Oltre al Danno, la presa per il c…

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C’è un termine che la politica italiana maneggia con la grazia di un illusionista: opportunità.

Basta pronunciarlo, ed ecco che un dovere si trasforma in privilegio, un sacrificio diventa dono, una rinuncia assume le vesti di guadagno.

Accade così che Roma offra ai suoi cittadini la “grande opportunità” di aprire le proprie case all’accoglienza, come se fosse un premio, un riconoscimento, un privilegio da contendersi.

Il documento ufficiale, le FAQ del 4 settembre 2025, DD n. 1985, è cristallino: alle famiglie non spetta alcun rimborso, alcun contributo, alcuna forma di sostegno economico.

Nulla.

Il cittadino presta spazi, tempo, energie, e in cambio riceve la medaglia invisibile della gratitudine istituzionale.

Ma attenzione: un premio c’è.

Non in denaro, sarebbe volgare.

Il premio si manifesta in tutta la sua magnificenza sotto forma di consumi domestici impennati.

La luce che lievita, il contatore del gas che danza con entusiasmo, l’acqua che scorre a fiumi.

Il cittadino, divenuto novello mecenate, può così vantarsi di sostenere non soltanto l’accoglienza, ma anche il fatturato delle utility locali.

Una generosità moltiplicata, che trasforma la solidarietà in leva di crescita per Acea.

E non dimentichiamo il capitolo gastronomico: frigoriferi che si svuotano in un battito di ciglia, dispense che evaporano, scontrini che si allungano come orazioni latine.

Una spesa che non pesa sul bilancio pubblico, ma si abbatte con precisione chirurgica su quello familiare. Solidarietà, dunque, ma rigorosamente a proprie spese.

Nel frattempo, altrove, il sistema funziona con maggiore pragmatismo.

Le cooperative e le associazioni che gestiscono l’accoglienza ricevono rimborsi concreti, tangibili e puntuali: 20–35 euro al giorno nel sistema SAI/SPRAR, 35–45 euro nei CAS, fino a 100 o addirittura 151 euro per i minori non accompagnati.

Cifre che, moltiplicate per migliaia di presenze, generano un flusso economico nazionale di oltre 2,5 miliardi di euro l’anno.

Una macchina oliata, che riconosce a chi ospita attraverso strutture collettive compensi certi e puntuali, mentre alle famiglie romane affida il compito più nobile e insieme più oneroso: farsi carico di tutto senza alcun ristoro.

La retorica parla di “volto umano dell’accoglienza”.

La contabilità, invece, racconta di un volto solcato dalle rughe dei bidoni e dallo sguardo stanco davanti al carrello della spesa.

E allora, forse, sarebbe più onesto rinunciare al lessico zuccheroso dell’“opportunità” e chiamare le cose con il loro nome: un dono unilaterale, un sacrificio privato che regge un sistema pubblico.

In questa partita, la distribuzione dei premi è limpida e incontrovertibile: alle cooperative i milioni, ai cittadini i bidoni.

E se proprio vogliamo parlare di premio, ebbene sì, il cittadino ne riceve uno.

Non un assegno, non una detrazione fiscale, ma la gratificazione di poter sfogliare, a fine mese, la sua nuova collezione di fatture: più alte, più corposi, più significative.

Un attestato cartaceo, timbrato e controfirmato dai fornitori di luce, gas e acqua.

Ecco la vera “opportunità” romana: trasformare ogni cucina in mensa sociale, ogni bagno in centro di accoglienza, ogni salotto in aula di multiculturalità… con un’unica certezza, non la riconoscenza dello Stato, ma quella inconfondibile lettera che arriva in busta bianca.

E lì, nero su bianco, tra numeri e grafici di consumo, emerge il motto della Capitale del futuro:
“Accogli anche tu: la solidarietà è gratis per tutti, tranne per te… e i fornitori ti applaudiranno con entusiasmo”.

 

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