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Roma sotto pressione sull’operazione UniCredit–Banco BPM

Bruxelles accusa l’Italia di violare le regole europee.

Entro agosto la replica: in gioco sovranità economica, credito e fiducia nel sistema bancario.

ROMA – Il confronto tra Italia e Unione Europea si fa serrato. Al centro del dibattito c’è il Decreto della Presidenza del Consiglio dei Ministri con cui il governo italiano ha imposto alcune condizioni all’acquisizione di Banco BPM da parte di UniCredit. Secondo l’esecutivo, le misure sono necessarie per tutelare la stabilità del sistema finanziario nazionale e rispondere a esigenze strategiche.

Tuttavia, per la Commissione Europea, quelle condizioni violerebbero i principi fondanti del diritto comunitario, in particolare la libertà di circolazione dei capitali e la competenza esclusiva della Banca Centrale Europea sulla vigilanza prudenziale degli istituti bancari.

La Commissione ha formalizzato la propria posizione in una lettera inviata a Palazzo Chigi, chiedendo chiarimenti entro venti giorni lavorativi. La scadenza, fissata intorno al 12 agosto, rappresenta un termine cruciale: se la risposta italiana non sarà ritenuta soddisfacente, Bruxelles potrebbe richiedere la revoca immediata del decreto, aprendo così uno scontro istituzionale senza precedenti in ambito bancario.

Tra i principali nodi di frizione spiccano tre disposizioni del decreto: l’obbligo imposto a UniCredit di uscire completamente dal mercato russo entro nove mesi; la necessità di mantenere per almeno cinque anni i livelli di prestito nei territori serviti da Banco BPM; e, infine, una serie di limitazioni su investimenti, autonomia gestionale e operazioni finanziarie che l’Europa considera eccessive e prive di adeguata giustificazione.

A complicare il quadro, vi è anche il fatto che il governo non ha notificato preventivamente il decreto alla Commissione, né ha risposto a due lettere formali inviate nei mesi scorsi.

Una mancanza che, secondo Bruxelles, configura una violazione del principio di leale cooperazione tra Stati membri.

Sul fronte italiano, il ministro dell’Economia Giancarlo Giorgetti ha ribadito che l’Italia intende difendere il proprio margine di azione e che il decreto risponde a esigenze di sicurezza nazionale.

Il governo si dice pronto a fornire chiarimenti e, se necessario, a far valere le proprie ragioni anche davanti alla giustizia amministrativa.

Nel frattempo, UniCredit ha espresso la propria contrarietà alle condizioni imposte dal DPCM, ritenendole arbitrarie. Il suo amministratore delegato, Andrea Orcel, ha affermato che la banca non intende procedere con l’acquisizione se le prescrizioni non verranno rimosse.

Una posizione che ha trovato sponda in una recente sentenza del TAR del Lazio, la quale ha annullato alcune delle restrizioni più controverse, confermandone però altre, tra cui l’obbligo di dismissione delle attività in Russia.

L’operazione UniCredit–Banco BPM, dal valore stimato in circa 14,5 miliardi di euro, rappresenta un passaggio fondamentale per il consolidamento del sistema bancario nazionale.

Tuttavia, la crescente incertezza normativa rischia di rallentare l’intero processo. Ad oggi, solo una minima parte degli azionisti ha aderito all’offerta, segno tangibile di quanto pesi l’instabilità giuridica sull’orientamento del mercato.

Le ricadute di questa vicenda non sono circoscritte ai palazzi istituzionali. Famiglie e imprese, infatti, potrebbero essere le prime a risentire di eventuali blocchi o irrigidimenti del credito.

L’accesso ai finanziamenti potrebbe diventare più complesso, mentre la fiducia nei confronti del sistema bancario rischia di incrinarsi.

Anche la percezione degli investitori internazionali potrebbe risentirne, rafforzando il timore che l’Italia non offra più un contesto pienamente prevedibile sul piano regolamentare.

Quello che si sta profilando non è solo uno scontro tecnico-giuridico, ma un confronto ben più ampio sul ruolo dello Stato nell’economia e sulla sua capacità di esercitare la sovranità in un quadro normativo europeo sempre più integrato.

Il golden power, strumento originariamente pensato per settori strategici come difesa ed energia, sta ora entrando a pieno titolo nella sfera bancaria, aprendo interrogativi destinati a rimanere aperti: fino a che punto un governo può condizionare operazioni autorizzate a livello europeo?

Dove finisce l’interesse nazionale e dove inizia l’obbligo di rispettare regole comuni?

Nei prossimi giorni, la risposta italiana sarà osservata con attenzione non solo a Bruxelles, ma anche dai mercati e dagli operatori del settore.

Da essa dipenderà non soltanto il destino dell’operazione UniCredit–Banco BPM, ma anche l’immagine del Paese come interlocutore affidabile all’interno dell’Unione.

E mentre il tempo stringe, famiglie e imprese restano in attesa di un segnale di chiarezza, nella speranza che da questo delicato passaggio emergano regole più solide e prospettive più sicure per tutti.

 

 

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