il 25 luglio 1943

Il 25 luglio 1943 rappresenta una delle date più significative della storia italiana del Novecento, segnata dall’ultima riunione del Gran Consiglio del Fascismo.
Contrariamente a una diffusa interpretazione che vede questa seduta come un tentativo esplicito di far crollare il regime fascista, una lettura più attenta e contestualizzata dei fatti evidenzia una diversa motivazione: evitare che la responsabilità del fallimentare andamento della guerra fosse interamente addebitata a Benito Mussolini.
Dino Grandi, promotore dell’ordine del giorno che porterà alla crisi definitiva del regime, mirava infatti a ridefinire gli equilibri interni del potere fascista, sottraendo parte delle responsabilità politiche e militari dalle mani del Duce e trasferendole al re Vittorio Emanuele III.
In altre parole, il vero intento era alleggerire Mussolini dal peso delle colpe legate alle sconfitte militari e alle decisioni sbagliate, redistribuendo le responsabilità e favorendo una più ampia condivisione delle scelte strategiche e politiche.
Non è improbabile che lo stesso Mussolini, ormai fisicamente e psicologicamente provato dall’andamento disastroso della guerra, abbia interpretato inizialmente l’iniziativa di Grandi come un’opportunità per ricalibrare il suo ruolo.
Forse egli stesso, stanco di essere il solo destinatario delle critiche, vide nell’ordine del giorno un espediente per una pausa strategica: un modo per rigenerare la propria immagine e riprendere, successivamente, con maggiore autorevolezza e minor peso personale.
È cruciale ricordare, tuttavia, che Mussolini avrebbe avuto molteplici occasioni per evitare l’approvazione dell’ordine del giorno Grandi.
In primo luogo, avrebbe potuto semplicemente impedire che fosse discusso durante la riunione stessa, esercitando l’autorità assoluta che ancora possedeva. In secondo luogo, egli avrebbe potuto manovrare politicamente in anticipo, evitando che i dissidenti all’interno del Gran Consiglio si coagulassero intorno alla proposta di Grandi.
Infine, avrebbe potuto non indire la seduta del Gran Consiglio, considerando che era rimasta inattivo per anni e che non era obbligatoria la sua convocazione.
La scelta del Duce di non ostacolare con decisione l’ordine del giorno dimostra probabilmente una sottile strategia politica che puntava, almeno inizialmente, a ridistribuire le responsabilità della guerra.
Tuttavia, Mussolini sottovalutò la determinazione del re, che sfruttò immediatamente l’occasione per destituirlo, aprendo così la strada alla caduta definitiva del fascismo.
Una considerazione aggiuntiva merita il comportamento dei generali del Regio Esercito italiano, i quali commisero una serie di gravi errori strategici e tattici durante i primi due anni della guerra.
Decisioni sbagliate sul piano operativo, sottovalutazioni dell’avversario e insufficienze logistiche contribuirono significativamente agli insuccessi militari italiani.
Questi errori, spesso imputati al solo Mussolini, furono in realtà il frutto anche dell’incompetenza e della disorganizzazione delle alte gerarchie militari, che cercarono in seguito di mascherare le proprie responsabilità dietro alla figura del Duce.
L’ultima riunione del Gran Consiglio, dunque, fu molto più di una semplice crisi interna del fascismo: fu un complesso gioco di strategie e responsabilità che, forse per una stanchezza fatale dello stesso Mussolini, segnò involontariamente l’inizio della fine del suo regime.
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