Il Fondo Monetario Internazionale e l’arte di vedere le formiche e ignorare gli elefanti
Ogni tanto il Fondo Monetario Internazionale torna a ricordarci che l’Italia deve “fare i compiti a casa”.
Puntualmente, la lista è sempre la stessa: aumentare la produttività, ampliare la partecipazione femminile al lavoro, proseguire con il consolidamento dei conti pubblici.
Nulla di nuovo sotto il sole: il decalogo da economisti ben pettinati che ripetono, da decenni, le stesse formule come preghiere laiche.
Ma, dentro questo rosario, c’è sempre un grano che brilla più degli altri: l’invito a smantellare il regime forfettario, quella misura che per migliaia di piccoli imprenditori, professionisti e artigiani ha rappresentato un salvagente fiscale e burocratico.
Secondo il FMI, il regime è “distorsivo”: crea vantaggi ingiusti, riduce il gettito, penalizza la progressività.
Economisti come Francesco Scinetti dell’Osservatorio CPI dell’Università Cattolica hanno documentato come l’allargamento della soglia a 85.000 euro abbia effettivamente prodotto squilibri: alcuni professionisti con redditi medio-alti pagano oggi molto meno di un lavoratore dipendente con pari reddito lordo.
È vero: il sistema, nato per semplificare la vita dei piccoli, è diventato un terreno di caccia anche per chi tanto piccolo non è.
Ma la narrazione del Fondo, così come quella di certi tecnocrati nostrani, dimentica un dettaglio essenziale: gran parte dei forfettari non sono “furbetti” in cerca di scorciatoie, bensì persone che hanno deciso di aprire partita IVA dopo anni di precarietà, contratti a termine, tirocini infiniti e lavori sottopagati.
In molti casi il forfettario non è stato una scelta di privilegio, ma l’unica via per trasformare in lavoro autonomo una competenza, un mestiere, un talento che il mercato del lavoro dipendente non voleva o non sapeva assorbire.
Come ricorda l’esperta fiscale Elena Battistini su Il Sole 24 Ore, “il forfettario è stata una leva di emersione”: senza questa semplificazione, migliaia di micro-attività non sarebbero mai nate, o sarebbero rimaste nell’ombra dell’economia informale.
I dati del MEF lo confermano: l’aumento delle aperture di partite IVA negli ultimi anni è stato trainato in gran parte proprio dal regime semplificato. Altro che ingiustizia: per molti il forfettario è stata la sola occasione per emanciparsi dalla precarietà e costruirsi un reddito dignitoso.
E allora ci si chiede: davvero il bene comune passa per l’abolizione di questa valvola di ossigeno?
O non sarebbe più utile concentrare l’attenzione sugli sprechi veri, sui colossi che godono di agevolazioni miliardarie, sulle sacche di spesa pubblica improduttiva?
Strano che il FMI, sempre così solerte nel misurare il peso delle partite IVA, diventi improvvisamente timido quando si tratta di guardare agli elefanti: grandi aziende che spostano utili, incentivi miliardari che evaporano senza ricadute, carrozzoni pubblici che divorano risorse.
Il paradosso è evidente: colpire il piccolo commerciante, l’artigiano o il giovane professionista è facile.
Non hanno lobby, non hanno giornali amici, non siedono ai tavoli di Bruxelles.
Sono formiche: lavorano, tirano su la serranda, pagano quello che devono pagare, spesso troppo. Eppure proprio loro diventano il bersaglio privilegiato dei richiami alla “equità fiscale”.
Sia chiaro: il regime ha bisogno di correzioni, non di abiure. Nessuno nega che un tetto a 85.000 euro sia discutibile, o che certe asimmetrie vadano limate.
Ma tra la correzione e la demolizione c’è un oceano. E demolire significherebbe non solo soffocare chi già vive di margini sottilissimi, ma anche condannare all’inerzia migliaia di giovani che hanno scelto di mettersi in proprio perché il mercato del lavoro non offriva nulla di meglio.
Così, mentre il Fondo ci ammonisce sulla necessità di “consolidare”, l’Italia reale si ritrova a consolidare solo la sua arte di arrangiarsi. Il vero rischio è che togliendo respiro ai piccoli non si produca più giustizia, ma solo più sommerso, più sfiducia, più emigrazione di competenze.
Del resto, nell’Italia che piace al Fondo, i piccoli devono restare piccoli, possibilmente muti e disciplinati.
Perché si sa: un commerciante libero e vivo disturba molto più di un debito pubblico enorme ma ben addomesticato.
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