I punti della dichiarazione dello sciopero

É una scuola molto amata la succursale Bufalotta dell’Istiituto Agrario Emilio Sereni di Roma.

Molto amata dai 200 studenti che, anche visto il numero, sono quasi una famiglia, molto amata dai loro genitori, che fanno di tutto per permettere un’istruzione ai figli, molto amata dai professori, che non si rassegnano a lasciare i loro studenti del tutto allo scuro della parte pratica.

É una scuola molto amata da tutti e, per questo, ecco i motivi dello sciopero estratti dal verbale di sciopero:

  • Sede abbandonata dalla dirigente scolastica
  • Mancanza di attrezzatura di vario tipo (gasolio, utensili agricoli ecc…) siamo costretti a limitare le nostre attività tecnico- pratiche compromettendo significativamente la didattica.
  • Difficoltà nel mantenimento delle arnie che necessitano manutenzione e alimenti.
  • Ripristino del corso di apicultura.
  • Difficoltà ad usufruire del laboratorio di informatica perché molti computer necessitano di manutenzione e controlli”(N.d.A.: i computer nuovi sono stati comprati ma mandati in centrale, la succursale ha quindi cambiato i suoi obsoleti e preso i vecchi computer dismessi della centrale).
  • La serra risulta ad oggi ancora inagibile -N.d.A.: avrebbe dovuto essere aggiustata con i fondi del concorso della notte bianca erogati il 6 dicembre 2019-  ed è quindi impossibile effettuare attività di qualsiasi genere”.

Il nostro sostegno

Sono bravi ragazzi, bravi genitori e bravi professionisti quelli della succursale Bufalotta dell’Istiituto Agrario Emilio Sereni di Roma.

Meritano attenzione e riguardo perché le persone come loro fanno da esempio in un mondo di lassismo e superficialità.

Noi di Betapress li abbiamo ascoltati e abbiamo riportato la loro storia meritevole di attenzione.

Lo sciopero per ora è rientrato, dicevamo, e i ragazzi oggi torneranno a scuola perché la Preside Patrizia Marini ha risposto al loro appello: li incontrerà, andrà da loro.

Ha preso l’impegno per il 2 marzo: 22 giorni esatti da oggi, 88 giorni esatti dall’ultima volta che ha visitato la succursale.

 

Ma la scuola dove sta andando? (N.d.D.)

Davanti a casi come questo sorgono spontanee domande, ma che razza di scuola stiamo gestendo a livello di stato?

Quali sono i finanziamenti  e dove sono soprattutto i soldi necessari affinché i nostri ragazzi possano frequentare delle scuole adatte a farli diventare bravi cittadini ma anche bravi professionisti???

Vediamo troppi casi di scuole in difficoltà e soprattutto di scuole gestite in modo inadatto, passano i governi ma nessuno si sta chiedendo che scuola serve, tutti stanno facendo la scuola con i soldi che ci sono, il che non sarà mai la scuola che questo paese dovrebbe avere per poter tornare ad essere esempio di virtù e di scienza.

Ripensare anche il ruolo degli organi collegiali dovrebbe essere una priorità, come peraltro sarebbe necessario rivedere ruoli e stipendi del personale scuola, cercando di capire come tutto deve essere integrato, e come, ad esempio, gli stessi collaboratori scolastici  abbiamo un forte ruolo educativo, anche solo con il loro esempio e la loro dignità quotidiana .

Ma la scuola che serve davvero per vincere le sfide del futuro e per poter dare ai nostri giovani, appunto, un futuro vero, qualcuno la progetterà mai?

 

 

Riferimenti

Sito dell’Istituto Agrario Sereni di Roma ?

Articolo ?Chi ha ferito il Garibaldi?




L’umanità della lettura

Sarà che sono arrivata per ultima e pure in ritardo.

Un ritardo di quasi 10 anni rispetto ai miei fratelli.

Sarà che il grosso era già stato fatto da mia madre e da mio padre negli anni della loro infanzia e giovinezza.

Sarà pure che molto era stato aggiunto dalle esigenze scolastiche dei miei fratelli

Però, quando sono arrivata io,

la biblioteca di casa Sparacio era già ben nutrita.

A me piacevano i titoli.

Leggevo i titoli sul catalogo del club del libro che trovavo sulle riviste.

Il primo libro che ho letto era un romanzo per ragazze, era di mia madre.

Lo finivo e lo rileggevo.

A quei tempi non leggevo mai la premessa o l’introduzione ma leggevo sempre il catalogo alla fine dei libri.

Ricordo la libreria dove mia madre mi comprava i libri e già allora le mie ricerche dei libri introvabili.

Trovare notizie originali sul ciclo bretone è stata una impresa.

Amavo le storie e divoravo le bibliografie.

Continuano a leggere i cataloghi delle diverse case editrici.

Ancora titoli e titoli che creavano in me un senso di familiarità.

Associavo senza problemi i titoli agli autori.

E Leggevo.

Leggevo tutti i libri che c’erano a casa.

I criteri erano due:

– quello del titolo (se nella mia mente era già conosciuto dalle letture di qualche catalogo allora era un buon libro)

– e quello della grandezza: più di duecento pagine mi sembravano troppe.

Poi arrivò la newton e i suoi 100 pagine mille lire.

Per me è per tutti quelli con la mia inclinazione,

Fu la fine.

Venivano comprati, letti e attesi tutti.

Uno per uno,

In successione.

Come fossero numeri di fumetti.

Volumi senza nessuna cura editoriale

Solo caratteri microscopici e muri di testo.

Saggi, poesie, racconti.

Leggevo e i libri erano talmente tanti e profilati che quando trovano nei testi un riferimento a un altro libro, frugavo nelle librerie e l’avevo.

E lo leggevo.

Libri su libri,

Scaffali delle librerie piene a due e tre file.

Gli ultimi anni del liceo non ho comprato il libro di antologia italiana.

Leggevo i brani direttamente dai libri e li leggevo tutti.

Questa cosa che qualcuno doveva scegliere per me quali parti dei libri leggere, non mi piaceva proprio.

Ero io che dovevo decidere e dovevo sapere tutto.

—————

A proposito, per non creare dubbi:

A scuola andavo male

Mi applicavo ma non rendevo.

Praticamente un’idiota.

Brava lo sono diventata dopo,

Quando ho cominciato ad unire e mettere in relazione tutto quello che avevo letto.

Questo perché le fasi della vita culturale di una persona, sono due:

La prima di reperimento testi e informazioni.

Una accozzaglia senza senso o criterio.

La seconda di relazione: piano piano tutte le cose lette e imparate, tramano il tuo cervello e ti portano in alto oltre le apparenze superficiali e in profondità verso la ragione nucleare.

Leggere traccia la pieghe del tuo cervello liscio.

Non possiamo credere di sapere tutto solo perché abbiamo letto qualcosa.

Un insieme di titoli e autori non sono cultura.

Possiamo dire di aver capito solo quando troviamo nella nostra vita le pagine di quei libri

Anche se non ricordiamo più chi le ha scritte

Perché non è importante

L’importante è aver riconosciuto il verso.




La notte in cui Pietro rinnegò sé stesso

La notte in cui Pietro rinnegò sé stesso, eravamo tutti là

Che notte memorabile,
che notte sconvolgente.

Si erano portati via il suo amico, la sua guida,
Per tutta la strada dal Getsemani al Sinedrio lui non aveva fatto che ripetersi “Amico mio io non ti lascio, Amico mio io non ti lascio”

E continuava a ripeterserlo attorno al focolare, tra chi andava e veniva e si aggrappava alla speranza di recuperare il suo amico e di far tornare tutto com’era prima, dileguando quell’assurdo incubo.

Le notizie però non erano buone,
pareva che fossero tutti molto arrabbiati col suo amico e volessero ucciderlo.
Lui non capiva bene il motivo della colpa e neppure gli altri, ma era così.

A quel punto cominciò ad ascoltare meglio il mantra che faceva girare dentro di lui e sentì che non era “Amico mio io non ti lascio” ma “Amico mio senza di te son perso”

All’improvviso, nella desolazione della notte, Pietro iniziò a pensare alla sua vita senza il suo amico e piano, piano, guardò in faccia la sua paura.

La sua vita senza il suo supporto?
 Come fare?!
Quello sconosciuto era arrivato un giorno e aveva cambiato tutto.
Finalmente aveva una strada, uno scopo, una certezza divina.

Gli aveva fatto cambiare pure il nome.
Aveva un’altra identità, era diventato un’altra persona.

Nei giorni precedenti a quella notte, Pietro viveva la chiara percezione di far parte di una rivoluzione, unirsi a quelle persone era stata la cosa migliore che avesse fatto.

E adesso tutto era in pericolo.
Se si fossero portati via il suo amico, tutto sarebbe finito.
E Pietro si sentì solo.
All’improvviso gli veniva a mancare il porto sicuro, la persona che gli diceva cosa fare e come,
chi rispondeva alle domande, il faro, l’albero che gli faceva ombra.
Tutto quello che aveva rivoluzionato la sua vita e gli aveva dato una nuova, bellissima e corretta, dimensione di stabilità e serenità.

Ma perché doveva rinunciare?

Non poteva farcela.
Era un salto troppo grande.
Cosa ne sarebbe stato adesso di lui?


Mentre pensava così, passò una donna che lo fissò e disse:
“Io so come parli e cos’hai da dire, tu sei uno di quelli che possono arrivare nelle profondità di loro stessi e trovare la strada”.

“Non so, non capisco quello che vuoi dire”.

Sentì che non era il caso di fermarsi lì in mezzo e si allontanò un poco.
Si guardò intorno, di lì a poco sarebbe sorta l’alba,
in lontananza sentì il gallo cantare.

Ma la donna sapeva dentro di sé, aveva capito che Pietro era molto di più di quello che credeva e continuò:
“Tu puoi distruggere la paura ed esplorare la vita lì dove tutti gli altri hanno paura di arrivare per via dell’attaccamento nei confronti della comodità”.

“Non so e non capisco cosa vuoi dire.
Cosa vuoi da me?
Mi stai confondendo con le tue parole, vai via!”

La fuga durò poco, la voce continuava:
“Io ti conosco, lo vedo chiaramente: tu puoi fare cose grandi e noi tutti abbiamo bisogno di te”.

“Per il cielo e per la terra! Per le cose visibili e per le cose invisibili! 
Andate via da me! Voi non sapete quello che dite!
 Io non sono quello di cui parlate”.

Ed ecco che il gallo cantò per la seconda volta e Pietro si ricordò delle parole di Gesù
“Prima che il gallo canti due volte, nella notte delle tue paure, tu rinnegherai te stesso tre volte.
Da questo capirai che c’è molto più di ciò che vedi e che le tue paure sono infondate”.

E allora capì che la verità era che lui era pronto e che doveva salpare.
Da quella notte, nulla fu più come prima.


La notte in cui Pietro rinnegò sé stesso, c’ero anche io e ci sono ancora ed è una notte affollata.

Ci siamo tutti noi che attraversiamo la lunga notte della paura e non facciamo che rinnegare noi stessi, prede dell’incertezza e della precarietà del futuro che vediamo.

Tutti noi che sappiamo che quello che vediamo è solo a un metro da noi mentre l’orizzonte è ampio chilometri e chilometri eppure …

Tutti noi che, anche se non lo abbiamo mai fatto e non crediamo di poterlo fare, siamo pronti a camminare da soli e andare lontano incontro alla nostra sconosciuta e ricchissima strada.




Lasciar seccare i fichi

Quasi alla fine del suo viaggio, poco prima di rientrare a Gerusalemme,

Mentre usciva dalla Betania assieme ai suoi discepoli e al suo stuolo di seguaci,

Gesù ebbe fame.

Vide in lontananza un fico molto bello e rigoglioso e gli si avvicinò

ma il fico aveva solo foglie e nessun frutto perché non era stagione.

Così Gesù lo fece seccare fino alle radici.

Non c’è bisogno di ripassare ogni mese il catechismo dei fanciulli per aspettarsi da Gesù una fine differente 

qualcosa tipo “Gesù allora guardò il fico e lo fece fruttare”

insomma di quelle cose tipo la moltiplicazione dei pani e dei pesci e la trasformazione dell’acqua in vino che lasciano contenti tutti.

Ecco roba così.

Invece no.

Invece Gesù fa seccare il fico.

Il fatto è che questa storia racconta qualcosa in più.

Questa storia ci parla delle nostre relazioni.

Alle volte ci troviamo ad aver costruito delle relazioni 

Sentimentali,

Lavorative,

Amicali

sulle quali abbiamo speso tempo ed energia 

e abbiamo fatto bene perché questa relazioni sono diventate una bella pianta 

alta, vigorosa e piena di foglie.

In molti casi, questa relazione ha anche portato frutti e sfamato passanti nel periodo di produzione.

Poi però la stagione è cambiata.

La relazione è rimasta apparentemente florida ma è sterile.

E, per questo, deve seccare.

Il fatto che chi fa seccare il fico sia un personaggio, un maestro che si è sempre distinto per la sua bontà,

ci fa capire che tutto quello che c’era da tentare era stato tentato:

non era più stagione di fichi e non lo sarebbe mai più stato.

Quel fico sulla strada avrebbe solo ingannato i viaggiatori e non avrebbe dato loro nulla di buono se non l’illusione.

Il fatto che sia stato Gesù a farlo seccare, ci dà la certezza che non c’era più nulla da fare.

—————

La stessa cosa succede a noi.

Ci sono delle relazioni che hanno portato frutti e gioie ma, passata la loro stagione, devono morire.

Si fa di tutto per salvarle, si aspetta tutto il tempo dovuto

ma poi bisogna mollare perché il fico deve seccare.

Non succede a tutte le relazioni, alcune continuano a fare frutti.

Forse hanno avuto un terreno migliore,

forse sono state curate meglio 

forse l’esposizione al sole e la protezione dal vento

forse solo la natura.

Alcune relazioni vanno chiuse per il bene di tutti.

L’accanimento nell’illusione non porta alla santità.

Solo ciò che porta frutto deve rimanere vivo.

L’unico modo che abbiamo per migliorare e portare nuovi frutti è chiudere in pace vecchie relazioni e iniziarne di nuove.




Il Coraggio di essere vivi

Lasciare il passato non è cosa facile.

Ma il passato fa parte della sfera delle cose morte che come tali vanno trattate.

Riportiamo qui la storia di Orfeo e della sua scelta.

 

E quando erano quasi vicino all’uscita,

quando tutti gli sforzi stavano per essere premiati,

quando Ade era stato convinto e fuori si vedeva il cielo,

Euridice chiamò ancora

Orfeo allora si fermò,

e si voltò.

non lo ha fatto per debolezza, non lo ha fatto perché non resisteva senza guardare l’amata

Orfeo si è voltato perché aveva capito che Euridice era morta

e loro due non facevano più parte dello stesso mondo.

Il loro destino era quello di battere terre diverse: 

lui era vivo e lei era morta.

Lui doveva andare a vivere, 

Lei doveva restare negli inferi.

Noi siamo Orfeo tutte le volte che non abbiamo il coraggio di lasciarci alle spalle pezzi della nostra vita che sono morti e ci portiamo appresso cadaveri sperando che torneranno a vivere.

Ma non lo faranno.

Euridice è il nostro lavoro, il nostro amico, il nostro amore, la nostra roba.

Euridice è il pericolo più grande che ci impedirà di guardare avanti e continuare a vivere.

Nel voltarsi di Orfeo c’è la libertà di liberarsi di un periodo felice per andare incontro alla vita imprevedibile.

C’è la forza di lasciare ciò che è morto per ciò che palpita.

Auguro un po’ del coraggio di Orfeo a chi ha lottato tanto per Euridice.