Italiani, non più cittadini ma spettatori: il tradimento della virtù in Parlamento

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Se c’è un pensatore che, più di ogni altro, può fare da giudice al nostro presente, quello è Aristotele.

Per lui la politica era la forma più alta dell’agire umano: zoon politikon, l’uomo realizza se stesso solo nella comunità, e la polis è lo spazio in cui l’etica diventa azione.

Oggi, se il filosofo passeggiasse per i palazzi romani, troverebbe invece una caricatura: non virtù, non bene comune, non phronesis (prudenza), ma solo potere, consenso, propaganda.

Il tradimento della virtù oggi è certo perché la politica, per Aristotele, è inseparabile dalla virtù.

Oggi è inseparabile dal calcolo.

Lo dimostra l’attuale governo, che ha fatto della propaganda un’arma sistematica: sicurezza trattata come slogan da campagna permanente; scienza ridotta al silenzio, con commissioni smantellate per eliminare le voci fuori dal coro; scuola e sanità svuotate di risorse, ma gonfiate di annunci.

Non c’è giusto mezzo, non c’è misura: solo eccessi e difetti che si inseguono, senza equilibrio.

E senza equilibrio, ci dice Aristotele, non c’è politica, ma solo dominio.

I governi precedenti? colpe diverse, stesso peccato!

Attenzione, però: sarebbe troppo comodo pensare che il degrado sia nato oggi.

I governi precedenti hanno costruito le fondamenta di questa crisi.

Monti e Draghi hanno ridotto la polis a partita doppia, i cittadini a cifre nei bilanci; i governi di centro-sinistra e centro-destra si sono persi nei giochi di palazzo, nelle alchimie di maggioranza, dimenticando la comunità reale.

La differenza è che l’attuale esecutivo ha portato la malattia a livello spettacolare: laddove i tecnici calcolavano freddamente, oggi si urla; dove regnava la ragioneria, ora regna l’ideologia; dove c’era silenziosa indifferenza, oggi c’è la clava comunicativa.

Risultato? Identico: la politica resta separata dall’etica, dalla virtù, dalla comunità.

La comunità disgregata, la non comunità, oggi Aristotele se fosse tra noi, pronuncerebbe un verdetto implacabile: la politica italiana ha dimenticato l’etica.

Non vi è phronesis, non vi è virtù, non vi è costruzione del bene comune.

Vi è, piuttosto, un esercizio continuo di potere, un uso strumentale della parola, una riduzione del cittadino a spettatore.

La sua lezione, invece, ci ricorda che senza virtù non c’è politica, ma soltanto dominio; senza comunità non c’è felicità, ma soltanto conflitto.

Ed è questo il dramma della nostra epoca: i governi cambiano colore, ma non cambiano sostanza.

Aristotele ci ricorda che l’uomo vive solo nella comunità.

Ma oggi i governi non costruiscono comunità: costruiscono divisioni.

L’attuale esecutivo ha fatto della contrapposizione la sua linfa: “noi contro loro”, cittadini veri contro cittadini da respingere, italiani doc contro “altri”.

È una logica che non unisce, ma frammenta; non educa, ma alimenta paura.

E i governi precedenti? Più timidi, certo, ma non migliori: hanno lasciato crescere la solitudine digitale, l’abbandono civico, l’illusione che la politica fosse un click o un hashtag.

Tutti hanno fallito la missione fondamentale della polis: generare partecipazione, senso di appartenenza, bene comune.

La memoria di Aristotele è la più incisiva accusa vivente a questa politica del secolo.

Se Aristotele fosse oggi in aula parlamentare, pronuncerebbe parole durissime: non siete statisti, non siete governanti, non siete uomini di polis. Siete gestori di potere, amministratori di consenso, manipolatori di simboli.

Avete trasformato la politica, che dovrebbe essere etica incarnata, in pura sopravvivenza partitica.

Ed è qui il punto: la politica italiana, da anni, non costruisce più cittadini, ma spettatori.

Non governa, ma intrattiene. Non guida, ma divide.

Serve più che mai un manifesto civile.

La lezione aristotelica è chiara: senza virtù non c’è politica, senza comunità non c’è felicità.

Oggi in Italia manca l’una e manca l’altra.

I governi passano, i colori cambiano, le facce si alternano: ma il peccato resta lo stesso.

Per questo, l’unica vera opposizione al degrado politico non può venire da un partito o da un leader, ma da un ritorno alla filosofia, all’etica, alla comunità.

Non sarà un decreto, non sarà una manovra, non sarà un talk show a salvarci: sarà la riscoperta che la politica è bene comune, o non è.

E se oggi la politica è ridotta a spettacolo, allora il solo modo per uscirne è spegnere le luci della scena e tornare ad Aristotele.

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