DAD e DDI, il danno per i docenti

Non ne posso più, di Dad e di falsità.

Tutti a parlare dei danni provocati dalla DAD nella didattica e nella psicologia degli studenti.

Tutti a preoccuparsi dei minori e dei loro genitori.

Quasi nessuno si preoccupa del disagio degli insegnanti.

In questi giorni, ha fatto notizia la protesta di diversi studenti (ma di pochi insegnanti) contro la chiusura effettiva delle scuole e il ricorso obbligatorio ai “device” per fare lezioni doppiamente faticose e minimamente efficaci.

La televisione e gli organi di stampa si compiacciono a divulgare l’immagine di una Scuola che, malgrado tutto, funziona, grazie alle meraviglie della tecnica. 

Ma per favore!!!

Venite a scuola e vedete con i vostri occhi!!!

Solo i docenti e gli studenti sanno davvero come stanno andando le cose.

Anzi, come NON STANNO ANDANDO.

Basti ricordare il tempo perduto ad ogni ora di lezione per fare l’appello, cioè per verificare che tutti gli alunni siano presenti in audio, collegati in video (“spegni il microfono, attiva la telecamera”, è diventato un mantra quotidiano).

Una volta verificato che tutti gli alunni sono fuori dal letto e, possibilmente, non ancora in pigiama, inizia il “toto scommesse” in attenzione, concentrazione, motivazione…

Eh, sì, perché se uno è attento, non è concentrato, se uno è concentrato, non è motivato.

Ogni docente continua a ripetere infinite volte le stesse parole, magari alzando la voce, per poi farsi ripetere altrettante volte le parole dai discenti.

Certi alunni, sinceramente, ci mettono l’anima per farsi capire, ti girano il libro contro la telecamera per farti vedere che i compiti li hanno fatti, ma, spesso, “non riescono a rendere” a causa delle inadeguatezze delle medesime tecnologie.

Tecnologie arretrate, altro che adeguate.

Supporti e strumenti digitali legati a fibre regionali o connessioni locali.

Che sia ben chiaro, oggi, in Italia, ai tempi del Covid, la DAD, va e viene a corrente alternata, a seconda di dove ti trovi.

Altro che bel paese, l’Italia!!!

E in Italia, ti conviene pure non dire che fai l’insegnante, perché, per ben che ti vada, sei compatito, se non denigrato.

I docenti, lo si sa, in Italia, da un trentennio, non vengono considerati come meriterebbero, né rispettati e stimati per il loro lavoro.

L’ Italia non appartiene a quei Paesi, civili e civilizzati, in cui, chi educa e istruisce le giovani generazioni, è onorato e ben pagato!!!

Qui, da noi, dietro le dichiarazioni ufficiali dettate dal BON TON/GOSSIP MEDIATICO, si cela spesso un profondo disprezzo verso chi insegna.

Anzi, siamo onesti, la professione di un insegnante, non è neppure considerata un lavoro da buona parte dell’opinione pubblica.

È questo il frutto avvelenato di 30 anni di campagne mediatiche diffamatorie.

30 anni di politiche scolastiche miranti all’aziendalizzazione delle istituzioni scolastiche.

30 anni dedicati all’impiegatizzazione e proletarizzazione (anche economica) degli insegnanti.

Decenni di autentiche calunnie ai danni della categoria, pronunciate con leggerezza, anche da politici importanti.

A volte, ci si mettono pure i Ministri dell’Istruzione a far perdere di prestigio la categoria degli insegnanti!!!

Ecco perché dello STRESS dei docenti — adesso costretti (anche grazie all’accordo contrattuale siglato da CISL, ANIEF e CGIL) a insegnare attraverso uno schermo — nessuno si preoccupa.

Tutto è dovuto, da parte di professionisti “invisibili”.

Eroi e martiri che il sentire comune non considera nemmeno veri lavoratori.

Nella scorsa primavera, almeno, nelle scuole, si permetteva ai docenti di scegliere tra didattica sincrona e asincrona, limitando il numero di lezioni “in diretta” davanti al videoterminale.

Ora, col pretesto dell’emergenza ormai istituzionalizzata, si pretende da loro una DAD che fotocopi la vita di classe (con risultati tra il comico e il tragico).

Voglio solo aggiungere due parole, per chi crede di conoscere il lavoro del docente.

Manca il contatto umano: è questo il primo motivo di stress.

Insegnare non è mettersi in modalità “macchina da fiato” e ripetere a memoria le proprie conoscenze. 

Se fosse così, si potrebbe far lezione anche al citofono, e la potrebbe fare chiunque.

Insegnare è entrare in relazione col discente, con OGNI DISCENTE (e per questo le classi dovrebbero essere di 15 alunni).

Ogni alunno andrebbe motivato, coinvolto.

Sarebbe bello, farlo ridere o, almeno sorridere, mentre impara.

Un insegnante che si rispetti, sa cosa vuol dire ACCENDERE UN ALUNNO, iniziarlo al piacere del dialogo conoscitivo, renderlo partecipe di una scoperta reciproca.

Ditemi voi, come si può realizzare tutto questo, mediante uno schermo che non ti permette nemmeno di guardare una persona negli occhi?!?

L’insegnante in Dad fa la fatica di Sisifo (raddoppiata dalle “nuove tecnologie”)

La fatica è fisica e psichica.

Stare quattro o cinque ore seduti davanti al p.c. la mattina, e altrettante il pomeriggio — peraltro in un momento in cui palestre e piscine sono chiuse — espone l’apparato muscoloscheletrico (e non solo) degli attempati prof a patologie gravi e croniche, che nessuna amministrazione si sogna nemmeno di risarcire.

La mente si affatica il doppio che in aula, inducendo alla depressione, alla rabbia, al senso di inadeguatezza.

Nessuno parla dell’incremento del burnout degli insegnanti in DAD.

Anzi ti senti dire” Ma di cosa ti lamenti, che le scuole sono chiuse, che è da febbraio che non fai niente!!!”

Coordinare il lavoro sugli allievi è difficile, faticoso, avaro di soddisfazioni.

Cercar di motivare alunni già solitamente distratti (ed ora più assenti e annoiati che mai) è una fatica di Sisifo, quale nessun’altra professione conosce.

Si aggiunga lo sforzo immane che molti docenti hanno improvvisamente dovuto sostenere per acquisire le competenze digitali necessarie all’utilizzo di piattaforme mai viste prima.

Si riconosca il disagio di molti insegnanti obbligati a gestire problemi di telematica che nulla hanno a che fare con la loro cultura e con la loro didattica.

Il tutto nell’improvviso oscurarsi di qualsiasi rapporto affettivo, sia con gli alunni, sia con i colleghi.

Ogni comunicazione passa ormai per lo schermo: e persino nei Collegi dei Docenti è impossibile parlar liberamente, giacché, col pretesto di far parlare tutti, ognuno deve limitarsi a dichiarazioni brevi, senza incrociare gli sguardi altrui, senza interazione umana.

Tanto che varrebbe la pena di interrogarsi sulla effettiva legittimità di organi collegiali ridotti così. 

Il linguaggio non verbale (ossia il 90% della comunicazione umana) si perde irrimediabilmente per strada.

In conclusione, il digitale può aiutare la Scuola: però non deve, mai e poi mai, sostituirla. Dovrebbe saperlo chi da otto mesi inonda i docenti di leggi, norme, circolari, regolamenti per regolamentare, normare, circoscrivere, irreggimentare la “nuova” didattica digitale.

E’ ora di finirla di creare nei docenti ancor più stress e incertezza per il futuro.

Ed è davvero incredibile che qualcuno sia contento dei “passi avanti” fatti dalla Scuola grazie alla pandemia che rappresenta un’opportunità per innovare e rinnovare la didattica!!!

 

 

 

 

 

 

 

 

 

 

 

 

Disastro DAD: docenti e personale ATA fanno ricorso

Chi ha paura del DPCM?

Digiscuola negata.

 




Il fil rouge della dipendenza: dall’alcol al computer   

      

Benjamin Rush (1746 – 1813), medico e docente all’Università di Philadelphia, si interessò alla dipendenza da alcol e la definì come una “malattia della volontà” caratterizzata dalla perdita di controllo e dall’incapacità della persona di astenersi.

Sosteneva che bere alcolici è inizialmente una scelta libera che può poi trasformarsi in una necessità.

Rush pubblicò un opuscolo, i cui criteri sono ancora oggi attendibili, nel quale evidenziò la sua visione medica di tale dipendenza .

Il suo contributo fu fondamentale per l’affermazione del modello medico delle dipendenze in generale.

Rush mise in luce anche fattori predisponenti ed interpretò l’alcolismo come una malattia caratterizzata da un comportamento compulsivo e dalla perdita di controllo.

Precedentemente la dipendenza da alcol era considerata come un comportamento vizioso; infatti la persona affetta da una dipendenza comportamentale o da sostanze era considerata trasgreditrice di una norma morale.

La persona dipendente era colpevole di non sapersi e di non volersi controllare.

Fondamentale in questa visione era il concetto di intenzionalità, infatti l’assunzione della sostanza acquisiva le connotazioni di trasgressione anche a livello giuridico.

Oggi assistiamo alla presenza di forme di dipendenza nuove che si manifestano con un meccanismo assimilabile a quello descritto dal Dottor Rush in riferimento all’alcolismo.

Tra le dipendenze più conosciute e più frequenti, soprattutto tra i giovani, c’è quella da computer.

Quest’ultimo, in quanto strumento che permette l’accesso ad uno spazio meramente virtuale, può trasmettere alle persone un senso di apparente sicurezza, un po’ come avviene con l’assunzione della sostanza alcolica.

Per questo nel mondo online risulta facilitata la disinibizione verbale, emotiva e sessuale ma anche l’espressione e l’azione aggressiva in maniera analoga alla dipendenza da alcol.

Numerosi sono gli studi sull’uso del computer e sulle ripercussioni che ha sulle persone, con particolare riferimento alla capacità di indurre a vivere una regressione ed un distacco dalla realtà, a dire menzogne e ad assumere atteggiamenti manipolativi e false identità.

Mentre la dipendenza da computer fa riferimento ad uno strumento considerato estensione virtuale del mondo reale, quella da alcol rappresenta un passaggio dal mondo reale ad una situazione di isolamento che inizialmente appare come un possibile momento di socializzazione. In entrambi i casi ci troviamo di fronte ad una regressione.

Al centro della regressione vi è la tendenza ad umanizzare il computer, confondendolo con un amico fidato o un compagno di gioco, e ciò è simile all’investimento, altrettanto umanizzante, che l’alcolista attua nei confronti dell’alcol. Infatti anche in quest’ultimo caso si parte da una scelta libera che crea poi dipendenza.

Dipendenza da alcol e dipendenza da computer mettono in campo dinamiche simili e richiamano al grave problema che coinvolge oggi molti giovani studenti che spesso associano questi due tipi di dipendenze.

Se è lecito sostenere che internet si propone come un apparato che attrae, affascina e promuove molte fantasie, al tempo stesso l’alcol viene vissuto come modalità di  rifugio da situazioni vissute come problematiche e spesso ingestibili.

L’arte ha sovente rappresentato il tema della dipendenza alcolica.

Citiamo come esempio Diego Velasquez con “Trionfo di Bacco” (1628 – 1629).

Il pittore immagina che l’antico dio Bacco sia giunto sulla Terra nella Spagna dell’epoca e l’assunzione del vino si inserisce nella cultura di quei tempi come modalità per dimenticare la miseria.

Un altro artista, Edgar Degas, con la sua opera “L’assenzio” (1876) mostra la pericolosità di questa bevanda molto diffusa nella Parigi bohémien.

Egli propone nel suo capolavoro una donna seduta al tavolino di un bar ed intenta a contemplare il veleno verde.

Accanto a lei siede un clochard con lo sguardo smarrito nel vuoto. I due personaggi, nonostante siano seduti uno accanto all’altro, sono immersi in una disperata solitudine dovuta all’abuso di alcolici.

La dipendenza da computer è stata invece da me rappresentata in un alcune opere d’arte create su input di un’esperienza pratica di osservazione in ambito di contesti scolastici dove si è affrontata questa tematica.

Tra queste ricordiamo ad esempio “Ragazzo computer-dipendente” e “Ragazza computer-dipendente”, due quadri gemelli ed entrambi rappresentanti una persona intrappolata in una stanza, le cui pareti richiamano le sbarre di una prigione, davanti allo schermo del proprio computer.

In conclusione possiamo sostenere che la dipendenza rappresenti un problema di tutti i tempi e la radice comune che porta ad assumere questo comportamento è il senso di vuoto, spesso incolmabile, che fa scegliere ad alcune persone la bevanda alcolica o il computer come amici fedeli e sempre disponibili in qualsiasi momento della giornata. 

Alla luce di quanto esposto si rende necessario attivare in ambito scolastico e comunitario in genere campagne di prevenzione volte ad arginare il fenomeno delle dipendenze.




Presentazione Libro Covid-19 – Redazione Betapress

[youtube https://www.youtube.com/watch?v=YwMKoAvPCo8&w=640&h=360]



Betapress aiuta la protezione civile: 20% del ricavato del libro COVID-19 sarà donato.

Lodevole iniziativa del gruppo editoriale verrà illustrata durante la presentazione del libro della redazione di Betapress.it

Sabato 14 novembre 2020 alle h 10,00 verrà presentato sui canali social di betapress.it il libro “Covid 19 – parole, opere ed omissioni di un periodo pandemico ancora oscuro”.

Betapress, nasce nel 2016 su iniziativa di un gruppo di intellettuali scontenti dalla situazione politica italiana decisi a creare una voce critica e apartitica.

Dal 2016 ad oggi Betapress si è imposto come voce fuori dal coro su argomenti importanti del mondo della scuola.

Ha varato importanti iniziative come #iocihoprovato per la difesa di coloro che vengono mobbizzati sul lavoro, o “salute donna” contro la violenza sulle donne, “la generosità circola” iniziativa di negozianti di tutta Italia che hanno raccolto fondi per enti locali impegnati nel fronteggiare l’emergenza Covid; ha preso inoltre posizioni contro i concorsi dsga e ds della scuola promuovendo una “class action”.

Betapress è completamente gratuito, non ha pubblicità, chi legge i suoi

articoli non viene mai distratto da adv o banner, ma può usufruire del

giornale senza essere disturbato.

Betapress è un esperimento giornalistico nuovo che ha come valori

fondanti la verità e la chiarezza, su Betapress tutte le idee trovano asilo e

riparo, il nostro “focus” è la tutela della “notizia”.

Noi di Betapress ci riserviamo il lusso di poter dire la verità liberi da

qualunque tipo di ingerenza esterna.

Il libro intende conservare la memoria storica del primo periodo pandemico sforzandosi di parlare non solo del covid.

Lo scopo della pubblicazione è quello di non perdere il filo logico di questa era storica  per poter, un giorno di un futuro non troppo lontano, poter iniziare a capire questo periodo storico complicatissimo.

Per creare un senso di continuità con una delle azioni promosse da betapress.it, la redazione partecipa all’iniziativa “la generosità circola” iniziativa di negozianti di tutta Italia che hanno raccolto fondi per enti locali impegnati nel fronteggiare l’emergenza Covid.

CCEditore devolverà il 20% dei proventi della vendita del libro alla protezione civile in favore del supporto per l’emergenza COVID.




Sesso a colazione

Dopo l’amore ai tempi del colera, il sesso ai tempi del covid.

Alzi la mano chi tra noi non si sente addosso il marchio a fuoco del covid.

Chi tra di noi è rimasto quello che era ed ha mantenuto quello che aveva.

Alzi la mano chi non ha perso qualcuno o qualcosa.

Salute, lavoro, soldi, ruoli, abitudini…

Ma anche persone, affetti, legami, rituali…

Oggi però, come redazione di betapress, non vi parleremo della crisi sanitaria o di quella economica o di quella sociale.

Vi parleremo della crisi psicologica, relazionale, affettiva, ma soprattutto sessuale.

In tal senso abbiamo avuto il piacere di intervistare la Dott.ssa Giulia Alleva, laureata in psicologia, specializzata in sessuologia.

Betapress- Buongiorno Dott. ssa, ci parli un attimo della sua formazione Alleva- Eccomi, sono Giulia Alleva, laureata in Psicologia con una tesi che mi ha appassionato moltissimo: ho svolto una ricerca sulla sessualità femminile e sulla presenza delle disfunzioni sessuali più diffuse. Ho riscontrato che la sessualità è molto legata anche ad alcuni tratti di personalità, come l’autostima sessuale e il perfezionismo sessuale

Appena dopo la laurea, ho deciso di dare spazio a un’altra delle mie grandi passioni: il viaggio. Muoversi, con occhi nuovi e scoprire qualcosa che è altro da te.

Con questi presupposti, ho passato due settimane di studi antropologici in India sud occidentale con l’idea di svolgere la mia stessa ricerca di laurea sulle donne di quel luogo.

Purtroppo, gli organizzatori mi hanno sconsigliato di farlo: gli strumenti utilizzati per indagare la sessualità erano prima di tutto pensati per le donne occidentali e, in più, il contesto dei villaggi in cui ci siamo mossi era ancora molto arretrato, sia per la condizione femminile delle donne indiane che per la loro difficoltà ancestrale ad aprirsi nel parlare di sessualità. 

Dopo questo viaggio, forte, scottante e significativo, ho iniziato una full immersion di tirocinio di un anno per imparare come realmente nella pratica funzionasse il lavoro di psicologa.

E’ stato estremamente formativo, e nel frattempo ho iniziato un corso di perfezionamento in cui ho conseguito il titolo di consulente sessuale.

Adesso, non vedo l’ora di continuare i percorsi di sessuologia clinica e psicoterapia!

Betapress- Allora, Dott.ssa Giulia, partiamo dalla nostra situazione attuale, cioè la sessualità ai tempi del covid, come gestire il desiderio sessuale durante il lockdown in Italia, e più in particolare quali sono i problemi sessuali e/o i disagi psicologici specifici di questo periodo.

Alleva- La pandemia globale Covid-19 ha, probabilmente, influenzato la sessualità di ognuno, in modi certamente diversi, anche in base alla situazione relazionale e abitativa della persona.

Partiamo, ad esempio, dalle coppie monogame e non monogame conviventi, che potrebbero trovarsi a lavorare a casa insieme in smartworking h24.

Per queste coppie, i risvolti possono essere duplici: da un lato, più tempo disponibile per avere contatti sessuali, dall’altro, invece, si può verificare un calo del desiderio sessuale.

La diminuzione del desiderio può avvenire quando, stando sempre insieme, diventano infrequenti le situazioni erotiche misteriose o sorprendenti, praticamente la quotidianità forzata, può spegnere il desiderio e l’attrazione reciproca.

Betapress– Una sorta di saturazione sessuale, diciamo. Dott.ssa, ci sono delle strategie per riaccendere il desiderio in queste coppie H/24?

Alleva– A queste coppie, consiglierei di ritagliarsi dei momenti specifici per dedicarsi all’altro mettendo da parte il lavoro una volta terminato e pensando a dei piccoli gesti che possano risvegliare l’erotismo: immagino, ad esempio, un bagno erotico a due, un massaggio che possa coinvolgere i cinque sensi, con candele profumate per esempio, oppure una cena afrodisiaca con gli abiti preferiti dal partner.

Betapress– E le coppie che invece sono lontane e vivono il divieto di incontrarsi?

AllevaPer le coppie monogame non conviventi attualmente in zona rossa, potrebbe essere invece un periodo complesso a causa dell’impossibilità di vedersi.

Viene a mancare il contatto sessuale fisico, quello fatto di corpo e di sensazioni forti.

Certamente, non è possibile sopperire alla mancanza del contatto fisico, ma ci possono essere alcune strategie utili per migliorare i propri contatti sessuali in questo periodo.

 

Betapress– Immagino che non potrà consigliare ai nostri lettori di eludere alla sorveglianza e di produrre una certificazione falsa con la dicitura “validi e comprovati motivi sessuali”?!?

 

Alleva– Tutt’altro! Per queste coppie che devono gestire il loro desiderio sessuale non vissuto in presenza, ho ben altri consigli da dare…

 

Betapress– Per esempio?

 

Alleva– Per esempio, è possibile usare il sexting, o praticare autoerotismo in videochiamata con il partner raccontandosi le stimolazioni preferite, così da poterle poi replicare una volta riuniti.

Ma c’è di più…Esistono anche sex toys che possono essere azionati a distanza dall’altro partner, che può decidere di iniziare la stimolazione “all’insaputa” del partner, creando un coinvolgente gioco erotico.

 

Betapress– Il discorso si fa piccante…E per chi è solo, senza una relazione stabile, né in presenza, né a distanza?

 

Alleva– Per le persone che non hanno una relazione fissa o sono single, forse in questo momento incontrare un* nuov* partner può essere davvero complesso. Soprattutto per chi già vive da solo in zona rossa, non poter avere contatti con l’esterno può far crescere sentimenti di isolamento e solitudine.Questi sentimenti sono del tutto normali, ma è possibile effettuare, per chi lo desidera, degli incontri sessuali virtuali.

Le videochiamate, ormai molto utilizzate sia per lavoro che per mantenere i contatti familiari, hanno iniziato a essere utilizzate come vere e proprie piattaforme di incontri sessuali online.

Anche in questo caso, nulla può sopperire al contatto fisico, però esistono certamente degli stratagemmi per mantenere attiva la propria vita sessuale.

Praticare autoerotismo può essere, in questo periodo, un modo per scoprire sé stessi e il proprio piacere, ma anche per rilassarsi, per scaricare la tensione dovuta spesso alla difficoltà della vita quotidiana e alle frequenti brutte notizie riportate dai telegiornali.

 

Betapress– Ma, Dott.ssa, non è pericoloso ricorrere al sexting?

 

Alleva– Per quanto riguarda l’uso del sexting o il sesso online: è importantissimo avere il consenso della/e persona/e con cui si sta facendo sexting sulle pratiche sessuali da utilizzare e, inoltre, bisogna sincerarsi che le proprie immagini erotiche non siano diffuse online. Per chi pratica sexting con persone che non conosce un consiglio può essere quello di non mostrare il proprio volto, intrigando il partner attraverso una narrazione orale che possa accendere la fantasia. Sesso sicuro sì…anche online!

 

Betapress-Dottoressa, sesso a parte, in questi ultimi mesi si è registrato un incremento di forme depressive, ed in generale, viviamo un po’ tutti una sensazione di disagio collettivo. Come possiamo stare meglio?

Alleva– Ha ragione, bisogna lavorare sul benessere psicologico in generale, non solo sessuale, della persona.

Provare sentimenti negativi come tristezza, ansia, isolamento e solitudine può essere davvero molto comune: è importante “stare” in queste emozioni, non rifuggirle ma dare loro un significato.

Un suggerimento per affrontare queste emozioni negative può essere quello di ritagliarsi dei momenti specifici nella giornata per coltivare il proprio benessere personale.

Stare bene in questo periodo così complesso può significare ripartire dalle piccole cose: prova a pensare a quali “cose” hai sempre desiderato fare ma non hai mai avuto tempo. Imparare una nuova lingua? Seguire un corso di cucina? Seguire un corso di educazione sessuale? Fare sport? In questo periodo il web pullula di iniziative che puoi seguire da casa e possono essere il tuo momento di benessere quotidiano. 

Betapress– A proposito di corso di educazione sessuale, abbiamo scoperto che Lei è l’autrice di “Parliamone a colazione”. Di che si tratta?

Alleva– “Parliamone a colazione” è il mio primo progetto di educazione sessuale, che tanto mi ha fatto battere il cuore.

Un giorno ho sentito dire: “non si parla a tavola di sessualità, è sconveniente!”.

Io, allora, ho cercato con tutte le mie forze di sfatare questo tabù: la sessualità non è una “cosa sporca” e se ne può parlare insieme, con i dovuti modi…anche a colazione!

Ho deciso, quindi, di portare avanti questo progetto con un percorso pensato per abbattere i tabù sulla sessualità femminile, un percorso per co-costruire insieme, tutte insieme, una nuova narrazione della sessualità.

Non si tratta di “semplici” webinar, ma sono veri e propri incontri partecipativi in cui ci si confronta, si parla e ci si muove insieme verso nuove prospettive, senza mai giudizi o pregiudizi.

Betapress– Ma sono corsi on line o in presenza? E con che tappe di percorso?

Alleva– Il corso è stato on line nel primo lockdown, in presenza quest’ estate, ed ora sarà ancora on line.

Parliamone a colazione si articola in cinque incontri. Nel primo corso attualmente attivo, si parte per un viaggio che comincia dal corpo: conoscersi è la base per provare autostima e piacere sessuale. Ci muoviamo, poi alla scoperta di come il corpo e la mente reagiscono allo stimolo sessuale: parliamo di desiderio, eccitazione e di orgasmo. Infine, nelle ultime due lezioni affrontiamo i due binari importanti della sessualità che si alimentano vicendevolmente: la sessualità in relazione e quella “da sole”, quella masturbatoria che può accompagnarsi ai sex toys!

Betapress– Qual è il Profilo medio dei suoi iscritti età, livello culturale, argomenti preferiti… 

Alleva – Il bello di “Parliamone a colazione” è che è aperto a tutti. Dato che gli incontri sono molto partecipativi e si cerca di creare nuove narrazioni tutti insieme, è davvero per me illuminante e stimolante quando si incontrano i pensieri di persone con le loro unicità: età diverse, livelli culturali diversi, orientamenti sessuali differenti, identità di genere differenti.

E’ grazie alla “diversità” che c’è la possibilità di sviluppare un pensiero creativo e avere un reciproco scambio di narrazioni, è proprio questo il bello! 

Generalmente, gli argomenti che suscitano maggiore interesse sono i motivi per cui nelle coppie di lunga data avviene un fisiologico calo del desiderio, la costante dialettica tra orgasmo clitorideo e vaginale e, forse il tabù dei tabù: la masturbazione femminile. Molto interessante è anche l’approccio all’incontro sulle modalità relazionali, che spesso è in grado di smuovere molto la prospettiva dei partecipanti rispetto alle relazioni monogame e non monogame.

Betapress– Feedback ottenuto positivo riscontro/ criticità?…

Alleva– Sono davvero contenta dei feedback ottenuti dalle partecipanti delle prime due edizioni del corso: tutte si sono sentiti davvero a loro agio nel raccontare di sé, proprio come in una colazione tra amiche! Mi ha fatto particolarmente piacere che anche persone che già mi conoscevano prima del corso si siano sentite a proprio agio e mai giudicate.

Al secondo corso, infatti, moltissime ragazze del primo hanno convinto amiche, sorelle e conoscenti a intraprendere lo stesso percorso! 

Una criticità che posso evidenziare è che, spesso, è difficile decidere di mettersi in gioco in prima persona, probabilmente per l’intimità degli argomenti trattati. Di frequente, infatti, le partecipanti mi raccontano delle loro amiche molto curiose delle informazioni trasmesse al corso, ma che non decidono, forse per timidezza, di intraprendere il percorso. Tanti sono ancora purtroppo i tabù verso questi argomenti. 

 

Betapress– A quanto pare, un’iniziativa vincente, ma non è difficile il corso on line?

Alleva– Visto il grande successo delle prime due edizioni, rispettivamente online su Zoom nel periodo di maggio e giugno 2020 e di persona a Novara nel periodo di settembre-ottobre 2020, ho deciso di riproporre il corso online in partenza il 18 novembre 2020.

Ho riscontrato che il corso online nulla toglie a quello di persona: se, in apparenza si può pensare che lo schermo possa creare una barriera invalicabile, spesso aiuta a dare coraggio e a esporsi su argomenti così intimi, amplificando, al contrario, la partecipazione.

 

Betapress– Per il nostro pubblico femminile, Dott.ssa alleva ha un messaggio esclusivo per le ragazze che vivono le prime esperienze, per le donne che devono giostrarsi tra sessualità e maternità, per affrontare la questione menopausa, per la sessualità in tarda età…

Alleva– “Parliamone a colazione”, cioè il coraggio di mettersi in gioco in prima persona ed affrontare il tema della sessualità fa bene, comunque alle donne in primis.

“Parliamone a colazione”, non è un corso, ma un percorso.

E’ un percorso che può far bene alla sessualità ad ogni età in quanto porta alla luce diversi tabù e dà l’occasione di ottenere nuove consapevolezze. Con ciò, non si intende certamente eliminare le peculiarità che avvengono nella sessualità durante ogni fase del ciclo di vita, anzi.

Spesso, queste peculiarità emergono tramite il confronto con gli altri e arricchiscono la narrazione condivisa. 

Mi sento di dare un piccolo consiglio per le persone che si apprestano a vivere le prime esperienze sessuali: informarsi è il primo passo per vivere serenamente e consapevolmente le prime esperienze. Il consenso sulle pratiche sessuali che ci va di attuare è davvero fondamentale: se non vi va di fare qualcosa, è importante saper dire di no e al contempo accettare il “no” del/della partner. 

Anche la gravidanza può essere un momento peculiare nella vita sessuale: è normale che nei primi tempi dopo il parto possa esserci un calo del desiderio ma è importante mettere in gioco una buona comunicazione con il partner su come potersi riavvicinare non solo come coppia genitoriale ma ancora come partners sessuali, con i desiderati modi e tempi.

Infine, un grandissimo tabù è quello della sessualità durante la menopausa e dopo: questo momento particolare non significa un’interruzione forzata della sessualità, anzi. Anche in questo caso, con una buona comunicazione con il partner, una diversificazione delle stimolazioni sessuali che possano portare novità alla vita sessuale, la sessualità può vivere addirittura una seconda rinascita. Questo momento, infatti, porta con sé maggiori consapevolezze e può essere possibile vivere la sessualità in modo ancor più libero e felice.

Betapress– La ringraziamo moltissimo, Dott.ssa Alleva per il tempo che ci ha dedicato e per i preziosi consigli forniti ai nostri lettori.

E certi di fornire un servizio al nostro pubblico, anticipiamo che come redazione di betapress, avremo l’onore di avere la Giulia Alleva, come consulente psicologa e sessuologa, nella nostra rubrica on line “Storie di donne”.

A proposito, scriveteci la vostra storia, e nel pieno rispetto della privacy, ne parleremo in diretta con la nostra Dottoressa e vedrete che le parole, vostre e nostre, ci/ vi aiuteranno a formattare i pensieri e a schermare le paure. 

info@betapress.it

 

 

 

 

 

 

 

 

 

 

 

 

 

Quando la casa è l’ultima spiaggia

 

Le Chat: estensioni della fuga dal matrimonio…

 




Chi ha paura del DPCM?

Fino ad un anno or sono del dpcm non fregava niente a nessuno, oggi è lo strumento unico utilizzato per gestire la pandemia.

La sua velocità di emanazione ed il fatto che non ha controlli di nessun tipo lo rende lo strumento ideale per gestire situazioni estreme ed improvvise.

Ma ora non è possibile dire che la situazione è improvvisa, ormai è conosciuta e direi anche consolidata.

Eppure ancora non abbiamo impostato una legge che permetta di dire che se il contagio sale vengono messe in atto le misure xxx se scende si torna a yyy se risale si deve fare questo.

Ancora non c’è una legge che dice se si chiude le famiglie prendono xxx, i lavoratori yyy gli imprenditori zzz.

Ancora non c’è una legge in cui si dice che se il lavoro cala oltre un certo limite si sospendono le imposte xxx, l’iva scende al zzz, le tasse si fermano per mesi xxxx.

In realtà andiamo ancora a braccio, perchè?

Non è che, forse, usare i dpcm è più facile? Non è che forse il dpcm è uno strumento di potere maggiore perché non controllabile, almeno in fase iniziale?

Oggi invece gli Italiani attendono il dpcm come le tavole della legge di Mosè, perdendo ogni meccanismo logico e razionale.

Se lo dice il dpcm … l’ha detto il dpcm … cosa dirà il dpcm … manca solo di leggere le foglie del tè nella tazza.

Alla faccia della democrazia!

Eppure i contagi salgono nonostante i dpcm, le mascherine, la sanificazione, il metro bucchiale, la distruzione di una società!

Ma allora non c’è qualcosa di sbagliato?o vogliamo continuare a dire che sono gli italiani coglioni che fanno la movida e continuano ad abbracciarsi per strada nonostante che poi Conte li guarda con lo sguardo brutto, ma brutto!

Ebbene sono convinto che tutto questo modo di affrontare la pandemia ha qualcosa di profondamente sbagliato, sopratutto adesso che abbiamo visto l’inutilità di certe azioni messe in atto.

Di certo abbiamo distrutto l’economia, messo sul lastrico famiglie ed imprenditori, distrutto un tessuto economico che si reggeva anche sul nero, sui lavori saltuari, sull’economia sommersa, sugli stagionali.

Ma una cosa su cui nessuno ragiona con la dovuta magnitudo è la paura che oggi si è insediata nel più profondo inconscio della nostra società, una paura atavica, che risiedeva nella nostra amigdala e che questo modo estremo di gestire la pandemia ha risvegliato.

Chi ha paura del buio? chi ha paura del dpcm?

Chi ha paura ragiona con fatica, vedremo cosa succederà se non si affronta questo vero problema, la paura del popolo.

 

 

 

Corrado Faletti

 

 

 




Chiusa in casa con tampone negativo

Le brutte storie del Covid

In questi giorni arrivano tante storie legate alle burocrazie da Covid e quasi nessuna è bella.

In questi giorni in Italia ci sono decine di persone che non hanno idea di quando fare il tampone e perché, falsi positivi e falsi negativi, file interminabili e attese di giorni.

In questi giorni arrivano tante storie legate alle burocrazie da Covid e quasi nessuna è bella, inclusa la storia di Ludovica, una insegnate Campana che lavora in Toscana.

La storia di Ludovica

Ludovica è una insegnante di scuola primaria ed è stata convocata ad insegnare in una scuola di Firenze. 

Il suo sogno si realizza: insegna in una scuola primaria secondo il suo corso di studi, è nella città che ama, in una casa che le piace.

È tutto perfetto.

Ludovica ha una fissazione: crede fortemente che le cose debbano esser fatte nel migliore dei modi, nella massima correttezza e trasparenza.

Questo perché lei sa che l’insegnamento viene solo dall’esempio e avendo scelto un lavoro delicatissimo, quello di insegnare e formare i bambini, sente ancora di più la responsabilità del buon esempio.

Inizio dell’Odissea

Ludovica è stata convocata in una scuola di Firenze come supplente, ha fatto prima un periodo breve e poi, prolungandosi l’assenza ella  titolare di cattedra, ha avuto il rinnovo.

Lei è arrivata poco dopo l’inizio dell’anno scolastico, le sue colleghe avevano tutte portato il sierologico, a lei non lo aveva ancora chiesto nessuno ma, come abbiamo detto, lei è una donna che vuol fare tutto bene.

È il 16 ottobre e Ludovica si dirige in un centro privato e fa il sierologico che, però, risulta ambiguo: non si capisce se è positivo o negativo.

Per sicurezza, il direttore sanitario del centro le consiglia di avviare la procedura per effettuare il tampone con l’ASL.

Ludovica fa tutto per bene: chiama il numero dedicato, si mette in contatto con l’operatore, spiega che non è residente in Toscana e avvia la procedura di prenotazione del tampone che viene effettuato il 21 ottobre presso uno dei punti COVID perché non erano disponibili i tamponi domiciliari.

Anche qui Ludovica, per non essere un pericolo per le persone attorno, anziché i mezzi pubblici, prende un taxi.

Anche qui, prima di fare il tampone, Ludovica spiega di non avere la residenza in Toscana.

12 giorni nel limbo 

Non le resta che aspettare.

Aspetta 24, 48, 72 ore…

…Il 27 ottobre il referto di Ludovica non è ancora reperibile: il test è stato fatto e l’esito assegnato ma il certificato non è scaricabile in nessun modo perché la ASL Toscana non riesce ad associare il referto a un residente.

In tutti questi giorni Ludovica sta confinata in casa, sola, in una città che non è la sua, lontana dai suoi affetti e con le paure che crescono di giorno in giorno.

Fortunatamente alcune colleghe le fanno la spesa e cercano di farle coraggio.

In tutti questi giorni Ludovica, che ha come priorità andare a lavorare perché i suoi bambini sono senza insegnate, cerca di capire come uscire da questa situazione che sembra sempre più kafkiana: cerca on line, chiama i numeri di riferimento e, tirando le somme scrive a 8 indirizzi email differenti che avrebbero dovuto risolverle il problema, mandando più di 15 email tra pec e email ordinarie, passa le giornate al telefono con ben 6 numeri specifici diversi alcuni dei quali staccati, altri eternamente senza risposta, altri ancora con risposte evasive o infastidite.

12 giorni senza risposte, attaccata a un telefono che quando finalmente restituisce una voce, si tratta solo di delusioni.

12 giorni cercando di trovare una soluzione su internet che restituisce email mute.

Ma non è tutto perché, come abbiamo detto, Ludovica è una donna che fa le cose per bene e va sempre a fondo in ogni azione.

Ludovica ha attivato la procedura per l’assegnazione del medico di base in Toscana, ha sentito due diversi medici di base e la guardia medica, in tutti casi nessuno ha saputo dirle cosa fare.

Il referto: negativo!

Intanto, Ludovica scopre, grazie a una persona che ha trovato la cartella, che il tampone è negativo, purtroppo però, si sa, per tornare a scuola serve il foglio di carta e non una telefonata.

Come fare ad avere il foglio di carta?
Tutti continuavano ad indirizzarla al sito dei referti legato alla regione o al fascicolo sanitario elettronico senza prestare attenzione al fatto che, non essendo iscritta all’anagrafe sanitaria di Firenze, non poteva usufruire del servizio.

Ludovica parla ma non viene ascoltata.

Mai.

La morte di Covid

Uccide piano il Covid uccide in tanti modi.

Uccide attaccando il corpo di chi viene colpito e minando la psiche di chi si imbatte nelle trappole burocratiche legate ad esso.

La nostra insegnate, fortunatamente negativa, si è trovata per 12 giorni del tutto abbandonata, senza poter lavorare (quindi con un danno economico dovuto al fatto che i contratti di supplenza calcolano la malattia al 50%), senza avere risposte, senza avere indicazioni chiare, senza la possibilità del sostegno dei cari.

Piena di numeri di telefono, email e risposte del tutto inutili o inutilizzabili.

Muri di gomma e urla nel deserto.

Ludovica è giovane, ha 26 anni, è in salute ma, ciononostante, ha subito un trauma umano e psicologico molto forte.

Chissà cosa vivono i nostri cari abbandonati a loro stessi, senza risposte o cosa potremmo vivere noi senza orientamenti chiari.

L’Aiuto

Questa è una brutta storia successa in Toscana ma potrebbe capitare ovunque.

Non è una storia di lamentela sterile, di lagnanza fine a sé stessa, è un campanello di allarme, una sirena di guardia per non dimenticare gli aspetti che possono sfuggire.

Come ha scritto Ludovica in una email alla ASL: 

“Vi racconto la mia storia perché penso ci siano tante altre persone prigioniere di questo limbo kafkiano e sono sicura che voi, nel vostro intento di voler dare sempre meglio, vogliate essere informati di quello che succede nella vostra regione, nonostante ogni cittadino abbia il diritto di tutela alla salute non solo fisica, ma anche psicologica”.

Grazie Ludovica per averci raccontato la tua storia, grazie per voler essere un esempio di buona scuola, i tuoi allievi sono fortunati.

Se volete raccontarci le vostre storie, scrivete a info@betapress.it per non  far passare queste storie in silenzio e permettere a tutti di imparare dagli errori.

 

Addendum:
il 28 ottobre mattina, Ludovica ha ricevuto risposta dall’ASL e potrà finalmente avere il suo certificato e tornare dai suoi ragazzi.




LE MELODIE DEI CANTORI DEL VIRUS

 

SEMPRE PIÙ’ POLITICI, SEMPRE MENO SCIENZIATI, SEMPRE MENO OBIETTIVI E TERZI.

 

In un’intervista di poche ore fa, il virologo Fabrizio Pregliasco dà manforte ai politici non senza aver assicurato che la situazione “è diversa da prima” poiché “ogni giorno riusciamo a fare più tamponi”: ambizione primaria, in uno all’imposizione delle mascherine, al divieto di socializzare, alla fissazione di sottoporci a vaccinazioni.

Ma aggiunge “Penso sia giusto andare nella direzione di una chiusura netta degli ingressi esterni” perché “dobbiamo essere pronti a quella ipotesi” (del lockdownn: situazione già prevista fin da Giugno, poiché era facile fare i maghi con uno spartito governativo già scritto e che si sta materializzando con puntualità).

Soggiunge, l’emulo di Gates e degli amanti del terrore sanitario, di “prepararci psicologicamente a scenari peggiori, ma senza l’ansia e il senso di vuoto di quella notte di pre-lockdown”.

Bella frase da psico-dramma, che non ci spiega sulla base di quali REALI dati sanitari (numero di ricoverati con sintomi, morti PER coronovirus, se e con quali patologie pregresse – ossia quale complicanza sopravvenuta) e con quali mezzi diagnostici SERI tale diagnosi sia stata formulata (visto che i famosi, anzi ‘famigerati’, tamponi NON sono un mezzo diagnostico e che danno risultati non affidabili al 100%: anzi, forse neanche al 40-50%).

Potrebbe anche spiegare – a noi scientificamente ignoranti, rispetto a lui – come mai due o tre centri di ricerca italiani, a fronte di una specifica ricerca, hanno stabilito che NO: PORTARE LA MASCHERINA NON ARRECA CONSEGUENZE ALLA SALUTE (dato amplificato dalla corte dei cantori del virus attraverso un sistema di comunicazione affatto scrupolosa e accertativa, prima di diffondere una qualche notizia).

Strano che ricerche nella Confederazione Elvetica e in quel CDC negli USA dove il guru Fauci la fa da padrone, sostengano l’opposto. Portare la mascherina, specie per non brevissimi periodi, espone a rischi consistenti.

L’esperto di scienze mediche Pregliasco (che non nasce scienziato in sociologia, o in etica kantiana o freudiana, oppure esperto dei fenomeni sociali, e che non ha certo frequentato una scuola di politica), sostiene poi l’esigenza che va vada “sottoscritto un grande patto sociale. Un grande sforzo collettivo per ridurre i contatti al minimo indispensabile. Scuola, lavoro: il resto ora va stornato”.

Un esercizio che esula totalmente dalla sua discrezionalità di sanitario esperto di virologia, che suona come premonizione, ovvero anticipazione di ciò che potrebbe avvenire sabato o domenica o tra qualche giorno.

Forse non un blocco totale, ma tanti blocchi che – in ogni caso – avrebbero la stessa conseguenza: devastare ancor più il tessuto sociale e produttivo di questa nostra amata Italia.

Ma con sofisticata metodologia: non sarebbe il potere centrale a ‘chiudere e bloccare’, ma – guarda caso – le singole Regioni…

L’effetto è lo stesso, ma lo ‘scaricabarile’ è assicurato.

Si dirà, così come è avvenuto fino adesso: lo facciamo per voi, per il vostro bene, per la vostra salute.

Peccato che fino a oggi nessuna risposta sia arrivata ai tanti che hanno sollecitato di avere dati CERTI circa: il numero reale dei deceduti PER coronavirus, se e quali patologie pregresse avessero, perché sia stata data disposizione di non eseguire le autopsie – metodo insostituibile per conoscere le vere cause di un decesso – , come mai tanta indeflettibile volontà circa la necessità di somministrare un vaccino, e perché mai vi sia tanta ostinazione nel procedere così come ad oggi fatto eludendo il confronto aperto e pubblico con chi possa sostenere, e motivatamente, tesi diverse: con ciò seguendo  quel principio di cautela e di opportunità che pur è presidio collaudato e certo specie nei casi di valutazioni e/o interpretazioni tra loro contraddittorie, quando non incerte.

Un medico non potrebbe e non dovrebbe parlare della necessità di un qualche ‘patto sociale’ che possa intercorrere tra ‘carnefice’ e ‘vittima’, ossia tra chi vuole imporre delle misure restrittive e chi tali misure deve subire: quasi che chi dovesse/potesse subirle possa egli stesso sollecitarle!

Se patto sociale deve esservi, e peraltro è di per sé già implicito, è che lo Stato operi nell’interesse ESCLUSIVO dei Cittadini, per il loro benessere fisico, psichico e materiale, oggi messi tanto a dura prova: checché possano dirne guitti e soubrettine nel contesto di un’informazione drogata e tossica, parziale e omissiva, menzognera.

 

Giuseppe Bellantonio

 




SmemoApp ed i giovani d’oggi!

Il gruppo editoriale CCEditore ha svolto nell’ultimo anno una importante ricerca sui giovani di oggi ed i social, commissionata dal Gruppo Smemoranda, al fine di realizzare un ambiente digitale a misura di giovani.

Il team di ricerca coordinato dal Professore di Sociologia, Corrado Faletti, con la sua ricerca ha permesso di avviare la creazione della SmemoApp, un diario digitale in grado di offrire una serie di servizi ad hoc per i suoi giovani utenti.

L’analisi di mercato, accurata e sistemica, ha calibrato l’offerta di un prodotto innovativo in grado di offrire una serie di servizi incentrati sulle richieste degli adolescenti del terzo millennio.

La dottoressa Chiara Sparacio, responsabile del team di ricerca ci riassume i principali contenuti:

Ragazzi ricchi di valori (impegno sociale e voglia di salvare il mondo).

Ragazzi che credono ancora nella famiglia, nell’amicizia e nella scuola.

Ragazzi creativi e dinamici, pieni di idee, i cui amori ed umori corrono sul filo degli ormoni (vedremo insieme l’evoluzione anagrafiche delle risposte).

Ma, comunque ragazzi, intelligenti e motivati, che chiedono qualcosa di più e qualcosa di meglio, di quello che c’è, attualmente, dentro e fuori la scuola.

Proprio, martedì scorso, il 15 settembre 2020, al Teatro Zelig a Milano, nella conferenza stampa di Smemoranda, è stato presentato un estratto della ricerca svolta da CCEditore per indagare sui valori dei giovani.

Il campione preso in considerazione tra marzo e giugno 2020, presenta le seguenti caratteristiche:

Età compresa tra gli 11 ed i 18 anni.

Studenti della scuola secondaria di primo e secondo grado.

Nel 55% dei casi, maschi, e nel restante 45%, femmine.

Appartenenti a tutto il territorio nazionale.

Analizzati in due tempi, nella Fase 1, durante il lockdown, 550 studenti,

nella Fase 2, terminato il lockdown, 2000 studenti.

Monitorati attraverso un questionario di 40 tavole, relative a più di 100 domande espresse tramite questionari e test di verifica incrociati, gruppi di lavoro e workshop.

I ragazzi hanno risposto a questionari relativi a

  • Interessi generali
  • Utilizzo dei siti
  • L’app ideale
  • Reperimento e rapporto col denaro
  • Valori condivisi
  • Impatto personale sul mondo

 

Lo studio ha riportato dei valori molto interessanti, tracciando un profilo dei giovani notevole.

Prima di tutto, i giovani, nel giro di pochi mesi, passando dalla preadolescenza all’adolescenza (dagli 11-13 anni ai 14-18) cambiano di parecchio la focalizzazione sulla propria identità.

Essi spostano il loro interesse dall’esterno, verso eventuali idoli, all’interno, verso la consapevolezza di sé, assumendo così, una presa di coscienza del proprio valore personale.

I giovani decidono di volersi formare, vogliono essere artefici del proprio destino.

Interessante è vedere, per esempio la scala di valori dei ragazzi.

Nella fascia di età 11-13 anni, la Famiglia occupa il primo posto, seguita dagli Amici ed in ultimo dallo Studio.

Dai 13 ai 18 anni, cambia tutto, prima c’è l’Amicizia, poi lo Studio, per ultimo la Famiglia.

Ma non solo!

Lo studio ha dimostrato che i ragazzi, più crescono, più chiedono alla scuola di essere al loro fianco per essere migliori.

I giovani non vogliono materiale scolastico o programmi predefiniti (le famose conoscenze), ma, chiedono competenze, vogliono studiare su materiale creato apposta per loro, anzi, nato da loro.

La app più amata tra gli 11 e i 14 anni parla di musica, la meno interessante parla di libri.

Tra i 13 e i 18, la app più amata parla di musica, ma quella di libri sale vertiginosamente.

Se i più giovani seguono Tik Tok, ed usano prevalentemente WhatsApp, ben presto, crescendo, passano ad Instagram, Facebook, Messenger.

Sono sensibilissimi al tema della natura, pensano di avere il dovere di intervenire e chiedono alla scuola di aiutarli in questo.

Il loro denaro denaro viene speso per uscire e per fare acquisti di beni tra gli 11 e i 13 anni, ma per comprare app e appunti per studiare tra i 13 e i 18.

 

I ragazzi sono molto sensibili al sociale, infatti spendono il 10% del loro importo mensile in beneficenza.

Insomma, i giovani non sono una categoria unica, preconfezionata, sono fluidi e dinamici, intelligenti ed esigenti.

Per questo ci voleva una ricerca di marketing per centrare il bersaglio, per offrire loro un servizio scolastico ed un supporto digitale esclusivo.

Questo asse di ricerca, dicevamo, è stato curato da CCEditore, ed intorno a questo asse è nata SmemoApp.

Smemoranda ha infatti deciso di raddoppiare il suo storico diario, accostando alla versione cartacea, un’innovativa versione digitale.

La nuova veste dell’agenda nata nel 1979 è stata presentata proprio martedì 15 settembre al Teatro Zelig di Viale Monza, alla presenza del team di Smemoranda e dell’influencer Luciano Spinelli.

La Smemoranda cartacea esiste già da oltre 40 anni.

Nata nel 1979, Smemoranda ha ospitato le firme più prestigiose del mondo del cinema e della musica come Fellini, Jovanotti e Ligabue.

Ha sempre veicolato valori importanti ed estremamente attuali come la solidarietà e il pacifismo.

Il celebre diario ha raccolto attorno a sé più di 25 milioni gli studenti che, dalla prima edizione ad oggi, l’hanno “consumata” ogni giorno ed ha visto la partecipazione di diverse centinaia di collaboratori che hanno contribuito al suo successo.

Smemoranda è stata riconosciuta come un social ante litteram, ed è sempre stata considerata una vera e propria bacheca materiale.

Ora,”la Smemo si è aperta al web preparando il terreno per questa rivoluzione digitale” ha raccontato Nico Colonna, Direttore di Smemoranda.

La SmemoApp è un diario a tutti gli effetti, in formato digitale, che permette di segnare gli orari delle lezioni, di organizzare la giornata scolastica e di controllare il calendario scolastico.

Ma non solo, dall’app è possibile anche tenere sotto controllo la media dei voti, aggiungere gli amici e creare gruppi di discussione, oltre che condividere gli appunti con i compagni di scuola.

La SmemoApp è in grado di interagire day by day con gli studenti nel loro quotidiano, scuola compresa.

Ogni giorno, il diario propone centinaia di contenuti dedicati ai giovani, che possono creare post e condividerli.

I contenuti prodotti dagli utenti sono di loro proprietà ed essi stessi possono decidere di eliminarli in qualsiasi momento.

La genesi del progetto rimanda, come dicevamo, alla stretta collaborazione del team di Smemoranda con Corrado Faletti, Professore di Sociologia, che ha pensato alla “Stanza delle idee della generazione Z“.

Da lui è partita l’intuizione geniale di progettare un luogo digitale dedicato alla scuola, agli studenti e alle loro esigenze.

Dalla ricerca è emerso che la maggior parte dei ragazzi desiderava un’app in grado di offrire opportunità e stimoli per lo studio e di supportare la scuola in progetti sull’ecologia e sulla didattica.

La nascita della SmemoApp, è costruita proprio intorno a “la stanza delle idee della generazione Z”.

La SmemoApp offre una serie di attività, nate per i giovani e create con i giovani.

Nel corso dell’anno scolastico, infatti saranno implementati, con i partner leader del singolo settore, attività e servizi relativi a viaggi, assicurazioni su richiesta, servizi bancari, acquisto di biglietti per spettacoli e concerti, orientamento, volontariato, distance learning.

Non mancherà una sezione per giocare, accumulare punti, partecipare a concorsi e vincere premi, sezione realizzata in collaborazione con Epipoli, gruppo fintech italiano leader nei sistemi di engagement e specializzato in carte prepagate e Gift Card.

La rubrica reward è inaugurata dal Grande Concorso Smemoranda: chi acquisterà in edicola il magazine “Smemoranda – Tutti a scuola!” avrà la possibilità di partecipare al concorso e attraverso SmemoApp e potrà vincere subito fantastiche gift card Foot Locker e Media World per un monte premi totale di 15.000 euro.

Alessia Gemma, Responsabile contenuti Smemoranda, ha commentato: “Smemoranda si è sempre contraddistinta per la cura dei contenuti, contenuti che adesso abbiamo spostato anche on-line.

E’ il primo motore di ricerca per i ragazzi, per la generazione Z.

Ci sono tutti i contenuti scelti insieme ai Partner, il mantra che abbiamo seguito nella loro selezione è stato “se devi spiegarlo agli adulti, va benissimo per i ragazzi”.

Ci sarà inoltre una rubrica dedicata al Fantacalcio, vignette di ZeroCalcare, oroscopi e rubriche”.

Una moltitudine di contenuti freschi, aggiornati costantemente, legati all’attualità e ai trend.

I contenuti della Generazione Z, insomma, contenuti dei giovani.

Il rapporto completo verrà presentato da unicceditore.education entro il 2020.

Giovani creativi e vitali, anche un po’geniali, open mind e work in progress, come chi li ha studiati ed accontentati.

 

 

 

 

 

 

 

 

 

 

 

 

 

“La nostra realtà sono i sogni”

 




PON – intervista ad un ex ispettore dei fondi europei del MIUR

PON fondi europei miur Sorgente: pazzesca intervista ad un ex ispettore dei fondi europei

Intervista esclusiva ad un ispettore dei fondi europei del MIUR

La storia Nel 2012 avviene un fatto strano che nessuno ha mai riportato: tutto un ufficio di ispettori dei fondi europei del MIUR viene cancellato dopo una serie di ispezioni che danno risultati molto negativi. L’ufficio era composto da 4 persone più 5 consulenti, a marzo 2012 l’ufficio viene completamente smantellato ed il personale viene o allontanato, o mandato in pensione forzata o trasferito d’ufficio, i consulenti vengono immediatamente sostituiti da altri tramite un bando quantomeno sospetto.

 

Domanda: lei era un componente dell’ufficio di audit durante quegli anni?

Risposta: si ero una delle persone che operavano nell’unità di audit, avevamo la funzione di controllo ispettivo sulla regolarità dei fondi europei assegnati alle scuole.

Domanda: lei ci ha pregato di non dire il suo nome, come mai?

Risposta: dopo quello che è successo e gli attacchi che sono stati fatti pur di mettere a tacere tutto quanto l’ultima cosa che voglio è che si sappia il mio nome.

Domanda: è vero che nel 2010 la commissione europea ha fatto un’ispezione sanzionando il Miur per la scarsa qualità dei controlli dell’autorità di audit?

Risposta: verissimo, era l’aprile 2010. La commissione europea venne a fare un’ispezione sull’autorità di audit e diede un ultimatum: o si mettevano a posto i sistemi di controllo o i fondi sarebbero stati sospesi. Domanda: perché non erano a posto i controlli?

Risposta: in realtà non venivano nemmeno fatti. Si cercava solo di dire che andava tutto bene per non interrompere l’erogazione dei fondi.

Domanda: e questa cosa non era giusta? Se si fossero interrotti i fondi non sarebbe stato un enorme danno?

Risposta: certo che sarebbe stato un danno, ma se non vengono fatti i controlli non possiamo essere sicuri che i fondi non vengano male utilizzati o peggio ancora vadano a finire alla malavita, ricordiamoci che i fondi europei vanno alle regioni Sicilia, Campania, Puglia e Calabria.

Domanda: non è un poco prevenuta la sua risposta?

Risposta: no, è che i fondi vanno solo a quelle regioni…

Domanda: quindi dopo la venuta della commissione?

Risposta: si certo, ci diedero un ultimatum, ovvero entro settembre avremmo dovuto rifare il sistema dei controlli per poter poi attuare una politica di audit corretta.

Domanda: tutto qui?

Risposta: ahahah e lei dice poco??!! Al Miur non c’era nessuno in grado di pensare e realizzare un sistema di controlli in così poco tempo.

Domanda: allora cosa successe?

Risposta: venne dato l’incarico ad un dirigente a tempo determinato che si occupava di altro e che era arrivato dall’esterno, non era di ruolo.

Domanda: che cosa c’entra questo?

Risposta: c’entra moltissimo: al Miur tutti i dirigenti sapevano che questo incarico sarebbe stato difficile e pericoloso, e quelli in carriera se ne guardavano bene da prendersi questa gatta da pelare

Domanda: e perché invece questo dirigente accettò?

Risposta: non l’ho mai capito, in realtà lui venendo dall’esterno aveva esperienza su questa materia, ma di certo non aveva capito che prendere quest’incarico sarebbe stato un altissimo rischio.

Domanda: quindi cosa successe?

Risposta: il dirigente prese l’incarico ed iniziò a disegnare un nuovo sistema, lo fece anche molto bene tanto che a settembre la commissione europea fece i complimenti per la realizzazione del nuovo modello di audit.

Domanda: e allora quale fu il problema?

Risposta: fu che il sistema funzionava davvero bene! Appena lo applicammo iniziarono ad uscire una serie infinità di irregolarità, dalle meno gravi alle più gravi fino alle gravissime, cosa che iniziò ad agitare le alte sfere.

Domanda: perché le alte sfere si agitarono?

Risposta: semplice se lei per dieci anni dice che va tutto bene, viene la commissione e dice che non stavamo facendo i controlli, noi iniziamo a farli a regola ed escono un sacco di irregolarità, lei che ha detto che andava tutto bene in che posizione si trova?

Domanda: mi può dire che irregolarità trovaste?

Risposta: preferirei evitare, comunque da stipendi falsi a firme false a gare inesistenti a laboratori fantasma…

Domanda: ma voi segnalaste tutte queste cose?

Risposta: i dirigente fece tutti i verbali e li mandò alla corte dei conti, alla procura della repubblica, nonché ovviamente alle alte sfere, alla commissione europea…

Domanda: cosa successe?

Risposta: il finimondo! La commissione europea voleva bloccare i fondi, intervennero tutti per far tacere la cosa ma noi andammo avanti, ci arrivò anche una lettera che ci diceva che avevamo fatto troppi controlli!!

Domanda. Da chi vi arrivò?

Risposta: in pratica ci arrivò da coloro che dovevamo controllare, che però gerarchicamente erano tre livelli sopra di noi.

Domanda: quindi il controllato ordinò ai controllori di smetterla di controllare?

Risposta: in pratica successe questo e molto altro ancora.

Domanda: molto altro?

Risposta: arrivarono lettere anonime, fu imbrattata la moto del dirigente…

Domanda: voi sporgeste denuncia?

Risposta: si al comando dei carabinieri del ministero che era in stretto contatto con le alte sfere.

Domanda: e cosa successe?

Risposta: successe che il dirigente (Corrado Faletti n.d.r.) fu indagato per simulazione di reato per la moto che gli avevano rotto, per le lettere anonime il comandante del nucleo carabinieri disse che le aveva spedite il dirigente che era una specie di mitomane (secondo lui) e fecero partire una serie di indagini sul dirigente che sono andate indietro di vent’anni.

Domanda: e a voi dell’ufficio?

Risposta: noi avevamo tutti i giorni i carabinieri che scorrazzavano in ufficio con aria inquisitoria e minacciosa, capisce che il clima non era il migliore, anzi…

Domanda: cosa successe?

Risposta: guardi io posso solo dirle i fatti: non uscimmo più per un periodo a fare ispezioni, cercavamo di continuare la nostra azione ma non ci venivano pagate le trasferte, ogni nostra uscita veniva ostacolata in qualche modo, al dirigente vennero fatti veri e propri atti di persecuzione con una regia perfetta. So anche che intervenne l’allora ministro per dirgli di lasciar perdere.

Domanda: la commissione europea?

Risposta: stava per sospendere le erogazioni dei fondi, la situazione era veramente critica, a questo punto il dirigente venne obbligato a cambiare il rapporto (gli stava scadendo il contratto), ma lui non lo fece, noi rimanemmo al suo fianco fino all’ultimo, quasi una guerra, ogni giorno una battaglia ma avevamo tutti contro e non c’erano appoggi politici.

Domanda: la conclusione?

Risposta: le cito ancora i fatti: al dirigente fu scaricato addosso un mare di fango, guardi nemmeno fosse stato un capo mafioso, fu rimpiazzato da un altro dirigente, noi tutti continuammo nell’opera iniziata ma nel giro di tre mesi fummo spostati, furono cancellati i nostri contratti, qualcuno fu mandato in pensione nonostante avesse chiesto di rimanere, altri furono trasferiti d’ufficio. Nel giro di quattro mesi dell’ufficio originario non c’era più nessuno.

Domanda: e il nuovo dirigente?

Risposta: mah, visto quello che era successo secondo lei cosa fece? Inoltre il nuovo dirigente era di carriera, quindi con ben altri interessi.

Domanda: lei cosa ha fatto poi?

Risposta: nulla ognuno di noi deve lavorare e portare a casa lo stipendio. Le forze in gioco erano più grandi di noi, abbiamo perso, ma le posso dire che ci abbiamo provato.

 

europateschio