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In un gesto carico di arroganza ideologica, i giganti della comunicazione digitale hanno compiuto una scelta grave e irreparabile: l’oscuramento del profilo Facebook del professor Gianfranco Stella, storico e testimone della realtà vissuta durante la Seconda Guerra Mondiale, la cui voce non conosceva compromessi né mezze parole.

Cancellare Stella non significa soltanto sopprimere un profilo virtuale, significa recidere un filo prezioso che collega il passato al presente, un faro culturale che documentava con rigore crimini reali e atroci, perpetuati da ideologie criminali contro donne, anziani, bambini.

L’operazione odiosa che mira a far tacere chi non piega la penna alla paura affonda le sue radici nella censura ideologica.

Non si tratta più solo di moderazione dei contenuti, ma di censura pura e semplice: un atto che mira non al confronto, ma alla scomparsa totale del pensiero divergente.

La ferita aperta al mondo della cultura è profonda.

Il blocco di un profilo non è un incidente tecnico, ma un affronto alla dignità dell’intellettuale.

Come sottolinea Roberto Biffis, “Espellere e cancellare il suo profilo non solo crea un danno alla cultura ed alla verità storica, ma cerca di eliminare o di limitare sensibilmente la possibilità di un autore di ottimi saggi storici di poter rapportarsi con i lettori”.

È una strategia per limitarne la visibilità, una mano invisibile che punisce chi osa mettere in discussione la narrazione dominante.

I social network si ergono oggi a giudici supremazia della verità e della libertà di espressione.

Ma quando i loro interventi si trasformano in epurazioni, quando la moderazione diventa cancellazione, crolla il fragile equilibrio tra tutela e silenziamento.

Non si tratta di tutelare l’umanità da contenuti nocivi, ma di negare agli studiosi, ai testimoni, alle voci coraggiose il diritto fondamentale di raccontare il passato, un passato che, se ignorato, rischia di ripetersi.

“Coraggio, Gianfranco, non mollare!” sbotta Biffis, evocando la tenacia di chi continua a resistere nonostante l’oblio digitale.

Un invito chiaro: non arrendersi, anzi, trasformare l’oscuramento in catalizzatore di dibattito e solidarietà. I social possono tagliare un profilo, ma non possono sopprimere la verità né reprimere le idee che essa porta con sé.

Di fronte a questo scenario, resta urgente interrogarsi: chi decide cosa è lecito ricordare e trasmettere?

Chi stabilisce quali voci meritano di essere ascoltate?

Oggi, le plance algoritmiche operano una selezione che aspira a diventare definitiva, e la cultura è in pericolo non soltanto dentro i social, ma nell’arco della memoria collettiva.

Lo storico, il saggio, il testimone diventano bersagli quando la memoria diventa scomoda.

Le epurazioni ideologiche, come quella ostentata dall’oscuramento del professor Stella, sono un attacco alla pluralità intellettuale e alla democrazia culturale.

Non c’è tutela dell’utenza che tenga se la conseguenza è la cancellazione dell’individuo che racconta, ragiona, suscita pensiero.

Restituire la voce a chi viene silenziato non è solo un atto di giustizia: è un obbligo morale.

L’epurazione dai social, lungi dall’essere una misura protocollare o difensiva, si configura come un atto di arroganza culturale.

Quello che è accaduto a Gianfranco Stella non è un episodio isolato.

È parte di un disegno più ampio, un fenomeno che attraversa il mondo e che ha colpito figure molto diverse tra loro, tutte accomunate dall’essere considerate “scomode”.

  • Julian Assange e WikiLeaks: ostracizzato nel 2010 dalle piattaforme e dai sistemi di pagamento online per aver pubblicato documenti sulle guerre americane.

  • Donald Trump: nel 2021, da presidente in carica, fu cancellato da Twitter, Facebook e YouTube. Una decisione senza precedenti che fece discutere sul potere smisurato delle Big Tech.

  • Alex Jones: fondatore di Infowars, fu bandito da quasi tutte le piattaforme nel 2018, accusato di “hate speech”. Il problema non era solo il contenuto, ma il principio: chi decide cosa è verità e cosa è menzogna?

  • ByoBlu (Italia): nel 2021 YouTube oscurò il canale di Claudio Messora, che contava centinaia di migliaia di iscritti, con l’accusa di diffondere “disinformazione sanitaria”.

  • Robert F. Kennedy Jr.: candidato alle presidenziali USA 2024, vide più volte i suoi contenuti rimossi da Meta e Instagram, nonostante fosse un protagonista della vita politica.

  • Reporter indipendenti sul conflitto ucraino: giornalisti come Giorgio Bianchi hanno denunciato ripetute rimozioni dei loro reportage, accusati di essere “propaganda russa”.

In tutti questi casi, il meccanismo è identico: non è un tribunale a decidere, ma un algoritmo, una policy scritta da multinazionali private che si arrogano il diritto di stabilire cosa può esistere nello spazio pubblico e cosa deve essere spinto nell’oblio.

Oscurare un profilo come quello del professor Stella significa rinunciare alla verità e alla memoria, rinunciare al confronto, vivere nel pericolo di un mondo in cui decidono pochi e spesso in segreto, chi può ancora raccontare.

È tempo di ribellarsi a questo silenzio imposto, di restituire forza alle parole, di difendere chi osa guardare dritto alla storia con coraggio e chiarezza.

Le epurazioni digitali non sono meri atti di moderazione: sono amputazioni della cultura, atti di violenza simbolica contro la memoria collettiva e contro il diritto dei cittadini ad ascoltare, vagliare, discutere.

Oggi hanno colpito Gianfranco Stella; ieri hanno colpito Assange e molti altri; domani potrebbero colpire chiunque osi non allinearsi.

Difendere queste voci non significa condividerne ogni parola, ma difendere la possibilità stessa del dissenso, che è il fondamento di ogni democrazia autentica.

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