il mondo si agita, ma nessuno dice nulla

0

Nepal in rivolta: 26 morti, centinaia di feriti. Francia in rivolta: folla oceanica di 200.000 manifestanti. Italia in rivolta: Roma insorta, con municipi in fermento. I governanti impongono con zelo, i media, con grazia da salotto, tacciono.

0547caa4-9c15-4242-9673-6d7cdb44b540

 

Il Parlamento del Nepal è stato dato alle fiamme, il Presidente ha preferito la fuga in elicottero — degno finale da pellicola d’avventura — mentre il Primo Ministro ha scelto di ritirarsi con il più solenne dei “passi indietro”.

Macron, dal canto suo, si è distinto con la sua tipica eleganza autoritaria: arresti a pioggia. La rivolta, nata tra i pixel dei social, si è trasformata in carne e sudore di piazza, dimostrando che la politica di palazzo può essere travolta da un semplice post.

A Roma, invece, il sindaco Gualtieri interpreta il ruolo con disinvolta noncuranza: spallucce, diktat calati dall’alto e totale indifferenza verso i cittadini. Una prova, se mai servisse, che l’arte dell’ignorare è patrimonio consolidato della nostra classe dirigente.

Ciò che accade in Nepal, soprattutto nella capitale Katmandu, dove l’esercito è dovuto intervenire per ristabilire un precario ordine, dovrebbe scuotere le coscienze dell’Occidente, Italia e Roma comprese.

Tutto nasce da una legge varata a fine agosto: i colossi digitali avrebbero dovuto “registrarsi” presso un ufficio legale nepalese e nominare un referente locale, responsabile dei contenuti pubblicati.

Scadenza: 3 settembre. Pena: blocco delle piattaforme.

Ovviamente, i social hanno fatto finta di nulla.

E così si è accesa la “rivolta della Generazione Z”: ventenni cresciuti tra feed e notifiche, che si sono visti oscurare ben 26 piattaforme di condivisione — tra cui WhatsApp, YouTube, Facebook e Viber.

In un Paese da quasi 30 milioni di persone, la chiusura di 26 canali digitali è stata sufficiente a incendiare animi e piazze.

La protesta, composta da giovani tutti sotto i 30 anni, molti studenti, si definisce apartitica e senza bandiere.

I ragazzi chiedono libertà di espressione, fine della corruzione e il ringiovanimento di una classe politica che, con un’età media di 70 anni, sembra uscita da un museo delle cere.

Un movimento privo di leader riconosciuti, tranne forse Balendra Shah, detto Balen: ingegnere civile e rapper, eletto sindaco di Katmandu nel 2022 come indipendente.

Celebre per la sua battaglia contro la corruzione, oggi viene indicato come la “voce della Generazione Z”: un non politico che dalla scena locale potrebbe proiettarsi sul piano nazionale, aprendo una nuova era per l’ex “Terra degli Dei”.

La miccia del blocco digitale si è trasformata in incendio sociale.

La rabbia, già alimentata dalla corruzione cronica, è esplosa in manifestazioni di violenza.

Strade invase, panico diffuso, devastazioni.

Il bilancio: almeno 26 morti — destinati, si teme, ad aumentare — e più di 400 feriti.

Le fiamme hanno divorato la casa del ministro degli Interni e l’abitazione dell’ex premier KP Sharma Oli, 73 anni, quattro volte capo del governo e leader comunista.

In una nota, Oli ha dichiarato con compostezza: «Mi sono dimesso dalla carica di primo ministro con effetto immediato… al fine di intraprendere ulteriori passi verso una soluzione politica e la risoluzione dei problemi».

Una dichiarazione nobile, macchiata però dal dramma domestico: la moglie, rimasta in casa, è morta tra le fiamme.

In cenere è finita anche l’abitazione dell’ex presidente Ram Chandra Poudel, che, con coerenza, ha seguito l’esempio del collega: dimissioni e fuga in elicottero.

«Centinaia di persone hanno fatto irruzione nell’area del Parlamento e hanno incendiato l’edificio principale», ha confermato Ekram Giri, portavoce della Segreteria parlamentare.

E ancora una volta, i social si sono rivelati decisivi. Il blocco delle piattaforme, la mancanza di comunicazione, è stata la scintilla. A cui si è aggiunta la visione dei figli della nomenklatura — i cosiddetti “Nepo Kids” — che sfoggiano il loro lusso davanti a una gioventù disperata.

La miscela era esplosiva.

Il tasso di disoccupazione giovanile, secondo la Banca Mondiale, è al 20%. I bassi salari e la mancanza di lavoro costringono molti a emigrare. Una generazione che non vede futuro, se non altrove.

Le informazioni, tuttavia, scarseggiano.

Poche agenzie riportano la cronaca, i social diffondono frammenti, spesso non verificabili.

Ma ciò che accade in Asia non è distante da ciò che avviene in Europa, dove la retorica della “guerra per la pace” viene propagata da chi detiene il potere, contro il volere delle popolazioni, e dove le rivolte vengono elegantemente occultate.

In Francia, le manifestazioni che hanno portato oltre 200.000 persone in piazza contro Macron sono appena accennate.

Nel frattempo, Fitch declassa il Paese da AA- ad A+, citando “persistente instabilità politica”.

Tra le motivazioni: «La caduta del governo durante un voto di fiducia illustra la frammentazione e la crescente polarizzazione della politica interna».

Non se la passa meglio il Regno Unito, con Londra invasa da 110.000 manifestanti diretti a Westminster. Arresti a centinaia, sotto il silenzio dei media.

Ovunque, il copione è lo stesso: governi che non ascoltano, regole imposte dall’alto, politiche lontane dai bisogni reali. Parlano di democrazia, ma applicano la loro personale “democrazia non democratica”.

E l’Italia? Non illudiamoci.

Chi crede che sia un’“isola felice” deve ringraziare la censura — diretta o indiretta — che filtra social e media, accompagnata da una propaganda costante.

La realtà è tutt’altra: anche l’Italia è attraversata da rivolte contro una politica autoreferenziale, incapace di ascoltare, superba e orientata ad altri interessi.

Un’Italia sempre più divisa, dove la mitica “unità nazionale” sembra dissolversi giorno dopo giorno.

Le ZTL di Milano hanno già prodotto proteste ignorate con il solito “tanto poi gli passa”. Una volta rassegnati i milanesi, tocca ai romani. Nonostante le oltre 100.000 firme raccolte, tutto è rimasto invariato.

A Roma, quartieri come Casalotti e Casalselce hanno manifestato contro il sindaco e le sue mirabolanti invenzioni che mettono in crisi intere comunità.

Ma il sindaco Gualtieri, ironicamente raffigurato con la chitarra fino a ieri, ha preferito stupire i cittadini con un proclama: entro cinque anni, i romani potranno fare il bagno nel Tevere.

Un annuncio che pare quasi una sfida all’amico Macron, colui che ha immerso gli atleti olimpici nelle acque maleodoranti della Senna.

O forse, più semplicemente, la solita occasione per dirottare milioni o miliardi di euro sottratti a cittadini esasperati, costretti a guidare a 30 km/h, sorpassati da biciclette e monopattini.

Le deduzioni, naturalmente, spettano al lettore.

Vale tuttavia la pena notare un dettaglio: il Governo nazionale e la Regione appartengono a un colore politico, il Comune e i Municipi a quello avverso.

Una dicotomia che non cambia la sostanza.

Saranno entrambi avversi alla popolazione, o sono solo due facce della stessa medaglia?

 

 

About The Author


Scopri di più da Betapress

Abbonati per ricevere gli ultimi articoli inviati alla tua e-mail.

Rispondi