Ripartenza, sforzo inutile?

 

Si ritorna a scuola, tra incertezze e perplessità.

I colleghi precari sperimentano errori ed orrori delle graduatorie provinciali.

I colleghi di ruolo si ritrovano a ballare tra tracciabilità e positività (ai test sierologici).

I Dirigenti sono braccati tra linee guida del C.T.S. e pressioni dell’utenza.

Il personale A.T.A deve districarsi tra cattedre scoperte, aventi diritto, perdenti posto, messe a disposizione, categorie a rischio e lavoratori fragili.

Le famiglie navigano a vista tra lo spettro della Dad, (diventata ora Didattica Digitale Integrata, come se bastasse cambiare un nome per risolvere un problema) ed i protocolli anticovid…

La dura prova alla quale è stato sottoposto il nostro sistema scolastico ha fatto emergere criticità e punti di debolezza.

Aspetti critici sistemici e vulnerabilità contingenti che hanno indotto in tutti i protagonisti una condizione di sconforto, forse mai registrata nella scuola del dopo guerra.

Amarezza ed avvilimento sono aumentati ancor di più nel periodo delle vacanze, periodo segnato da incertezze, indicazioni poco chiare, opinioni fuorvianti, messaggi contraddittori, anche al limite della perdita di ogni elemento di ragionevolezza.

Ma, nonostante tutto questo, anche se spesso e volentieri, non se ne parla, la scuola ha continuato a svolgere il suo ruolo.

La scuola non si è fermata.

I DS, i collaboratori dei DS ed i DSGA hanno continuato a programmare, progettare, eseguire tempestivi monitoraggi di diversa provenienza per mettere un “popolo” nella condizione di poter riprendere a costruire – con i limiti indotti dall’evoluzione pandemica, ma in sicurezza – i progetti educativi delle autonome Istituzioni scolastiche.

Purtroppo, temi di distrazione di massa e di efficace qualità populista hanno provato a far perdere la bussola ad una squadra di professionisti che, nonostante tutto, ed a diverso titolo, sono stati e sono protagonisti nella ripartenza di questi giorni.

Come redazione di betapress, ne abbiamo parlato con il prof. Rosolino Cicero, Presidente dell’Ancodis (Ass. Naz. Coll. Dir. Scol.)

Betapress– Prof. Cicero, quest’anno, di certo, i Dirigenti scolastici ed i Vicari, non si sono goduti le ferie…

Cicero– Proprio così.

Siamo stati in questa calda e complicata estate impegnati quotidianamente nelle nostre scuole a progettare, ad immaginare, a verificare come poter dare risposta, senza allarmismi ed in sicurezza, alle legittime richieste delle famiglie, consapevoli che “l’anno che verrà” non potrà essere come i precedenti, ci riserverà tante “sorprese” e metterà in discussione prassi organizzative e modelli didattici consolidati.

Betapress– Da addetti ai lavori del mondo scuola, cosa state facendo come Ancodis?

Cicero– Alla facile inerzia di alcuni o alla tentazione di altri di scaricare le responsabilità abbiamo preferito la strada più difficile, quella di osare e di rischiare, pur con tutte le incognite che la dura e complessa realtà ci porrà innanzi.

Abbiamo preferito giocare da protagonisti la partita contro il Covid 19, consapevoli che il risultato finale dipenderà da una squadra coesa e determinata, costituita dalla comunità scolastica, dai genitori, dagli EE.LL.(Enti Locali), dal volontariato.

Betapress– Qual è il vostro obiettivo?

Cicero- Continuiamo a perseguire, con determinazione e nonostante le tante criticità, un solo obiettivo: fare ripartire i nostri alunni in ambiente scolastico, far comprendere loro che ciò che è nelle nostre possibilità dovrà essere fatto, senza se e senza ma, schierarli in “campo da gioco” nel quale, nel rispetto delle regole, seppur molto stringenti e magari non comprese, ciascuno possa sentirsi protagonista e tutti insieme fare, nel primo giorno di scuola, un incoraggiante segno di vittoria.

Betapress– Prof. Cicero, vuol dire qualcosa in particolare ai suoi colleghi vicepresidi?

Cicero– Sì, vorrei rivolgere un pensiero particolare, ai tanti colleghi Collaboratori che si trovano a lavorare in scuole in reggenza: conosciamo bene l’enorme lavoro che li aspetta e le tante criticità ed emergenze cui dovranno far fronte.

A loro ed alle loro comunità va un sincero incoraggiamento.

Betapress– E a tutti gli altri operatori scolastici…

Cicero– A tutto il personale della scuola, ma anche alle famiglie, agli alunni, ai volontari, voglio dire che la scuola deve ripartire e ciascuno deve poter dire di aver contribuito a vincere la grande sfida.
Buon anno scolastico a tutti.

E noi come redazione di betapress, vogliamo appoggiare questo messaggio propositivo di Ancodis.

Messaggio, controcorrente, certo, ma molto più efficace ed efficiente di tanta propaganda elettorale, in cui la scuola è impiegata come specchietto per le allodole, per guadagnare voti da chi non sa neanche di cosa sta parlando.

Grazie, Prof. Rosolino Cicero, per fortuna che qualcuno ci crede nella scuola e, nei fatti, si impegna a migliorarla.

[N.d.D.]

Nel fare i complimenti al prof. Cicero, riteniamo giusto osservare che tutte le scuole hanno lavorato in questi ultimi tre / quattro mesi per  la ripartenza.

Il vero problema è che hanno ricevuto indicazioni sempre più confuse e contrastanti, segno di mancanza di conoscenza  a monte, costringendo i dirigenti a fare e disfare, senza una linea coerente o quanto meno sicura.

Ancora di più si stanno buttando al vento milioni di euro che forse si potevano usare in modo più proficuo.

 

 

 

 

 

 

 

 

 

 

 

 

 

 

 

Rosolino Cicero: la DAD non è di sistema…




Un desiderio irrefrenabile di acquisti online

In alcuni momenti di crisi può succedere di mettere in atto delle modalità compensatorie per placare il disagio.

La nostra mente ci aiuta a gestire l’ansia attraverso la soddisfazione di desideri, uno  dei quali, molto comune tra le persone, è quello di possedere abiti, scarpe, borse, trucchi,  gioielli, oggetti d’arredo, libri, quadri ed altro.

Prima dell’avvento di internet, pur essendo presente questa ambizione, era più  complesso poterla soddisfare nell’immediato mentre oggi le opportunità di acquisto sono molto più celeri in quanto attraverso internet abbiamo accesso 24 ore su 24 a qualsiasi tipo di prodotto. È dunque possibile selezionare diversi negozi avendo  l’illusione di potere risparmiare.

L’acquisto online tende ad azzerare le dimensioni spazio-temporali in quanto alla persona viene offerto un “luogo virtuale” nel quale il prodotto in vendita è reso  accattivante da numerose informazioni e stimoli spesso di tipo subliminale.

Lo shopping compulsivo online ha in comune con quello che avviene fisicamente la tensione ed il bisogno irresistibile che si placano solamente con l’acquisto  dell’oggetto del desiderio.

Ciò che muta è la modalità d’acquisto ed una caratteristica importante è legata al  fatto che la persona può possedere ciò che desidera senza essere giudicata.

In passato già lo psichiatra tedesco Emil Kraepelin si era occupato del fenomeno  dell’acquisto compulsivo che identificò con il termine “oniomania”.

Oggi lo shopping compulsivo viene definito come un comportamento d’acquisto che  il soggetto sperimenta a causa di un bisogno irrefrenabile ed urgente di comperare.

Accade spesso che ciò che si è acquistato sia un qualcosa di inutile e la persona ne è  consapevole ma non riesce a farne a meno. Si innesca un comportamento ripetitivo nel tempo che può giungere a provocare e a causare danni alla vita relazionale, sociale, lavorativa ed economica.

Anche se la persona sostiene di voler interrompere questi comportamenti disadattivi, numerosi sono i tentavi fallimentari osservati.

Proviamo ora ad immedesimarci nella persona che di abitudine mette in atto comportamenti di shopping compulsivo.

Cosa prova?

Innanzitutto si sente pervasa da un senso di urgenza che era stato anticipato da sensazioni di noia, ansia, rabbia; segue poi la pianificazione dell’acquisto che prevede la selezione dei negozi da visitare; scelto il negozio il soggetto inizia a comperare oggetti che sente attraenti e riguardo ai quali sostiene di non potervi rinunciare.

Gli acquisti sono sempre accompagnati da una forte sensazione di euforia che in breve si trasforma in senso di colpa e frustrazione.

Perché ci si sente in colpa?

La riflessione prioritaria è che si è speso più di quanto ci si poteva permettere.

L’episodio di shopping compulsivo è sempre accompagnato da stati emotivi intensi.

L’infelicità sembra essere una tra le cause più attendibili della predisposizione allo shopping compulsivo e sono soprattutto le persone infelici che riescono a trasformare, acquistando, i propri sentimenti negativi in fittizi sentimenti positivi.

Tra le varie teorie che hanno cercato di analizzare il fenomeno dello shopping compulsivo riteniamo opportuno riflettere su quella psicosociale che sottolinea alcuni aspetti collegati alla distorsione dell’autonomia. In pratica sembra che le persone che non si sentono autonome si attivino per sfuggire all’impotenza che le caratterizza proprio attraverso l’azione del comprare.

Altrettanto interessanti e degne di  nota sono le teorie psicodinamiche che accennano al tema della seduzione infantile. In quest’ottica pare che l’atto dell’acquistare permetta di superare il senso di inadeguatezza sperimentato già a livello dell’infanzia. Sempre secondo le suddette teorie la causa potrebbe essere riconducibile al tema freudiano della castrazione femminile. Ulteriore causa potrebbe anche essere la rottura del legame con una persona di riferimento significativa nella vita dell’individuo.

Un basso livello di autostima è la caratteristica più comune tra chi soffre di shopping compulsivo.

Possiamo ritenere che lo shopping via internet venga utilizzato per sollevarsi dal dolore e sentirsi autonomi .

È stato osservato che chi soffre di shopping compulsivo ricerca l’acquisto per provare sensazioni forti.

L’acquisto compulsivo può portare ad un disturbo da accumulo, che si esprime nel  bisogno insaziabile di possedere il maggior numero possibile di quegli oggetti sui  quali ci si è fissati.

Sono noti a tutti gli accumulatori di scarpe il cui bisogno insaziabile può sfociare  nel      disturbo psicologico denominato “shoeaholic”.

Gli accumulatori di oggetti sono disposofobici e tendono ad accatastare negli  ambienti in cui vivono oggetti senza mai disfarsene. Queste persone possono  invadere tutte le stanze delle loro abitazioni con libri, vestiti, oggetti vari. Non leggono quei libri, non indossano quegli abiti, non utilizzano quegli oggetti .

Oggi gli acquisti online riguardano anche oggetti importanti. Possiamo notare come molte persone lascino fluire il loro bisogno compulsivo di collezionare opere d’arte.

Più l’oggetto è costoso maggiore sarà la gratificazione.

Riteniamo che il desiderio inarrestabile di acquisti online sia alimentato oggi dalla facilità di accesso ad internet che offre anche la possibilità di partecipare ad aste virtuali. Utilizzare carte di credito per i pagamenti rafforza inoltre la condotta compulsiva e facilita l’acquisto.

Se analizziamo artisti geniali, possiamo ritrovare spunti di fissazione sugli oggetti nelle loro opere d’arte.

Van Gogh ad esempio dipinse un numero rilevante di quadri dedicati alle scarpe.   

Interessante è anche l’arte seriale dove lo stesso soggetto viene ripetuto in quadri diversi all’infinito, e magari più volte nello stesso quadro, e a questo proposito pensiamo ad Andy Warhol quando ripropone in modo ossessivo le sue lattine di zuppa Campbell.

 

L’ossessione è ben espressa da Dino Buzzati in una frase tratta dal suo libro “Il colombre e altri cinquanta racconti”: “Navigarenavigare, era il suo unico pensiero. Non appena, dopo lunghi tragitti, metteva piede a terra in qualche porto, subito lo pungeva l’impazienza di ripartire”.

 

Così chi soffre di shopping compulsivo online acquista navigando in internet, si ferma un attimo ma il suo desiderio è quello di ripartire subito perché la compulsività  non gli lascia tregua.

 

 

 

 

 

 

 

 

 

 

 

 

 




Ebru Timtik: quando si muore per i diritti.

238 giorni senza mangiare, rinchiusa in un carcere turco.

Ebru Timtik, avvocatessa che si occupava dei diritti umani e che era stata condannata a 13 anni per terrorismo è morta, giovedì sera, nel carcere turco di Silivri, dopo 238 giorni di sciopero della fame.

Quella di Ebru Timtik è stata una vita di impegno e di lotta.
Una vita passata combattendo e cercando giustizia, prima come avvocatessa per i diritti umani, poi come attivista.

Era stata condannata a tredici anni di carcere e non ha mai smesso di protestare contro Erdogan e per la libertà.
Dopo essere finita in prigione, Ebru Timtik è morta in silenzio, dopo 238 giorni di sciopero della fame.

Tutti sapevano in Europa, (noi italiani pure), ma tutti tacevano.

Salvo poi, adesso gridare al martirio…

Era arrivata a pesare solo 30 chili, fanno sapere i suoi amici.

Timtik voleva un processo equo, ma la sua battaglia è terminata così, tra assenza di posizione critica e tolleranza pavida dell’Europa e dell’Italia difronte allo spietato regime turco.

″È morta da martire”, ha denunciato su Twitter, il gruppo Halkin Hukuk Burosu, associazione di avvocati.

Il 14 agosto, la Corte costituzionale turca aveva respinto la richiesta di rilascio a scopo precauzionale, per lei e per il collega Aytaç Ünsal (anch’egli in sciopero della fame), nonostante le loro condizioni di salute fossero molto critiche.

Ma facciamo un passo indietro

E leggiamo insieme la nota di Associazione Avvocati progressisti sulla morte di Ebru Timtik e poniamoci il dubbio se più che di martirio, non si debba invece parlare di una cronaca di morte annunciata.

“Le persone che ricoprono le cariche del Ministero dell’Interno e del Ministero della Giustizia (in Turchia) e che hanno l’autorità di reprimere la “magistratura indipendente” hanno usato il termine “terrorista” per Ebru; hanno ritenuto Ebru responsabile dell’omicidio del procuratore Mehmet Selim Kiraz.

Nelle indagini e nei procedimenti per l’omicidio del procuratore Mehmet Selim Kiraz, non c’è una sola prova o accusa contro Ebru.

Mentre l’argomento è così chiaro, stabilire una relazione tra la morte del Procuratore ed Ebru indica solo l’esistenza di una mente problematica o di una cattiva intenzione.

Ebru, come rivoluzionaria che ha vissuto una vita dignitosa fino al suo ultimo respiro, è stata abbracciata dalle forze progressiste della società.

Le parole che verranno versate dalla vostra bocca (fautori del regime) non significano nulla per noi.

Perché sappiamo benissimo che (i rappresentanti del potere giuridico) hanno personalmente preso parte agli interventi politici contro Ebru e i nostri amici avvocati.

Ebru è stata uccisa.

È indiscutibile per chi legge, ascolta, vede e osserva che questa frase non esprime un pettegolezzo.

Ebru è stata massacrata da un sistema legale ingiusto, gestito con istruzioni dirette e da gruppi di potenti interessi che lavoravano duramente per la sopravvivenza di questo sistema e che sono al potere da molto tempo.

Nonostante l’illegittimità del processo in cui lei e i nostri colleghi sono stati processati fosse evidente, è stata assassinata da giudici che si sono rifiutati di rilasciarla, nonostante i rapporti forniti dall’Istituto di medicina legale e dagli ospedali, e dai giornalisti che non si sono astenuti dal pubblicare le notizie ordinate direttamente per mano di Süleyman Soylu (ministro dell’Interno) e che agivano direttamente come portavoce del governo.

Lo sappiamo e non lo dimenticheremo mai e poi mai.”

Ma chi era davvero Ebru Timtik?

“Era come una sorella maggiore, la conosco da molto tempo, da cinque anni.

Era la nostra collega.

Era anche un’avvocatessa, difendeva le persone in vari casi, come Soma o i massacri, ed è per questo che era sotto processo”, spiega un collega della donna.

“Questo Paese deve saperlo: se un avvocato paga la sua richiesta di giustizia con la vita, non c’è più nulla da dire.

Nessuno in questo Paese è al sicuro, dice Musa Piroglu, membro dell’opposizione.

La storia

La 44enne e 17 suoi colleghi erano stati arrestati nel 2019 e accusati di legami con il Fronte Rivoluzionario della liberazione popolare (Dhkp-C), gruppo militante di estrema sinistra considerato “organizzazione terroristica” da Turchia, Stati Uniti e Unione Europea.

A febbraio, aveva iniziato lo sciopero della fame, contro un processo che la donna e molti membri dei partiti dell’opposizione turca definivano “ingiusto e imparziale”.

La posizione della Corte Costituzionale turca.

Solo pochi giorni fa a Bruxelles, dieci avvocati belgi avevano avevamo manifestato davanti all’ambasciata turca, in segno di solidarietà con Timtik e Ünsal.

Avevano intrapreso lo sciopero della fame.

L’avvocatessa belga Sibylle Gioe aveva detto ai microfoni di Euronews: “Abbiamo deciso di sostenere Ebru e Aytaç in questo modo.

I due stanno facendo lo sciopero della fame, perché sono stati maltrattati dal regime.

Sono stati imprigionati con le peggiori accuse e tutto quello che vogliono è un processo equo, ma non sono stati processati in modo equo.

Le loro vite sono in pericolo.

Vogliamo avvertire il nostro governo, le organizzazioni della società civile e il governo turco”.

Risposta.

Nonostante pesasse meno di 30kg, la Corte di Cassazione turca ha dichiarato che la incolumità fisica dell’ attivista era al sicuro.

Gli altri martiri

Timtik è la quarta persona del processo Dhkp-C morta quest’anno a seguito di un digiuno.

Helin Bölek, solista del gruppo musicale Grup Yorum, è morta il 3 aprile, dopo 288 giorni senza alimentarsi.

Il 7 maggio era toccato al bassista della stessa band, Ibrahim Gökçek, deceduto dopo uno sciopero della fame durato 323 giorni. I

l 24 aprile si era spento il prigioniero politico Mustafa Koçak, che aveva fatto 296 giorni di digiuno.

Ma allora, se quella di Ebru Timtik non è la prima vita spezzata dall’autoritarismo di Erdogan e non sarà purtroppo l’ultima, perché non ascoltiamo le loro storie, perché non ci documentiamo sul loro impegno politico, perché non onoriamo almeno la loro morte?!?

Non possiamo abbandonare queste persone, dobbiamo utilizzare con maggiore efficacia tutti gli strumenti politici e diplomatici per supportare chi lotta per un cambiamento, il nostro disimpegno e la nostra distanza sarebbe la loro condanna.

 

La Turchia del tiranno Erdogan continua la sua inarrestabile caduta verso l’oscura repressione di ogni pensiero e di ogni figura non corrispondente alla sua visione islamista radicale, e noi per quanto tempo ancora, continueremo a non vedere ed a non agire?!?

Come redazione di betapress, vogliamo aderire alla posizione dei suoi amici e colleghi e sottoscrivere questo appello della ASSOCIAZIONE AVVOCATI PROGRESSISTI

“L’ultima parola che ti diremo:

In tutte le circostanze, continueremo a gridare le richieste di Ebru, a continuare la sua lotta e a rivendicare la sua memoria.

Nel cammino che facciamo con Ebru, continueremo ad agire come fautori dei lavoratori oppressi sotto la ruota del capitale, donne abbandonate al loro destino, individui emarginati, il popolo curdo che è sotto l’attacco dello Stato in ogni momento, rivoluzionari, insomma, tutte le classi oppresse.

Abbiamo perso una sorella. 

Uno dei nostri fratelli è ancora sull’orlo della morte. 

Ciò significa che oggi siamo in lutto, soffriamo, ma siamo anche arrabbiati e abbiamo un lavoro molto importante e una promessa di lotta, come fare del nostro meglio per mantenere in vita Aytaç.

Piangeremo il nostro dolore in questo modo, facendo fermentare la rabbia e accrescendo la lotta

 

 

 

 

 

 

 

 

 

 

 




Norvegian Wood: ma non parliamo di Beatles…

Norwegian Wood è uno di quei libri che trovi in ogni libreria.

Ti corteggia dallo scaffale, ma tu sei combattuto tra la fiducia verso il mondo giapponese (se sei un amante delle sue arti già da prima) ed il dubbio per la sua onnipresenza che potrebbe essere sintomo di prevedibilità.

Il mio combattimento è terminato con un compromesso e, non conoscendo altre opere di Murakami Haruki, me lo sono fatta prestare.

Ho fatto bene.

La trama.

Watanabe Toru, ormai trentasettenne, sta arrivando in Germania con l’aereo.

Pochi istanti dopo l’atterraggio gli altoparlanti del velivolo cominciano a diffondere a basso volume “Norvegian Wood” dei Beatles.

Watanabe si sente male, un’intensa malinconia e nostalgia lo costringono a ricordare eventi e persone che popolarono i suoi anni giovanili, in particolare un periodo che va dal 1968 al 1970, mentre frequentava l’università a Tokio.

Attraverso un lungo flashback che comprende tutto il romanzo, Watanabe ripercorre quegli anni e il ricordo diventa concreto, diventa una nuova realtà da rivivere con gli occhi della mente e dell’emozione, ormai adulte.

Una persona in particolare ritorna subito alla memoria: Naoko, ragazza bellissima e pericolosamente fragile, della quale Watanabe si era innamorato.

I due si rivedono per caso per le strade di Tokio mentre stanno frequentando il primo anno di università: non si erano più incontrati dal funerale di Kizuki, migliore amico di lui e fidanzato di lei, morto suicida a soli 17 anni.

Iniziano così una frequentazione, durante la quale Watanabe si innamora sempre più di Naoko, più intensamente quanto più lei mostra i sintomi di un disagio psicologico che si fa sempre più grave, fino a diventare vera e propria malattia mentale.

Quando Naoko si allontana per questi motivi, Watanabe conosce ed inizia a frequentare un’altra ragazza, Midori.

Midori è completamente diversa da Naoko, anche lei ha sofferto parecchio nella sua giovane esistenza, ma è molto più vivace, vitale e disinibita.

Evidentemente, in questi termini, il libro non ha dei contenuti strepitosi, inauditi, la trama, di per sé, non ha nulla di nuovo.

Eppure, c’è una potenza, una forza che agisce tacitamente, che fa sì che ogni volta che lo apri, non lo chiudi, se non ne hai letto almeno cento pagine per volta.

Subito si coglie lo stile unico dell’autore, badate bene: non migliore, ma personalissimo.

E anche se troverete dei dialoghi infiniti, continuerete imperterriti nella lettura, perché, Murakami, prima di farvi avere i “fatti”, vi farà sudare.

E quello che accadrà, sarà esattamente quello non previsto, non calcolato.

Nel racconto, come nella vita.

E, stupendomi enormemente di una pazienza che non sapevo di avere, sono stata al suo gioco dall’inizio alla fine, senza irritamento o noia.

Forse perché c’è la consapevolezza intrinseca che ogni dialogo è essenziale per capire quel che accadrà dopo.

Del resto, al personaggio principale, Toru, succede sempre qualcosa di incredibilmente “pesante” e complesso.

Complessità non intesa per forza come difficoltà, ma come insieme di più concetti sottostanti.

Complessità come impatto emotivo del quotidiano, straziante e sublime per una persona in crescita e per una personalità in evoluzione.

Del resto nella vita di Toru ci sono persone tutt’altro che ordinarie: gli amici di una vita che sguazzano nella depressione; l’amico dell’università che ama troppo sé stesso per amare qualcun’altro; la ragazza esuberante e senza filtri (che in un paese come il nostro sarebbe la “porca” di turno) e così via…

Ma Murakami è un abile rappresentatore di realtà.

Questi personaggi non risultano mai caricature, anzi, sono descritti quanto più possibile in tutte le loro caratteristiche e, talvolta, perfino negli aspetti contraddittori tipici dell’essere umano.

Contraddizioni che poi portano a scelte ed azioni più o meno condivisibili ma che mai percepiremo come inadeguate o banali.
“Norvegian Wood” è una narrazione/viaggio fra i sentimenti, fra le emozioni e le inquietudini che si incontrano tra l’adolescenza e i primi anni della vita adulta: l’amore che nasce e che finisce, un amore non platonico ma completo, in cui il sesso ha una componente di fondamentale importanza, l’amicizia, il senso di responsabilità.

L’io narrante è un ragazzo che ha sostanzialmente dei buoni principi morali, è sensibile ed altruista, ma che rimane sempre concreto, reale, credibile.

Norvegian Wood è stato definito un grande romanzo sull’adolescenza, ma non ne consiglio la lettura a dei ragazzi.

Piuttosto, è destinato a dei lettori risolti e risoluti, perché altamente inquieto ed inquietante.

Straziante e sublime, come dicevo.

Il romanzo trasmette un intenso senso di inquietudine, malinconia e tristezza.

Eppure, anche nei passaggi più bui, la luce sulla vita, sul futuro e sull’amore non si spegne mai.

Si continua a leggere, come si continua a vivere, anche quando tutto intorno è un’immensa palude.

La persistenza delle contraddizioni dell’uomo le troviamo nello stesso personaggio che porta dentro di sé le turbe profonde, la solitudine, l’insicurezza e, insieme, la capacità di comprendere, giustificare, non esasperare e ponderare sempre quel che accade.

Così, sempre più, il lettore diventa il protagonista, ognuno di noi diventa quel Watanabe (Toru) che a volte ci può apparire passivo, ma mai apatico.

Il tratto distintivo di questo libro è l’onestà: non ci sono filtri nei pensieri di Toru, né nell’interazione con l’altro.

Attenzione, però, Murakami non scade mai in volgarità, nulla sembra “grezzo” o inopportuno.

Se è vero che l’arte è un artefatto culturale, allora dobbiamo ringraziare la cultura giapponese per produrre arte che ci permette di pensare che una società nella quale avere legami emotivi più sinceri, con meno tabù e più libertà di essere sé stessi, può esistere o, almeno, ce lo fa credere anche se solo per un poco.

Pur parlando di morte, malattia, solitudine, Norwegian Wood è un inno alla vita, che ti bacia tra le lacrime.

Forse è proprio questa la forza e la bellezza di “Norvegian Wood”.

Di Watanabe che ha scelto di vivere e di noi con lui che abbiamo scelto di vivere, “perché la morte si sconta vivendo”, ma anche la morte si sconfigge amando.

 

 

 

 

 

 

 

 

 

 

 

 

Quando lo strafalcione diventa esame di stato, la scuola che non c’è più…

 




Il Ministro Azzolina, verso l’infinito e oltre

Ci stupisce sempre ogni volta pensiamo che abbia toccato il punto massimo e ogni volta supera sé stessa.

Il Ministro Azzolina verso l’infinito e oltre.

Premessa.

La redazione i Betapress è vicina a tutti gli insegnati e ai cittadini che quotidianamente devono confrontarsi con i soprusi e le leggerezze del ministro dell’Istruzione Lucia Azzolina.

Il concorso a dirigente scolastico del 2017

Il tema del concorso a dirigente scolastico del 2017 è uno degli argomenti che, negli ultimi mesi, porta alla nostra redazione più sollecitazioni.
Non c’è giorno che in redazione non ci arrivi una segnalazione di una persona che ha fatto il concorso e vuole raccontare la sua storia o che non ci mandino degli aggiornamenti sui ricorsi in atto.

Del concorso abbiamo parlato già diverse volte (e ancora abbiamo da dire) e in calce all’articolo riportiamo una bibliografia minima interna ed esterna.

Per dovere di narrazione, però, riportiamo una velocissima cronistoria.

Cronistoria

Nel 2017 la professoressa Lucia Azzolina si iscrive al concorso per dirigente scolastico (lecito)

Nel 2018 si svolge il concorso nelle sue varie e travagliate vicissitudini (rocambolesco)

Il 1 Agosto 2019 vengono pubblicate le graduatorie del concorso e la professoressa Azzolina si classifica 2542 esima su 2416 posti richiesti da bando per risultare vincitrice e 2900 per figurare tra gli idonei (qui cominciano le magie ma lo vedremo più avanti)

l 13 settembre 2019 Lucia Azzolina viene nominata Sottosegretario di Stato al MIUR durante il governo Conte II (congiunzioni astrali )

Il 28 dicembre 2019, durante la conferenza di fine anno, il premier Giuseppe Conte annuncia l’imminente sua nomina a ministro dell’Istruzione (inizia il Kali Yuga del mondo scolastico italiano).

Tra colpi di scena, dichiarazioni, decreti e pandemie,  nel mondo di chi chiede  l’applicazione delle regole si susseguono ricorsi al TAR di varia natura per segnalare una serie di illeciti riscontrati durante il concorso e dei quali è possibile avere cognizione attraverso gli articoli sotto citati.

Il punto è che il 4 agosto 2020, alla fine della fiera, per una serie di motivi che possono essere più o meno ragionevoli il ministro ne ha fatto un’altra delle sue.

Il Ministro Azzolina, nel pieno delle sue facoltà istituzionali, con un avviso firmato dal capo dipartimento Marco Bruschi,  ha deciso di abilitare tutti i figuranti in graduatoria fino ad esaurimento.

Oggi il mondo politico e della formazione grida allo scandalo.

 

Dettagli

Prima di andare avanti torniamo indietro una una cosa successa circa un anno fa e sopra riportata:
Il 1 Agosto 2019, con pubblicazione della graduatoria, risulta che la professoressa (già pronta per la nomina a sottosegretario di stato) è risultata (attraverso un conteggio di punti che appare fantasioso ma sul quale aspettiamo pronuncia ufficiale dallo Stato) 2542 esima su 2416 (che diventeranno poi 3400.

Insomma, il ministro, dopo tanta fatica riesce ad avere un posto dignitoso in graduatoria.

L’unica particolarità è che secondo quella graduatoria, lei risulta idonea ma non abilitata.

Idoneità e  Abilitazione sono nei concorsi pubblici due stati differenti: l’abilitata è senz’altro idonea ma l’idonea può anche non essere abilitata potremmo dire con un gioco logico.

Ciononostante il ministro dell’Istruzione facendo finta di niente vuole, come hanno detto alcuni “assumersi da sola” e lasciare che la graduatoria scorra fino al suo nome fino a ricoprire il ruolo di dirigente scolastico.

Abbiamo detto che la decisione del Ministro riportata nell’avviso del 4 agosto 2020 ha senza dubbio delle ottime ragioni.

Laddove le ragioni non sono circostanzialmente dichiarate però, ognuno può trarre le proprie e ognuno le trae a seconda della propria indole e della propria esperienza.

I malpensanti potrebbero pensare che, nel dubbio per incerti tempi moderni o forse anche per un gesto di amore per la scuola,  il Ministro stia pensando ad assicurarsi un lavoro da fare dopo la carica attuale.

I benpensanti potrebbero pensare che sia tutto solo casuale e che il fatto che il nome del ministro sia in quella graduatoria e che lei certamente gioverà della sua attuale decisione, sia solo una fortunata coincidenza di avvenimenti.

E sempre i benpensanti saranno convinti che non ci sia assolutamente nessun legame tra i muri di sbarramento e gli ostacoli che il Ministro dell’Istruzione frappone continuamente ed indefessamente tra chi chiede verità sul concorso e l’accesso a tutti gli atti.

L’ingiustizia del Ministro

In molti, a proposito di questo fatto, hanno parlato di abuso di potere, conflitto di interesse e abuso di ufficio, in buona parte a ragione.

Oltre a tutto questo, però,  il vero problema di cui il Ministro nella sua spensierata ingenuità sembra non tenere conto, è che le cariche pubbliche conquistate attraverso concorso, possono essere ricoperte solo e unicamente dai candidati idonei e non dai candidati abilitati.

Insomma, è una svista indegna di chi conosce bene la giurisprudenza.

Sì perché, stando a quanto ci è stato detto dalla commissione che l’ha esaminata, sulle domande di giurisprudenza, al concorso del 2017, era andata più forte.

Quello che pensiamo, con ragionevole e accondiscendente logica, è che a forza di dedicarsi alla politica nel suo partito e nel suo ministero, la dottoressa Azzolina abbia trascurato lo studio e dimenticato anche le materie che prima conosceva meglio.

Forse vuole andare avanti nel suo intento anticostituzionale perché, di fronte un ulteriore esame, avrebbe delle difficoltà a mettersi a studiare.

In bocca al lupo.

 

Betapress sostiene la battaglia contro un certo modo di fare le cose,  perché è veramente assurdo e pazzesco che nessuno insorga davanti a questo modo di agire.

Come è assurdo e pazzesco quello che sta succedendo per l’avvio della scuola, sempre che non ci sia un altro lock down, dove gli unici che prenderanno un sacco di mazzate saranno i presidi, visto che nessuno si prende la briga di fare le cose in maniera logica.

Sinceramente ci sembra accanimento, tutto in smart working tranne le scuole, dirigenti scolastici con la massima responsabilità per il rientro degli alunni, banchi con le rotelle, insomma, non era meglio riflettere un attimo di più ed invece che buttar via tutti questi soldi dare alle famiglie i soldi necessari per trovare dei tutor che affiancassero i figli e far momentaneamente ripartire le scuole in DAD?

Avremmo anche aumentato il lavoro per i giovani, per gli educatori, avremmo affrontato il problema con più calma, perché non vorrei che da un accanimento contro la scuola si finisse a vilipendio di cadavere!

(N.d.D.)

 

 

Chiara Sparacio

Bibliografia

https://www.orizzontescuola.it/concorso-dirigenti-scolastici-ecco-la-graduatoria-nazionale/

Il ministro Azzolina e il concorso del 2017

Concorso DS 2017 – il TAR concede l’accesso ai codici sorgente

 

 

https://www.orizzontescuola.it/concorso-dirigenti-scolastici-idonei-inseriti-in-graduatoria-nel-triennio-potranno-essere-assunti/

 

https://scenarieconomici.it/la-azzolina-si-e-autonominata-dirigente-scolastico-un-concorso-molto-strano-di-cui-vogliamo-parlarvi/

 

 

 

 

 

 

 

 




Distanziamento A-sociale

Il distanziamento sociale non è cosa nuova, viene dal passato, e fu usato per i casi di lebbra, e viene già descritto nel libro del levitico nel VII secolo avanti cristo.

Quindi nulla di nuovo, semplicemente un metodo che è utile quando non ce ne sono altri, come si direbbe l’ultima spiaggia.

Ma c’è un prezzo da pagare, un costo sociale che è ancora da comprendere e che mostrerà la sua luce non a breve.

Ancora oggi, con la parola lebbroso identifichiamo qualcuno da tenere alla larga, pericoloso, da rinchiudere.

Sicuramente ci sarà un impatto economico, la distruzione di un benessere raggiunto negli ultimi anni che certamente non sarà più alla portata di questa società, e questo a mio avviso porterà ad una rivolta sociale che oscurerà il futuro di questa generazione.

Vi è però un altro prezzo che pagheremo, più oscuro e nascosto, meno visibile perché poco percepito, ma comunque gravissimo: la perdita della emotività sociale.

L’uomo è un animale sociale, il suo io è imperniato sul concetto di appartenenza, di accettazione, di gruppo.

Lo scambio sociale permette all’individuo di relazionarsi con se stesso, costruendo pertanto un io equilibrato.

Il prolungarsi del distanziamento come metodo antivirale porterà sicuramente, e già lo ha fatto, ad una riduzione della capacità degli individui di crearsi un mondo interiore stabile.

Infatti senza confronti e senza gestione del vicinale sarà difficilissimo modellare la propria dimensione personale verso una dimensione sociale.

Cosa perderemo?

Sicuramente la capacità di confronto, ma di più la fiducia, questa ci è minata dalle continue dichiarazioni in cui appare che nessuno possa essere considerato sicuro.

Questo approccio molto nichilista ha un’influenza negativa sulla psiche dell’individuo, perché mina in lui, già alla base, le certezze e le sicurezze relazionali individuali.

Il danno di queste scelte sarà visibile nei prossimi anni, e anche nelle prossime generazioni che soffriranno di covidmania, ovvero una paura diffusa della relazione, un profondo, inconscio, motore di insicurezza.

Problema di struttura della emotività sociale del paese, gravissimo perché impercettibile, ma devastante come il virus da cui ci si è voluti difendere.

Invece che pensare ai banchi a rotelle sarebbe utile prevedere dei programmi specifici per recuperare i danni del distanziamento, e certo smettere con la teoria del terrore che a ben poco serve, se non ad instillare paure più nel livello inconscio che in quello conscio.

Evidente il comportamento di tutti in questo periodo, una ricerca delle vecchie modalità di vita, allentato il momento si cerca di riprendere quello che inconsciamente si sa di aver perso.

Inutile continuare a terrorizzare perché ormai non si agisce più sulla leva cosciente della massa ma su quella inconscia, quindi la più pericolosa.

Siamo ormai entrati in un momento in cui l’uso del distanziamento diviene sempre più strumento A-sociale, i messaggi sono ormai subliminali, non toccano più la parte cosciente dell’individuo, che ormai anela alla normalità precedente, che mai ci sarà più, ma quella parte che genera e stimola le paure e le insicurezze.

Credo sia il caso di fermarsi, anche se ormai potrebbe essere troppo tardi…

 

 

 


 

 

 

 

 

 

 

 

 

 

 

 

Sdidatticamente parlando… ovviamente a distanza.

 

 




Il gioco d’azzardo tra passato e presente

Affrontare il tema del gioco d’azzardo patologico, oggi conosciuto come GAP, significa riflettere su qualcosa di presente nel tempo e nocivo alla vita individuale, famigliare, scolastica e lavorativa.

Sembra che il gioco d’azzardo sia nato in Cina per poi diffondersi nel resto del mondo.

È interessante notare come nei dipinti di famosi artisti siano ritratti soggetti di fascia sociale povera intenti al gioco.

L’arte ha voluto essere testimone di un fenomeno che abbraccia tutti i tempi e tutti i popoli.

Per esempio citiamo verso la fine del 1500 il dipinto “I bari” di  Caravaggio dove alcuni soggetti vengono sbirciati mentre sono intenti al gioco delle carte.  

Intorno al 1600 Georges de La Tour propone invece l’opera “Il baro” dove vengono mostrate alcune figure femminili, anch’esse intente al gioco delle carte, con un uomo che sfila dalla cintura due assi. 

A sua volta Paul Cézanne realizza, attraverso la scomposizione della realtà in forme geometriche, l’opera “I giocatori di carte” rappresentando uno spaccato del popolo francese dedito al vizio del gioco e dell’alcool.

Risale al 1887 l’opera di William Holbrook Beard intitolata “The poker game” che ritrae al tavolo da gioco degli scimpanzé impegnati in una partita a carte.

Nel 1948 l’americano Norman Rockwell crea “Bridge game” ma in questo caso viene rappresenta una scena di relax dove il gioco del bridge diviene un piacevole momento di condivisione teso a rispecchiare lo stile di vita americano del dopoguerra.

Di grande impatto sono le tele raffiguranti cani che giocano a carte dell’artista Cassius Coolidge, il quale aveva realizzato, con la società pubblicitaria Brown & Bigelow, un accordo per produrre 16 dipinti raffiguranti cani in atteggiamenti umani e ben nove di queste tele raffigurano tali animali intenti a partecipare ad una partita di poker.

Come si può notare il gioco rappresenta, sia nelle sue sfaccettature positive che negative, motivo di interesse per le espressioni artistiche del contesto socioculturale di tutti i tempi.

L’arte che mostra il gioco diviene ai giorni nostri spunto di riflessione per affrontare un tema che suscita allarme e cioè quello del gambling.

È risaputo che la tecnologia ha reso maggiormente accessibile il gioco d’azzardo e ciò può dipendere dal fatto che i costi per iniziare a giocare online sono molto ridotti se paragonati a quelli del casinò ed è garantito l’anonimato del giocatore.

Il gioco d’azzardo sembra essere passato da fenomeno sociale a fenomeno asociale.

La persona è meno consapevole di quanti soldi perde e, perlomeno inizialmente, sono  minori i sensi di colpa.

Uno dei giochi d’azzardo online che ha avuto recentemente un forte incremento è il poker.

Questo grazie al fatto che le persone possono imparare gratuitamente a giocare, si possono puntare cifre irrisorie e si può partecipare ad una partita in ogni  momento e in ogni luogo tramite internet.

Una forte attrazione verso il gioco rischioso sta coinvolgendo varie fasce d’età dalla giovinezza alla senescenza.

Il GAP è stato riconosciuto come patologia dalla comunità scientifica ed è considerato una dipendenza non oggettuale e cioè una dipendenza in assenza di  sostanza.

Ci troviamo di fronte ad un agito persistente nel tempo che va a ledere il vissuto personale e sociale.

Essere posseduti totalmente dal gioco porta a mutare radicalmente il proprio stile di  vita.

Il soggetto intrappolato sente la necessità di investire denaro pensando di recuperarlo e di aumentarlo, tende a cambiare umore e diventa irascibile, utilizza stratagemmi per nascondere alla famiglia il suo stato, le sue relazioni ed il suo lavoro divengono a rischio.

L’illusione di poter vincere diventa un input molto forte poiché fa emergere un desiderio di  potenza. Il gioco assume il ruolo di un surrogato che colma le lacune di un sistema di vita in crisi.

Riconoscere il proprio disagio e chiedere aiuto non è facile nel caso del GAP in quanto l’accettazione del gioco, quale fenomeno socialmente condiviso, mira a nasconderne la pericolosità.

“Il giocatore” di Dostoevskij del 1866 può essere preso come emblema del dramma dell’uomo che finisce nella spirale del gioco d’azzardo. L’autore analizza con sapienza quest’ultimo in tutte le sue forme ed evidenzia i diversi tipi di giocatori, da quelli ricchi a quelli poveri, che si giocano tutti gli averi.

Simbolica è la frase tratta dal testo dello scrittore sopracitato: “I giocatori sanno bene che si può resistere addirittura per ventiquattr’ore di seguito con le carte in mano senza neanche gettare un’occhiata a destra o a sinistra”.

Il potere ipnotico del gioco patologico può dunque catalizzare a tal punto la persona che è caduta nella trappola da allontanarla dalla realtà come viene espresso in alcuni dei quadri di cui abbiamo precedentemente parlato.

Si salva forse la scena di Norman Rockwell dove il gioco del bridge diviene momento conviviale e di socializzazione.

Il gioco ha in sé le caratteristiche dell’ambivalenza: seguire il lato positivo può  aiutare la persona a socializzare ed è infatti risaputo come il bridge sia fonte di  benessere per l’anziano che, inoltre, attraverso la sua pratica può rafforzare le capacità mnemoniche; seguire il lato negativo, come ad esempio il gioco online condotto in solitudine, può diventare distruttivo in quanto quasi sicuramente condurrà la persona ad una dipendenza con conseguente isolamento, perdita di denaro e danni a se stesso oltre che alla famiglia di appartenenza.

  

 

 

 

 

 

 

 

Lo scollamento

“Il Potere Creativo Del Logos”

 




Il made in Italy che piace al mondo

Un sogno in bella vista sulla scrivania …

Il video di quest’oggi riassume la Storia di un Progetto di Coraggio.
 
Il Diario di Viaggio di chi un giorno ha deciso di lasciare la sua terra e quel che aveva fino a quel momento costruito, per reinventarsi la vita.
Come chi cambia vita, anche quest’uomo impara ad assumersi dei rischi e si impegna a rendere concreti i suoi sogni.

… diventa tangibile Realtà.

Così, da piccolo imprenditore nell’ambito della ristorazione, Stefano Versace si dedica al mondo del gelato aprendo dei punti vendita in America.
 
Ancora una volta in ogni settore, dal Food alla Moda, dall’Arte al Design, il “Made in Italy” si riconferma Brand sinonimo di Qualità Eccellente, in ogni parte del mondo.
 

“Rialzati, Italia!”

Stefano porta avanti il Progetto “Rialzati Italia”: Progetto dedicato alle micro, piccole e medie imprese italiane che, a seguito del delicatissimo periodo appena trascorso, hanno esuberanti scorte di magazzino di prodotti di altissima qualità.
 
Grazie a “Rialzati Italia” le micro, piccole e medie Aziende italiane possono, mediante un ricco supermarket digitale aperto a buyers internazionali, far conoscere al mondo intero l’eccellenza dei loro prodotti:
l’eccellenza del “Made in Italy”.
 
Per informazioni su questa bellissima iniziativa e per entrare attivamente a far parte del Progetto, clicca sul link:
https://progettorialzatitalia.it/
 
Se ti fossi perso la diretta di ieri sera, clicca qui.
Auguri di cuore Stefano, visionario realizzatore di Sogni!
Sono certa che anche questo tuo Progetto, attuato assieme ad altri “Angeli” come te, sarà un grande successo.
LOve,
Ondina Wavelet – Jasmine Laurenti



La semantica della pandemia

A PROPOSITO DI SARS2-COVID:                                                   L’IMPORTANZA DELLE PAROLE. 

Gli avvenimenti susseguitisi in Italia e nel Mondo negli ultimi 10 mesi ca. hanno radicalmente cambiato gli scenari globali: sociali, politici, economici e strategici.

Negli ultimi mesi, però, specialmente in Italia, abbiamo assistito a un balletto di dichiarazioni, dati, decretazioni d’urgenza e quant’altro, all’insegna di una ‘emergenza’ dichiarata e di una ‘pandemia’ non dichiarata esplicitamente da una OMS ondivaga che sostiene tutto e il contrario di tutto.

Una mole di dati così consistente da far sentire smarriti i più, travolti da tesi e antitesi, ma ormai principalmente da dubbi, per giungere a conclusioni in cui le risposte – balbettanti o omissive da parte degli enti preposti, estremamente vaghe e fumose da parte dell’informazione generalizzata e annacquata – vengono ricercate dai Cittadini in un fai-da-te fatto di passaparola, verifiche sul web, scambio di articoli e interventi riportati sempre in rete: quella rete che, peraltro, ha subito forti limitazioni e censure in nome di scelte ‘politicamente corrette’ che si sono trasformate in scelte scorrette nei confronti della libertà di informazione e di quella di espressione.                                

I Cittadini, frastornati, si sono trovati a contatto con terminologie – non di rado anglofone ma spesso di natura clinica e sanitaria – e fraseggi utilizzati pubblicamente con finalità complessive di estremo allarme sociale, monito o indirizzo sanitario.          

Certamente, la cosa che è sotto gli occhi è che pare esserci una strana concertazione: il tizio indossa una mascherina a Berlino, Caio e Sempronio copiano il gesto il giorno successivo a Roma o Madrid; una tesi o una controtesi definita a Parigi trova eco o smentite ad Amsterdam o New York…

Lo stesso dicasi per allarmi o improvvise recrudescenze, e persino per l’utilizzo di precisi termini: ad esempio ‘contagio’ o ‘focolaio’.  

Al riguardo, vocabolario alla mano, vediamone più da vicino i significati reali:   

 EMERGENZA: (coniugabile con ‘emergente’, che emerge, che succede, che si palesa, che deriva o scaturisce) che nasce inaspettatamente, rif. a caso o accidente impreveduto. Ovviamente l’emergenza ha carattere temporaneo, diversamente si tradurrebbe in secca limitazione o violazione della sfera inalienabile di diritti e libertà.               

PREVEDERE: anti vedere, prevenire, prevenire fatti o circostanze.

PREVENIRE: premunirsi attivamente contro danni, disgrazie o altro.

PREMUNIRE/PREMUNIRSI: provvedersi prima adottando idonee tutele.

MALATTIA: qualunque alterazione dello stato di salute, suscettibile di cure.  

MALATO: chi o che ha una malattia; chi sia o si sente male.

INFEZIONE: condizione patologica e quindi malattia prodotta da sostanze microbiche, virali, batteriche o fungine, esterne.   

INFETTO: che, affetto da infezione e quindi malato, spande esalazioni perniciose ovvero che trasmette in modo attivo contagio, così comunicando una malattia.  

INFETTATO: che patisce un’infezione così ammalandosi.                        

CONTAGIO: trasmissione di una malattia per mezzo del contatto: materia impercettibile (es.: alito, saliva) che serve a comunicare patologicamente la malattia.

FOCOLAIO: centro attivo di infezione.                                                      

CASO: malattia particolarmente contagiosa ovvero difficile da curare.                                  

Nella fattispecie qui trattata, quella dell’epidemia da virus in Italia, saltano subito agli occhi almeno quattro situazioni anomale, ossia quelle legate ai termini EMERGENZA, PREVENIRE, CONTAGIO, FOCOLAIO e CASO.   

Ma ciò non prima di aver evidenziato e sottolineato che nel corpo umano – intestino, pelle, vie respiratorie e urinarie, vivono stabilmente e senza creare danni ca. 50 mila miliardi di batteri, virus, funghi e lieviti: solo i virus sono alcune miglia di miliardi.        

Vediamone sinteticamente, ponendoci degli interrogativi, auspicando che qualcuno possa assisterci con delle rispose plausibili, logiche, scientificamente assistite dalla letteratura medica.                                 

È possibile sostenere di aver dovuto sostenere una situazione di emergenza, quando il doversi riferire a una condizione di emergenza era stato già stabilito per tabulas un mese prima dei primissimi casi in Italia, almeno tre mesi dopo i primi casi in Cina, e cinque dopo le strane ‘influenze’ patite anche da atleti in trasferta in Cina?     

In stretta relazione a quanto sopra, perché a livello governativo è stato sostenuto che non esistevano preoccupazioni e che tutto era stato predisposto per prevenire e affrontare ogni situazione, mentre invece nulla era stato fatto a livello di prevenzione, tant’è che le innumerevoli (quanto incerte) vittime, specie tra il personale sanitario, infermieristico e ausiliario (letteralmente, mandato allo sbaraglio) hanno ricevuto terapie inadeguate se non mortali?                                     

Diffondendo e sostenendo l’esistenza di focolai si vuol dire che esistono sacche attive con malati sintomatici, ricoverati, assistiti e curati?               

Dando notizia che ci troviamo di fronte a ‘ondate’ riferite ad alta diffusione di contagi, fors’anche in stretta relazione ai citati ‘focolai’, significa che ci troviamo di fronte a nuovi soggetti cui è stato trasmessa (contagio) la malattia, il virus, e quindi anch’essi ricoverati, curati, assistiti?

Ma le parole hanno anche significati più pregnanti se riferite allo specifico ambito medico.                                                            

È questo il caso di… caso: un altro termine adoperato con una leggerezza ed una superficialità sconcertante: chi lo adopera vuol trasmettere ai cittadini – così contribuendo a mantenere ovvero determinare uno stato di allarme, timore e paura – il concetto che si sono scoperti (ovvero si sono manifestati: ovviamente, con sintomatologia specifica) nuovi soggetti affetti dal virus, inteso quale malattia conclamata e quindi attiva particolarmente contagiosa ovvero difficile da curare.

Ma è davvero così? Decisamente no!

Perché diversamente, i malati sarebbero ammucchiati gli uni sugli altri, a strati: negli ospedali, sui prati, negli stadi… e non basterebbero tutti i medici e gli infermieri del Mondo neanche per dar loro un’aspirina!

Ma allora, di chi e cosa stiamo parlando?

A prescindere da rari casi reali (malati con sintomi palesi, certi e inequivocabili), si fa riferimento ai soggetti ‘positivi’ al tampone (screening adoperato massicciamente, al pari dell’esame sierologico, ma dalle diverse finalità cliniche, data l’originario scopo per entrambi di raccolta dati a fini epidemiologici), ma non certo malati (chiamateli, se volete, ‘portatori sani’ o soggetti che si sono ‘incontrati’ con il virus, producendo idonea immunità: quindi, si tratta di soggetti non contagiosi).                                          

Ecco allora anche l’usato e abusatissimo (per l’improprietà dell’utilizzo) termine contagio, merita chiarezza dovendosi distinguere tra persona contagiata e persona che ha incontrato il virus.                                                                       

Il contagiato è persona che presenta i sintomi della malattia: è quindi malato, e oggetto di adeguate terapie in ambiente ospedaliero. gli altri sono sani come pure ‘protetti’.

Mi spiego ancor meglio: ogni giorno, ciascun essere umano entra in contatto con decine di virus diversi quasi sempre innocui o nei confronti dei quali si siano sviluppate autonomamente difese immunologiche, degli anticorpi; quindi, non per questo siamo contagiati

E le stime ci suggeriscono che oltre 1/3 della popolazione italiana ha ‘incontrato il virus’: ossia almeno 20.000.000 di Italiani ha ‘incontrato il virus’ sviluppando degli anticorpi.

Per questo, secondo il ‘ragionamento’ dei soloni delle costosissime task-forces e quant’altro, devono subire quarantene o altre misure restrittive, anche a carattere prudenziale?

Non credo abbia molto senso, specie sotto il profilo della correttezza clinica.                                

A meno che – e pongo un quesito retorico, in questa sede – vi sia uno strettissimo nesso tra mantenimento dello stato di paura e di obblighi coercitivi, e interessi inconfessabili (ma sempre più evidenti) delle aziende farmaceutiche verso la fissazione ad ogni costo di nuovi obblighi vaccinali.                                              

E sentir correre frasi come il virus continua a circolare’ il virus non è ancora stato sconfitto, eliminato, debellato rappresenta un’offesa all’intelligenza delle persone, alla Scienza medica, agli stessi morti per (causa solo apparente) un virus che è già mutato più di 300 volte: a meno che non sia stato già scoperto un rimedio contro il banalissimo, semplicissimo, virus del raffreddore!              

Quindi, i Cittadini si trovano davanti all’utilizzo di una terminologia menzognera, atta a generare paura e disinformazione, posta in essere da soggetti incompetenti o da una rete di soggetti tra loro connessi da interessi e complicità.                                                                                    

L’establishment ufficiale e quello filogovernativo – che non si danno pensiero di ascoltare e/o verificare con rigore scientifico le argomentazioni di segno opposto alle loro e nettamente in contrasto alle loro azioni, così omettendo di operare in base al principio di prudenza e cautela – etichettano tutto ciò che li critica con il termine fake-news (notizie spazzatura) giungendo persino a definire negazionisti quegli studiosi e quegli scienziati che osano confutare parole e azioni ritenute persino dannose per le persone.

Assurdità lessicale, anche in questo caso, attraverso l’utilizzo di un termine dalle caratteristiche ben definite, con il fine di creare un vero e proprio sfregio verso chi ha semplicemente dato luogo al proprio diritto di espressione e di critica sostenendolo con concreti dati scientifici, sociali e sanitari.

Ma tant’è, poiché simile comportamento – peraltro, tipico di ideologie e di regimi assolutistici e dittatoriali che, a corto di motivazioni, amano criminalizzare chi a loro si opponga o chi semplicemente critiche il loro agire – è quello che gli Italiani devono oggi affrontare.

 

Giuseppe Bellantonio

   per BetaPress

 

 

 

 

 

 

 

 

 

 

Coronavirus, italiano addio, etica addio, riprendiamoci il paese, Avanti Savoia!

 




Qualunquemente …

Siamo tornati a passeggiare sulle spiagge, a farci un aperitivo in piazza, ad uscire senza mascherina…

Sembra passata un’epoca, da quando il covid ci ha messo in ginocchio.

Eppure, non è passato molto tempo da quando è iniziato l’incubo.

Forse l’emergenza sanitaria ha fatto il suo corso, almeno in Italia, sembra…

Ma quella economica è in pieno sviluppo, dentro e fuori i confini nazionali.

Da febbraio, le economie mondiali hanno cominciato a fermare la produzione a causa della pandemia.

All’inizio della crisi, la maggior parte delle persone aveva previsto una ripresa veloce, immaginando che l’economia avesse solo bisogno di una pausa.

Con due mesi di cure, un bel po’ di denaro ed un balletto di decreti legislativi e di strategie economiche, si pensava, avrebbe ripreso da dove si era fermata.

Ma ormai siamo a luglio e la ripresa veloce è un’illusione (nonché una bugia sparata ad arte N.d.D).

L’economia del dopo pandemia sarà probabilmente debole, non solo nei paesi che non sono riusciti a gestire il contagio (come gli Stati Uniti), ma anche in quelli che si sono difesi bene.

Il Fondo monetario internazionale prevede che, entro la fine del 2021 l’economia globale sarà appena più ricca di quanto era alla fine del 2019, e che le economie di Stati Uniti ed Europa saranno del 4 per cento più povere.

Le attuali prospettive economiche possono essere esaminate su due livelli.

Il primo si manifesta nei comportamenti macroeconomici.

Infatti, la macroeconomia ci dice che i consumi diminuiranno, perché famiglie e aziende hanno meno soldi a causa dei fallimenti e del comportamento prudente indotto dall’incertezza sul futuro.

Il secondo è evidente nelle scelte dei singoli.

Infatti, la microeconomia ci dice che il virus agisce come una tassa sulle attività che prevedono un contatto umano ravvicinato e continuerà a cambiare gli andamenti dei consumi e della produzione, che a loro volta porteranno a una trasformazione sociale.

La storia cosa ci insegna?

La teoria economica e la storia c’insegnano che i mercati, da soli, fanno fatica a gestire un simile cambiamento, considerando soprattutto quanto è stato improvviso.

Non è facile trasformare dei dipendenti di compagnie aeree in tecnici di Zoom, o gli insegnanti vecchio stampo in maghetti della DAD…

E anche se potessimo, i settori oggi in espansione richiedono meno manodopera e più competenze rispetto a quelli che stanno sparendo.

Sappiamo anche che le trasformazioni strutturali creano un tradizionale problema keynesiano, quello che gli economisti chiamano effetto di reddito e sostituzione.

Anche se i settori che non prevedono il contatto umano si stanno espandendo, l’aumento dei consumi che generano sarà controbilanciato dalla diminuzione della spesa causata dal calo del reddito di chi lavora nei settori in crisi.

Inoltre ci sarà un terzo effetto: l’aumento delle disuguaglianze.

Visto che le macchine non possono essere infettate dal virus, diventeranno una soluzione più attraente per i datori di lavoro.

E poiché le persone a basso reddito devono spendere una parte più consistente dei loro guadagni per i beni essenziali, ogni aumento delle disuguaglianze prodotto dall’automazione determinerà una contrazione.
Ci sono altri due motivi per essere pessimisti.

Il primo motivo è dato dai limiti della politica monetaria in sé.

Infatti, la politica monetaria può aiutare alcune aziende a fronteggiare la scarsa liquidità, come è avvenuto nella recessione del 2008, ma non può risolvere i problemi di solvibilità, né stimolare l’economia quando i tassi d’interesse sono già vicini allo zero.

Inoltre, negli Stati Uniti e in alcuni altri paesi, le obiezioni dei “conservatori” all’aumento del disavanzo e del debito ostacoleranno le azioni di stimolo.

Le stesse persone erano felici di tagliare le tasse a miliardari e grandi aziende nel 2017, di salvare Wall street nel 2008, e di dare una mano alle multinazionali quest’anno.

Ma i sussidi di disoccupazione e la copertura sanitaria sono un’altra storia.

In pratica, è tutto questione di priorità.

Le priorità a breve termine sono state chiare fin dall’inizio.

La più evidente è che bisogna affrontare l’emergenza sanitaria, perché non può esserci ripresa economica finché il virus non sarà contenuto.

Dunque chi salvare?

Bisogna proteggere le persone più bisognose, fornire liquidità per evitare fallimenti evitabili, e mantenere i legami tra i lavoratori e le aziende.

Ma ci sono anche scelte dolorose da fare.

E dunque cosa eliminare?

Non dovremmo salvare le aziende che erano già in declino prima della crisi.

Questo creerebbe degli “zombi”, con il risultato di limitare la crescita.

Né dovremmo salvare aziende che erano già troppo indebitate.

Il covid-19 rimarrà tra noi a lungo, quindi abbiamo tempo per fare in modo che i consumi e gli investimenti riflettano le nostre priorità.

Quando è arrivata la pandemia, la società statunitense era segnata da disuguaglianze razziali ed economiche, dal deterioramento degli standard sanitari, e dalla dipendenza dai combustibili fossili.

Ora che la spesa pubblica è stata enormemente aumentata, i cittadini hanno il diritto di esigere che le aziende che ricevono aiuti contribuiscano alla giustizia sociale, alla salute pubblica e a un’economia più verde.

Una spesa pubblica mirata, che investa nella transizione verde, può essere utile, può coinvolgere una consistente forza lavoro (contribuendo così a combattere la disoccupazione) e può rivelarsi uno stimolo per l’economia.

Non ci sono ragioni economiche che impediscono agli Stati Uniti di adottare programmi di ripresa in grado di farli somigliare alla società che dichiarano di essere.

Viceversa, la nostra povera Italia, a un’unica estrema ragione, economica, politica e sociale.

Quella di sopravvivere.

Forse noi Italiani, in primis, dobbiamo rivendicare aiuti finalizzati alla giustizia sociale, alla tutela della salute dei cittadini, all’incremento di un’economia ecologica.

Altrimenti, altro che sogno americano, a noi, resta solo l’incubo italiano!

 

Fonti:

Joseph Stiglitz

https://www.internazionale.it/sommario/1366

BLOG di FRANCESCO MACRI

 

 

 

 

 

 

 

 

 

 

 

Coronavirus: andrà tutto bene?