18-8-1946, L’ORRIDA STRAGE DI VERGAROLLA

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Nella triste ricorrenza della giornata dedicata al Ricordo delle numerosissime Vittime della Strage, consumatasi attraverso la deflagrazione di ordigni bellici – mine antisbarco e antisommergibile, definite “inerti” dalla autorità che allora presidiavano e controllavano la Città di Pola (allora Italiana e fortemente animata da spirito patriottico, al pari delle tante Città che rischiavano di essere materialmente cedute alla Yugoslavia di Tito), abbiamo intervistato in esclusiva il Dott. Antonio Ballarin, esule di seconda generazione, che era tra i presenti alle cerimonie commemorative. Queste, coordinate e presiedute dal Sig. Ennio Forlani – Presidente del Consiglio della Minoranza Italiana della Regione Istriana – si sono tenute alla presenza di una folta, qualificata, sensibile platea. Una platea – delle Persone, dei discendenti – che hanno forte e viva dentro di loro, nei loro cuori, la Memoria non solo di quel terribile e drammatico evento, ma di tutte le angherie e viltà che in particolare le Popolazioni Giuliano-Dalmate, Italiani fortemente legati alla Patria, subirono. Il Ricordo, tanto prepotente quanto apparentemente poco degnato da quella pseudo-politica locale che ancora trova quasi fastidio ad accendere i riflettori su precise accuse, su metodiche e autori delle persecuzioni, dei ladrocini, dei saccheggi, delle violenze e degli stupri a danno dei nostri fratelli Italiani, non può essere spento. Anzi, è un perenne richiamo a quelle responsabilità e omissioni che ancora sono soffuse dalla pesante nuvola grigia del dubbio. Ringraziamo il Dott. Ballarin – Fisico, ricercatore e studioso – per questa intervista incentrata sulla Strage di Vergarolla: “al di là di ogni retorica” come lui stesso ama sottolineare.

Roma, 26 agosto 2025

Giuseppe Bellantonio

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   A volte sembra proprio che la storia non voglia cambiare. Oppure che nessuno desideri che essa cambi. Ciò che è accaduto lunedì 18 agosto 2025 u.s. in occasione della commemorazione della strage di Vergarolla, a Pola, sembra confermare questa tesi.

Per chi non conoscesse la storia, la strage di Vergarolla fu un episodio più che drammatico accaduto sull’omonima spiaggia della città di Pola, oggi in Croazia ma all’epoca italiana, il 18 agosto 1946.

A guerra finita.

Due mesi e mezzo dopo il referendum costituzionale del 2 giugno a cui la popolazione polesana (come quella goriziana, triestina, fiumana e zaratina) non fu ammessa a partecipare.              

Pola, in quegli anni, era amministrata da truppe anglo-americane, esattamente come Trieste e Gorizia.                                                                                                 

In una domenica baciata dal sole, la cittadinanza era stata invitata fin dai giorni antecedenti a prendere parte in massa alle gare nautiche organizzate dalla società Pietas Julia.

Questa manifestazione, con una forte connotazione patriottica, voleva esprimere chiaramente alle commissioni alleate riunite a Parigi la ferma volontà della città di rimanere italiana.                                                                                              

Alle 14.15 nove tonnellate di ordigni bellici accatastati sulla spiaggia (e dichiarati inerti dalle locali autorità Alleate) esplosero, provocando tra i 109 ed i 116 morti dei quali solo 65 furono identificati, mentre di una quarantina vennero recuperati solo i brandelli.                                                                                                             

Altro che Piazza Fontana, Piazza della Loggia, Italicus o la stazione di Bologna: se la gravità di una strage si misura in base al numero di vittime, Vergarolla conquista il primato nella macabra classifica.                                

Risultato?

La città di Pola, in bilico tra Italia e Jugoslavia, si spopolò: su circa 31mila abitanti ne andarono via 28mila. È così accade per tutti gli storici insediamenti veneziani di Istria, Quarnaro e Dalmazia.

Mandanti? Esecutori? Tutto resta avvolto nel mistero, ma in un’intervista del 1991 a Panorama, un certo Milovan Đilas, (che dovrebbe essere non proprio sconosciuto a chi conosce l’ABC della Storia) affermò che:

«Ricordo che nel 1946 io e Edvard Kardelj andammo in Istria a organizzare la propaganda anti italiana. Si trattava di dimostrare alla Commissione alleata che quelle terre erano jugoslave e non italiane. Ci furono manifestazioni con striscioni e bandiere».

Alla domanda incalzante del giornalista di Panorama se quelle terre fossero demograficamente di natura prettamente jugoslava, la lapidaria risposta di Đilas fu la seguente:

«Certo che non era vero. O meglio lo era solo in parte, perché in realtà gli italiani erano la maggioranza solo nei centri abitati non nei villaggi. Ma bisognava indurre gli italiani ad andarsene via con pressioni di ogni tipo e così fu fatto».

Fin qui la Storia.                                                                                                  

Cosa è successo il 18 agosto scorso?

Semplice, è successo quello che gli italofoni di quelle parti sintetizzano con la locuzione: druso xe druso.

Per i non esperti di cultura istro-veneta con il termine druso si identifica il tipico trinariciuto, ben descritto da Guareschi, con la differenza che è di origine jugoslava. In sintesi: il trinariciuto non cambia mai.                                                             

I fatti.

Lunedì scorso alle celebrazioni per commemorare la strage sono intervenute molte personalità.

Durante la lettura del discorso di una di queste, Ennio Forlani, il Sindaco di Pola ed il presidente del Consiglio Comunale, in maniera irrituale, inattesa e suscitando gran scalpore, si alzano platealmente ed abbandonano la cerimonia.                                                                                                                      

Ennio Forlani non è un personaggio di primo pelo.

Di nazionalità croata e figlio di partigiano dell’Armata Jugoslava, riveste la carica di Presidente del Consiglio della Minoranza Italiana della Regione istriana.

È decisamente una figura pubblica importante nel contesto della minoranza italiana in Croazia, impegnato nella tutela dei diritti e nella promozione culturale e sociale della comunità.                             

Come molti già sanno, da decenni gli esuli giuliano-dalmati sono impegnati nella tutela e nella diffusione della storia di Istria, Quarnaro e Dalmazia.                   

Una delle principali difficoltà è sempre stata rappresentata dalla diaspora degli italiani rimasti nei territori dell’ex Jugoslavia.

Tuttavia, grazie alla loro tenacia, al profondo senso di appartenenza a una terra che amano intensamente, nonché all’amore per la Verità, negli ultimi anni si è raggiunta una lettura della storia condivisa tra chi ha lasciato quelle terre e chi vi è rimasto.

Oggi assistiamo a una comunità che, lentamente ma in modo costante, si sta ricomponendo.                                           

Tutto ciò è ben testimoniato proprio dal breve discorso di Forlani, il quale partiva proprio dall’intervista di Đilas. Decisamente notevole in quanto proferito da un cittadino croato che si impegna per la minoranza di lingua italiana-italofona.           

Eppure, l’attuale sindaco di Pola (Pula), Peđa Grbin, esponente del Partito Socialdemocratico di Croazia, e Valter Boljunčić, presidente del Consiglio Comunale e membro della Dieta Democratica Istriana, hanno giustificato la loro sceneggiata giudicando il discorso di Forlani inappropriato per l’occasione ed accusandolo di aver fatto ricorso ad un inaccettabile revisionismo storico.                                                     

È curioso notare come queste stesse critiche siano spesso rivolte agli esuli giuliano-dalmati dai nostalgici di Togliatti in occasione del Giorno del Ricordo in Italia.

Le persone che utilizzano il pensiero critico come elemento valoriale dovrebbero riflettere su quanto accaduto lunedì scorso a Pola. Forse, la narrazione condivisa della Storia tra le due sponde dell’Adriatico suscita preoccupazione?

Oppure, qualcuno o qualcosa, analizzando la verità storica, percepisce una minaccia alla propria identità, anche se nessuna reale minaccia è stata sollevata?

O, ancora, potrebbe essere che l’idea dell’Europa in cui tutti siamo fratelli non è poi così vera?                                           

Si potrebbe andare avanti per molto con domande simili, ma il dato ineludibile è che i fatti accaduti (di certo, non la loro interpretazione), per quanto li si possa ignorare, stravolgerli, soverchiarli, stuprarli e falsarli, alla fine, nel tempo, emergono sempre nella loro cruda semplicità.                                                                               

Eppure rimane assai strano che proprio il tempo, il quale dovrebbe curare ed aggiustare ogni cosa, questa volta, dopo ottant’anni, non sia stato in grado di svolgere quanto atteso.   

Come è strano che l’inimicizia scientificamente progettata dagli Asburgo il 12 novembre 1866 tra genti slave e genti italiche, abitanti comuni dell’Adriatico orientale, resista ancora tenacemente.                                                                          Viene da chiedersi: quando si parla di fratellanza ci si riferisce ad una parola vuota o concreta?

Eppure sentiamo continui richiami alla pace da ogni parte. Dalle Istituzioni religiose come da quelle civili, nazionali ed internazionali.               

Costruirla su Vergarolla è così difficile?                                                                

Per praticare nel concreto la pace, la vera PACE, occorre una volontà comune espressa in fatti concreti. La retorica non basta.

 

Antonio (Tonin) Ballarin, Lussingrande 2025

Presidente Associazione Mondo Esuli; già Presidente della Federazione delle Associazioni degli Esuli Giuliano-Dalmati, FEDERESULI; Membro Emerito della storica Accademia di Alta Cultura.

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